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When we start killing
It's all coming down right now
From the night that we've created
I wanna be awakened somehow
(I wanna be awakened right now)
When we start killing
It all will be falling down
From the hell that we're in
All we are is fading away
When we start killing
Come nascono i Soldati?
E' uso comune credere che un Soldato nasca quando il popolo necessita di protezione, o quando una corona viene poggiata sul capo di un Monarca animato da ambizioni di conquista. Quando le città non hanno altra scelta che attaccare per difendersi o per espandere il proprio dominio ad altre terre, è allora che si rende necessaria l'istituzione di un corpo armato.
Esistono però diversi Soldati.
I Mercenari, che vendono le proprie armi al miglior offerente.
Le Guide, i Generali, i Leader animati da svariati ideali a capo di un manipolo di uomini disposti a sacrificare le loro vite in nome di una causa superiore.
I Signori della Guerra, che fanno della guerra il loro più grande diletto.
Potremmo soffermarci su tante altre sfaccettature della vita militare, ma tutto ciò sarebbe inutile, poiché quello di cui parleremo in queste righe non sarà il solito soldato. Per esaminare il caso di Raiden è dunque d'obbligo dare uno sguardo al suo passato e a quali fatti lo hanno reso il soldato che è diventato. Per farlo, possiamo iniziare il racconto dai tempi del suo apprendistato, quando, ancora ragazzino, venne strappato alla sua famiglia per divenire parte del progetto
Les Enfants Terribles, volto alla creazione di un corpo militare di élite di esclusivo appannaggio del governo Esthariano, progetto poi naufragato dopo la sconfitta della Strega.
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« E dai, bello. D'accordo lo studio, ma tu esageri! Cos'è, hai intenzione di diventare un Generale o simili? »
Le parole scivolarono lente lungo la pelle del ragazzo che, di spalle, concentrava il suo sguardo e i suoi pensieri solo sul libro che aveva sotto gli occhi.
L'arte della Guerra di Sun Tzu. Una lettura che il Maestro aveva ritenuto indispensabile per i suoi allievi tanto da costringerli a leggerlo e a rileggerlo fino a quando non avessero incamerato ogni singolo concetto espresso nel testo.
L'aneddoto ironico dell'amico non era sfuggito a Raiden, che di generali e soldati, in quel momento, ne aveva la testa piena.
« Alza la testa da quel manuale polveroso e vieni fuori. Dicono che stanno organizzando un deathmatch nell'Arena. Devi venire per forza! »
Questa volta le parole dell'altro riuscirono a catturare la sua attenzione. Non tanto perché si fosse annoiato di leggere, quanto più perché se davvero stavano mettendo su un deathmatch, lui, effettivamente, non poteva assolutamente mancare. Lui, che a soli 16 anni era diventato la guida di tutta l'Accademia.
Le sue dita scivolarono sulla copertina del libro, chiudendolo con un tonfo secco.
« Hai ragione. » disse con voce atona
« Non ho nessuna intenzione di diventare un vecchio Generale la cui più grande fatica è stare seduto dietro una scrivania a dettare ordini. Io voglio scendere in campo. »
Sul volto del giovane andò delineandosi un sorriso, mentre il suo amico gli rispondeva convinto con un cenno del capo, prima di reindossare il soprabito della sua divisa e uscire fuori.
I corridoi dell'Accademia erano sempre deserti nel primo pomeriggio. Gli Allievi, infatti, trascorrevano quelle ore a letto a riposo oppure a bighellonare nel cortile della struttura prima che riprendessero le rigide sessioni di
training cui erano quotidianamente sottoposti. Raiden allungò lo sguardo verso l'ampio cortile posto al centro dell'Accademia, scorgendo qua e là sagome di studenti stanchi in cerca di riposo tra una lezione e l'altra, tra un allenamento e l'altro. Nel mezzo del chiostro si ergeva una fontana con una grande statua di marmo bianco, circondata da capo a capo da una scritta.
"
In adversa ultra adversa - Laguna Loire"
Inarcò un sopracciglio, scettico.
Ancora non riusciva a capire chi avesse il coraggio di sponsorizzare un progetto simile. Un'accademia militare per creare soldati scelti, edotti all'Arte della Guerra sin da bambini. Il cosidetto progetto
Les Enfants Terribles. Raiden non ricordava nulla della sua famiglia, ammesso che ne avesse avuta una, al pari di tutti gli altri bambini e ragazzi accolti nella struttura. Era singolare, infatti, notare come, alla domanda
Chi sei e da dove vieni? tutti rispondessero allo stesso modo, come un disco rotto.
Non so, non ricordo. Sono sempre vissuto qui
Come se d'incanto si fossero materializzati lì dal nulla, embrioni senza madre, ragazzi senza famiglia. La verità era che i figli dei migliori soldati di Esthar venivano precocemente strappati alle loro famiglie e sottoposti, sin dalla tenera età, a ricerche, esperimenti, allenamenti il cui unico scopo era quello di produrre il soldato perfetto, l'infallibile
soldaat, la cui unica missione, il cui unico scopo di vita sarebbe stato difendere la propria patria.
Non dovettero camminare molto. A discapito delle sfarzose apparenze, l'Accademia non era una grande scuola e si poteva dire che di maestoso, fatta eccezione per il cortile, la fontana con la statua e l'estetica degli edifici, non avesse proprio nulla. Così bastò una rampa di scale per giungere nell'atrio e da lì svoltarono a sinistra, portandosi all'esterno della struttura, dal lato opposto rispetto al cortile, nel vasto Campo d'Addestramento della scuola.
Ad accoglierli fu proprio il Maestro, un uomo sulla sessantina, alto e dinoccolato, provvisto di una muscolatura tonica -nonostante l'età non propriamente giovane- che ben sorreggeva i suoi 185 centimetri di altezza. Portamento fiero, volto perennemente solcato da un'espressione severa e da un paio di folti baffi, lunghi capelli grigi che, mossi, ricadevano dolcemente lungo le sue spalle e corporatura inusitatamente statuaria per l'età conferivano al Maestro un'aria tanto austera da incutere timore anche al più ardito degli uomini.
« Ben arrivati » disse con tono saldo e fermo
« Raiden, ero certo che non mi avresti deluso. In nessun caso avresti potuto mancare. »
E come avrebbe potuto? Era diventato ben presto il fiore all'occhiello dell'Accademia, uno dei pochi a poter sostenere i ritmi incessanti di quel posto, l'unico a guadagnarsi il titolo di
soldaat, di Campione dell'Arena per tre volte consecutive dopo la dipartita del precedente vincitore.
E adesso si apprestava a concorrere per la quarta.
L'Arena brulicava di ragazzi giunti lì per lo stesso motivo: mettere sul piatto la propria vita per cercare di portare a casa la vittoria. Chiunque fosse stato ritenuto inadatto ai canoni dell'Accademia sarebbe stato abbandonato a sé stesso, per la quale ragione tutti i presenti erano disposti a giocarsi qualsiasi carta presente nel loro mazzo pur di dimostrare di essere all'altezza.
Di essere il migliore.
Singolare era il fatto che ognuno dei guerrieri avesse il volto coperto da una maschera. Ma era parte del gioco: il soldato è un soldato e nient'altro, per cui tutti sceglievano la maschera che più identificasse la propria bestia interiore e che più riuscisse ad incutere timore all'avversario. Lento, Raiden infilò una mano tra le sue vesti, cercando la sua
dramatis persona. Trovatola, le sue dita si serrarono intorno al freddo metallo di cui era fatta la
maschera, prima di coprire il volto del proprietario.
E, ora che aveva indossato la corona, poteva muoversi nel suo regno.
L'amico lo seguì innocuo, anche lui con una maschera a celarne il viso. Man mano che Raiden camminava, gli altri sembravano accorgersi della sua presenza e interrompevano ciò che stavano facendo, concedendosi qualche secondo soltanto per ammirarne il portamento. Era ben presto diventato un punto di riferimento nell'Accademia, dal momento che tutti si sforzavano di raggiungere il livello del giovane prodigio della spada. E di questo il Maestro non poteva altro che compiacersi: aveva dalla sua probabilmente uno dei migliori spadaccini mai visti all'opera e tanti altri ragazzotti che si ammazzavano di allenamenti per raggiungere il suo livello, con un complessivo incremento del livello dell'Accademia stessa. Perché, si sa, il meglio tende al meglio e il progetto stava dando i suoi frutti: quei ragazzi ben presto avrebbero servito la cara Patria nel migliore dei modi.
Ma può una sola persona disporre della volontà di molti?
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Il
deathmatch, così come lo chiamava il Maestro, non era molto dissimile da un'arena di gladiatori. Pensandoci bene, era
esattamente un combattimento tra moderni gladiatori: a turno, coppie di ragazzi si scontravano nell'arena, dopodiché il vincitore proseguiva oltre, mentre il perdente,
se ancora vivo, veniva espulso dall'Accademia e nulla più si sapeva riguardo il suo destino, secondo un principio di eugenetica per cui soltanto i migliori avrebbero dovuto perpetrare la specie e portare avanti il Progetto.
La stessa arena ricalcava la foggia delle classiche fosse da combattimento dei gladiatori: una distesa della tipica sabbia rossa del continente di Esthar circondata da gradinate di spalti in marmo sui quali il pubblico, composto per lo più da politici, soldati e membri dello Stato Maggiore Esthariano, andava via via assiepandosi. Naturalmente, il Maestro e le principali Autorità presenti sedevano in Tribuna d'Onore, su comode poltrone di color rosso vinoso sormontate da una pomposa copertura la cui funzione era quella di proteggere le loro onorevoli teste dai caldi raggi del Sole che, specie a quell'ora del pomeriggio, battevano violenti sulla Terra rendendo l'aria torrida, quasi asfissiante.
Il Maestro si alzò per prendere la parola, seguito a ruota dalla platea, che scattò in piedi gridando a gran voce "
Cornelius! Cornelius!" Cornelius B'nargin Martell era il suo nome, ma nell'Accademia era noto semplicemente come "Maestro" e nessuno osava chiamarlo diversamente.
« Illustri colleghi. E' con sommo piacere che vi accolgo qui nella nostra Arena » disse con voce fiera e roboante, indicando con un ampio gesto del braccio il campo di battaglia ai suoi piedi. Fragorosi applausi seguirono le parole del Maestro che, con un cenno delle mani, fece segno alla platea di fermarsi, così da poter continuare il discorso.
« Sono compiaciuto da tanto affetto. Dunque, non mi sembra d'uopo farvi aspettare ulteriormente: che il deathmatch abbia inizio! »
Mentre il Maestro faceva da cerimoniere, qualche metro più giù, i partecipanti alla tenzone andavano riunendosi nel tunnel che conduceva all'Arena, in attesa di essere chiamati a scendere in campo. L'aria era elettrica e la tensione così palpabile da poter essere tagliata con il coltello; i ragazzi, riuniti a gruppetti, parlottavano tra loro, ridevano, facevano battute oscene, cercando in tutti i modi di esorcizzare la paura che, volenti o nolenti, li attanagliava.
Paura dipinta sui loro volti, coperti dalle maschere da guerriero.
Raiden se ne stava in disparte, appoggiato con la schiena ad una parete del condotto, ignorando totalmente i discorsi altrui. Quella situazione non gli era più nuova, oramai sapeva cosa si provava ed aveva imparato a domare le emozioni che usualmente precedono una battaglia e questo senz'altro rappresentava uno dei suoi punti di forza. Tuttavia preferiva non essere disturbato, pertanto si teneva alla larga da tutti gli altri.
« Ehilà, campione! Pronto per gettarti nella mischia? Anche se...domanda retorica, la mia... »
La voce del suo
amico lo riportò alla realtà.
Caius Freihart, questo era il suo nome. Era l'unica persona all'interno dell'Accademia con la quale Raiden avesse stretto un rapporto sociale che andasse oltre il semplice saluto, rapporto che, tuttavia, era ben lontano dai canoni dell'amicizia normalmente concepiti. Si trattava più di un forte senso di cameratismo che non di amicizia vera e propria, anche se Caius soleva usare il termine
amico per indicare il suo compagno d'arme. Nonostante ciò, Raiden era particolarmente legato a Caius e sapeva di essere per il ragazzo un punto di riferimento, un modello da imitare, un esempio da seguire, pertanto si sforzava di non deludere le sue aspettative.
Sì, era pronto. A tutto, fuorché a quello che stava per accadere.
Un brivido corse lungo la sua schiena quando il Maestro annunciò i nomi dei guerrieri che, di lì a poco, avrebbero solcato la polvere dell'Arena.
« Raiden e Caius Freihart. »
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Non aveva scelta.
Avrebbe dovuto combattere. O lui, o Caius. Quel giorno, il sangue di uno dei due avrebbe sicuramente impregnato la polverosa sabbia dell'arena, prima di essere ricoperto da altra sabbia e da altro sangue.
Sangue e sabbia.
Sconfitta e vittoria
Raiden avrebbe dato il massimo, per due ragioni fondamentali:
doveva trionfare, non poteva concedersi il lusso di perdere e poi non aveva intenzione di risparmiarsi contro il suo compagno, nonostante il loro legame, per una questione di rispetto nei confronti dell'avversario. Il giovane spadaccino partiva da favorito, ma non per questo non avrebbe spremuto ogni singolo muscolo del suo corpo in quella sfida. Non farlo avrebbe significato sminuire il valore del suo rivale e Raiden nutriva una profonoda stima verso Caius, un ragazzo che, nel cercare di emulare il compagno, si dedicava anima e corpo agli allenamenti.
Gli avrebbe dunque offerto la sua occasione.
Avrebbe permesso al suo compagno di mettersi in mostra, compagno che, sia pur con affetto, avrebbe dovuto sconfiggere.
I due si portarono a centro arena e lasciarono che le loro lame si incrociassero in segno di reciproco rispetto prima che il Maestro, con un sonoro e vibrante colpo di gong, desse il via alla sfida.
« Aspettavo da tanto questo momento, Raiden...forza, non farmi spazientire! »
Caius affrontò il suo avversario con coraggio. Levò la spada sopra la testa, pronto al duello, stringendo l'elsa in una morsa compulsiva. Raiden, dopo essersi avvicinato a lui di un paio di passi, si fermò. Caius potè vedere i suoi occhi. Erano azzurri, di un azzurro che trascendeva l'umano, avvicinandosi di più a quello del ghiaccio inanimato.
Accadde tutto rapidamente.
La spada di Raiden si mosse, fendendo la polverosa aria dell'arena. Caius la intercettò con un gesto secco del suo braccio destro, che andò a descrivere un arco a mezz'aria, facendo sì che le due lame impattassero con un sonoro clangore. Il giovane parò un secondo fendente, un terzo e poi un quarto, arretrando infine di qualche centimetro. Un'altra raffica di colpi lo costrinse ad arretrare ulteriormente. L'aggressività di Raiden sembrava non avere pari: Caius si batteva con onore, ma il divario tecnico e fisico tra i due emerse prepotente.
Le spade tornarono a incrociarsi, a scontrarsi, colpo dopo colpo, parata dopo parata, fino a quando il respiro di Caius iniziò a farsi pesante per la fatica. E, alla fine, Caius fu lento, troppo lento. La lama di Raiden arrivò a graffiare il braccio sinistro del ragazzo, lasciando che gocce di sangue cremisi venissero fuori prepotenti, andandosi a mescolare con la torrida sabbia rossa sotto i loro piedi.
Ma Caius non si arrese. In un impeto di disperato furore tentò un ultimo assalto al nemico, la spada impugnata a due mani, un attacco carico di tutta la forza che gli rimaneva. La parata di Raiden fu brutale: il giovane spadaccino, impugnando anch'egli la sua spada a due mani, descrisse un movimento diametralmente opposto a quello eseguito dal suo avversario, caricando la lama con forza. Le due spade si incrociarono nuovamente ma, complice la ferita subita, stavolta la presa di Caius non fu particolarmente salda e la sua lama volò via, scagliata tra la sabbia polverosa, a far compagnia al suo sangue. Il giovane venne a trovarsi così miseramente disarmato.
Era stato sconfitto, come da pronostico.
Il gong suonò nuovamente, decretando la fine del combattimento e subito l'arena esplose in un boato di applausi. Molti dei presenti avevano già visto all'opera il giovane Raiden, sapendo di cosa fosse capace, ma ad ogni sua performance gli applausi si rinnovavano come se fosse la prima volta.
« Complimenti, amico...c'era da aspettarselo, dopotutto...ma resti un grande... »
La voce di Caius era rotta dalla stanchezza e dalla cocente delusione per la sconfitta subita, ma il giovane non nutriva alcun risentimento verso Raiden. Temeva piuttosto che la perentoria sconfitta avvenuta sotto gli occhi del Maestro e delle autorità militari potesse inficiare la sua valutazione e la sua permanenza dell'Accademia. Non aveva altra scelta se non quella di continuarsi ad allenare e cercare di migliorare ulteriormente, seguendo le orme del suo amico.
Raiden non ebbe tempo di rispondere che Caius si era già allontanato dall'arena. Lo avrebbe raggiunto dopo, a deathmatch ultimato.
Il torneo continuò come da pronostico. Raiden vinse gli scontri successivi, guadagnandosi la vittoria e il plauso generale.
Qualcosa, tuttavia, andò storto.
Al momento della premiazione il giovane notò con sconcerto l'assenza di Caius. In queste occasioni l'amico era il primo ad esser presente per sostenerlo e la sua assenza gli suonò strana. Forse era troppo stanco o deluso per farsi vedere, o forse stava recuperando dalla ferita subita nello scontro. Lo spadaccino era talmente assorto nei suoi pensieri che quasi ignorò il Maestro che gli si era avvicinato per tendergli la mano.
« Cos'è, stai forse dormendo ad occhi aperti? Il vincitore infine sconfitto dalla stanchezza? »
La battuta pungente del Maestro lo riportò alla realtà. Ricambiò la stretta di mano nella speranza di divincolarsi il prima possibile per vedere che fine avesse fatto Caius, ma fu immediatamente bloccato dalle diverse autorità presenti che gli si avvicinavano per fargli i complimenti e per stringergli la mano a loro volta.
Quando quello strazio finì, rendendosi conto che, dopo tanto tempo, il suo amico ancora non si fosse palesato, non riuscì a trattenersi e, intercettato il Maestro, gli domandò a bruciapelo:
« Maestro...le chiedo scusa...ha forse avuto notizie di Caius? Dopo il nostro scontro non l'ho più visto e, insomma,ciò mi è parso strano... »
A quelle parole il Maestro si voltò lentamente, dando l'impressione di aspettarsi una domanda simile. Non era infatti minimamente sorpreso da tale interrogativo. La risposta fu tuttavia alquanto sibillina.
« Pensavo lo avessi capito. Ora non è il momento, ne parleremo a tempo debito »
Raiden annuì con ostentata sicurezza, ma in realtà non aveva capito un bel niente di cosa il Maestro avesse voluto dire. Fece così ritorno al dormitorio.
Se non avesse trovato lì Caius, allora sì, il Maestro gli avrebbe dovuto qualche risposta.
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I giorni passavano, ma di Caius nessuna traccia. Non aveva scelta, doveva parlare al Maestro. Perché se gli altri sembravano non porsi minimamente il problema, a Raiden importava eccome.
Il vecchio, tuttavia, lo batté sul tempo: fu lui a recarsi dallo spadaccino, non viceversa.
« Raiden » disse con voce salda ma spezzata dall'età
« Posso parlarti? »
L'affermazione scatenò l'ilarità del ragazzo, che non riuscì suo malgrado a trattenere le risa.
« Aha! Da quando un Maestro deve chiedere ad un suo allievo il permesso di confidargli qualcosa? »
Scostò una ciocca di capelli argentei dal viso con un malizioso gesto della mano, saccente, tornando rapidamente ad assumere un contegno più serio e consono alla situazione. Quell'uomo non gli piaceva e Raiden sentiva venir via via meno il timore reverenziale che il Maestro soleva incutere ad ogni suo interlocutore. Ammirava tuttavia la fermezza di Cornelius, che non aveva accennato nessuna reazione davanti a quella provocazione.
« Mi dica. »
« Perché ti comporti così, Raiden? » esordì, con voce asettica e tagliente
« E' per il tuo amico, dico bene? Quel Caius »
Raiden non rispose, ma il suo volto era di per sé abbastanza eloquente, abbrutito com'era dalla rabbia. Ogni minuto che passava quell'uomo gli piaceva sempre di meno, ma non disse nulla, non lo interruppe. Era curioso di vedere dove volesse andare a parare.
« Di cosa ti stupisci? Dovresti saperlo... » continuò, col solito tono monocorde
« Era palese che non fosse all'altezza dell'Accademia e l'esito del vostro scontro me ne ha fornito un'ulteriore conferma. Fattene una ragione, Raiden. E' stato espulso. »
Espulso.
Quella parola trafisse Raiden come un dardo. Conosceva le dinamiche dell'Accademia e sapeva fin troppo bene quale fosse il destino di coloro i quali si macchiavano della "colpa" di essere al di sotto degli standard previsti dal progetto. Costoro venivano espulsi, ossia abbandonati a loro stessi nelle lande desolate del continente Esthariano e se fossero riusciti a sopravvivere alle insidie e ai mostri che popolavano quei luoghi sarebbe dipeso soltanto da loro. Ma la realtà dei fatti era che tutti, chi prima, chi poi, morissero di stenti o sotto l'attacco dei mostri. Le probabilità che Caius fosse sopravvissuto a quell'inferno rasentavano lo zero, nonostante la speranza fosse l'ultima a morire.
Espulso.
La rabbia in Raiden finì col crescere ulteriormente, come se quella parola avesse gettato altra benzina su di un fuoco già ardente.
« Espulso, ma certo... Come ho fatto a non pensarci? » quelle parole fuoriuscirono dalle sue labbra come un sibilo
« Mi dica una cosa, Maestro...lei crede davvero in questo progetto? »
Cornelius non rispose, limitandosi ad aggrottare le sopracciglia in segno di profondo scetticismo. Rimase in attesa, il Maestro, lasciando che Raiden proseguisse il suo discorso. Adesso era lui a voler vedere dove lo spadaccino andasse a parare.
« Glielo dico io. Lei non ci crede affatto, ma deve reggere il gioco, e per vanagloria, e per evitare di rendere consapevole il governo Esthariano di aver speso tanti soldi inutilmente. »
Stavolta il Maestro apparve visibilmente turbato. Era evidente che tutto si aspettasse fuorché una simile conversazione. Quel ragazzino di 16 anni era lì, davanti a lui, a spiattellargli senza mezzi termini quella che era la realtà dei fatti. Un affronto bello e buono, certo, ma non si poteva negare che Raiden in quel momento stesse dicendo il vero. Ma questo il Maestro mai avrebbe potuto ammetterlo, per nessuna ragione al mondo.
« Vanagloria? Dovresti ringraziarmi anziché criticarmi, ragazzino... » la sua voce si fece ora rigida, il tono severo e sprezzante
« Se sei così forte è anche merito di questa fallimentare Accademia. Orbene, non mi sembra il caso di sputare nel piatto in cui si mangia... »
Aveva sentito abbastanza. Adesso era stufo.
La logica contorta e perversa di quel posto non gli era mai andata a genio ma fino a quel momento si era adattato per quieto vivere e per continuare ad allenarsi e a combattere a livello massimale. Ora, però, la sua pazienza sembrava esser giunta a saturazione e le parole del Maestro furono la goccia che fece traboccare il vaso.
« E quanti altri, insieme a me? Mi dica, Cornelius, quanti raggiungono gli obiettivi prefissati? 2, o forse 3 su 10 nella migliore delle ipotesi. Tutti gli altri invece cedono o sono espulsi. Quale aggettivo userebbe per descrivere un simile scempio, se non "fallimentare? »
Il Maestro perse il controllo. La calma serafica e statuaria che fino a quel momento lo aveva contraddistinto lasciò spazio all'ira impetuosa e Cornelius, forte della sua possente stazza, sembrò troneggiare sul giovane Raiden, urlando in tono imperioso:
« NE HO ABBASTANZA. SE LO REPUTI UN FALLIMENTO ALLORA VATTENE, COSI POTRAI RAGGIUNGERE QUELL'INETTO DEL TUO AMICO SE CI TIENI COSI TANTO! »
Pur apparendo come un moscerino a confronto con il Maestro, Raiden non si lasciò intimorire da una simile sfuriata. Rimase lì, immobile, senza accennare ad alcuna reazione, cosa che irritò ancora di più Cornelius, che cercò di colpire il ragazzo con un pugno. Raiden schivò il colpo e d'istinto reagì sgambettando il Maestro, che finì a terra.
« Come hai osato...questa me la paghi... »
L'uomo si alzò, facendo per aggredire Raiden con quanto vigore avesse in corpo, ma ciò che accadde in quel frangente aveva dell'imponderabile. Una lama di ghiaccio apparve tra le mani dello spadaccino nello stesso istante in cui il Maestro fece per mettergli le mani al collo, lama che, sotto la spinta delle giovani mani del ragazzo, trapassò l'uomo da parte a parte, mandandolo al suolo in una pozza di sangue.
Raiden rimase come paralizzato, ansimante e tremante davanti al cadavere di Cornelius Martell che giaceva riverso ai suoi piedi. Non avrebbe voluto mai e poi mai arrivare a tanto, ma il Maestro non gli aveva dato alcuna scelta.
Uccidere per non essere ucciso.
Difesa personale.
Erano queste le parole che ripeteva come un mantra nella sua mente per mettere a tacere i sensi di colpa che lo attanagliavano. D'ora in poi il Maestro non avrebbe più deciso il destino di altri ragazzi come lui. Ben presto la lama di ghiaccio si sarebbe sciolta sotto il calore del corpo e del sangue dell'uomo e non sarebbe rimasta alcuna traccia dell'arma del delitto.
Raiden si allontanò con disarmante serenità dalla scena del delitto.
Adesso era libero.
Adesso
erano liberi.
La notizia della morte del Maestro non avrebbe impiegato molto tempo a fare più volte il giro dell'Accademia e ciò avrebbe potuto produrre un solo risultato: anarchia, ribellione.
« Riposi in pace, Maestro. Adesso ha smesso di decidere senza alcun criterio delle vite altrui... »
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Ciò che avvenne dopo è semplice da intuire: anarchia.
L'assassinio del Maestro da parte di
ignoti fece piombare l'Accademia nel caos. Privata della sua guida
spirituale dittatoriale, la scuola crollò su sé stessa, in un generale ammutinamento. Non c'erano più regole: gli allievi soldati, venute meno le catene nelle quali il Maestro li teneva segregati, guidarono un'unanime rivolta contro quella vacua e sterile manifestazione di potere rappresentata dall'Accademia stessa e, impadronitisi di diversi mezzi, lasciarono la scuola.
Non avrebbero potuto far ritorno a Esthar. O, almeno, non in quelle vesti. Ciascuno di loro avrebbe dovuto rifarsi una propria vita -ammesso che ne avessero avuta una fino a quel momento- e una propria identità da cui ripartire.
Erano destinati a diventare dei vagabondi, dei raminghi. Ma il vagabondare senza meta non può dirsi forse una delle più pure ed incondizionate forme di libertà?
Lo stesso destino toccò a Raiden, che abbandonò la struttura subito dopo la morte del Maestro. Le vicende di quel giorno, nonché l'esistenza della scuola stessa, vennero prontamente insabbiate dal governo Esthariano. Se la notizia di quell'indicibile fallimento noto come progetto
Les Enfants Terribles fosse venuto fuori, il Governo avrebbe finito per trovarsi in una posizione che definire scomoda sarebbe poco: la realizzazione di quel progetto aveva comportato costi considerevoli, costi cui avevano partecipato numerosi finanziatori che di certo non sarebbero stati contenti di scoprire la fine che avevano fatto i loro capitali. Una simile notizia avrebbe finito per innescare così un effetto domino in cui l'ultimo tassello a cadere sarebbe stato proprio quello del governo esthariano. Pertanto, le autorità furono costrette ad ingoiare quel boccone amaro e a insabbiare il tutto, ricoprendo l'esistenza del progetto col segreto di stato.
Questo spiega perché i superstiti dell'Accademia non avevano altra alternativa se non quella di crearsi una nuova vita: erano pur sempre dei testimoni scomodi, vestigia di quel progetto fallimentare. Se i servizi segreti Esthariani avessero scoperto l'esistenza di uno di loro, il malcapitato sarebbe certamente stato
messo a tacere senza troppi patemi d'animo.
Da qui prende inizio la storia di Raiden, nato da soldato e destinato a vivere e morire come soldato, senza avere molte possibilità di scelta.
Nessuno più del soldato vive la sua vita giorno per giorno, essendo pienamente consapevole del fatto che un giorno può esserci e quello successivo non più. Pertanto, il giovane spadaccino avrebbe vissuto la sua vita senza alcuna paranoia.
Se, un giorno o l'altro, il suo passato avesse dovuto decidere di ritornare a fargli visita, si sarebbe fatto trovare certamente pronto ad affrontarlo.
Ho deciso di scrivere un racconto che narrasse degli eventi precedenti l'arrivo di Raiden al Garden e, in particolare, di approfondire le origini del personaggio, così da ampliarne la conoscenza e capirne meglio la caratterizzazione. Aggiornerò questo post periodicamente per continuare la narrazione