«Andate a Est.» Lenne formula quell'esortazione mentre la mano si chiude sull'elsa della spada, nel tono la sfumatura secca che si dà agli ordini. Non è nemmeno un'inflessione volontaria ma qualcosa in lei
ringhia, l'avverte di un pericolo ancora invisibile e allo stesso tempo molto vicino. Si sono lasciate alle spalle la neve da un paio d'ore, partendo non appena il sole è sorto per non rischiare di trovarsi in piena notte nel mezzo del nulla. «Hai detto che lì c'è un...» aggrotta la fronte «… Chocobosco, sì? È la nostra unica possibilità di avere qualcosa con cui muoverci più in fretta ma non dobbiamo attirare la loro attenzione. Se ci inseguono fino a là, possiamo salutare la speranza di arrivare a Centra in tempo.»
«Vuoi dire
devi attirare la loro attenzione? Pare che tu abbia già formulato un piano senza consultarci.»
«Vuoi farmi compagnia, Lance?» Dal fremito che la scuote, Lenne sa che aspettava solo quel pretesto.
Elza la trattiene per un braccio. «Edith, dai. Siamo ferite, lo sai che ha ragione, e anche se tutti i film horror che mi hai costretto a vedere suggeriscono sia un'idea stupida, separarsi è la cosa migliore.Ti prenderai il Chocobo più brutto.» aggiunge rivolta a Lenne che annuisce e basta, poi fissa davanti a sé.
Il tempo è stato clemente con loro. Coperto da nubi scure, il cielo è una cappa grigiastra, soffocante, da cui cola una pioggia lieve: abbastanza per coprire il loro odore ma non tanto da ostacolarle. Seguendo lo sguardo di Elza verso i profili delle case lontane, Lenne ne coglie la rabbia repressa, si agita alle sue spalle come la sciarpa che indossa e
frusta l'aria a ogni folata di vento. Serra le dita nel palmo - trema.
«Abbiamo lottato così tanto per riavere una casa.» La sua voce brucia di collera e rimpianto. Lenne ed Edith ne osservano il profilo in silenzio. «E tutto per perderla di nuovo.» Alla rabbia si mescola qualcosa di meno duro, che riporta a galla un passato in cui la vita l'ha obbligata a crescere fin da ragazzina. Un nucleo di fragilità nascosto sotto lo strato d'acciaio con il quale aveva dovuto rivestire la propria pelle.
«È semplice.» Edith muove un passo in avanti, le cinge le spalle con un braccio per tirarla a sé. Elza inclina la testa, la poggia contro di lei, e a Lenne in quel momento ricorda una bambina. «Non ci resta che prendere a calci qualche culo marcio e arrivare dal grande capo
estiqaatsi - è una parola nella mia lingua, poi te la spiego - per calciarglielo più forte.»
La ladra sbuffa una risata, poi si allontana con una spinta e si volta verso Lenne, rimasta tutto il tempo concentrata sui dintorni. «Noi andiamo. Qualunque cosa ti succeda, non potremo saperlo né aiutarti, il codec ancora non dà segni di vita. Fa' in fretta ok?»
Lenne mantiene lo sguardo fisso in lontananza, la spada in pugno, ma in compenso la risposta che le offre è quella che Elza voleva ricevere. «Va bene.»
Senza aggiungere altro, le due si allontanano nella nebbia che sta iniziando a sollevarsi e le loro figure diventano ben presto sagome indistinte. In mezzo a quella foschia, i lamenti degli infetti sono un brivido lungo la spina dorsale; i loro passi, strascicati e ora febbrili, segno che hanno fiutato la prossima preda.
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«I casi sono due,» commenta Edith quando un'ora più tardi le raggiunge a poca distanza dal bosco, «o erano pochi e te ne sei liberata in fretta oppure è semplicemente meglio non farti incazzare.» Sbircia la lama sulla sua schiena, lungo cui scorrono rivoli di pioggia e sangue scuro. «Direi più la seconda.»
Lenne si limita a fissare la macchia d'alberi a poche centinaia di metri. In un contesto differente sarebbe persino un luogo piacevole ma lì, in quel momento, è spettrale come qualunque cosa le circondi. Non hanno la sicurezza che troveranno quanto cercano eppure resta una soluzione preferibile al vagare nel nulla, dunque si consegnano all'ombra umida della foresta incuranti dei rami che sferzano la pelle man mano che si inoltrano nel bosco. Non si guardano indietro, perché le rallenterebbe e incrementerebbe una tensione che già azzanna implacabile il cuore. Gli alberi lasciano passare poca luce ma è il grigio lattiginoso d'una giornata uggiosa mentre il terreno, che ha assorbito l'acqua delle ultime ore, sprofonda sotto il peso dei loro passi. Deviano, prendendo un sentiero che si addentra ancor più in profondità, ma non sembra esserci alcuna traccia di chocobo. Fino a che un suono poco più avanti le mette in allarme.
Lenne porta la mano all'elsa di Celebros, segue la scia tracciata dal fruscio delle foglie. «Restate qui.»
Edith la raggiunge, ignorando il monito. «Fai come ti dice.» intima a Elza, la lama già stretta nel pugno.
Un attimo dopo, anche la ladra si affianca a Lenne, armando le pistole con uno scatto. «Scordatevelo.»
Lenne mugugna contrariata ma non aggiunge altro. Si muovono nella direzione da cui arrivano i rumori, quando all'improvviso qualsiasi cosa ci sia di fronte a loro prende l'iniziativa e
carica. Un'ombra emerge dal sottobosco rapida, confusa, con tutto l'intento di travolgerle. Elza spara ma Lenne le stringe il polso, devia il colpo: l'esplosione del proiettile paralizza la creatura dallo stupore ed è allora che anche le altre due la riconoscono. Sguardo terrorizzato, bava che schiuma dall'angolo del becco, piumaggio arruffato e chiazzato, Choco Boko Caliginus III le fissa, pare persino sapere chi ha davanti. Il respiro è un sibilo affannoso ma al di là di quello, l'animale capisce di non essere in pericolo e assume una posa impettita nel tentativo di darsi un tono - del resto, i SeeD che hanno l'onore di ospitarlo forse erano preoccupati per la sua incolumità e può concedere loro un poco di gratitudine. Si piega sulle zampe quanto basta perché Lenne possa sfiorare il collo in una carezza leggera, gorgoglia un apprezzamento poi si rialza e le osserva una per una. La quiete attorno a loro ha qualcosa di spettrale ma lo sparo non sembra aver attirato attenzione indesiderate, dunque si possono considerare al sicuro almeno per qualche minuto e dello stesso avviso è Choco Boko, che fa un passo indietro scrollando il dorso prima di acciambellarsi.
Lenne guarda il palmo della mano, dove è rimasta una macchia traslucida di sudore misto a sangue denso e scuro, che all'olfatto ha l'odore acre della malattia. Non dubita che l'infezione possa attaccare anche gli animali, tuttavia Choco Boko non dà l'idea di essere in qualche modo coinvolto. Si avvicina di un passo, lui la fissa torvo ma non reagisce e lascia che gli dia un'occhiata: il piumaggio è incrostato e secco in alcuni punti, non ci sono però ferite visibili. I muscoli sono tesi, si contraggono nel momento in cui vi passa la mano, gli occhi sono ancora iniettati di sangue ma lentamente l'animale sta riprendendo il controllo di sé. È stremato, forse anche affamato. Elza cerca nelle tasche qualcosa avanzato dal cibo trovato nella chiesa e gli porge dei biscotti raffermi, che all'inizio il chocobo rifiuta con un
kwé risentito.
«Scendi dal piedistallo che ti sei costruito.» sbuffa la ladra, allungandoglieli ancora. «Non avrai altro.»
«Abbiamo la nostra cavalcatura,» commenta Edith lasciandosi cadere stancamente a terra, «ma non può portarci tutte. E anche a riuscirci, dubito che le loro maestà vogliano concedersi tanto.» aggiunge, socchiudendo gli occhi quando Choco Boko pare voler dire la propria. «Lo so che mi pigli per il culo.»
Lenne, impegnata a pulire il palmo con acqua della borraccia e la stoffa strappata alla divisa, annuisce.
«Se riuscissimo a trovarne un altro...» Elza guarda speranzosa il chocobo, che la ricambia con aria di sufficienza, innescando una silenziosa battaglia di sguardi finché è lui a cedere e rimettersi in piedi - di nuovo, si parla di un gesto magnanimo e nient'altro.
Emettendo un verso che trasuda sussiego, Choco Boko le esorta a seguirlo nel folto del bosco senza aspettarle un attimo di più. Scambiatesi una rapida occhiata, lo assecondano, tacendo sul fatto che la strada presa sembra scelta volutamente per essere la più scomoda possibile. Dopo minuti che paiono ore in cui il chocobo non si è mai fermato a vedere se lo stessero ancora seguendo, superato un muro di rovi emergono in una radura che non sarebbero riuscite a trovare senza la sua pur discutibile guida.
«Una sorgente… calda?» Elza guarda sorpresa lo specchio d'acqua di fronte a loro, dal quale salgono lievi sbuffi di fumo, ma quando prova ad avvicinarsi si trova la strada bloccata da un perentorio Choco Boko che ammonendola con lo sguardo punta poi il becco verso una zona più nascosta. E lì la vedono.
Rannicchiata su se stessa, tremante, una femmina le osserva con occhi acquosi, terrorizzati; libera un verso roco che vorrebbe essere di minaccia mentre cerca di alzarsi sulle zampe malferme, che tuttavia la tradiscono lasciandola ricadere a terra. Dietro di lei, dall'ombra dello sperone di roccia che cercava di coprire, risalgono alcuni deboli pigolii. Nessuna delle SeeD si muove, più stupite che incerte, finché Lenne nota una macchia scura sull'erba attorno al punto in cui l'animale è accasciato. Sangue secco.
«È ferita.» La possibile evidenza nascosta dietro le sue parole piomba su di loro in un pesante silenzio.
«Fosse infetta, Choco Boko l'avrebbe aggredita per primo.» obietta Elza. «Non possiamo, insomma...»
La frase le si strozza in gola quando Lenne sgancia la spada dalla schiena ma, lentamente e senza mai staccare lo sguardo da quello serio del chocobo, la donna l'appoggia a terra e si rialza, muovendosi poi verso la femmina che ha ripreso a tremare. Choco Boko la lascia fare senza abbandonarla un istante, permettendole di avvicinarsi all'altra per osservarla.
Inginocchiata al suo fianco, Lenne individua subito la ferita sotto il piumaggio: sono tre lacerazioni non tanto profonde da essere invalidanti ma comunque piuttosto gravi se lasciate a loro stesse. Come se qualcosa, o meglio qualcuno, si fosse aggrappato con tutte le proprie forze salvo essere scalciato via.
«Sono stati gli infetti. Probabilmente alcuni di loro si sono spinti qui e la madre ha cercato di difendere il nido, prima che intervenisse lui.» spiega riferendosi a Choco Boko. «Trasmettere un'infezione in questo modo è molto raro ma può succedere se c'è traccia di sangue sotto le unghie, ad esempio.» Si passa la mano fra i capelli, sospira. «Senza avere un'idea di come siano andate le cose, posso solo ipotizzare.»
«La soluzione migliore sarebbe abbatterla.» Edith si avvicina. «Per prevenire una possibile diffusione, per la nostra incolumità e mille altri motivi. Ma se lo facessimo, non saremmo migliori del Macellaio.» Si china ad accarezzare il becco, ne accoglie il pigolio grato con una smorfia amara. «Non parliamo di un Behemoth: se cederà, sapremo come contenerla.»
Lenne tace, riflette sulle sue parole. Poi annuisce. «Accampiamoci qui. Recupereremo il tempo perso domani, se siamo fortunate usando due chocobo.»
L'atmosfera si rilassa all'improvviso come se in quel momento avessero rilasciato un respiro trattenuto troppo a lungo. Elza si sposta nelle vicinanze della radura per recuperare della legna, Lenne medica al meglio le ferite del chocobo senza più lo sguardo di Choco Boko sulla nuca, Edith si prende l'incarico di procacciarsi del cibo date le misere scorte rimaste. Prima di preparare l'accampamento e una volta che le due SeeD hanno fatto ritorno, Lenne predispone un sistema di trappole - retaggio dei giorni in fuga e della saggezza dell'istinto. Un nemico ne sarebbe stato colto di sorpresa, oppure avrebbero ottenuto un pasto che non avesse il retrogusto della muffa. Sebbene nascosta nel più folto del bosco, la radura lascia intravedere uno scorcio di cielo: il crepitio del fuoco diventa una voce amica alcuni minuti dopo, nel silenzio della sera. Choco Boko sonnecchia di fronte alle fiamme, assieme a lui la femmina con i due cuccioli che, passato il pericolo iniziale, erano usciti allo scoperto. Accanto a loro, Lenne guarda il bivacco, la spada al fianco e il braccio poggiato sul ginocchio raccolto al petto; alza la testa nel sentire le voci di Edith ed Elza, ferme in riva alla sorgente.
«Immergiti.» Scorge il cipiglio sul volto della ladra a quell'esortazione. «Immergiti.» ripete l'altra, decisa.
Elza incrocia le braccia al petto. «Perché dovrei?»
«Perché è
calda.» La SeeD inarca un sopracciglio, preda di uno scrupolo improvviso. «Sai nuotare?»
«Che razza di domanda è? Ovvio che so farlo.» Il broncio della ladra sembra divertire Edith, che resta in attesa. «Va bene! Ma soltanto se entri prima tu.»
Edith non se lo fa ripetere. Si sfila stivali, uniforme e con la sola biancheria si tuffa nella sorgente sotto lo sguardo ancora scettico della ladra, riemergendo poi con un sospiro soddisfatto; si scosta le ciocche fradicie dal viso, fissa Elza piegarsi sulle ginocchia.
«Quanto è profondo?» le chiede, incuriosita. Edith scrolla le spalle, scuote una mano con noncuranza.
«Non così tanto. Basta che non---» In quello stesso istante, viene risucchiata dall'acqua strozzando le parole in bocca a Elza, che si sposta verso il bordo opposto e si tende verso il punto dov'è sprofondata.
«Edith!» la chiama ma risponde solo l'eco. «Edith!» Si volta verso Lenne, che non si è mossa dalla sua posizione e le pare molto tranquilla. «Dobbiamo...»
All'improvviso, un braccio infrange la superficie e le aggancia il fianco per trascinarla giù. Elza impatta contro lo specchio d'acqua, sente le narici riempirsi; poco dopo riemerge, annaspando e con lo sdegno negli occhi - se li strofina per sgomberare la vista e spintona Edith, le artiglia la nuca, prova a spingerla verso il basso per ripagarla con la stessa moneta. Per sua sfortuna, la SeeD è troppo forte. Non cede.
«Ti odio.» ringhia mentre la risata di Edith infrange la quiete densa della radura. «M'è preso un colpo!»
La SeeD ghigna. «Terapia d'urto. Con i tuoi tempi si sarebbe raffreddata l'intera sorgente.» Guarda poi Lenne, che ha smesso di dare loro retta per iniziare a spellare in silenzio uno dei tre conigli frutto delle ultime ore di caccia. Pochi, rapidi gesti e nel giro di qualche minuto sta già arrostendo. «Te la cavi.» le dice, lasciando i vestiti ad asciugare su una vicina roccia e avvolgendosi con una delle coperte prese dal villaggio, prima di accomodarsi davanti al fuoco.
Il suo stomaco e quello di Elza non appena si siede a sua volta tengono a mostrare il proprio rumoroso apprezzamento, quando il profumo della carne sale dal falò - ed entrambe vi si avventano con voracità. Lenne, di contro, si dedica al suo coniglio con quel metodo che mesi in fuga le hanno insegnato: divide le parti nodose dalla polpa e affonda in quest'ultima i denti suggendo il grasso, poi aggredisce i tendini. Non spreca nulla di quel misero pasto, nemmeno le parti che normalmente uno non prenderebbe mai in considerazione, e forse per questo non biasima lo sguardo di Edith quando lo coglie - non lasciandosi toccare in ogni caso dalla sua espressione schifata.
«Quando nutrirsi non è un problema, puoi prenderti il lusso di giocare con il cibo.» si limita a rispondere all'osservazione inespressa. Verbalmente, almeno.
«Ho avuto le mie grane su Panèon, so bene cosa significa.» I suoi occhi si fissano ora nelle fiamme davanti a lei ma se prova nostalgia per la sua casa, non lo dà a vedere. «Solo, mi è venuto da pensare che forse anch'io avrò dato la stessa impressione.»
Lenne rimane in silenzio per un attimo, poi getta le ossa del coniglio nel fuoco. «Probabilmente sì.» Si alza e cerca in una delle bisacce l'erba ghisal che Edith ha avuto l'accortezza di raccogliere durante la caccia, tagliandone alcune con il coltello e dandole ai chocobo vicino a loro. La femmina mangia poco ma lo fa e tanto basta a suggerire che stia meglio, mentre i due piccoli diffidano ancora per accettare i bocconi dalla sua mano; la donna li lascia a terra vicino a loro, offre quanto rimane a Choco Boko e torna al falò. «Dovremo cercarne altra domani per assicurarci di avere le scorte sufficienti al viaggio.»
Elza accenna alla femmina col capo. «Ce la farà?»
«Non ho idea dei tempi di incubazione del virus ma stando a quanto ha mostrato il Macellaio prima del salto, sono innaturalmente brevi. Quando l'abbiamo trovata avrebbe già dovuto essersi trasformata, non credo abbia mai corso pericoli in quel senso. Resta da vedere quanto veloce potrà muoversi ma in ogni caso coprirà più strada di quella che faremmo noi.»
«Stabilito questo,» interviene Edith che nel mentre si è rivestita, «dove siamo dirette? Dov'è Centra?»
«Da tutt'altra parte rispetto a dove siamo ora.» Elza non perde tempo a chiarire la situazione. «Bisogna attraversare il mare e, be', credo che la soluzione più logica a questo punto sia Fishermans Horizon.»
Lenne annuisce. «Esthar sarebbe pericolosa, non abbiamo idea della situazione interna. Il presidente Loire potrebbe non riuscire o non volerci dare alcun supporto, non dopo quanto successo alla stazione spaziale. La diffidenza di Dobe verso i SeeD dubito gli sia passata ma Schwarzlight potrebbe aiutarci.»
La ladra schiocca le dita, illuminandosi. «Dunque è deciso, domani andremo a Fishermans Horizon.»
Lenne sceglie di montare la guardia e non appena le due SeeD si stendono accanto al falò, una lenta quiete scende sulla radura interrotta solamente dal crepitio delle fiamme. Ravviva di quando in quando le braci con la punta della spada, sfrutta un attimo di particolare calma per immergersi nella sorgente e lavare via il sangue, il sudore e la stanchezza, poi torna a fissare il fuoco. Quella situazione le ricorda la Faglia, quando difendere Lilith era l'unica priorità, ma non c'erano pacifici chocobo o il frinire dei grilli a tenerle compagnia, solo un silenzio pesante e un orrore pronto ad assalirti dal primo angolo cieco. È per questo forse che non riesce a prender sonno e la necessità di essere vigile prevale su tutto il resto.
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Si piegano all'urgenza di una sosta solamente dopo tre giorni ininterrotti di viaggio: sporche, esauste e affamate, Elza ed Edith si mantengono in equilibrio a fatica sul dorso di Choco Boko, occhi cerchiati di scuro e labbra screpolate dalla sete. Nell'oscurità di una distesa infinita si staglia il profilo del ponte che collega i due continenti, a dimostrare l'eccezionalità di un destriero come lui - al di là della sua alterigia. Ha guidato la loro traversata senza fermarsi mai e costeggiando i rari centri abitati, forzando la marcia dove lo riteneva utile. In groppa a una femmina che mostra la sua stessa pervicacia, Lenne ha tenuto la situazione sotto controllo razionando al meglio cibo e acqua, privandosene se necessario: i bisogni più comuni sono un ricordo lontano e in quel momento uno dei fattori su cui puntare la loro sopravvivenza. Rallentano l'andatura fino a un trotto leggero ma è chiaro che sono tutti al limite: il collo teso, le narici dilatate e la bava che schiuma copiosa dal becco, i due chocobo arrancano verso le luci che si fanno più vicine. Edith allaccia stretto il braccio alla vita di Elza che, stremata, si è lasciata cadere in avanti, a metà tra svenimento e veglia obbligata. A impedire loro di fermarsi non è soltanto l'evidenza di essere a un passo dalla meta ma un più convincente grido alle loro spalle, al quale ne seguono numerosi altri.
Edith trova forze sufficienti per lasciarsi andare alla più colorita bestemmia che Lenne abbia sentito, poi pianta i talloni nei fianchi di Choco Boko senza che ce ne sia veramente bisogno: l'animale raccoglie le ultime forze per trasformarsi in un lampo. Corrono lungo il ponte e di fronte a loro si staglia sempre più grande qualcosa che, Lenne ne è certa, non c'era mai stata prima: una postazione di guardia, mura e un cancello che impediscono l'ingresso a chiunque non sia desiderato ma di fronte a loro si spalanca quanto basta per farle passare, mentre una voce profonda, abituata al comando, ordina una carica. Lenne fa in tempo a intravedere un uomo alto, due metri circa, i capelli biondi stretti in una coda bassa e una barba incolta a incorniciare un volto che non sembra avere età, prima che la sua cavalcatura si pieghi stremata sulle zampe e si abbandoni su un fianco. Balza giù in tempo per incrociare un paio di occhi verdi più feroci di come li ricordava - o forse non c'era stato modo di vederla in azione
sul serio.
Alex si appoggia all'elsa di Durandal. «Se avessi scommesso su di voi per ogni casino piovuto negli ultimi tempi, a quest'ora mi sarei comprata Esthar.»