[MMORPG e Second Life] - Posizione Contraria
[Scusate per la lunghezza propositata...
]
L'atipica tipologia dei
MMORPG ha conosciuto di recente nuove vette di popolarità, grazie a una divulgazione capillare e a costi di fruizione accessibili a un ampio bacino di utenti.
Tuttavia, se ci si addentra nei canoni più distintivi di questo acerbo genere videoludico, ci si accorgerà di svariate incongruenze che rischiano seriamente di inficiarne la qualità obiettiva. Inoltre, tali aspetti sollevano problemi alquanto allarmanti in merito allo stesso grado di fruizione di tali opere.
Volendo operare una prima riflessione comparativa, vi sono due elementi che segnano una radicale cesura tra questi RPG online e i loro colleghi "locali": l'interazione collettiva e l'aspetto più per così dire"
finalistico". Vediamo come questi punti evidenziano anche due importanti avvisaglie delle carenze intrinseche a tali opere.
1) Chiaramente, il cuore pulsante di questo genere di titoli, che annovera tra le sue folte schiere nomi dall'invalso lustro quali "
World of Warcraft" o lo stesso "
Final Fantasy XI", è la
giocabilità in rete. Un numero spropositato di giocatori, oriundi da ogni versante del globo, prendono parte alle gesta che il gioco intima di eseguire, tutti dediti a traccheggiare con comune fervore lungo le sconfinate lande virtuali predisposte per l'occasione.
Tuttavia, in questa interazione così sconfinata si possono già percepire alcune lacune: in primo luogo, in un ambito che negli intenti vorrebbe valere da corrolario alla dimensione sociale della collaborazione ludica, capita spesso che i legami intessuti si fondino ben poco sulla comunicazione più "ortodossa".
Basta dare una scorsa rapida ai dialoghi che spesso si intavolano nell'ambiente di gioco: è dato ampio spazio a una semiotica distorta, composta da abbreviazioni, sigle indecifrabili,
meme verbali e tendenze linguistiche del tutto inesplicabili per un profano o un neofita alle prime armi.
L'aspetto idilliaco del dialogo e dell'interazione, che dovrebbe peraltro garantire una maggiore immersione nel contesto dell'opera, viene blandito ed esautorato della sua parte più vitale. Così, allorché si prova a comunicare, si è costretti a innescare una tortuosa sequela di "
orz, gratz, pt, questiamo, expiamo", che oltre a costituire uno stupro dell'irrinunciabile "
sospensione di incredulità" sanciscono anche il carattere fortemente elitario dell'esperienza ludica in questione. Qui si scorge il primo, tanto lesivo quanto marcato, paradosso dei MMORPG: la logica
chiusa e settaria di un'impalcatura dalle facciate
apparentemente così aperte e numerose!
Tuttavia, quest'ambiguità accentua la sua portata proprio nello svolgimento dell'azione ludica.
Di fatto, le incombenze del gioco (come missioni a tempo, incursioni presso un certo luogo, competizioni dai requisiti spesso rigidi e inflessibili) non solo alimentano ulteriormente la destinazione per "pochi addetti" di quest'esperienza, ma pian piano assumono le fattezze di veri e propri obblighi a cui soggiacere, "impegni morali" a cui diventa impensabile e disdicevole sottrarsi.
Il giocatore più ferrato finisce per instaurare un vincolo trascinante e inestricabile con l'opera a cui prende parte, trasfigurando il proprio diletto sotto l'egida di un senso di responsabilità opprimente, insalubre e illusorio.
È proprio questo meccanismo, congenito al genere qui trattato, che induce alle aberrazioni paventate da molta della critica odierna: la sana evasione in una cornice fantastica e idilliaca, in cui è possibile lenire gli affanni della concretezza mondana, diventa qui una completa alienazione in un mondo dai contorni tecnici e contenutistici troppo perentori. L'individuo finisce per smarrirsi, quindi, in una informe rifrazione di sé stesso, perdendo i legami con una dimensione ludica autentica che invece sa gratificare il singolo e, soprattutto, non ambisce a rimpiazzarne le ambizioni più mondane.
2) L'altro orizzonte e crinale che separa la tradizione da questo particolare filone è l'aspetto "
finalistico" che accennavo in prima battuta. Negli RPG massivi pare mancare una salda cognizione delle finalità, dei propositi ludici a cui tendere. Se nei giochi "domestici" il rapporto con gli "
scopi del gioco" (ed inevitabilmente con i suoi traguardi culminanti) è decisivo, quest'aspetto si disperde quasi completamente negli RPG massivi, che per propria natura si fondano su un coinvolgimento che non conosce particolari argini tematici, narrativi o temporali.
A mio avviso, questa mancanza porta a una giocabilità troppo raminga, in cui spesso e volentieri l'utente arranca
senza mete precise, ossia su un percorso dai limiti pressoché assenti. Accade, infatti, che la fruizione di questi giochi si limiti a una corsa sfrenata e morbosa verso alcuni obiettivi feticistici, come ad esempio l'ossessione sterile verso la raccolta dei punti esperienza.
Il risultato è una
auto-referenzialità di proporzioni davvero titaniche, un senso di circolarità e un'assenza di autentico e proficuo finalismo nella dimensione di gioco.
Credo sia uno dei casi più evidenti in cui l'eccesso di libertà gestionale conduca a una ritorsione e a un'implosione dell'interazione stessa, piuttosto che a una ricchezza effettiva.
Il problema centrale di queste opere (e ciò che porta al senso conseguente di alienazione) è, quindi, questo versante antitetico e paradossale: l'inerzia, la chiusura e la staticità fine a sé stessa all'interno di uno scenario che si fregia apparentemente di un'apertura tematica e ludica completa.
Tuttavia, il vero pinnacolo di questo alienante ossimoro è ben incarnato nel famoso "Second Life", esperienza a metà strada tra la passività di una simulazione e la reciproca osmosi che dovrebbe sottendere a un gioco convenzionale.
Second Life consente di vestire i panni di un proprio alter-ego speculare e di esperire una vera e propria seconda esistenza nella più rarefatta virtualità di un mondo poligonale. Si noti che qui manca completamente il versante idilliaco dell'ambientazione fantastica, che poteva semmai rappresentare un ultimo lascito della "
salubre evasione" che da sempre caratterizza tutte le forme d'arte più oniriche. L'opera si prefigge l'intento di trasfigurare la mondanità in una parvenza di amplissimo raggio, che coinvolge sia giocatore che contesto. Ogni elemento del mondo contingente viene infatti ricalcato sulla patina diafana di una molteplice illusione: relazioni sociali, elementi economici, obblighi e piaceri...
Second Life costituisce a buon diritto l'esasperazione apicale dei parossismi del MMORPG, riuscendo a portare al massimo grado quel permeante
senso di perdita di sé, di cui si può avvertire già pieno sentore nei giochi più canonici. Esso finisce addirittura per esulare dalla sfera ludica più autentica, ponendosi non più come mediazione tra utente e gioco o tra utente e utente, ma addirittura quasi come specchio narcisistico tra utente e sé stesso.
L'interazione proposta da SL diventa un'attività masturbatoria della massa, un onanismo collettivo, che tra l'altro si rispecchia assai curiosamente nel ricettacolo di attività lascive che vi si possono rintracciare... In questo caso, la presenza del sesso in una virtualità che è duplice e doppiamente malsana (la ricerca di un piacere già effimero, masturbatorio e fatuo nella parvenza virtuale!) non è che la punta di un iceberg già sconfinato.
In calce, si può concludere che questa schiera di titoli (ma in particolare le sperimentazioni di SL) si discostano nettamente dalla
evasione classica, che costituiva un requisito naturale di "
partecipazione empatica" già dai primissimi cabinati ludici.
Con gli RPG massivi si sfocia piuttosto in un senso di
impotente e graduale alienazione, in un amaro e inevitabile smarrimento che finisce per far dimenticare, su fin troppi fronti, ciò da cui in prima istanza probabilmente si cercava di fuggire: sé stessi.