Garden 3

Un Gioco di Ruolo Narrativo a più mani, tra SeeD e Cadetti, Garden ed Accademia, Tornei, Missioni, Sagre, e molto altro: questo è il Garden Club! Leggi i topic "Bacheca" e "Spiegazione Topic" prima di postare

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grevier
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Re: Garden

Messaggio da grevier »

«I cristalli.» mormora attonito. «Hanno superato la temperatura massima, né accennano a rallentare.»
I quattro si precipitarono verso la sala dei cristalli trovando al di fuori di essa due Cadetti a terra
- Fate attenzione, non sappiamo quanti siano - mormorò il Mago prima di fare cenno di entrare.
Un forte calore li investì al loro ingresso, i cristalli di solito di un azzurro intenso ora sprigionavano un fortissimo bagliore celeste tanto da doversi parare da esso, davanti a loro un uomo con un'uniforme da SeeD era intento a digitare nei computer di controllo, Moceton non perse tempo e scattò verso l'impostore il quale accorgendosi di loro estrasse al volo una pistola ma non riuscì nel suo intento, infatti il suo corpo si immobilizzò all'istante dopo che la Strega castò uno Stop su di lui rendendolo anche bersaglio della placcata del Monaco ritrovandosi bloccato a terra e disarmato
- Cosa diavolo hai fatto? - Imprecò Egil fiondandosi verso la console di comando
- Quello che andava fatto, voi sporchi SeeD non avete speranze contro di lui, dovete solo sparire dalla faccia della Terra! Ode a te o Maestro, nella Luna di Sangue noi rinasceremo! - Urlò l'uomo prima di rompere qualcosa nella sua bocca per poi morire tra le convulsioni, Moceton confermò la cosa con un cenno della testa
- Figlio di -censura-! già esistevate allora! - Tuonò Winifred lanciandosi sul corpo cercando tra le sue vesti mentre Cain e Moceton stavano per ribattere squillò il Codec di Egil
Codec:
Egil dimmi che state risolvendo e che ne stai approfittando per una sauna gratuita

Gracchiò Leon dall'apparecchio
- I blocchi contenitivi sono andati per il troppo calore o usiamo il loro potere o lo faranno da per loro
- Il motore dimensionale è compromesso per cui un salto è fuori questione quindi se avete suggerimenti è il momento giusto
- Deviate l'energia dei cristalli allo scudo deflettore - intervenne Cain afferrando il Codec del SeeD
- Anche se il motore dimensionale è andato, quelli vettoriali dovrebbero ancora andare quindi punta questo bestione verso la terra cosi che l'impatto con l'atmosfera faccia consumare quanta più energia possibile a questi cosi.
Codec:
Allora non dici solo stronzate, Egil pensi possa funzionare?

- Se usassimo solo la loro energia per gli scudi e per la spinta anche se è un azzardo potrebbe contenere il più possibile il rilascio spontaneo
Codec:
Bene preparate tutto e attenti ad altri possibili intrusi

Egil e Cain si misero subito all'opera mentre Winifred e Moceton controllavano l'ingresso
- Cosa intendevi con esistono già? - Chiese il Bangaa
- Un incubo dal mio passato…- Rispose la Strega stringendo un pezzo di stoffa tra le mani
- Qui tutto pronto vai quando vuoi - comunicò Egil per Codec
- Non credo che ci converrà essere qui quando partirà - Concluse Winifred preparando il D Jump che creò un portale davanti a loro - Forza tutti dentro!
Codec:
«Stiamo per effettuare una manovra d'emergenza. Rimarremo entro i confini del pianeta ma con molta probabilità verremo divisi. Qualsiasi cosa succeda, ovunque ci troveremo, raduniamoci tutti alle Rovine di Centra a una settimana da adesso. Ricordatevi, non fidatevi di nessuno. Solo dei vostri compagni.»

Un impulso li anticipò scaraventandoli dentro il portale.

L'atterraggio non fu dei più comodi, anche se a lamentarsi veramente fu la proprietaria di una bancarella dove i quattro si erano appena schiantati
- Come cxxxo ti è venuto in mente di farci atterrare in un mercato? - imprecò Cain tirandosi su
- Le coordinate sono giuste ma non ci dovrebbe ess…- Winifred si interruppe in seguito ad una sensazione che trovò conferma nell'espressione di Moceton
- cxxxo l'impulso ei cristalli deve aver interferito con il portale - Concluse la Strega
- Cosa intendi dire? - Replicò Egil
Moceton si alzò in piedi e anticipò la ragazza
- Non ci sono dubbi, questa non è la Terra, questa è Ivalice.
xthegame89x
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Re: Garden

Messaggio da xthegame89x »

Aprì gli occhi. Prima che la vista si abituasse alla luce accecante del sole, mentre iniziava il suo percorso in un'alba bellissima tra le due pareti rocciose dove sorgeva la città di Dollet, la testa cominciò a fargli male. Mentre si rimetteva in piedi, cercò con la mente di fare ordine negli ultime ore della sua vita: la voce di Pip ai megafoni del Garden, lo squarcio ed infine oscurità. Non riusciva a ricordare nient'altro. La ragazza vicina a lui era ancora priva di sensi per via della caduta: ricordò che aveva provato a evocare i poteri del re dei draghi, ma per un motivo a lui ignoto non aveva funzionato. L'aria attorno a lui era fresca e carica di energia, cosa che però non riusciva ad essere trasmessa nel ragazzo. Cercò di svegliare Abi dandole un colpetto alla spalla. La ragazza aprì gli occhi e cacciò un urlo.

- Ma che diavolo ti prende?? - disse Matt spaventato
- Dove siamo??

Si guardò attorno, balzando in piedi all'istante.

- Siamo caduti giù e tu non hai nemmeno pensato fosse una buona idea spalancare le alucce e tipo fare da... motore ausiliario? - disse lei puntando un dito minaccioso contro Matt

Si limitò a non rispondere. L'affermazione di Abi era più che pertinente ma non aveva abbastanza informazioni per poterle rispondere. Si guardò attorno, ricordando le ultime parole sentite da Pip. "Non fidatevi di nessuno. Fidatevi solo dei vostri compagni." Aveva poche persone di cui si fidava ciecamente, ma avrebbe dato la vita anche per chi aveva combattuto al suo fianco in quel periodo buio, alimentato dalle minacce velate e non del Macellaio. La faccia di Konzen era ancora nei suoi pensieri, mentre ricordò ciò che stava provando nel vederlo in quegli schermi. Rabbia. Ira. Furia. Difficilmente sarebbe riuscito a impedire alla sua parte oscura di prendere il sopravvento se fosse stato dinnanzi a lui.

- Dobbiamo cercare di stare nell'ombra. Per il momento dobbiamo evitare di farci notare e, col farci notare, intendo usare anche eventuali motori ausiliari. - disse Matt evocando Dragon Soul e notando con piacere che almeno lei non lo aveva abbandonato
- WOW. Potresti creare una spada anche a me e metterci degli aghi di Kiactus? - disse Abi guardando come Dragon Soul veniva evocata
- Spiacente! - rispose con un sorriso Matt

Improvvisamente ci fu un'esplodere di voci da Dollet. Urla e colpi d'arma da fuoco. Dovevano togliersi da li e dovevano farlo in fretta. La loro destinazione era molto lontana e l'unica possibilità era quella di raggiungere la lunga ferrovia che univa il continente dove si trovavano a quello di Esthar, anche se era più conveniente fermarsi a F.H. e da lì impossessarsi di un mezzo per poter attraversare le acque. Espose il suo piano ad Abi e lei in tutta risposta sgranò gli occhi.

- Cosaaa? Fino a la??? Sei sicuro di non poter mettere un po' di NOS nel....
- Ehm no. Per il momento il drago non ne vuole sapere... La ferrovia non è lontana e con un po' di fortuna magari potremo trovare un'auto abbandonata...

E mentre il sole cominciava a fare il suo consueto giro, i due si incamminarono cercando di rimanere nell'ombra ristoratrice delle foreste.

Sono tornato ragazzi, con un nuovo canale e con nuove serie. Restate tunizzati per scoprirne di belle! Buona visione! :P
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PROGRAMMAZIONE
LUNEDI
- Fantasy World, Final Fantasy IX -
MARTEDI
- Let's Technic, Minecraft Monster Pack 1.6.4 -
MERCOLEDI
- Fantasy World, Final Fantasy IX -
GIOVEDI
- Desertcraft, Minecraft Regrowth Pack 1.7.10 -
VENERDI
- Il ruggito del T-Rex, Dino Crisis -
SABATO
- Video Random -
Se dovete utilizzare il mio pg nel Garden, controllatevi la scheda prima, barboni! xD
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LE PERLE DI SAGGEZZA DEL GRUPPO DEL GC SU FB
Egil ha scritto: Non possiamo fare un referendum per dichiarare Matt Winchester illegale e immorale?

Leon ha scritto: Matt Winchester ogni volta che fai un commento inutile, un gattino nel mondo muore
Paine ha scritto: o.ò sisi confermo la mia teoria... Matt è posseduto dal demonio.
Leon ha scritto: E' più probabile che sia il demonio a essere posseduto da Matt Winchester.

Leon ha scritto: Non è la situazione ad essere disperata, è Matt che si è messo in testa di far crashare i server di Facebook.

Leon ha scritto: Matt Winchester la tua firma occupa una schermata intera e ho un fo***to monitor 1920*1080.
Matt Winchester ha scritto: Quindi anche Ruben è a Reloras??? Posso usare il suo pg????
Vero posso posso posso???
Daiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii!
Drittz Do Urden ha scritto: No.
Matt Winchester ha scritto: Sob sigh... (A Drizzt Do Urden piace quest'elemento)
Paine ha scritto: Penso che comunque debba smettere di mortificare il povero matt.... è un cazzone, lo sappiamo tutti e mo lo sai anche tu, non ci fosse lui qua staremmo tutti a grattarci le palle, quindi passa un commento anche fosse acido. Paine docet
Leon ha scritto: Matt Winchester minaccia pure i cani randagi che incrocia per strada ormai (ovviamente trasformandosi in bahamut)
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Aenima
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Divided we fall

Messaggio da Aenima »

Un colpo, poi il buio.
La testa gli pulsava con violenza e gli acufeni imperversavano nelle sue orecchie come il raschiare di migliaia di unghie su di un'immensa lavagna. Al dolore andò poi ad aggiungersi un'altra sensazione, uno strano calore che dalla fronte prese ad irradiarsi lungo tutto il suo viso. Raiden impiegò qualche minuto per riprendere coscienza di sé e rendersi conto che quell'insolito tepore derivasse in realtà da un rivolo di sangue scarlatto che sgorgava da una lacerazione all'arcata sopraccigliare destra. Lo spadaccino si asciugò il sangue con la manica sinistra e prese a tamponare con forza la ferita: il bruciore che ne derivò mise per un attimo a tacere l'emicrania che lo tormentava e lo aiutò a ridestarsi.
" Niente stimola la produzione di adrenalina come il dolore ... " pensò lo spadaccino, rimettendosi in piedi.
Pian piano, l'amnesia retrograda provocata dal trauma cranico andò dissolvendosi ed i ricordi iniziavano a riafforare nella mente di Raiden come se lo spadaccino stesse gradualmente riemergendo da un banco di nebbia: una manovra di emergenza, il salto dimensionale che li avrebbe separati e l'ordine di ritrovarsi tutti alle Rovine di Centra entro una settimana.
" Facile a dirsi ... " disse tra sé Raiden, strabuzzando gli occhi e guardandosi intorno " ... se soltanto sapessi dove mi trovo ... "
Verde. Alberi. Rami. Una foresta, ecco dove era finito. Difficile dire, però, in quale delle tante foreste del pianeta fosse stato scaraventato dopo la manovra d'emergenza del Garden. Inoltre, man mano che si guardava intorno, l'ambiente circostante assumeva caratteri sempre più insoliti.
La foresta era abbandonata a sé stessa, in piena decadenza. Gli alberi, rinsecchiti e poveri di foglie, svettavano verso il cielo come tante stalagmiti in una gelida grotta e i loro rami perdevano progressivamente fogliame, abbandonandosi pian piano alla morte. Non si udivano rumori, non il verso di un animale, se non il suono prodotto dal vento che, crudele, seguitava a scuotere i rami secchi per spogliarli di ogni singola foglia.
E tutt'intorno aleggiava un putrido odore di morte.
" Questo posto ... sta morendo... "
Doveva darsi una mossa, non gli andava di trascorrere un minuto di più in quel posto, per cui prese a spostarsi. A giudicare dall'altezza del Sole, dovevano essere pressappoco le dodici, per cui la sua ombra risultava proiettata verso Nord. Trattavasi di un modo piuttosto rudimentale per orientarsi ma, in quelle circostanze, bisognava fare di necessità virtù per cui, ricostruiti i punti cardinali, Raiden prese a spostarsi verso Est nella speranza di raggiungere il mare, assumendo come valida l'ipotesi di trovarsi ancora nei pressi di Deling City.
Raiden proseguì la sua avanzata nella foresta per alcuni minuti - che allo spadaccino parvero anni - quando fu fermato da un rumore sordo come da colpi d'arma da fuoco e da urla in lontananza, seguite dal boato di un'esplosione e poi da un assordante silenzio. Più nulla.
" La buona notizia è che forse sto avvicinandomi ad un centro abitato ... " rimuginò tra sé lo spadaccino " ... la cattiva, però, è che a quanto pare non se la stiano passando granché bene lì ...".
Avanzò nell'arido sottobosco per circa un chilometro quando stavolta a fermarlo furono dei passi. Passi in avvicinamento. Con uno scatto della mano destra, Raiden estrasse Glamdring e prese a scrutare il circondario, gli occhi che guizzavano da una parte all'altra delle sue orbite come piccole schegge blu impazzite. I passi continuavano ad avvicinarsi e, a giudicare dal doppio ritmo cadenzato, si trattava di due persone.
Lo spadaccino era già pronto a colpire di sorpresa quando udì una voce familiare.
Ehm no. Per il momento il drago non ne vuole sapere... La ferrovia non è lontana e con un po' di fortuna magari potremo trovare un'auto abbandonata...
Voce inequivocabilmente riconducibile alla persona di Matt Winchester, che procedeva accompagnata dalla giovane becchina, Abi De Vultures.
" Incredibile come tu sappia saltare fuori nelle circostanze più impensate... eh, Matt? " lo apostrofò Raiden, salutandolo con un'amichevole quanto vigorosa stretta di mano " E vedo che sei ben accompagnato, per fortuna! " aggiunse rivolgendo un cenno alla compagna dai capelli fumosi.
" Sofferto di mal d'aereo? " lo rincalzò ironicamente Matt, indicando con un cenno del capo la ferita sulla fronte dell'amico, che si limitò ad abbozzare un maldestro sorriso in risposta, senza proferir parola. La testa gli duoleva ancora e non gli andava di fare ulteriore ironia.
" Non siamo i soli a Dollet, a quanto pare! " disse Abi con una smorfia compiaciuta, introducendosi nello scambio di battute tra i due. " Da qui sarà lunga raggiungere Centra ma ... più si è, meglio è, anche se non possiamo contare sul nostro draghetto! " aggiunse, concludendo la frase con una pacca sul braccio di Matt, che rimase in silenzio.
" Diamoci una mossa. " chiosò Matt con espressione mista a preoccupazione e nausea per tanfo putrido della foresta che li circondava " Questo posto non mi piace per niente. "
I tre presero quindi ad incamminarsi insieme quando, ancora una volta, dal sottobosco, si udì rumore di passi in avvicinamento. Trattavasi di un suono diverso da quello che aveva preannunciato l'entrata in scena di Matt e Abi, erano dei passi lenti, strascicati, che incedevano, lentamente ma inesorabilmente, sul selciato ricoperto da fogliame secco per poi arrestarsi e riprendere.
" Occhi aperti. " disse Raiden, guardingo " Temo che non siamo soli. E dubito che si tratti di nostri compagni dispersi. "
« The world needs bad men. We keep the other bad men from the door. »

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Pip :>
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Re: Garden

Messaggio da Pip :> »

Maledetto, maledetto..
L'acqua gelida gettata sul viso non ebbe l'effetto desiderato di interrompere il filo di pensieri che, da quando si era risvegliato dopo il salto dimensionale, lo stava attanagliando. Pip si massaggiò gli occhi, gonfi e doloranti dalla mancanza di riposo e dalla tensione provocata dagli ultimi avvenimenti, poi li riaprì, osservando lo specchio che, impietoso, gli restituiva l'immagine di un uomo dalle occhiaie profonde e dalle palpebre semichiuse, che non lasciavano spazio ad alcun dubbio sul fatto che no, non era proprio in forma.
Qualcuno bussò alla porta del bagno. Era la signora Molho, che voleva accertarsi che il suo ospite stesse bene.
Nelle ultime ore, dopo che Pip era apparso dal nulla, franando privo di sensi sul pagliericcio della sua piccola fattoria, non lo aveva mai abbandonato.
Quando si era risvegliato, sul divano della sua rustica abitazione, trasportato a peso morto dal ragazzo che si era presentato come suo figlio, la signora Molho aveva dovuto calmare il Preside, che per un paio di volte, senza forze, aveva provato ad alzarsi e a camminare, in preda ad un evidente stato di agitazione, dovuto a pensieri insopportabili da affrontare senza lo sfogo di un movimento.
"Prima mangi, poi affronti tutto il resto. Devi rimetterti in forze."
A poco a poco, aiutati dalla calda zuppa della signora Molho, i pensieri, da continuo pungolo nella sua mente, si erano acquietati, consentendo a Pip di ripercorrere gli ultimi avvenimenti. Dopo essersi accertato se qualcuno dei suoi compagni fosse atterrato nei dintorni, ed appurato che si trovava, da solo, nei pressi di Winhill, Pip si era chiuso in un silenzio tombale e in profonda riflessione.
La situazione non era delle peggiori che il Garden, in tanti anni, avesse affrontato, ma la minaccia era grave.
Dopo l'annientamento dell'Ordine dei Garden e la caduta del Garden Supremo, tutti i SeeD, per avere salva la vita, avevano dovuto rinunciare al loro titolo, e i Garden erano stati dichiarati illegali e chiusi.
Il Garden di Rinoa era fuggito su Pulse, attendendo che le acque si calmassero; come spesso in passato era accaduto, i SeeD del Rinoa's Garden non avevano avuto intenzione di piegarsi, preferendo ritirarsi e, nell'ombra, organizzare l'offensiva.
Il mondo, nel frattempo, era però cambiato.
I Governi dei Mondi non avevano cessato di cooperare, ma senza l'Ordine dei Garden, gli interessi, da una prospettiva universale, erano progressivamente divenuti di chiusura e diffidenza. Apparentemente, sembrava regnasse ancora la pace, ma il Macellaio, con la sua organizzazione, si era insinuato nelle pieghe più nascoste del tessuto sociale, quelle che, una volta preso il controllo, permettevano di influenzare le decisioni di cittadini, commercianti, politici, senza che questi se ne rendessero conto. Quelli che, invece, avevano fiutato il nuovo corso, si erano prodigati per farne parte, accettando il dominio silente del Macellaio.
Poi il Garden di Rinoa, l'ultimo dei Garden, era ritornato nei mondi conosciuti. Nascosto, in incognito, aveva ripreso a fare l'unica cosa che sapeva fare: cercare di aiutare, dove era richiesto aiuto, ed essere il proprio meglio, quanto intorno tutto crollava.
Alla fine però ci hai trovati.
Quella col Macellaio, per Pip, stava diventando una battaglia che andava assumendo un significato ulteriore, più profondo rispetto alla mera lotta ad un nemico. Konzen era colui che, più di ogni altro, interpretava la sua nemesi, un uomo che negava totalmente ciò che Pip era, o pensava di essere. L'ordine contro il caos, l'eroe contro il mostro, la vita contro la morte. Il bene contro il male? Forse Pip, anche se ne era sempre stato convinto, non era il bene, ma di certo il Macellaio era l'espressione del male, un male penetrante, che calmo si diffondeva nella società e negli animi, come il peggiore dei cancri. E più si diffondeva, più sarebbe stato difficile estirparlo, vincerlo.
Tornare al passato.
Forse impossibile, forse ingiusto.
L'Ordine dei Garden era finito e, forse, il suo momento doveva arrivare, per mano di un essere spregevole. Di un boia, e non i boia buoni non esistono.
***
Di nuovo, la signora Molho bussò alla porta.
- Sto bene, esco tra un minuto.
- La cena è pronta, Lavitz.
Non aveva rivelato il suo nome, sia per non mettere in pericolo sé stesso, essendo il Preside del Garden di Rinoa uno dei principali nemici pubblici, sia per non mettere in pericolo la signora Molho, che lo stava accudendo con dedizione. Quando gli aveva chiesto il suo nome, aveva utilizzato quello di una persona cara: Lavitz Delacroix, il SeeD Commander che, anni prima, l'aveva salvato, sacrificando la sua vita. I nomi sono importanti e, spesso, hanno una forza propria.
Di nuovo, l'acqua gelida scorrette sul suo viso stanco, e le dita stropicciarono gli occhi, massaggiando il gonfiore delle occhiaie. Pip riaprì gli occhi e si guardò fisso. Il fuoco che aveva dentro non si era ancora spento.
in un modo o nell'altro, ce l'avrebbero fatta. Il Macellaio sarebbe stato sconfitto.
***
- Ancora non mi spiego come tu possa essere apparso nel nulla. Davvero, non riesco a spiegarmelo.
- Sono tempi strani.. - Pip masticava voracemente, rinvigorito dal lauto pasto offertogli. - Un momento sei vestito e armato di tutto punto a Dollet, l'altro atterri chissà come su un pagliericcio a centinaia di km di distanza.
- Sarà, sarà..
Da quando erano tornati nei mondi sconosciuti, i SeeD avevano deciso di non utilizzare le divise per non correre inutili rischi. Pip indossava comodi e resistenti stivali e un abbigliamento tecnico scuro, con un giubbotto di pelle. Abbigliamenti civili, ma, all'occasione, adatti per la battaglia.
- Sai, credo di aver già visto la tua arma. Era su una rivista, diceva che spesso venivano utilizzate dai SeeD.. Gunblade, mi pare si chiamino.
A Pip si fermò il boccone in gola per un attimo, che venne ricacciato giù a forza.
- Beh, insomma.. non solo da loro, sono armi molto comuni..
- Senti, Lavitz, a me non interessa. Quando vedo qualcuno in difficoltà lo aiuto, indipendentemente da chi sia - La signora Molho aveva riposto le posate, guardandolo teneramente, ma dritto in faccia. - Se tu eri un SeeD, però, tanto meglio. In passato mi hanno salvato la vita. Non me lo devi dire, volevo solo lo sapessi.
Finirono la cena in silenzio.
***
Era una bella serata e Pip, dopo cena, decise di fare due passi per il villaggio di Winhill. Varie volte, durante i viaggi col Garden, aveva avuto l'occasione di andarci, e sempre il piccolo paese gli aveva donato una sensazione di serenità.
Quella sera, la luna piena brillava nel cielo e la gente, come solito fare nelle campagne, era andata a dormire poco dopo aver consumato la cena.
Qualcosa catturò lo sguardo di Pip.
Un'ombra, fra le ombre, si era mossa. Anni di battaglie e le sue abilità sciamaniche gli consentirono di capire immediatamente che qualcosa non andava. Il Gunblade era rimasto a casa della signora Molho.
Successe tutto in un attimo.
Dal vicolo buio, non illuminato dalla luce lunare, uscì un uomo scomposto con la bava alla bocca, che aggredì Pip. Si muoveva ferocemente, senza un senso logico. Pip si allontanò con una capriola, ma l'uomo gli fu subito addosso, con la bocca spalancata in un ghigno ignobile. Non cercava di colpirlo, cercava di prenderlo a morsi, gli si avventava contro con rabbia. Pip riusciva ad evitare le cariche, poi, al primo momento giusto, scansò di lato e gli diede un montante dritto sotto al mento, che lo mise immediatamente KO.
Ansimando, si procurò una corda dal giardino di un'abitazione lì a fianco e legò quell'essere, che più uomo non era.
Lo nascose nel fienile della signora Molho, premurandosi di avvisarla non appena possibile.
Doveva cercare di capire che cos'era successo a quell'uomo.
***
- Ma stai zitto, bimbetto.
- Non sono un bimbetto e lo sai, perché devi per forza fare il presuntuoso e trattarmi così?
- Guarda, te l'avevo detto che eravamo capitati in questa zona. Quella là è Winhill.
- Avevi anche detto che la strada era giusta un paio di strade sbagliate fa, però.
- Shhh, dettagli.
Leon e Brian sbuffarono entrambi, stanchi dalla lunga camminata, speranzosi di trovare nel piccolo villaggio un ristoro adeguato e senza accorgersi che, accerchiando il paesino, altri uomini ammalati si stavano avvicinando nella notte.
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Leon Feather
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Re: Garden

Messaggio da Leon Feather »

Elza è rimasta sola. Se ne rende conto solo una volta che l'adrenalina inizia a scemare, quando finalmente riesce a interrompere la sua fuga, poiché il silenzio - salvo per l'ululare del vento - la avverte che non c'è più nessuno ad inseguirla. Cerca di ricordare cosa è successo, quando di preciso ha perso di vista Lenne ed Edith. Ricorda Lenne che si avventa su un uomo per difenderla, Edith cerca di tenerne due lontani con la spada sguainata. Qualcosa la afferra alla caviglia, sente la carne strapparsi, caccia un urlo, spara. Iniziano a correre, ha la vista offuscata per la fatica della corsa e il dolore, l'adrenalina in circolo nel suo corpo è l'unica cosa che la fa andare avanti. Poi più nulla.
La neve continua a cadere, ammantando ogni cosa attorno a lei di bianco. La tempesta va aumentando di intensità, scartando l'idea di mettersi a cercare le compagne là fuori. Si trascina fino ad un tronco caduto lì vicino, si siede per riprendere fiato. Ne approfitta per controllare la ferita subita. Alza lentamente il lembo di pantalone fatto a brandelli e scopre la caviglia: le unghie di quella... belva - perché umano non poteva più considerarsi - sono affondate nella carne, lasciando quattro tagli netti che arrivano fino al polpaccio, sanguinanti.
- Merda...
Si domanda se si trasformerà anche lei in un qualche specie di mostro, come è successo a quelle persone che le hanno aggredite.
- Edith, tu e i tuoi maledetti film...
Vorrebbe tanto essere a Costa del Sol, seduta sul bagnasciuga a sorseggiare un mojito, le onde a rinfrescarle i piedi. Invece si trova in mezzo a una tempesta, il culo ghiacciato sul tronco di un albero appiccicoso.
Sospira. Si strappa via un pezzo di manica. Stringe i denti e lo preme con forza sulla ferita, la pulisce come meglio può aiutandosi con della neve e la avvolge con della garza che recupera dalla borsa legata alla cintura. Per il momento può bastare, anche perché deve trovare un posto al riparo dalla tempesta. Si alza e si incammina verso la chiesa che si intravede più avanti.
In mezzo alla tempesta è difficile percepire quali sono le reali distanze tra le cose, ma non impiega molto a raggiungere la meta. L'edificio è completamente sigillato, ma a differenza delle abitazioni lì intorno, che cadono a pezzi, ha l'aria di essere un riparo decisamente più sicuro. Non vede dunque altra alternativa se non trovare un modo per intrufolarsi lì dentro, e il freddo che le gela fino le ossa le ricorda che deve anche darsi una mossa.
Le viene in mente la cattedrale del borgo teatrale di Lindblum, e il passaggio sotterraneo che attraverso le fogne della città la collegava ad una botola in un vicolo dietro la stazione dell'airship. Le era capitato spesso di usarlo lei stessa come piano di fuga.
- È un azzardo, ma...
Dopo qualche minuto speso a sondare il terreno l'occhio le cade su una lastra di pietra dall'aria sospetta. Muovendola, scopre una scaletta che porta verso il basso. Bingo.
La ladra si cala giù, premunendosi di lasciare la lastra di pietra leggermente fuori posto, così che nel caso Edith e Lenne vengano a cercarla da quelle parti notino il passaggio più facilmente.
Il passaggio è stretto, umido e freddo e soprattutto buio, per fortuna è anche corto perché trova una scaletta che porta in superficie dopo poche decine di metri. Questa volta, la botola sopra la sua testa è di legno, la solleva senza troppe difficoltà e si ritrova sotto quello che ha l'aria di essere un altare coperto da uno sfarzoso drappo di seta. Un nascondiglio perfetto per un passaggio segreto, deve ammettere.

Una veloce perlustrazione le conferma la risposta che si aspettava di avere: nella chiesa, come nel resto del villaggio, non c'è anima viva. Qualcosa ha fatto abbandonare quel posto ai suoi abitanti ben prima degli ultimi sviluppi per mano del Macellaio. Per sua fortuna la chiesa, a differenza degli altri edifici del villaggio è ancora perfettamente integra: il grosso portone in legno massiccio è completamente sigillato e le spesse mura di pietra impossibili da penetrare, le finestre troppo in alto da essere raggiunte e troppo resistenti anche per la furia del vento.
Sapendo di essere finalmente al sicuro, si distese su una delle panche di legno. L'aria all'interno della chiesa è fredda e stantia, e ha solo una coperta e del cibo in scatola trovati nel magazzino per scaldarsi, ma è un gran passo avanti rispetto alla foresta, in mezzo alla neve, o in qualche catapecchia col vento che passa tra le fessure. La stanchezza prende il sopravvento e si addormenta.

Qualcosa la smuove. Apre gli occhi di scatto, ancora mezza addormentata, l'istinto risponde a quella che considera una minaccia al suo posto: la mano viaggia rapida sulla pistola legata alla cintura.
- Hey, vacci piano. Sono Edith, non spararmi. Ci tengo al mio bel visino.
Elza mette finalmente a fuoco il viso che la guarda di fronte a sè e riconosce la sua amica. Ha un'aria preoccupata. Abbassa il braccio, stanca.
- Sei tu. C'è anche Lenne?
- Sta perlustrando l'edificio.
- Quello l'ho già fatto - borbotta la ladra. - Come siete entrate?
- Duh... la botola.
- E dovevi per forza svegliarmi?
- In effetti no.
Elza schiocca la lingua. Osserva lo sguardo divertito di Edith, scocciata, poi si lancia su di lei stringendola in un abbraccio.
- Temevo foste crepate lì fuori.
- Piano - si lamenta, anche se contenta dell'abbraccio. - Stiamo bene - la consola carezzandole la testa. - Tu, invece, scotti - le fa notare tastandole la fronte. - E sei ferita.
- È solo la stanchezza. E poi anche tu - rovista nella borsa di pelle attaccata alla cintura e ne tira fuori due scatolette di cibo. - sei ferita. A proposito, avete fame?

La pausa merenda è una buona occasione per raccontarsi quello che è successo dopo che sono state divise. In più, Lenne ne approfitta per medicare alla bell'e meglio, con quello che hanno a disposizione tra effetti personali e roba rimasta nel magazzino della chiesa, le ferite delle due compagne.
- È buono.
- Non è vero e lo sai.
- Dico davvero.
- Smettila di mentire a te stessa.
- Almeno riempie. Cosa pretendi, i panini della mensa?
- No, ma almeno non roba scaduta da anni. Dio, spero solo non mi venga qualcosa...
Lenne le osserva battibeccare. Ha ripulito la scatoletta - poteva sembrare assurdo, anche lei soffriva la fame - e nonostante la tranquillità che si era creata in quel piccolo angolo di mondo, i pensieri sono fissi sull'incubo che si cela lì fuori.
- Silveross - Edith osservava il suo sguardo preoccupato da un po'. - Cosa pensi che abbia scatenato il Macellaio?
- Non lo so - risponde serafica Lenne. - Qualcosa di orribile.
- Qualcosa di assurdo - fa eco Elza, intenta a raschiare il fondo della sua scatoletta. - Sembra di essere in un maledetto film sugli zombie, senza il divertimento dello scommettere su chi muore per primo.
- Certo ci dev'essere un modo per portare le cose alla normalità.
- Le cose non erano normali neanche prima - fa notare la ladra schioccando la lingua.
- Risolviamo un problema alla volta, va bene? - ribatte Edith.
- Per ora preoccupiamoci di arrivare tutte intere alle rovine di Centra - conclude Lenne prima che si mettano a bisticciare anche su questo. - Riunirci agli altri deve essere la nostra priorità.
- Abbiamo almeno un'idea di dove ci troviamo adesso? - domanda Edith.
- Trabia, decisamente a nord - risponde Elza. - Prima che la batteria del codec morisse sono riuscita a vedere il segnale del gps.
- Quindi... ? Perdonami, ma sto ancora memorizzando le mappe delle decine di universi che visitiamo.
- Quindi c'è da camminare parecchio - sbuffa la ladra. - Ma sono sicura che troveremo almeno un mezzo qua intorno. Ci sono alcuni villaggi nelle vicinanze, dobbiamo solo stare attente a non farci aggredire di nuovo.
Lenne è nuovamente immersa nei suoi pensieri.
- Hai in mente qualcosa, Silveross? - la riprende la Lance.
- Mi chiedevo soltanto perché questo posto è abbandonato, a differenza dell'altro villaggio in cui siamo arrivate dopo il salto.
- Credo di avere finalmente un'idea del perché - risponde Elza. - Ricordo di aver letto un rapporto in un vecchio archivio dell'ordine, una volta. Riguardo un incidente nelle montagne a ovest del Garden di Trabia, quasi vent'anni fa, in un centro di ricerca presieduto dal governo di Esthar. Furono evacuati parecchi villaggi nelle vicinanze, in un raggio molto ampio. Alcuni vennero ripopolati negli anni a venire, in altri, per qualche ragione, gli abitanti non tornarono più. Il centro di ricerca venne dismesso.
Il viso di Edith si illumina, ma Elza spegne subito le sue speranze.
- Lo so cosa state pensando adesso, ma dubito troveremmo qualcosa di utile là dentro, dal momento che avranno portato via tutto quando è stato dismesso. Oltre al fatto che è da qualche parte in mezzo a delle dannate montagne.
- No, hai ragione - ribatte Lenne. - È una speranza vana. Almeno, hai saziato la mia curiosità.
La ladra fa spallucce. - Non c'è di che.
- La tempesta si sta attenuando - pigola di colpo Chiyoko, uscendo da qualche lembo del vestito di Lenne. A Elza quasi non viene un infarto.
- E tu, coso, da dove salti fuori?
- Sono sempre stata qui.
- Ignorala - Lenne si alza, sgranchisce le gambe. - A meno che non dica qualcosa di effettiva utilità, il che accade raramente.
Ma in effetti, già da un po' la guerriera non sente più il rumore del vento sbattere contro le vetrate della chiesa. Tuttavia è già calata la notte, e camminare nel buio, con quello che si cela là fuori, sarebbe da idioti.
- Partiamo alle prime luci dell'alba - Elza da voce ai pensieri della compagna. - Muoviamoci quanto più velocemente possiamo, ma soprattutto in silenzio, percorrendo i sentieri al limitare dei boschi, nascoste. Esploriamo i villaggi nei dintorni alla ricerca di un qualsiasi mezzo funzionante.
- Mi sembra un buon piano - ribatte Edith.
A quel punto, non restava che attendere.

E X T R A

- Credi che mi trasformerò in zombi, Lenne?
Lenne è intenta ad applicare le garze alla ferita ora pulita della compagna. A quella domanda la osserva: ha gli occhi lucidi, le labbra tremolanti. Dunque, glielo sta chiedendo seriamente. È una domanda legittima, pensa. Non è stata morsa come nei film di cui le ha parlato, ma non sanno ancora come funziona questa misteriosa situazione con cui hanno a che fare.
- Non credo sarebbe corretto chiamarli zombi - si limita a rispondere.
- Stai evitando di rispondere.
- Non è ancora successo nulla, credo che tu sia fuori pericolo ormai.
- Ma ho fame di cervello.
Lenne inarca un sopracciglio. Forse un cervello se l'è mangiato sul serio, il suo.
- Hai solo fame e basta, in generale - risponde spazientita.
Elza imita le gesta e i versi degli zombi nei film, piegandosi in avanti e cercando di raggiungere il viso di Lenne con le mani.
Lenne la osserva, le sopracciglia aggrottate, gli occhi ridotti a una fessura.
- Forse hai ragione - poggia la gamba sulla panca in cui Elza è distesa e afferra la spada appoggiata per terra lì vicino. - Meglio amputare.
- N... no... !
Can you feel my, can you feel my, can you feel my tears?
They won't dry
Can you feel my tear drops of the loneliest girl?
The loneliest girl


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Re: Garden

Messaggio da Lenne Silveross »

«Andate a Est.» Lenne formula quell'esortazione mentre la mano si chiude sull'elsa della spada, nel tono la sfumatura secca che si dà agli ordini. Non è nemmeno un'inflessione volontaria ma qualcosa in lei ringhia, l'avverte di un pericolo ancora invisibile e allo stesso tempo molto vicino. Si sono lasciate alle spalle la neve da un paio d'ore, partendo non appena il sole è sorto per non rischiare di trovarsi in piena notte nel mezzo del nulla. «Hai detto che lì c'è un...» aggrotta la fronte «… Chocobosco, sì? È la nostra unica possibilità di avere qualcosa con cui muoverci più in fretta ma non dobbiamo attirare la loro attenzione. Se ci inseguono fino a là, possiamo salutare la speranza di arrivare a Centra in tempo.»

«Vuoi dire devi attirare la loro attenzione? Pare che tu abbia già formulato un piano senza consultarci.»

«Vuoi farmi compagnia, Lance?» Dal fremito che la scuote, Lenne sa che aspettava solo quel pretesto.

Elza la trattiene per un braccio. «Edith, dai. Siamo ferite, lo sai che ha ragione, e anche se tutti i film horror che mi hai costretto a vedere suggeriscono sia un'idea stupida, separarsi è la cosa migliore.Ti prenderai il Chocobo più brutto.» aggiunge rivolta a Lenne che annuisce e basta, poi fissa davanti a sé.

Il tempo è stato clemente con loro. Coperto da nubi scure, il cielo è una cappa grigiastra, soffocante, da cui cola una pioggia lieve: abbastanza per coprire il loro odore ma non tanto da ostacolarle. Seguendo lo sguardo di Elza verso i profili delle case lontane, Lenne ne coglie la rabbia repressa, si agita alle sue spalle come la sciarpa che indossa e frusta l'aria a ogni folata di vento. Serra le dita nel palmo - trema.

«Abbiamo lottato così tanto per riavere una casa.» La sua voce brucia di collera e rimpianto. Lenne ed Edith ne osservano il profilo in silenzio. «E tutto per perderla di nuovo.» Alla rabbia si mescola qualcosa di meno duro, che riporta a galla un passato in cui la vita l'ha obbligata a crescere fin da ragazzina. Un nucleo di fragilità nascosto sotto lo strato d'acciaio con il quale aveva dovuto rivestire la propria pelle.

«È semplice.» Edith muove un passo in avanti, le cinge le spalle con un braccio per tirarla a sé. Elza inclina la testa, la poggia contro di lei, e a Lenne in quel momento ricorda una bambina. «Non ci resta che prendere a calci qualche culo marcio e arrivare dal grande capo estiqaatsi - è una parola nella mia lingua, poi te la spiego - per calciarglielo più forte.»

La ladra sbuffa una risata, poi si allontana con una spinta e si volta verso Lenne, rimasta tutto il tempo concentrata sui dintorni. «Noi andiamo. Qualunque cosa ti succeda, non potremo saperlo né aiutarti, il codec ancora non dà segni di vita. Fa' in fretta ok?»

Lenne mantiene lo sguardo fisso in lontananza, la spada in pugno, ma in compenso la risposta che le offre è quella che Elza voleva ricevere. «Va bene.»

Senza aggiungere altro, le due si allontanano nella nebbia che sta iniziando a sollevarsi e le loro figure diventano ben presto sagome indistinte. In mezzo a quella foschia, i lamenti degli infetti sono un brivido lungo la spina dorsale; i loro passi, strascicati e ora febbrili, segno che hanno fiutato la prossima preda.
------------------------------

«I casi sono due,» commenta Edith quando un'ora più tardi le raggiunge a poca distanza dal bosco, «o erano pochi e te ne sei liberata in fretta oppure è semplicemente meglio non farti incazzare.» Sbircia la lama sulla sua schiena, lungo cui scorrono rivoli di pioggia e sangue scuro. «Direi più la seconda.»

Lenne si limita a fissare la macchia d'alberi a poche centinaia di metri. In un contesto differente sarebbe persino un luogo piacevole ma lì, in quel momento, è spettrale come qualunque cosa le circondi. Non hanno la sicurezza che troveranno quanto cercano eppure resta una soluzione preferibile al vagare nel nulla, dunque si consegnano all'ombra umida della foresta incuranti dei rami che sferzano la pelle man mano che si inoltrano nel bosco. Non si guardano indietro, perché le rallenterebbe e incrementerebbe una tensione che già azzanna implacabile il cuore. Gli alberi lasciano passare poca luce ma è il grigio lattiginoso d'una giornata uggiosa mentre il terreno, che ha assorbito l'acqua delle ultime ore, sprofonda sotto il peso dei loro passi. Deviano, prendendo un sentiero che si addentra ancor più in profondità, ma non sembra esserci alcuna traccia di chocobo. Fino a che un suono poco più avanti le mette in allarme.

Lenne porta la mano all'elsa di Celebros, segue la scia tracciata dal fruscio delle foglie. «Restate qui.»

Edith la raggiunge, ignorando il monito. «Fai come ti dice.» intima a Elza, la lama già stretta nel pugno.

Un attimo dopo, anche la ladra si affianca a Lenne, armando le pistole con uno scatto. «Scordatevelo.»

Lenne mugugna contrariata ma non aggiunge altro. Si muovono nella direzione da cui arrivano i rumori, quando all'improvviso qualsiasi cosa ci sia di fronte a loro prende l'iniziativa e carica. Un'ombra emerge dal sottobosco rapida, confusa, con tutto l'intento di travolgerle. Elza spara ma Lenne le stringe il polso, devia il colpo: l'esplosione del proiettile paralizza la creatura dallo stupore ed è allora che anche le altre due la riconoscono. Sguardo terrorizzato, bava che schiuma dall'angolo del becco, piumaggio arruffato e chiazzato, Choco Boko Caliginus III le fissa, pare persino sapere chi ha davanti. Il respiro è un sibilo affannoso ma al di là di quello, l'animale capisce di non essere in pericolo e assume una posa impettita nel tentativo di darsi un tono - del resto, i SeeD che hanno l'onore di ospitarlo forse erano preoccupati per la sua incolumità e può concedere loro un poco di gratitudine. Si piega sulle zampe quanto basta perché Lenne possa sfiorare il collo in una carezza leggera, gorgoglia un apprezzamento poi si rialza e le osserva una per una. La quiete attorno a loro ha qualcosa di spettrale ma lo sparo non sembra aver attirato attenzione indesiderate, dunque si possono considerare al sicuro almeno per qualche minuto e dello stesso avviso è Choco Boko, che fa un passo indietro scrollando il dorso prima di acciambellarsi.

Lenne guarda il palmo della mano, dove è rimasta una macchia traslucida di sudore misto a sangue denso e scuro, che all'olfatto ha l'odore acre della malattia. Non dubita che l'infezione possa attaccare anche gli animali, tuttavia Choco Boko non dà l'idea di essere in qualche modo coinvolto. Si avvicina di un passo, lui la fissa torvo ma non reagisce e lascia che gli dia un'occhiata: il piumaggio è incrostato e secco in alcuni punti, non ci sono però ferite visibili. I muscoli sono tesi, si contraggono nel momento in cui vi passa la mano, gli occhi sono ancora iniettati di sangue ma lentamente l'animale sta riprendendo il controllo di sé. È stremato, forse anche affamato. Elza cerca nelle tasche qualcosa avanzato dal cibo trovato nella chiesa e gli porge dei biscotti raffermi, che all'inizio il chocobo rifiuta con un kwé risentito.

«Scendi dal piedistallo che ti sei costruito.» sbuffa la ladra, allungandoglieli ancora. «Non avrai altro.»

«Abbiamo la nostra cavalcatura,» commenta Edith lasciandosi cadere stancamente a terra, «ma non può portarci tutte. E anche a riuscirci, dubito che le loro maestà vogliano concedersi tanto.» aggiunge, socchiudendo gli occhi quando Choco Boko pare voler dire la propria. «Lo so che mi pigli per il culo.»

Lenne, impegnata a pulire il palmo con acqua della borraccia e la stoffa strappata alla divisa, annuisce.

«Se riuscissimo a trovarne un altro...» Elza guarda speranzosa il chocobo, che la ricambia con aria di sufficienza, innescando una silenziosa battaglia di sguardi finché è lui a cedere e rimettersi in piedi - di nuovo, si parla di un gesto magnanimo e nient'altro.

Emettendo un verso che trasuda sussiego, Choco Boko le esorta a seguirlo nel folto del bosco senza aspettarle un attimo di più. Scambiatesi una rapida occhiata, lo assecondano, tacendo sul fatto che la strada presa sembra scelta volutamente per essere la più scomoda possibile. Dopo minuti che paiono ore in cui il chocobo non si è mai fermato a vedere se lo stessero ancora seguendo, superato un muro di rovi emergono in una radura che non sarebbero riuscite a trovare senza la sua pur discutibile guida.

«Una sorgente… calda?» Elza guarda sorpresa lo specchio d'acqua di fronte a loro, dal quale salgono lievi sbuffi di fumo, ma quando prova ad avvicinarsi si trova la strada bloccata da un perentorio Choco Boko che ammonendola con lo sguardo punta poi il becco verso una zona più nascosta. E lì la vedono.

Rannicchiata su se stessa, tremante, una femmina le osserva con occhi acquosi, terrorizzati; libera un verso roco che vorrebbe essere di minaccia mentre cerca di alzarsi sulle zampe malferme, che tuttavia la tradiscono lasciandola ricadere a terra. Dietro di lei, dall'ombra dello sperone di roccia che cercava di coprire, risalgono alcuni deboli pigolii. Nessuna delle SeeD si muove, più stupite che incerte, finché Lenne nota una macchia scura sull'erba attorno al punto in cui l'animale è accasciato. Sangue secco.

«È ferita.» La possibile evidenza nascosta dietro le sue parole piomba su di loro in un pesante silenzio.

«Fosse infetta, Choco Boko l'avrebbe aggredita per primo.» obietta Elza. «Non possiamo, insomma...»

La frase le si strozza in gola quando Lenne sgancia la spada dalla schiena ma, lentamente e senza mai staccare lo sguardo da quello serio del chocobo, la donna l'appoggia a terra e si rialza, muovendosi poi verso la femmina che ha ripreso a tremare. Choco Boko la lascia fare senza abbandonarla un istante, permettendole di avvicinarsi all'altra per osservarla.

Inginocchiata al suo fianco, Lenne individua subito la ferita sotto il piumaggio: sono tre lacerazioni non tanto profonde da essere invalidanti ma comunque piuttosto gravi se lasciate a loro stesse. Come se qualcosa, o meglio qualcuno, si fosse aggrappato con tutte le proprie forze salvo essere scalciato via.

«Sono stati gli infetti. Probabilmente alcuni di loro si sono spinti qui e la madre ha cercato di difendere il nido, prima che intervenisse lui.» spiega riferendosi a Choco Boko. «Trasmettere un'infezione in questo modo è molto raro ma può succedere se c'è traccia di sangue sotto le unghie, ad esempio.» Si passa la mano fra i capelli, sospira. «Senza avere un'idea di come siano andate le cose, posso solo ipotizzare.»

«La soluzione migliore sarebbe abbatterla.» Edith si avvicina. «Per prevenire una possibile diffusione, per la nostra incolumità e mille altri motivi. Ma se lo facessimo, non saremmo migliori del Macellaio.» Si china ad accarezzare il becco, ne accoglie il pigolio grato con una smorfia amara. «Non parliamo di un Behemoth: se cederà, sapremo come contenerla.»

Lenne tace, riflette sulle sue parole. Poi annuisce. «Accampiamoci qui. Recupereremo il tempo perso domani, se siamo fortunate usando due chocobo.»

L'atmosfera si rilassa all'improvviso come se in quel momento avessero rilasciato un respiro trattenuto troppo a lungo. Elza si sposta nelle vicinanze della radura per recuperare della legna, Lenne medica al meglio le ferite del chocobo senza più lo sguardo di Choco Boko sulla nuca, Edith si prende l'incarico di procacciarsi del cibo date le misere scorte rimaste. Prima di preparare l'accampamento e una volta che le due SeeD hanno fatto ritorno, Lenne predispone un sistema di trappole - retaggio dei giorni in fuga e della saggezza dell'istinto. Un nemico ne sarebbe stato colto di sorpresa, oppure avrebbero ottenuto un pasto che non avesse il retrogusto della muffa. Sebbene nascosta nel più folto del bosco, la radura lascia intravedere uno scorcio di cielo: il crepitio del fuoco diventa una voce amica alcuni minuti dopo, nel silenzio della sera. Choco Boko sonnecchia di fronte alle fiamme, assieme a lui la femmina con i due cuccioli che, passato il pericolo iniziale, erano usciti allo scoperto. Accanto a loro, Lenne guarda il bivacco, la spada al fianco e il braccio poggiato sul ginocchio raccolto al petto; alza la testa nel sentire le voci di Edith ed Elza, ferme in riva alla sorgente.

«Immergiti.» Scorge il cipiglio sul volto della ladra a quell'esortazione. «Immergiti.» ripete l'altra, decisa.

Elza incrocia le braccia al petto. «Perché dovrei?»

«Perché è calda.» La SeeD inarca un sopracciglio, preda di uno scrupolo improvviso. «Sai nuotare?»

«Che razza di domanda è? Ovvio che so farlo.» Il broncio della ladra sembra divertire Edith, che resta in attesa. «Va bene! Ma soltanto se entri prima tu.»

Edith non se lo fa ripetere. Si sfila stivali, uniforme e con la sola biancheria si tuffa nella sorgente sotto lo sguardo ancora scettico della ladra, riemergendo poi con un sospiro soddisfatto; si scosta le ciocche fradicie dal viso, fissa Elza piegarsi sulle ginocchia.

«Quanto è profondo?» le chiede, incuriosita. Edith scrolla le spalle, scuote una mano con noncuranza.

«Non così tanto. Basta che non---» In quello stesso istante, viene risucchiata dall'acqua strozzando le parole in bocca a Elza, che si sposta verso il bordo opposto e si tende verso il punto dov'è sprofondata.

«Edith!» la chiama ma risponde solo l'eco. «Edith!» Si volta verso Lenne, che non si è mossa dalla sua posizione e le pare molto tranquilla. «Dobbiamo...»

All'improvviso, un braccio infrange la superficie e le aggancia il fianco per trascinarla giù. Elza impatta contro lo specchio d'acqua, sente le narici riempirsi; poco dopo riemerge, annaspando e con lo sdegno negli occhi - se li strofina per sgomberare la vista e spintona Edith, le artiglia la nuca, prova a spingerla verso il basso per ripagarla con la stessa moneta. Per sua sfortuna, la SeeD è troppo forte. Non cede.

«Ti odio.» ringhia mentre la risata di Edith infrange la quiete densa della radura. «M'è preso un colpo!»

La SeeD ghigna. «Terapia d'urto. Con i tuoi tempi si sarebbe raffreddata l'intera sorgente.» Guarda poi Lenne, che ha smesso di dare loro retta per iniziare a spellare in silenzio uno dei tre conigli frutto delle ultime ore di caccia. Pochi, rapidi gesti e nel giro di qualche minuto sta già arrostendo. «Te la cavi.» le dice, lasciando i vestiti ad asciugare su una vicina roccia e avvolgendosi con una delle coperte prese dal villaggio, prima di accomodarsi davanti al fuoco.

Il suo stomaco e quello di Elza non appena si siede a sua volta tengono a mostrare il proprio rumoroso apprezzamento, quando il profumo della carne sale dal falò - ed entrambe vi si avventano con voracità. Lenne, di contro, si dedica al suo coniglio con quel metodo che mesi in fuga le hanno insegnato: divide le parti nodose dalla polpa e affonda in quest'ultima i denti suggendo il grasso, poi aggredisce i tendini. Non spreca nulla di quel misero pasto, nemmeno le parti che normalmente uno non prenderebbe mai in considerazione, e forse per questo non biasima lo sguardo di Edith quando lo coglie - non lasciandosi toccare in ogni caso dalla sua espressione schifata.

«Quando nutrirsi non è un problema, puoi prenderti il lusso di giocare con il cibo.» si limita a rispondere all'osservazione inespressa. Verbalmente, almeno.

«Ho avuto le mie grane su Panèon, so bene cosa significa.» I suoi occhi si fissano ora nelle fiamme davanti a lei ma se prova nostalgia per la sua casa, non lo dà a vedere. «Solo, mi è venuto da pensare che forse anch'io avrò dato la stessa impressione.»

Lenne rimane in silenzio per un attimo, poi getta le ossa del coniglio nel fuoco. «Probabilmente sì.» Si alza e cerca in una delle bisacce l'erba ghisal che Edith ha avuto l'accortezza di raccogliere durante la caccia, tagliandone alcune con il coltello e dandole ai chocobo vicino a loro. La femmina mangia poco ma lo fa e tanto basta a suggerire che stia meglio, mentre i due piccoli diffidano ancora per accettare i bocconi dalla sua mano; la donna li lascia a terra vicino a loro, offre quanto rimane a Choco Boko e torna al falò. «Dovremo cercarne altra domani per assicurarci di avere le scorte sufficienti al viaggio.»

Elza accenna alla femmina col capo. «Ce la farà?»

«Non ho idea dei tempi di incubazione del virus ma stando a quanto ha mostrato il Macellaio prima del salto, sono innaturalmente brevi. Quando l'abbiamo trovata avrebbe già dovuto essersi trasformata, non credo abbia mai corso pericoli in quel senso. Resta da vedere quanto veloce potrà muoversi ma in ogni caso coprirà più strada di quella che faremmo noi.»

«Stabilito questo,» interviene Edith che nel mentre si è rivestita, «dove siamo dirette? Dov'è Centra?»

«Da tutt'altra parte rispetto a dove siamo ora.» Elza non perde tempo a chiarire la situazione. «Bisogna attraversare il mare e, be', credo che la soluzione più logica a questo punto sia Fishermans Horizon.»

Lenne annuisce. «Esthar sarebbe pericolosa, non abbiamo idea della situazione interna. Il presidente Loire potrebbe non riuscire o non volerci dare alcun supporto, non dopo quanto successo alla stazione spaziale. La diffidenza di Dobe verso i SeeD dubito gli sia passata ma Schwarzlight potrebbe aiutarci.»

La ladra schiocca le dita, illuminandosi. «Dunque è deciso, domani andremo a Fishermans Horizon.»

Lenne sceglie di montare la guardia e non appena le due SeeD si stendono accanto al falò, una lenta quiete scende sulla radura interrotta solamente dal crepitio delle fiamme. Ravviva di quando in quando le braci con la punta della spada, sfrutta un attimo di particolare calma per immergersi nella sorgente e lavare via il sangue, il sudore e la stanchezza, poi torna a fissare il fuoco. Quella situazione le ricorda la Faglia, quando difendere Lilith era l'unica priorità, ma non c'erano pacifici chocobo o il frinire dei grilli a tenerle compagnia, solo un silenzio pesante e un orrore pronto ad assalirti dal primo angolo cieco. È per questo forse che non riesce a prender sonno e la necessità di essere vigile prevale su tutto il resto.
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Si piegano all'urgenza di una sosta solamente dopo tre giorni ininterrotti di viaggio: sporche, esauste e affamate, Elza ed Edith si mantengono in equilibrio a fatica sul dorso di Choco Boko, occhi cerchiati di scuro e labbra screpolate dalla sete. Nell'oscurità di una distesa infinita si staglia il profilo del ponte che collega i due continenti, a dimostrare l'eccezionalità di un destriero come lui - al di là della sua alterigia. Ha guidato la loro traversata senza fermarsi mai e costeggiando i rari centri abitati, forzando la marcia dove lo riteneva utile. In groppa a una femmina che mostra la sua stessa pervicacia, Lenne ha tenuto la situazione sotto controllo razionando al meglio cibo e acqua, privandosene se necessario: i bisogni più comuni sono un ricordo lontano e in quel momento uno dei fattori su cui puntare la loro sopravvivenza. Rallentano l'andatura fino a un trotto leggero ma è chiaro che sono tutti al limite: il collo teso, le narici dilatate e la bava che schiuma copiosa dal becco, i due chocobo arrancano verso le luci che si fanno più vicine. Edith allaccia stretto il braccio alla vita di Elza che, stremata, si è lasciata cadere in avanti, a metà tra svenimento e veglia obbligata. A impedire loro di fermarsi non è soltanto l'evidenza di essere a un passo dalla meta ma un più convincente grido alle loro spalle, al quale ne seguono numerosi altri.

Edith trova forze sufficienti per lasciarsi andare alla più colorita bestemmia che Lenne abbia sentito, poi pianta i talloni nei fianchi di Choco Boko senza che ce ne sia veramente bisogno: l'animale raccoglie le ultime forze per trasformarsi in un lampo. Corrono lungo il ponte e di fronte a loro si staglia sempre più grande qualcosa che, Lenne ne è certa, non c'era mai stata prima: una postazione di guardia, mura e un cancello che impediscono l'ingresso a chiunque non sia desiderato ma di fronte a loro si spalanca quanto basta per farle passare, mentre una voce profonda, abituata al comando, ordina una carica. Lenne fa in tempo a intravedere un uomo alto, due metri circa, i capelli biondi stretti in una coda bassa e una barba incolta a incorniciare un volto che non sembra avere età, prima che la sua cavalcatura si pieghi stremata sulle zampe e si abbandoni su un fianco. Balza giù in tempo per incrociare un paio di occhi verdi più feroci di come li ricordava - o forse non c'era stato modo di vederla in azione sul serio.

Alex si appoggia all'elsa di Durandal. «Se avessi scommesso su di voi per ogni casino piovuto negli ultimi tempi, a quest'ora mi sarei comprata Esthar.»
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Non è stato amore al primo sguardo, anche perché esiste qualcuno in grado di amarla a pelle? Ne dubito. Eppure alla fine è successo. Non la amo per quello che ha, ma per quanto nemmeno immagina di possedere. Certo non è perfetta, non è neppure buona, però non è ipocrita. Non pretende d’essere migliore degli altri; vuole bene col cuore e la testa, qualcosa che pochi sono in grado di offrire.

Era come quell’inverno che l’avrebbe vista morire: una coltre bianca su cui ciascuno poteva leggere le proprie colpe, i propri fantasmi, le speranze e le debolezze. Non svelava niente di sé ed era un tappeto di ipotesi, per questo era difficile amarla senza pretendere.
Nanashi Mumei
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Re: Garden

Messaggio da Nanashi Mumei »

Trasse l'ultimo sorso di Ajrag, prima di alzarsi dal suo falò improvvisato con i resti della sua uniforme.
Girare con un'uniforme da cadetto del Garden era leggermente suicida, di quei tempi.
E poi, il poliestere bruciava discretamente bene. Non abbastanza da tenerti caldo una notte, ma abbastanza da cuocere i conigli, sì.
Gettò le ossa tra le fiamme in estinzione, e si rialzò, stremato.
Non sapeva esattamente dov'era precipitato, non era pratico di quel mondo. Lo era a stento di Ivalice, vuoi che lo fosse di... com'è che si chiamava, quel mondo?
Non aveva importanza, decise, mentre si incamminava.
Era meglio riposare, ma senza un fuoco a tenerlo caldo e protetto, era come chiedere l'assideramento e lo sventramento. Almeno camminando si manteneva caldo.
Camminò per ore, sotto l'algida luna, mano destra sulla katana, quando poi intravide, dall'alto di una collinetta, la silhouette di una città. Era tutto buio, neanche una luce accesa. Decise di andare a investigare; magari avrebbe trovato un passaggio per Centra. O perlomeno capire dove stava.
Discese in città, quasi di corsa, tant'era impaziente, e proseguì il suo scatto quando incappò nel primo essere umano che vide dopo la caduta del Garden.
Era chino su una ragazza, sdraiata a terra in un lago di sangue.
Continuava a prenderla a pugni, la bocca che schiumava.
Sguainò il più lentamente possibile la katana, avvicinandosi piano piano, prima di chiamarlo.
L'uomo s'alzò di scatto e gli si avventò contro, ma riuscì solo ad impalarsi la gola sulla katana.
Nanashi scrollò il sangue dalla lama, usando qualche rimasuglio rimasto dell'uniforme per pulirla alla belle meglio, e proseguì il suo cammino, silenzioso, Kodoku sguainata.
“Un pazzo omicida...” Pensò. “Un pazzo omicida in mezzo alla strada.” Non dovette fare molti metri per vedere degli sparuti gruppi di uomini e donne e anche bambini cercare di sfondare porte e dare fuoco a quante più abitazioni possibili.
“Dei pazzi omicidi in mezzo alla strada. Che diavolo è successo qui?” Pensò Nanashi, mentre usava il rampino per ergersi su di un tetto.
Doveva andarsene. Capire dov'era e andarsene a Centra il più in fretta possibile.
Non ebbe il tempo di formulare altri pensieri che sentì un urlo rimbombare per tutta la strada.
“MI CHIAMO JOHANNESS IRONLANE! E FINO A CHE IO VIVO, VOI BASTARDI NON ATTRAVERSERETE IL PONTE!”
“KWEH!” Fece il chocobo che cavalcava, quasi per enfasi.
Nanashi rimase ad osservare il nuovo arrivato caricare l'orda di pazzi, brandistocco alla mano e tanta aria nei polmoni da far uscire.
“NON AVRETE MAI LA TESTA DI QUESTO IRONLANE!” Urlò mentre ne falcidiava sei a colpo.
Lo shinobi si mosse silenzioso attraverso i tetti, balzando alla ricerca del municipio, o di qualsiasi area senza psicopatici.
Magari era proprio oltre il ponte.
E arrivato al limitare del caseggiato, si accorse che non c'erano vie alternative.
O il ponte, o nuotava attraverso un fiume in piena, ingrossato dalle piogge recenti.
Che ponte fosse, allora.
Balzò e scagliò il rampino su uno dei lampioni e, con l'aiuto della spola automatizzata, si tirò a tutta velocità su di esso.
Ripeté il processo un altro paio di volte e si ritrovò sull'altro lato del ponte, senza essere stato notato da quel pazzoide sul chocobo.
Facile.
Atterrò aggraziatamente sull'asfalto, quando sentì un tonfo al suo fianco: una tanica piena. Probabilmente di benzina.
Si voltò nella direzione del lancio, e vide delle frecce infuocate pronte ad essere scoccate.
C'era quasi.
Schivò in avanti, giusto un attimo prima che la tanica venisse colpita da una delle frecce ed esplodesse, spargendo liquido fiammeggiante per tutto il ponte, bloccando dietro un muro di fuoco l'avanzata degli infetti.
“Fermi! Non sono uno di quei pazzi!” Urlò Nanashi.
“Dillo a lui!” Rispose uno degli arcieri, indicando la figura che stava galoppando attraverso il ponte e balzando oltre il muro di fuoco.
“PENSAVI DI FARLA FRANCA?!” Urlò Johannes, balzando oltre le fiamme.
“Non sono un pazzo!” Ripeté lo shinobi.
“È QUEL CHE DICONO TUTTI!” Replicò il cavaliere, alzando il brandistocco al cielo.
Johannes si alzò sulle staffe e colpì, velocissimo.
Era davvero una spanna sopra la media: Nanashi faticò a deviarne i colpi, tanto erano potenti.
E il chocobo era ben addestrato: accompagnava i colpi del suo cavaliere, per ottenere la massima potenza possibile.
Doveva rubargli il pennuto e andarsene da lì. Il che voleva dire ferire solo il cavaliere. Il che limitava molto le sue opzioni in battaglia.
Decise di rischiare: sguainò Sabimaru, e menò un fendente verso il la gamba del cavaliere, la lama che bolliva e buttava fuori nubi di gas tossico così fitte da bloccare la vista, nelle quali Nanashi si nascose.
“VUOI AVVELENARMI IL CHOCOBO, BASTARDO?!” Urlò Johannes, prima di vedere un rampino agganciarsi ai suoi abiti e strattonarlo con violenza.
Lo shinobi si erse in aria, volando verso il cavaliere, trainato dal rampino, avvitandosi su se stesso e caricando un violento fendente che scatenò all'atterraggio, aprendo un grosso squarcio che andava dalla schiena al fianco di Johannes.
Il colpo l'aveva stordito, e Nanashi colse la sua occasione: s'aggrappò con la mano prostetica al cavaliere, piantò i piedi sul Chocobo e tirò, trascinandolo giù per terra, dove lo infilzò alla spalla.
Johannes non urlò. Non lo fece nemmeno quando la spada venne estratta e se la ritrovò puntata alla gola.
“Miei compaesani, perdonatemi...” Disse soltanto.
Ma Nanashi non l'infilzò.
Non poté.
Non con un chocobo assatanato che stava cercando di difendere il suo padrone.
“KWEH!” Urlò il pennuto, mentre scalciava contro lo shinobi.
Questi schivò, balzò via e frappose la katana fra il becco del chocobo e la sua faccia, salvandosi la pelle. Johannes, intanto, s'era aggrappato all'animale, rimettendosi in piedi e armandosi del suo brandistocco.
E Nanashi sentì gli archi venire tesi.
Aveva perso.
Quindi infoderò la spada.
“M'ARRENDO!” Urlò. “PERFAVORE, NON UCCIDETEMI!”
Rimase comunque sotto tiro.
“Uno di quei mostri non s'arrenderebbe...” Disse Johannes.
“Non parlano nemmeno, cretino!” Urlò uno degli arcieri.
“È quel che vogliono farci credere!” Replicò il cavaliere, con fin troppo zelo.
“Datti una calmata! Non è un infetto!” Rispose un altro arciere.
“Resta comunque un intruso!”
Nanashi ebbe l'impressione che forse Johannes era tanto pazzo quanto quelli la fuori.
Un attimo- Infetti?
“Cosa volete dire? Che sono impazziti a causa di un virus?” Chiese lo shinobi.
“Colpa del macellaio e delle sue stregonerie!” Urlò Johannes.
“Quindi questa è l'unica area sana?” Chiese Nanashi.
“No. L'altra è Fisherman Horizon, ma abbiamo perso i contatti radio due giorni fa. Se tutto va bene, sono solo gli infetti che hanno distrutto un ripetitore, ma temiamo il peggio.” Rispose il primo arciere.
Nanashi colse la palla al balzo.
“Dov'è Fisherman Horizon?”
“A Sud di qui, a due giorni di cammino. Appena vedi un grosso ponte, percorrilo. Non puoi sbagliare.” Rispose Johannes, di gran lunga più gioviale.
Nanashi poggiò la sua borsa in terra, e ne svuotò i contenuti: un elisir, quattro gran pozioni, sei code di fenice.
“Se mi lasciate fare rifornimento e dormire qui, potete avere questi.”
Accettarono.

-0-

Trasse un sorso dalla sua lagenaria, e il volto gli si storse in una smorfia: non aveva avuto tempo di lavarla, e le tracce di ajrag s'erano mischiate con l'arzente con cui l'aveva riempita, producendo un cocktail... interessante. Decisamente interessante. Non abbastanza disgustoso, ma comunque un calcio al palato.
E anche allo stomaco: se lo sentì bruciare come non mai.
Magari era l'arzente di pessima qualità. Però non gli spiaceva, tutto sommato.
Trasse un altro sorso, e riprese il cammino.
Oramai doveva esserci quasi.
Infatti, intravide il ponte. Intravide anche l'esercito di infetti che ci marciava sopra, urlando e picchiandosi tra loro.
Imprecò.
Guardò l'orizzonte, e si accorse che il sole stava calando.
Non voleva passare un'altra notte al freddo, quindi si allontanò dal ponte. Aveva visto un villaggio venendo lì. Probabilmente era ancora libero da quei pazzoidi.

Valeva la pena provare.

Tra un sorso di Calcio al Palato e l'altro, giunse a destinazione. Il villaggio sembrava deserto, ma era sempre meglio essere prudenti: scagliò il rampino verso una grondaia e si erse sopra il tetto con la grazia di un'aquila. Si guardò intorno: sembrava davvero non ci fosse nessuno. Poi, delle voci. Gli scappò un sorriso. Una buona notizia, forse.
S'accucciò e si avvicinò alle voci.
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Leon Feather
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Re: Garden

Messaggio da Leon Feather »

Trovarsi al caldo e all'asciutto e, soprattutto, al sicuro è un toccasana per il corpo e per l'anima. Dopo essere stata in infermeria ed aver appurato che non ci fosse nulla di cui preoccuparsi riguardo alle sue ferite, Elza - così come le altre - aveva passato la notte in una stanza dell'albergo della città. Ed è lì che si sveglia alle prime luci dell'alba del giorno dopo, fresca e riposata, ma con un enorme peso nel cuore. Sono infatti passati giorni senza che abbia ricevuto notizie di Paine, e il codec è ancora muto.
Vuole credere che stia bene. D'altronde, Paine è di gran lunga molto più difficile da far fuori di una come lei, così come di chiunque altro su quel lembo di spazio che chiamano multiverso. A dirla tutta, non vorrebbe mai trovarsi nei panni di chi, con intenzioni ostili, se la trovasse davanti. Oh, proprio no, sarebbe un tipo in grossi guai, quello lì. Tuttavia non riesce a scrollarsi di dosso quella preoccupazione. È come un tarlo che lentamente le divora il cervello. Una sensazione che conosce fin troppo bene.
Decise che era arrivata l'ora di smettere di piagnucolare e si levò giù dal letto e toccare il pavimento gelato con i piedi scalzi le diede la spinta in più che le serviva per svegliarsi completamente. Si diede una lavata e si vestì di tutta fretta: c'era del lavoro da fare.
Stava anche morendo di fame.

- Non hai una bella cera.
Con quetse parole Edith la accoglie, imbacuccata in un cappotto bianco, in piedi in attesa nel piazzale di fronte all'abitazione del sindaco di F.H. assieme ad Alexandra e a Lenne.
- Le scorte stanno finendo. Sono solo un'altra bocca da sfamare e non ce n'è mai abbastanza per tutti, a quanto pare.
- La tua è una bocca molto grande - ridacchia Edith sotto la pelliccia.
- Sta zitta, è finito soprattutto il caffè - la rimbecca la ladra stizzita. - Non ne bevo da giorni e mi sembra di essere una tossica in cerca della dose.
Alexandra sospira. - Va bene, darò fondo alla mia scorta personale, ma mi devi un favore.
Elza le volge uno sguardo di completa e totale ammirazione. Poi decide di darsi un tono.
- Ad ogni modo, siete qui da molto?
- Quanto basta per spiegare ad Alexandra quello che è successo - dice Lenne, che era stata zitta fino a quel momento. (ma nei suoi occhi Elza poteva scorgere il desiderio di caffè bollente).
- Vuoi che vada a parlargli io? - domanda Schwarzlight. Si riferisce ovviamente al sindaco Dobe.
- No. Almeno questo glielo dobbiamo, visto che è a noi che deve fare il favore - ribatte la ladra. Si avvia verso la piccola costruzione di metallo coperta dalla neve. Alle sue spalle la voce di Alexandra le arriva come un fischio portato dal vento.
- Vedrai che ti darà ascolto!

Il pavimento dell'abitazione del Sindaco Dobe è stato ricoperto di tappeti per tenerlo al caldo. Seduto a terra al centro della stanza al primo piano, Dobe la aspetta, lo sguardo severo.
- Ancora Seed, uh.
Elaz poggia il culo a terra e si siede di fronte a lui.
- Siamo gli ultimi, glielo giuro - ribatte con un sorriso forzato. - Almeno per oggi.
- Non posso fare a meno di pensare che tutto questo sia causa vostra, lo sapete? - taglia corto Dobe con tono greve. - Sarà anche quello che pensa la mia gente, qui a Fisherman Horizon.
- Io penso invece che la causa di tutto questo sia il Macellaio.
Lo sguardo di Elza è impassibile, la voce ferma, e Dobe rimane in silenzio.
- La ringrazio per averci salvate e ospitate - continua, ora più rilassata. - Comunque, ho intenzione di ammazzarlo, con le mie stesse mani se necessario.
Dobe dapprima non si scompone. Poi scoppia a ridere.
- Scannare un Macellaio. Sarebbe un bel colmo, questo.
- So che non approva. Ho sentito parlare di lei da Philip. La rispetta molto, lo sa? Ma non credo che ci sia altra soluzione. Non sarebbe cambiato nulla, sia che ci fossimo opposti sia che gli avessimo lasciato fare quello che voleva. Il risultato sarebbe stato identico. Quell'uomo è un male che va eradicato da questo mondo. Per arrivare a Centra ci serve il suo aiuto, ma se non è disposto a darcelo, leveremo le tende e troveremo un altro modo.
Dobe sospira.
- C'è una vecchia navetta lasciata qui dal Garden di Galbadia, ci vorrà un giorno o due per ripararla, ma vi permetterà di raggiungere la vostra destinazione in tempi brevi.
- La ringrazio - ribatte Elza alzandosi - e le giuro che rimetteremo le cose a posto.
- Si raccoglie quello che si semina. Ma immagino che questo lei già lo sappia già.
Elza abbassa lo sguardo. Le parole del Sindaco sono un monito difficile da ignorare. - Forse - ribatte rialzando la testa. - Ma forse, questa volta potrebbe nascere qualcosa di buono da tutto questo. Qualcosa di migliore. Di lui e di noi.
Ci sono diversi punti di vista in ogni storia. Da cosa era nato il Macellaio? E perché? Per anni, la Seed e l'Ordine si erano presentati nel multiverso come gli eroi pronti a salvare il mondo dal cattivo di turno, senza troppo preoccuparsi delle conseguenze di ciò che le loro azioni comportavano. Di sicuro, pensava Elza, doveva esserci un modo migliore di affrontare le cose.
Ciò di cui era sicura era comunque che quel modo non era quello del Macellaio.
In ogni caso, l'Ordine è finito. Come lo sarai presto anche tu.

Fuori con suo sommo dispiacere c'è lo stesso freddo di prima, e dei giorni precedenti. Un freddo che gela le guanciotte, tagliente come vetro affilato. Elza si stringe nelle spalle e si avvicina alle compagne.
- "L'inverno sta arrivando" non era solo una battuta di un telefilm, sembrerebbe - commenta Alexandra vedendola arrivare, come se le avesse letto nella mente.
- Allora? - taglia corto Lenne. - Cos'ha detto?
- Abbiamo il nostro mezzo - risponde Elza - ma ci vorrà un po' di tempo per ripararlo.
- Beh, è stato facile - Edith sembra sorpresa.
- È solo una navetta, non gli ho mica chiesto le lune.
- E non vuole niente in cambio? - aggiunge Edith, evidentemente non ancora del tutto convinta.
- No - risponde Elza. - Ma se c'è qualcosa che possiamo fare per aiutare, suggerisco di farlo.
- Condivido - Edith volge lo sguardo verso Alexandra. - Idee?
- Beh - la spadaccina incrocia le braccia - ho sentito dire da qualcuno che le provviste stanno finendo...

Avevano lasciato Edith ad F.H. - dal momento che le sue ferite erano più serie - e si erano messe in marcia, a bordo di una jeep, lungo il ponte che collegava la piccola città al resto del continente di Centra. Le istruzioni di Schwarzlight erano state chiare: cercare nei villaggi vicini, abbandonati al momento dello scoppio dell'epidemia. Chi era sopravvissuto, infatti, aveva raggiunto F.H. lasciandosi ogni cosa alle spalle. Se volevano, aveva aggiunto la spadaccina, potevano provare ad abbattere qualche cervo.
Era una cosa assolutamente logica da fare, d'altronde, quella di mandare dei soldati a cercar provviste là fuori. Chi più di loro aveva possibilità di sopravvivere a ciò che attendeva chiunque mettesse piede fuori dalle mura di Fisherman Horizon? Chi più dei Seed?
Costeggiano il lago salato all'esterno di Esthar fino a raggiungere un piccolo villaggio, chiaramente abbandonato. Guardandosi intorno, Elza non può fare a meno di immaginarsi come doveva essere prima che i suoi abitanti fossero costretti a fuggire in fretta e furia, spaventati nella notte dalle urla, attaccati dai propri simili, dal proprio amico, familiare o vicino di casa. È piccolo ma ha l'aria accogliente: una grande piazza attraversata da un viale in pietra, alberi a entrambi i lati, che porta a un grande edificio che Elza riconosce essere il municipio. Attorno alla piazza, edifici grandi e piccoli; case, negozi, una biblioteca, viuzze che si intersecano in modo quasi labirintico.
- Meglio darci una mossa - commenta Elza - Non vorrei trovarmi di nuovo quei cosi alle calcagna.
- Non potrei essere più d'accordo - ribatte Lenne.
Stanno per muoversi, quando un rumore di passi attira la loro attenzione.
- Aspetta - intima Elza alla compagna, la mano sulla fondina. - Hai sentito?
Lenne si limita ad annuire. Scruta il paesaggio circostante, gli occhi guizzano alla ricerca di un qualsiasi movimento. E finalmente lo vede: un uomo alto, dall'aria scarna, barba incolta e capelli neri lunghi fino alle spalle che cammina verso di loro.
- Non un altro passo! - esclama Elza, la pistola puntata verso di lui.
Nanashi alza le mani. In silenzio, osserva attentamente le due donne. La voce di quella con i capelli rosa le è familiare, e a dire il vero anche il suo viso: le è capitato di vederla in mensa, al Garden. A fare sempre un chiasso tremendo. L'altra donna, invece, non la conosce.
- Sei del Garden di Rinoa, giusto? - dice finalmente rivolgendosi a Elza. - Sono un cadetto. Mi sono ritrovato da solo dopo il salto e stavo cercando di raggiungere Fisherman Horizon, ma mi sono trovato costretto a fermarmi qui per passare la notte.
Elza continua a scrutarlo, lo sguardo diffidente. In effetti, quel viso pallidiccio e scavato gli ricorda qualcosa.
- Mi sembra di averlo visto in giro per i corridoi, di sfuggita - dice Lenne confermando i sospetti della compagna. - E non ha l'aria di essere infetto.
Elza rinfodera la pistola. Un'altra faccia amica, quindi. Le cose iniziavano a prendere una piega... meno disastragica.
- Ottimo! - esclama la ladra rinfoderando la pistola. - Perdonami, eccesso di prudenza. Non abbiamo ancora avuto il piacere di presentarci, giusto? - gli viene incontro e le porge la mano. - Io sono Elza.
Nanashi le porge la sua e si scambiano una stretta. - Nanashi Mumei.
- Ok Nanashi. Lei è Lenne. Sei ferito?
L'uomo scuote la testa in segno di diniego.
- Il tuo codec funziona? - gli chiede, lo sguardo speranzoso.
Nanashi scuote la testa di nuovo.
- È muto da un po'.
Elza abbassa lo sguardo e si lascia andare ad un sospiro affranto. Logicamente, così come gli altri non funzionava, ma ci aveva sperato lo stesso.
- Dobbiamo prendere alcune cose e poi potrai tornare con noi a Fisherman Horizon. Da lì prenderemo una navetta per Centra - interviene Lenne. Non lo da a vedere, ma è impaziente di tornare alla sicurezza dell'interno delle mura.
- Sarai stanco e affamato - aggiunge Elza - ma ti chiedo di resistere ancora un po'.
- Non c'è problema - risponde Nanashi - anzi, posso darvi una mano, così faremo prima.
Elza annuisce. - Andiamo allora.
La ricerca tra le abitazioni e i negozi non dura più di un paio d'ore. Tempo diluito dal costante terrore che qualcosa lo attacchi. Ogni suono li mette in allerta, ogni movimento è di un ramo, un cespuglio, una foglia portata dal vento è visto con sospetto. Alla fine, però, riescono a caricare abbastanza roba nel vecchio pickup con cui sono venute senza intoppi.
- Sembra che non ci sarà da correre come forsennati questa volta - commenta Elza caricando un ultimo sacco di farina sul retro del pickup e salendo al posto del guidatore.
Con un colpo secco Lenne chiude il bagagliaio, non prima di aver permesso a Nanashi di saltarci sopra e sedersi schiena contro un grosso scatolone. Salita di fronte anche lei finalmente ripartono alla volta di Fisherman Horizon.
Can you feel my, can you feel my, can you feel my tears?
They won't dry
Can you feel my tear drops of the loneliest girl?
The loneliest girl


Scheda Garden
Nanashi Mumei
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Fischia!

Messaggio da Nanashi Mumei »

Il viaggio di ritorno verso Fisherman Horizon fu decisamente tranquillo, abbastanza da permettere a Nanashi di provare ad ubriacarsi in santa pace.
Ma il cocktail non ne voleva sapere di restargli nello stomaco, complici le numerose buche centrate dal pick up, e dovette fare uno sforzo di volontà immenso per non vomitare.
Si ripromise di sciacquare la lagenaria.

-0-

Il pick up entrò nel garage, sotto lo sguardo vigile di Schwarzlight.
"Dovevate limitarvi alle provviste." Disse la ex SeeD.
"Lui? è del Garden." Rispose Lenne, come se ciò spiegasse tutto.
Schwarzlight non sembrava convinta.
"Volto nuovo?" Chiese dopo un attimo di silenzio.
"Puoi chiederlo a me, direttamente." S'intromise Nanashi. "Comunque, sono bravo a non farmi notare." Proseguì.
La ex SeeD rimase a fissarlo per un attimo, straniata.
"Mi sono arruolato poco dopo tutti i casini con quel... Della Croce, mi pare si chiamasse." Disse Nanashi.
"Delacroix." Corresse Elza.
"Grazie."
"No, no, non è quello... No. Non ha importanza. Benvenuto a bordo, signor...?" Chiese Schwarzlight.
"Nanashi Mumei." Rispose lo shinobi, porgendole la mano buona.
Se la strinsero, e Nanashi s'accorse che la ragazza stava fissando il suo braccio prostetico.
Lo nascose d'istinto dietro la schiena.
"Capisco che sono una bocca in più da sfamare, per ciò mi sembra solo opportuno chiedere se c'è qualcosa che posso fare. Se posso rendermi utile in qualche modo. Di non essere di peso, ecco tutto." Proseguì il ninja, algido. Tutto quel fissare gli stava dando ai nervi.
"Perdoni l'impertinenza, ma non ci siamo già visti da qualche parte, noi due?" Chiese Schwarzlight, tutto a un tratto.
"No. Adesso, se permette, mi tocca andare. Buona serata." Rispose Nanashi, gelido, prima di girare i tacchi e andarsene.

-0-

Nanashi passò la notte sdraiato in una barca nella rimessa, rigirandosi di continuo e bevendo dalla sua borraccia e vomitando nell'acqua di tanto in tanto, per poi venire svegliato quando qualcuno gli gettò addosso del legname.
"Ma che cxxxo?!" Urlò il ninja, mentre il carpentiere si rigirò e lo aiutò a districarsi da sotto le assi lignee.
"Scusa, non ti avevo visto. Sei quello nuovo?"
"Sì. Come posso aiutare?"

Non doveva dirlo. Ma oramai, aveva dato la sua parola.
Si ritrovò schiavizzato dalla mattina alla sera, prendendo misure e inchiodando assi di legno e trapanando il metallo per far passare i cavi elettrici.
Finì per aprirsi l'indice prostetico col trapano, provocando una piccola pioggia di scintille.
"Stai bene?!" Chiese il carpentiere.
"Sì, sì." Disse Nanashi, assente, fissandosi il dito ferito: c'era un piccolo foro tra la falange e la nocca.
Provò a soffiarci dentro, e produsse un fortissimo, acutissimo fischio.
Il carpentiere si tappò le orecchie, e Nanashi fischiò ancora.
E ancora.
E ancora.
E continuò per una buona mezz'ora.
"Se fischia ancora una volta, lo ammazzo." Sibilò Elza a Lenne, che lavoravano lì vicino.
E fischiò ancora, divertito da quel suono.
Ma prima che la ladra potesse muoversi, Lenne colmò la distanza, gli afferrò il dito e glielo torse fino a disarticolarlo.
Con un filck del polso, Nanashi lo rimise in posizione corretta e riprese a fischiare.
La guerriera rimase a fissarlo e disse solo: "Tu. Io. In piazza, alle nove."
E se ne andò.
Nanashi fece finta di non aver sentito, e continuò a fischiettare.

Sarebbe arrivato in ritardo. Dopotutto, che pericoli c'erano nel farla incazzare?
grevier
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Località: Terni

Re: Garden

Messaggio da grevier »

- Alla faccia delle poche ore di ricarica, sono due giorni che siamo bloccati qua! - Sbraitò Cain contro la ragazza la quale lo ignorò con uno sbuffo mentre controllava come solito il dispositivo al suo braccio, Egil buttava un occhio alla strada attraverso la persiana socchiusa della stanza che dava sul vicolo.
- Ora anche la lucertola è sparita "Fate andare me che mi camuffo" diceva, scommetto che è a scaldarsi al sole su qualche muro quel dannato sanguefreddo…
- Pazienta giovane Padawan, pazienta - Lo rabbonì il SeeD senza distogliere l'attenzione dalla strada
- Giovane che?
- Giovane Pad...aahh niente lascia perdere, Winifred hai capito come risolvere il nostro problema?
- I cristalli del Garden e quello contenuto nel D-Jump sono dello stesso tipo, nel momento dell'impulso la loro energia si è sommata a quella del dispositivo mandandolo in Overload e scalibrando le impostazioni che gli avevo dato, ho già resettato il sistema ora devo solo finire di ricaricare le impostazioni e sperare che il cristallo non si sia danneggiato
- E se così fosse? - Domandò con una vena di paura Cain
- Se cosi fosse allora noi…
- Non lo voglio sapere, mi fido delle tue arti riparatorie - Interruppe Egil mentre si spostava verso la porta aprendola,
Mocèton entrò furtivo per poi liberarsi del cappuccio e del mantello che portava, posando la bisaccia sul tavolo e iniziando a tirar fuori il contenuto
- Ecco a voi la cena
- Finalmente, pensavo che ti fossi fatto scoprire
- Qui sono come un filo d'erba in un prato è più facile che trovino te che me comunque ho cambiato strada quattro volte al ritorno, il Templio è già presente come avevi pensato
- Bene bene, ora prepariamoci se dopo vogliamo agire - concluse Egil con una pacca sulla schiena del Monaco.

---Il giorno prima---

- Sembra che qui non ci venga più nessuno da un po', quartiere dei bassifondi, ingresso laterale con finestra sul vicolo, direi che fa al caso nostro - Disse Mocèton aprendo la porta della piccola e polverosa abitazione davanti a loro, Egil lo precedette sulla porta
- Più che perfetta direi poi speriamo che non dobbiamo rimanerci troppo giusto? - concluse guardando la ragazza davanti a lui
- Datemi tempo di vedere che è successo
- Sapevo che non ci si può fidare di una Strega - Sbraitò Cain mentre sbatteva la porta dietro di lui
- Non mi pare che avevamo altre soluzioni e poi non ti ha costretto nessuno a entrare nel passaggio mi pare - Replicò la Strega fissando dritta negli occhi il ragazzo
- Calmiamoci tutti! Litigare tra di noi non ci aiuterà di certo - Si impose Egil con un colpo sul tavolo per richiamare l'ordine, la tensione era palpabile ma i due si placarono, Cain si poggiò ad uno dei muri dello stanzone mentre Winifred si mise al tavolo appoggiando il dispositivo che li aveva portati li su di esso, nel farlo Mocèton notò il lembo di tessuto che la ragazza aveva sottratto all'attentatore il giorno prima
- Cosa significa per te quel fazzoletto?
- Beh tanto lo avreste saputo comunque - Smise di trafficare con il D-jump e sfilò il pezzo di stoffa dal suo polso per aprirlo davanti ai presenti - Vi presento l'Ordine della Luna Cremisi, nel mio mondo spuntarono fuori dal nulla otto anni fa dopo la crisi degl'Incubus, in quel periodo furono un lampo di luce nelle tenebre, il Multiverso era nel caos più totale e loro apparvero in tutti i mondi offrendo sicurezza da quelle creature in cambio di devozione e sacrificio, ogni città divenne città stato, ogni nazione cadde, praticamente con un colpo solo avevano tutti i mondi in schiavitù e indovinate chi è che li comandava? il Macellaio passando cosi da il carnefice al santo
- Cosa sono questi Incubus che hai menzionato? - Domandò Egil dopo un breve silenzio per metabolizzare il tutto
- Gli Incubus sono o meglio erano persone come noi ma in seguito ad un virus entrato in azione qualche mese prima dell'Ordine divennero delle bestie primitive senza ragione ed assetate di sangue e carne, il contagio avveniva in modo diretto, non si scoprì mai da dove ebbe origine il tutto ma solo che si sviluppò in ogni mondo in modo implacabile e senza mai una cura
- Ma non avevi detto che l'Ordine stabilizzò tutto? - Domandò il Monaco attento
- Si e no, non fermarono il contagio ma in qualche maniera le loro città stato venivano ignorate dalle orde a loro detta grazie al volere del loro Credo ma noi sapevamo che c'era sotto qualcosa, il responsabile di tutto quanto non poteva essere altro che il loro Messia, abbiamo provato più volte a trovare quest'informazione ma senza mai riuscirci.
Il silenzio si fece nuovamente grave ma venne subito rotto dai passi pesanti di Cain che raggiunse velocemente la ragazza afferrandola per il bavero e sbattendola sul muro
- E tutto questo non ti sembrava il caso di dircelo subito o dovevamo morire tutti per scoprirlo?!?! - La mano della ragazza corse subito ad uno dei suoi revolver
- CAIN BASTA!! … - Tuonò Egil mentre Mocèton scattò in direzione dei due
- Se fermiamo il Macellaio non accadrà nemmeno! da voi succederà tra due anni quindi non c'era motivo di preoccuparsene ora! ed ora lasciami subito o non dovrai neanche preoccupartene - Rispose l'Aviopirata puntando la pistola al petto del Cadetto, l'arrivo del Monaco servì a separare i due che non smisero di guardarsi in cagnesco, Egil si schiarì la voce intimando alla ragazza di riposare la sua arma
- Per avere un'organizzazione cosi pronta devono essersi preparati già da molto tempo prima giusto? - Domandò con tono pacato il Mago cercando di ristabilire la calma
- Avevano Templi in ogni città non gli fu difficile - Rispose Winifred rinfoderando il revolver - ce n'era uno anche in questa se non ricordo male
Una luce illuminò gli occhi del Mago
- Forse questa volta abbiamo il nostro asso nella manica, per far si che tra due anni abbiano già un templio funzionante e pieno di adepti probabilmente è già in piedi, se cosi fosse considerando il fatto che ancora non sono nessuno intrufolarsi al suo interno e trovare informazioni utili sarebbe fattibile non pensate? - il volto della ragazza si illuminò
- Non dobbiamo perdere altro tempo se non
- Aspetta - La fermò subito Egil - Non possiamo agire in modo troppo diretto sono pur sempre sotto il dominio del Macellaio e non sanno che noi ci troviamo qui adesso quindi faremo cosi, cercheremo senza farci notare se il Templio è già presente per poi studiarlo e capire una strategia, te nel frattempo cerca di far rifunzionare il D-Jump altrimenti sarà inutile se non possiamo riunirci agli altri, ora per sta sera cerchiamo di riposarci tutti da domani ci mettiamo all'opera ok? - concluse in modo imperativo il SeeD non amava far pesare il suo grado, soprattutto ora che non ce l'aveva neanche più, ma non era stato promosso per nulla, tutti acconsentirono come sperava e mentre si preparavano per la notte Egil diede uno sguardo fuori dalla finestra in direzione del cielo
<<Speriamo che gli altri stiano bene>>
Spoiler
Scusate il pappone ma mi è venuto cosi di getto, la comodità di avere un personaggio dal futuro è che le cose le conosce già, se non fosse che non sono più esattamente come ricorda lei
Bloccato

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