FanFic Garden

Un Gioco di Ruolo Narrativo a più mani, tra SeeD e Cadetti, Garden ed Accademia, Tornei, Missioni, Sagre, e molto altro: questo è il Garden Club! Leggi i topic "Bacheca" e "Spiegazione Topic" prima di postare

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xthegame89x
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Re: FanFic Garden

Messaggio da xthegame89x »

I know it's hurting you, but it's killing me


3/4


I giorni che seguirono furono i più stressanti. L'unico modo per potersi sbarazzare dell'essere che dimorava al suo interno era quello di ritornare nel luogo in cui tutto è cominciato, il centro di ricerche sottomarino. Nemmeno Overlord sapeva con certezza cosa si era insinuato dentro di lui, rendendolo in quel modo. Ogni tanto gli capitava di guardare il suo viso, deturpato dalle squame scure e terrificanti. Ancora non riusciva a capire se si trattasse di Dark Bahamut o di qualcos'altro.

- Sai... ancora non mi hai spiegato bene come ti sei ridotto così. Hai dovuto utilizzare i poteri più di una volta, no? - disse Matt mentre lo aiutava a recuperare dell'acqua da un fiumiciattolo all'interno della sua caverna

Sospirò. Non aveva mai preso quell'argomento e, nonostante fossero passati vari giorni in cui Overlord gli insegnava come tenere a bada quell'essere, pensava che in quel momento forse qualcosa gli avrebbe detto.

- Avevo una famiglia... prima di Dark coso o come lo chiami tu. Una moglie che si chiamava Elizabeth e un figlio di nome Cory. Io lavoravo ad Esthar, precisamente nel centro di ricerche della magia. Quando alcuni scienziati scoprirono quella fonte energetica misteriosa, studiando ed effettuando numerose analisi sul nostro pianeta, i migliori di noi vennero scelti per far parte del team che doveva partire verso il centro di ricerche. - sospirò nuovamente prima di proseguire - Sfortunatamente... ero uno dei migliori.

Il centro di ricerche. Era sempre dell'idea che certi poteri devono restare sigillati e non liberati per scopi misteriosi.

- Il posto era un inferno. Creature spaventose e pericolose... per la mia sicurezza, imparai a combattere, nonostante il team della sicurezza fosse abbastanza valido, ma non si sa mai. Adesso sono orgoglioso di aver fatto quella scelta. - rise come al solito quasi spaccando i timpani a Matt - In ogni caso... ciò che successe il giorno fu qualcosa di strano... vi fu un'esplosione e io mi ritrovai nelle coste est del continente Esthariano.
- Come sarebbe a dire? Sono molte leghe dal centro fino al continente Esthariano, sopratutto le coste est.
- Tu sai come ci sono arrivato? Mi daresti la risposta ad un quesito che mi pongo da una vita intera.
- Ma aspetta un momento. - Matt era incredulo - Ma se tu hai fatto parte del team di ricerca del centro... contando che hai avuto un figlio e che stavi ad Esthar da un po', avevi come minimo trentacinque/quarant'anni quando sei partito... ora sono passati molti anni dal disastro, ma tu non ne dimostri così tanti!

Ciò che aveva davanti era un ragazzo di poco più di trent'anni.

- Cominci a capire, eh ragazzo? - disse con un ghigno Overlord - Esattamente... sembra che il mio aspetto non sia cambiato di una virgola in tutti questi anni. Forse... è l'unico aspetto positivo di quell'essere. Non aver bisogno di creme anti-età!

Inutile dire che scoppiò a ridere come a suo solito.

- In ogni caso... fui trovato da un soldato di pattuglia e mi riportarono a casa. Mia moglie era finalmente felice di potermi riabbracciare, mio figlio era al settimo cielo... ma io continuavo a dormire male... mi svegliavo la notte in preda al panico, mi trovavano sonnambulo davanti alla finestra ad osservare il cielo... era come se durante la notte qualcosa mi invadesse... ma non del tutto.

Matt ascoltava e un po' lo capiva. Più o meno, erano cose che successero anche a lui.

- Vivevamo in una casa nelle campagne di Esthar, una piccola casa, niente di lussuoso o di straricco. Stavamo benissimo e di sicuro i soldi non ci mancavano. Durante il pianto lunare, quando la Lunatic Pandora tornò sulla terra, venni a conoscenza dei miei poteri... due Grendell e un Dragon Izolde ci attaccarono mentre stavamo pranzando. Non avevo mai avuto problemi con i mostri, il mio Ak-47 li sistemava alla grande... ma uno di loro si diresse verso mio figlio e mia moglie, mentre stavano salendo in macchina per scappare.

Poteva immaginare ciò che successe dopo. Si trasformò in qualcosa che gli diede una forza in più, gli diede tutta la rabbia che potesse servirgli a scacciare quella minaccia... ma a che prezzo?

- Successe tutto in un attimo... il mio corpo divenne tutto squamoso, trasformandomi in un essere simile ad un drago... avevo visto qualcosa di simile nei libri, forse col nome di Bahamut, lo stesso che hai nominato tu. Ma non era una versione oscura o malvagia di quel Guardian Force... era qualcosa di molto peggio. Eliminai senza problemi i mostri e mia moglie rimase inorridita da ciò che ero diventato. Mi pregò di farmi controllare, di farmi studiare dal mio stesso team. No. Fui testardo e forse avrei dovuto ascoltarla... forse... sarebbero ancora vivi.
**********
Il vecchio guardò oltre la finestra assorto nei propri ricordi. Poteva solamente immaginare gli orrori registrati su quelle riprese. Sam ripensò a tutto ciò che gli aveva detto Tray, mentre esplorava le rovine di quel centro. Lo aveva avvertito di non inoltrarsi in quella parte oscura del centro di ricerche, gli aveva detto di lasciar perdere. Qualsiasi motivo egli avrebbe avuto, doveva desistere. Ma Sam non era d'accordo: ripensò a Matt e a ciò che poteva ricordare di Dean. Matt e Dean si potevano dire due fratelli gemelli mancati: entrambi forti, entrambi coraggiosi. Entrambi probabilmente legati dallo stesso destino.

Il numero 2 affiancato dallo 0 in un portellone semi aperto lo separava dal resto della struttura, mentre ripensava a ciò che gli aveva raccontato il padre, poco prima che partisse, poco prima che gli desse un motivo per partire. Dean era morto perché Matt si era ammalato, una grave malattia al cuore. Il fratello più grande aveva deciso di donare la sua vita per quello più piccolo, donandogli il suo cuore. Ma non era solo questo. Matt era diventato strano, molte volte lo aveva visto nei suoi occhi. C'era qualcosa che gli stava nascondendo, forse per proteggerlo. Lui era abbastanza grande e non aveva più bisogno di essere protetto. "Adesso tocca a me proteggerti Matt..." pensò Sam.

Il centro di ricerche sottomarino. Jonh Winchester raccontò a Sam tutto ciò che Dean aveva fatto poco prima di donare la sua vita per Matt. Ma anche Jonh era dello stesso parere di Sam: quello che era tornato dal centro di ricerche non era più suo figlio. Si, era Dean... era Matt... ma qualcosa era cambiato. Qualcosa nel profondo. In qualche modo, centrava quello stupido laboratorio. Quando gli uomini avvertono la presenza di un potere oltre ogni immaginazione, ingolositi, tentano di catturarlo e di sfruttarlo. Ma come spesso accade, succede tutto fuorché qualcosa di buono.

I portelloni che aveva accennato Tray erano a circa una quindicina di metri da dove si trovavano. Si avvicinò, tenendo la torcia elettrica tesa davanti a sé. La luce colpì la nuda roccia. Una grotta immensa, profonda centinaia e centinaia di metri. Cominciò a scendere, sicuro che ciò gli avrebbe dato le risposte che cercava. Raggiunse, dopo circa un'ora di cammino, la base della grotta. C'era già qualcuno. Un uomo con un mantello scuro osservava fisso davanti a sé, perso nei suoi pensieri.

- Chi sei? - disse Sam

Tutto si poteva aspettare meno che quello.

- Matt?

Sono tornato ragazzi, con un nuovo canale e con nuove serie. Restate tunizzati per scoprirne di belle! Buona visione! :P
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Egil ha scritto: Non possiamo fare un referendum per dichiarare Matt Winchester illegale e immorale?

Leon ha scritto: Matt Winchester ogni volta che fai un commento inutile, un gattino nel mondo muore
Paine ha scritto: o.ò sisi confermo la mia teoria... Matt è posseduto dal demonio.
Leon ha scritto: E' più probabile che sia il demonio a essere posseduto da Matt Winchester.

Leon ha scritto: Non è la situazione ad essere disperata, è Matt che si è messo in testa di far crashare i server di Facebook.

Leon ha scritto: Matt Winchester la tua firma occupa una schermata intera e ho un fo***to monitor 1920*1080.
Matt Winchester ha scritto: Quindi anche Ruben è a Reloras??? Posso usare il suo pg????
Vero posso posso posso???
Daiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii!
Drittz Do Urden ha scritto: No.
Matt Winchester ha scritto: Sob sigh... (A Drizzt Do Urden piace quest'elemento)
Paine ha scritto: Penso che comunque debba smettere di mortificare il povero matt.... è un cazzone, lo sappiamo tutti e mo lo sai anche tu, non ci fosse lui qua staremmo tutti a grattarci le palle, quindi passa un commento anche fosse acido. Paine docet
Leon ha scritto: Matt Winchester minaccia pure i cani randagi che incrocia per strada ormai (ovviamente trasformandosi in bahamut)
xthegame89x
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Re: FanFic Garden

Messaggio da xthegame89x »

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4/4


Il tempo passò. Nonostante Matt fosse in cerca di tutte le informazioni possibili riguardo il suo problema, pensava che era meglio lasciare un po' di tempo a Overlord. Lo aveva visto nel suo sguardo, nel suo comportamento: probabilmente, aveva passato un inferno durante la sua vita e, anche se aveva bisogno di saperne di più su ciò che abitava dentro al suo corpo, decise di dargli tempo e di lasciare che le informazioni che aveva in possesso sull'essere gliele desse lui stesso, senza che fosse lui a forzare la mano. Un giorno, durante una caccia in un bosco in una zona meno desertica, prese l'argomento.

- Sai... pensavo che fosse una tua priorità conoscere tutto ciò che so sul tuo problema. - disse Overlord mentre con un lancio perfetto da cecchino centrava una lepre con un bastone appuntito

Matt alzò le spalle. - Hai ragione. Ma penso che quell'essere ti abbia fatto passare le pene dell'inferno... ho deciso che avrei aspettato fossi tu a prendere l'argomento, nonostante voglia sapere tutto ciò che sai. Anche riguardo alla scelta che ti ha avanzato.
- Già... la scelta. - sorrise, ma era un sorriso amaro, triste e pieno di rabbia - Come se ci fosse una scelta...
- Cosa ti ha chiesto di fare? - disse Matt recuperando la lepre e sfilando il bastone da essa
- Prima che ti dica della scelta, voglio che tu capisca come è iniziato quel giorno... mia moglie mi aveva finalmente convinto a cercare una soluzione. Ma non volevo fare a modo suo... sapevo che se volevo scoprire qualcosa di più su ciò che era successo poche settimane prima, dovevo tornare nel centro di ricerche. Non sapevo il motivo, ma ero certo che tutto fosse cominciato da quel dannatissimo laboratorio.

Parlava lentamente, come se ogni parola, ogni ricordo che gli giungesse alla mente fosse una lama che lo trafiggeva, facendolo soffrire.

- Fortunatamente, mi liberai della sua presenza quel giorno... ma non successe solo quello. Raggiunsi il centro e trovai ciò che stavo cercando: delle grotte marine profonde centinaia di metri. Arrivai alla base delle grotte e davanti a me, vidi un bambino.

Gli si gelò il sangue: possibile fosse lo stesso bambino che aveva incontrato nella foresta poco tempo prima?

- Un bambino un po' scuro di carnagione? Capelli scuri?
- Come fai a saperlo?
- Ho già visto quel bambino... avrei dovuto ucciderlo quando ne avevo l'occasione.

Overlord rise fragorosamente.

- Ucciderlo? - rise di nuovo - Ragazzo, non si può uccidere quell'essere! Puoi solamente tentare di controllarlo, di bloccarlo all'interno della tua mente!

Matt lo guardò terrorizzato: non si può uccidere, poteva soltanto tentare di controllarlo. Quelle parole parvero distruggere completamente le sue speranze.

- E allora tu come sei riuscito a liberartene?
- Non sono stato io... sembra che tragga potere da quanta più morte riesca a generare. Ma quando a morire è una persona cara alla persona che ospita, diventa ancora più forte.

Perfetto. Proprio ciò che voleva sentirsi dire. Quali erano le persone che contavano di più al mondo per lui? Pensò per un attimo. La prima persona che gli veniva in mente era Aura: si, era passato tanto tempo da quando loro due si frequentavano, ma è anche vero che era una persona importante per lui. Gli era stata vicino in un momento per lui difficile, mentre lui era scappato, era scomparso parecchie volte facendola soffrire. Purtroppo non era colpa di Matt, ma non poteva neanche pretendere che Aura continuasse a vederlo come prima. La seconda persona era Egil: il suo migliore amico, il suo compagno fidato di armi. L'essere poteva cercare forse di prendere lui per diventare più forte? Ma entrambi erano importanti, ma Matt credeva non lo fossero abbastanza quanto l'essere poteva chiedere. Allora chi...

- Quando quel bambino parlò, capii subito che si trattava di lui. Dell'essere che abitava dentro di me. Mi disse che non potevo sconfiggerlo, che ero troppo potente per lui. Avrebbe preso la vita delle persone a me più care. Mi spaventai e penso che in quell'attimo di debolezza riuscì a leggermi nella mente. Scomparve. Per qualche secondo, il panico mi assalì. Feci per andarmene ma fui bloccato di nuovo dalla sua voce. Mi disse: "Scegli chi deve vivere tra loro due e io lascerò il tuo corpo." Quel bastardo aveva catturato mia moglie e mio figlio.

Come diavolo ci era riuscito? Com'era possibile? Eppure, a quanto gli aveva detto Overlord, la sua dimora era ad Esthar ma lui era nel centro di ricerche.

- Mia moglie era terrorizzata, Cory piangeva... era una scena al limite della sopportazione. Provai ad attaccarlo, ma ovviamente mi respinse. Passarono minuti che per me sembravano ore, giorni o addirittura settimane. L'essere mi guardava, mi sfidava, sogghignava... non sapevo cosa fare. Mia moglie mi guardò dritto negli occhi e mi disse: "Non fa niente amore mio... voglio che stiate bene entrambi... fa che sia Cory a vivere...". Io avevo le lacrime agli occhi... riuscì soltanto a dire il suo nome... e lei mi rispose: "Non importa, Robert... due anni fa ti ho fatto una promessa e continuerò a mantenerla per sempre... io ti amo, ama nostro figlio come hai sempre fatto."

Era più di quanto un uomo potesse sopportare. Overlord aveva gli occhi lucidi, lo sguardo perso nel vuoto.

- Annuì. Elizabeth morì davanti ai miei occhi, divorata da un fuoco oscuro. Urlava e si dimenava.. il mio cuore era a pezzi. Mio figlio era scioccato, di fronte alla madre che ormai giaceva a terra priva di vita... - deglutì, ogni ricordo era per lui come una scheggia di vetro che scivolava lungo la gola - Il bambino scomparve e Cory si mise a piangere chiamando la madre. Mi avvicinai a lui e lo abbracciai. Non avevo il coraggio di guardare... presi mio figlio tra le braccia e andai via da quel luogo.

Matt era scioccato: quale essere malvagio si annidava dentro di lui?

- Non appena raggiunsi l'uscita del centro, un fuoco oscuro mi impedì di andarmene, bloccandomi ogni via di fuga... era tornato nonostante fino a pochi secondi prima avevo sperato con tutto il cuore di essermi liberato di lui, anche se il prezzo che avevo pagato era...

Non finì la frase. Non immaginava cosa venisse dopo, non poteva esistere una creatura così crudele.

- Non solo si limitò a prendere la vita di mia moglie... della persona che amavo... ma attaccò anche mio figlio... portandolo via con sé... dalla rabbia mi trasformai nuovamente utilizzando i suoi poteri. Lui rise di gusto dicendo "Non credo proprio..." e mi prosciugò di tutti i miei poteri... i suoi poteri... scomparendo nel nulla... io... non sono riuscito a proteggerli... forse l'unico modo per far si che lasci il tuo corpo è per sua volontà... ehi dove vai?! - disse Overlord dato che Matt si era già trasformato in Bahamut
- A porre fine a questa storia! Ci sono andate di mezzo troppe vite per colpa sua! La tua famiglia, Dean e adesso rischia di uccidere molte più persone utilizzando il mio corpo! Ne ho fin sopra i capelli di questa storia.
- Matt! MATT! Dannazione! MATT! - Overlord urlò al vento quando Matt ormai era già oltre oceano, scuotendo le ali con forza
**********
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La fine della fan fic potrete ritrovarla nel Garden Club. Spero vi sia piaciuta! ;)

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Egil ha scritto: Non possiamo fare un referendum per dichiarare Matt Winchester illegale e immorale?

Leon ha scritto: Matt Winchester ogni volta che fai un commento inutile, un gattino nel mondo muore
Paine ha scritto: o.ò sisi confermo la mia teoria... Matt è posseduto dal demonio.
Leon ha scritto: E' più probabile che sia il demonio a essere posseduto da Matt Winchester.

Leon ha scritto: Non è la situazione ad essere disperata, è Matt che si è messo in testa di far crashare i server di Facebook.

Leon ha scritto: Matt Winchester la tua firma occupa una schermata intera e ho un fo***to monitor 1920*1080.
Matt Winchester ha scritto: Quindi anche Ruben è a Reloras??? Posso usare il suo pg????
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Drittz Do Urden ha scritto: No.
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Nightmare/dark sephirot
SeeD
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Re: FanFic Garden

Messaggio da Nightmare/dark sephirot »

Frederich[3]

"Su, si è fatto tardi, è ora di andare a nanna!"
"Papà..? Mi racconti una storia..?"
"Ma certo. Dimmi, quale vuoi sentire?"
"Quella degli antichi dei!"
"Ah... E' una storia che pochi conoscono e che molti negano."
"Lo so, ma è molto bella!"
"Vuoi che te la narri?"
"Sì, ti prego papà!"
"Va bene, allora come potrei cominciare...

Tanto tempo fa, quando ancora il mondo scorgeva le prime stelle ed il mare teneva per se i segreti di tutte le baie, che non potevano parlarsi tra loro nè venire a sapere dell'esistenza le une delle altre; quando la lingua era una ma nessuno si parlava; quando gli edifici più maestosi erano le grotte scavate negli anni dalle intemperie.
A quel tempo, vi era Hyne, il creatore, e i suoi figli; popolavano il mondo spesso ignari di ciò che avevano intorno.
Tra tutti i figli, gli uomini erano quelli più deboli ma anche quelli più predisposti allo sviluppo.
Essi non avevano zanne, artigli, non potevano volare nè possedevano la magia, che Hyne custodiva gelosamente ed aveva donato in un atto di generosità a pochi prescelti di tutte le razze; molti pensano che ciò rendesse Hyne un dio egoista, ma taluni giudicano quella decisione come una prevenzione, per evitare conflitti disastrosi. Conflitti che oggi avvengono e che distruggono il mondo.

Ma gli uomini avevano l'intelligenza e uno spasmodico desiderio di conoscenza. A loro non bastava osservare il mondo, volevano capirlo.
E lentamente iniziarono a scoprire verità, a distinguere tra finzione e realtà, e quando iniziarono a manipolare il mondo credettero loro stessi di essere dei creatori.
E allora perchè non potevano possedere la magia? Perchè dovevano essere inferiori ad Hyne?

Vi furono alleanze e guerre finalizzate alla conquista della magia, tutte concluse in genocidii e sterminii di massa: se non potevano avere la magia, nessun altro aveva il diritto di utilizzarla.
Furono cacciati tutti gli esseri eterei, sterminati gli incantatori e banditi streghe e stregoni.
Un antico re, Zebalga, puntò la sua spada contro Hyne stesso per cercare di ottenere una volta per tutte il suo agognato tesoro, quella conoscenza fino ad allora preclusa ai più.
Ma non riuscì nel suo intento.

Fu così che Hyne, nei suoi ultimi momenti di vita, capì cosa sarebbe potuto succedere al mondo in quelle condizioni. E fu così che utilizzò tutta la magia che gli rimaneva in corpo per sigillare le anime dei vari esseri magici sterminati dagli umani in quel mondo da lui creato; anime immortali, ancora in grado di usare la magia, che avrebbero protetto quel mondo fino alla fine dei tempi, guardiani instancabili ma celati, dotati di coscienza per distinguere tra bene e male e poter scegliere chi aiutare.
In caso di necessità,avrebbero condiviso il loro potere con chi ne avesse avuto bisogno.
Ma a un prezzo, ciò che di più caro ognuno conserva: i propri ricordi.

Quella fu la fine di un'era, iniziava il dominio degli uomini mentre gli antichi dei, ora conosciuti come Guardian Forces, vigilavano sulla salvezza del creato; ed è da quei giorni che la luna, memore delle atrocità commesse, piange; e col suo pianto ci ricorda chi siamo stati, ci rammenta l'importanza dell'esistenza e ci invita ad essere persona migliori, per noi stessi e per il mondo che ci circonda."
"Allora è per colpa nostra che esistono i mostri? Perchè abbiamo fatto piangere la luna?"
"Forse, figlio mio. Sono solo storie, racconti per spaventare e meravigliare. Ma ora dormi, qui non ci sono pericoli."
"...Papà?"
"Dimmi figliolo."
"Troverò mai un Antico Dio?"
"Forse. Tu vuoi trovarlo?"
"Sì!
"E perchè?"
"... Da grande, voglio creare un mondo migliore!"
Sorrise.
"Sono fiero di te, Frederich!"
Leonheart88
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Iscritto il: 22 giu 2007, 19:36
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Re: FanFic Garden

Messaggio da Leonheart88 »

Helena (1/5)

Il sasso rimbalzo contro lo steccato di fronte a lui, con un sordo stok cadde al suolo dopo aver colpito il legno. Leon sbadigliò vistosamente. Si stava annoiando.
Erano tre giorni che erano fermi in quel paesino fuori da tutto, dove la vita sembrava essersi fermata da decenni, dove l'elettricità era ancora una cosa nuova e rivoluzionaria. Sterco di vacca ovunque. Nell'aria se ne sentiva il sapore, sotto le suole lo si poteva vedere quasi sempre.
Aspettare il nuovo capitano, mandato direttamente dal comando centrale di Kalos, l'organizzazione mercenaria di cui faceva parte, solo perché quello vecchio aveva avuto la bella idea di farsi estirpare le budella da un Rub Rum Dragon capitato nei paraggi. Quando si dice la sfiga.
Ripensando a lui, Leon si rese conto che non lo amava né lo odiava. Aveva avuto poche occasioni reali di interagire con lui, l'unico pregio evidente del suo comando era la possibilità di poter fare quello che gli pareva. Ognuno aveva ampia libertà di agire come riteneva opportuno, non come una squadra ma come un insieme di singoli, l'unica regola era non disturbarlo durante i suoi pisolini o non interpellarlo per cazzate.
Grazie a questo regime molto soft Leon era riuscito a crearsi una sorta di fama all'interno del proprio gruppo, sempre il primo ad attaccare. Era giovane, forte, ambizioso, intelligente. Era riuscito a farsi rispettare da gente più grande di lui. E questo per un diciottenne non era mica roba da poco!
E ora erano ancora li.
Per aspettare uno stupido Capitano di cui non sentiva minimamente il bisogno. Si rese conto che avrebbe potuto farlo lui a quel punto, tanto per quanto Joseph Tulder, l'ormai deceduto e sbudellato ex Capitano, si era fatto valere in combattimento...
Stava quasi per avanzare la sua proposta al resto del gruppo: "andiamoce e che si fotta il nuovo figlio di papà che ci manderanno" quando un jumper atterrò vicino al loro accampamento.
Si posò sulla terra polverosa a poche decine di metri da loro, un atterraggio perfetto. Leon aveva sempre sognato di saper pilotare uno di quei cosi, mai ci era riuscito ma almeno ora era in grado di dire quando un pilota era bravo o meno. Tutta questione di osservazione e di confronti. E questo era bravo.
Una ragazza scese dall'abitacolo. Lunghi capelli neri le scendevano lungo le spalle, fisico asciutto ed aggraziato, non era molto alta ma non si poteva definire bassa. Dai vestiti molto spartani, e dalla velocità con cui discese, Leon dedusse che fosse il pilota. Doveva ricordarsi di chiederle di uscire, magari con un po’ di moine l'avrebbe convinta a concedergli un giro sul jumper. Sfruttare a proprio vantaggio le sue qualità ed i talenti. Lo faceva sempre bene.
Tutti i soldati rimasero sull'attenti in attesa dell'uscita del Capitano.
Che non arrivò mai.
La ragazza invece scoppiò a ridere di gusto.
Si avvicinò lentamente, gustandosi ad ogni passo le facce stranite dei propri, a questo punto, commilitoni.
«Piacere di conoscervi. Sono Helena Mercier. Da oggi vostro capitano»
Tutti la squadrarono con aria sospettosa, d’altronde che altro ci si poteva aspettare? Era più giovane di più di metà di loro, e poco più vecchia degli altri.
L’ennesima figlia di papà allo sbaraglio. La classica storia della recluta, figlia di facoltosi uomini d’affari, che vuole fare il mercenario perché fa figo. Mamma e papà però non possono permettersi che la propria progenie viva nel fango e negli escrementi. Meglio fare una generosa donazione e regalarle un grado.
Chissenefrega dei poveri mercenari che crepano per l’incompetenza di una persona.
Leon la guardava sorridendo. Era il Capitano? Ancora meglio!
Oltre al giretto sul Jumper forse avrebbe goduto ancora di più di un trattamento di favore, e poi la ragazza aveva anche un bel sedere. Non sarebbe stato un grosso sacrificio!
«Se hai bisogno di una mano» Ammiccò platealmente «Basta chiedere»
«Oh grazie. Forse tu mi renderai le cose più facili»
Leon la guardò, per un istante senza capire a cosa si stesse riferendo. Più facili per cosa?
«Fammi indovinare. Sei giovane. Bello. » Risuonava tutto fuorché un complimento «Sembri carismatico e soprattutto immagino tu abbia ascendente con gli altri»
«Come dichiarazione la trovo alquanto singolare» Rispose Leon guardandola fissa negli occhi.
«Come si dice, colpirne uno per educarne cento.»
Un gunblade brillò alla luce del sole. Istintivamente i restanti mercenari fecero cerchio intorno ai due.
Leon sogghignò, se doveva prendere a calci in culo una donna per poter avere la libertà che meritava, beh lo avrebbe fatto.
La Claymore venne estratta.
Leon scattò subito in avanti, voleva concludere l’incontro il prima possibile. Un affondo, Helena lo schivò lateralmente senza quasi guardare. Un tondo da destra a sinistra, con la punta della lama accompagnò il colpo fuori dalla sua portata. Sorrideva mentre combatteva. Il fendente improvviso della ragazza per poco non lo mandò col culo a terra, soltanto arretrando scompostamente riuscì ad evitare il colpo.
Doveva usare il suo asso nella manica.
Lo urlò. Come si urla una vittoria.
«Blind!»
Il pugno che gli arrivò dritto in faccia indicò che forse qualcosa non aveva funzionato.
«Ma davvero speri di sorprendermi urlando cosa vuoi fare ai quattro venti?» Sorrise. Una risata limpida, genuina, proprio il contrario di quanto Leon si aspettasse. La fissava.
Una scatto rapido del Gunblade, la lama toccò appena l’elsa. La Claymore cadde per terra con un tonfo sordo.
Troppo facile. Era di un livello troppo superiore.
«Arrenditi»
«Stoccazzo»
Leon si gettò di lato nel tentativo di recuperare la spada, le dita sfiorarono appena l’impugnatura quando un calcio ruppe le speranze. Lo guardava dall’alto in basso.
«Arrenditi»
Non rispose. Con uno scatto della gamba destra provò a far cadere il futuro Capitano. Un salto da ferma e il pericolo fu scampato, piombò con le ginocchia sopra il suo sterno.
«Arrenditi»
«Mai»
Il gunblade scattò verso il ragazzo. Pronto a divorarne le carni.
Si fermò a pochi centimetri da lui, per poi finire a terra di lato. Helena gli porse la mano e lo aiutò ad alzarsi. Poteva vedere i suoi lunghi capelli neri. Non poteva smettere di guardarla.
«Mi piace il tuo stile. Non ti arrendi. Tu mi sarai sicuramente di grande aiuto»
Leon sorrise, anche se le cose non erano andate come previsto forse l’obiettivo finale era stato raggiunto.
Il pugno lo colse di sorpresa. Si portò le mani verso la bocca dello stomaco respirando a fatica.
«E questo è per non mancare di rispetto ad un superiore. Ora se ti vuoi rendere utile vammi a prendere dell’acqua» Sorrise. E Leon fu improvvisamente più felice.
Ultima modifica di Leonheart88 il 05 ott 2014, 13:43, modificato 1 volta in totale.
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Nataa
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Località: Garden.. finalmente XD!!
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Re: FanFic Garden

Messaggio da Nataa »

Colazione da Leon


Sorseggiò un tè mentre con lo sguardo cercò tra il via vai in strada trovando solo estranei; le tre, Nataa sbuffò insofferente: era in ritardo. Lo conosceva ma a volte sperava in un cambiamento e faceva male – molto male.
Posò il bicchiere e studiò i lineamenti di una ragazzina a un tavolo più in là chiedendosi quale potesse essere la sua vita e la sua storia, un vecchio gioco che faceva da bambina. Aveva ricostruito il racconto di una ragazza sola – il colore verde delle iridi era fisso e perso sul cielo – alla ricerca di una persona a cui avrebbe donato la vita e il sangue, quando il sole fu coperto dalle spalle larghe di un uomo che le aveva tolto molto e regalato ancora di più.
«Sei in ritardo, Leon. Come sempre.» Stirò le labbra in un sorriso.
«Perdonami.» Sussurrò, il tono poco credibile di chi sa d’esser già scusato. «Dovevo prendere una cosa.»
La donna inarcò un sopracciglio allo spuntare di un mazzo di rose. «Per te.»
«Sei banale, te ne rendi conto? Fiori ogni volta che ritardi.» Corrugò la fronte trovando al centro dell’esplosione rossa un frammento giallo e caldo. «Un girasole: te ne sei ricordato.»
«Non esserne tanto sorpresa.»
Si concesse un momento per osservarlo, per toccare la sincerità di un uomo fatto di maschere e barriere, perché nessuno lo aveva mai sfiorato, non concedeva di arrivare alla sua pelle -quella vera- nessuno viveva i suoi sentimenti, neanche lui stesso.
Era nella solitudine che Leon si mostrava realmente: un cipiglio serio e carico di cicatrici, dolori –ferite– che portava senza rimpianto. Una vita nella polvere della guerra gli aveva insegnato ad andare avanti, nessun rimorso in uno sguardo puntato al futuro mai al passato. I fantasmi erano sussurri che lasciava chiusi fuori la porta, gli parlavano ma lui non ascoltava e continuava la corsa disperata di un sopravvissuto: cercava di non annegare nelle lacrime e vivere con le unghie e i denti.
Nataa incrociò le braccia al petto guardandolo sedersi. «Ti ho ordinato un caffè: macchiato, tre zollette di zucchero. Sei banale.» Aggiunse nel momento in cui l’uomo si protese verso la tazzina.
«Parla la donna ‘io-il-cappuccino-lo-prendo-a-tutte-le-ore. ’» Sulle labbra l’ombra velata di un sorriso di una quotidianità mai scordata. «Di cosa volevi parlarmi?»
Sollevò il sopracciglio da sopra la tazza di tè.
«Non hai ancora specificato che debba essere io a pagare, succede solo in due occasioni: grandi notizie e annunci di merda. Quale delle due?»
«Le persone possono cambiare.» Picchiettò contro la ceramica con l’unghia dell’indice. «Altre restano sempre fedeli a loro stesse e tu, ami sempre saltare i preliminari, Leon.»
Si allungò verso di lei, sfiorandole le dita in un tocco a cui si sottrasse come bruciata. «Sono bravo con il piatto forte, perché sprecare tempo?»
«Io preferisco iniziare dall’antipasto e andare con calma.»
Aggrottò la fronte, Leon, immerso nei ricordi di un tempo che sfuggiva tra le dita. La memoria di una vita in cui avevano condiviso più di quanto avessero da offrirsi l’un l’altra, più di quanto potessero concedersi di perdere per stare vicini e lontani, separati da gradi e battaglie a cui non potevano che chinare il capo per trasformarsi in polvere. Non era ciò per cui avevano combattuto. Esistevano vite destinate a incontrarsi e scontrarsi per continuare su sentieri paralleli, così erano loro. L’amore – se mai avessero saputo che sapore avesse – non sarebbe bastato a respirarsi tra i cocci della guerra.
«Sempre a spese altrui, mi raccomando.» Non era cambiata, non lei che chiedeva senza dare. «Vuoi gustare tutto. Dal primo all'ultimo boccone, indipendentemente da quello che vogliono gli altri.»
Sorseggiò il caffè, i bordi delle labbra inclinati in un sorriso storto.
Aveva ragione, non poteva negarlo. «Non sei molto diverso da me.» Gli rispose e sulla lingua si riversarono i ricordi e il dolore che le lasciò nel momento in cui osservò le sue spalle allontanarsi. Quante volte lo aveva cercato nella notte? Allungato una mano sul vuoto che aveva lasciato nel letto e nella vita? Scosse la testa.
Sorrise l’uomo, consapevole che Nataa poteva leggere oltre i suoi occhi in quel desiderio che gli aveva divorato l’anima; non voleva – non poteva – essere diverso: era uno con lei ma non l’altra metà della mela, non sarebbe stato da loro, solo lama e fodero, cenere e sangue.
«Come stai?» Gli chiese dopo che il silenzio ebbe divorato i minuti. «La verità, non le storie in cui ti nascondi.»
«Come vuoi che stia?» Era un relitto alla deriva e non lo sapeva, continuava a remare imperterrito per giungere a una meta di nebbia e fumo. «Ho ucciso per non morire. E fatto sesso con due cadette idiote.» Negli occhi passò un velo grigio, perché la vita si era spenta dei colori, lasciando l’iride ustionato e contratto in un bianco e nero opaco.
«Sembri triste, Leon.» Tese le dita a sfiorare la barba rasa e sorrise a quel contatto, così antico e nuovo.
«Non lo sono. È apatia.» Si affrettò a rispondere, odiando Nataa e la sua capacità di leggerlo tra le righe. «Tu come stai?»
Si scostò e socchiuse le labbra, poi le serrò in un sorriso e affondò il viso nel bicchiere del tè –nascondendo le parole con altre parole. «Stare con Calien non ti giova. Dov'è il ragazzo sorridente che avrebbe parlato delle due cadette fino a farmi salire la bile? Leon? Dove sei?» Ridacchiò facendo finta di cercarlo sotto il tavolo, poi si schermò gli occhi con una mano e lo cercò tra i tavoli. «Leon! Non fare scherzi e torna qui!» Due signori al tavolo vicino si sporsero e Nataa gli sorrise. «Sto cercando Leon, voi lo avete visto?»
Scossero la testa per tornare alle loro consumazioni, Nataa masticò un ‘antipatici’ prima di tornare con lo sguardo sugli occhi divertiti di Leon.
«Ti ho mandato tutto per mail.» Si stiracchiò al sole mentre la donna affondava le mani nella borsa. «Non aprire gli alleg…» Non riuscì ad avvertirla per tempo e nel bar si diffusero urla di donna – che costarono un’occhiata disgustata dai vicini di tavolo – e prima che Nataa riuscisse a richiudere il telefono, Rebecca aveva raggiunto ‘il terzo stadio dell’estasi. ’ Per un istante la donna si soffermò a scrutare il cellulare, chiedendosi quanti stadi potesse raggiungere la recluta. Scosse la testa. «Tu. Ti pare il caso?» La voce fu un filo metallico che lo strozzò.
«Ti chiedevi dove fosse il vecchio Leon. Ecco, era nel tuo cellulare.»
Lo squadrò torva, negli occhi un rimprovero muto, finché non si ritrovò a ridere di gusto e dovette soffocare le risa in una mano. «Mi mancava.» Sussurrò e fu la prima cosa sincera.
«Mancava anche a me.» Sbuffò portando il caffè alle labbra – il gusto sul fondo fu amaro, come ciò che sarebbe restato dal loro incontro. «Lascia, offro io, questo te lo devo.»
«Ho scoperto come farti pagare, dopo tutti questi anni? Metterti in imbarazzo.» Gli accarezzò la guancia.
Le afferrò la mano tra le sue dita per portarla alle labbra e sfiorarla con un bacio. «Io avrei optato per un ristorante di lusso, ma ormai hai scelto uno squallido bar.»
«Il pomeriggio è lungo e il posto ben fornito.» Socchiuse gli occhi al suo tocco, ricordando un tempo che non poteva davvero dimenticare e restando ferita un momento in più.
Portò lo sguardo oltre le spalle di Leon: la ragazzina che stava osservando se n'era andata lasciando il giornale sul tavolino, una generosa mancia e una tazzina di caffè alla nocciola vuota – chissà se un giorno si sarebbe pentita guardando indietro.
Il passato. Quante volte aveva ripercorso i sentieri di ieri cadendo nei suoi errori, ancora e ancora, era la sua debolezza non riuscire ad avere altro che rimpianti. La sua ombra nello sguardo.
«Ti andrebbe di pagarmi la colazione?» Si morse le labbra ritrovando gli occhi di Leon.
L’uomo corrugò la fronte. «Ne sei sicura?»
Nataa si alzò, accostandosi all'uomo. Posò la fronte sulla sua e ne respirò l'odore - mare, sale e guerra - ricordando il passato. Ne sentiva la mancanza. Le dita di Leon scivolarono sullo zigomo, ruvide ma non c'era nulla di più piacevole ne era certa; percorse la linea della mandibola e scese sul collo.
Nataa gli artigliò i capelli con forza e lo portò a sé, ne cercò la bocca e lasciò che fosse il suo sapore a invaderla e trovarla più fragile. «Sì.» Sussurrò ancora sulle sue labbra.

***

Fu pungente l'amaro che si riversò in bocca, un groviglio di ricordi che s'incollò al palato come sangue incancrenito. Ruggine del passato, infettata dagli errori -scelte che hanno distrutto e forgiato- eppure morbida e dolce.
Chiuse gli occhi e reclinò la testa indietro, assecondando il movimento lento delle dita sulla schiena. Fu un tocco ruvido che divorò la pelle: insano, sbagliato, un'infezione che bruciò.
Era sempre stato fuoco il loro cercarsi, non ne uscirono mai illesi da quella guerra che li consumava fuori e dentro le coperte.
Sorrise sulle sue labbra quando le sfuggì un sospiro -lo odierà, lo sa- ma in quel momento si arrese e lo cercò, le mani perse tra i capelli per trovarlo una volta in più e chiamarlo a sé.
Fu aspra la sua bocca serrata sul seno, fece male, ma era di dolore che aveva bisogno per dimenticare se stessa e affogare la solitudine che l'accompagnava.
«Leon» Quel nome fu un suono disarticolato e rubò un gemito all'uomo, che vibrò sulla pelle attraversandola con memorie di ghiaccio.
Rabbrividì. Le unghie stridettero contro il muro, non poteva cedere, non a lui, non al tormento di notti opache come vetri innevati.
La spinse contro la porta, le unghie sui fianchi chiesero un arrendersi a cui non era mai stata disposta, eppure lo seguì e sulle labbra il respiro fu un rantolo di sconfitta.
Una battaglia contro le risate cigolanti dei fantasmi, un sangue che non sporcò.
I polpastrelli di Leon seguirono la memoria di una cicatrice condivisa, una storia solo loro -le urla, il dolore, la morte- che ancora annegava nella notte: un cordolo nuovo percorreva lo zigomo dell’uomo e Nataa lo sfiorò, un racconto che ferì più di una lama perché narrava un'assenza dolorosa.
Le dita corsero a graffiare le cosce.
Respiro contro respiro combatterono il gelo che li avrebbe aggrediti, la lingua lambì la spalla risalendo la linea del collo, solo per soffermarsi a imbrigliare un brivido a cui il corpo si arrese.
«Quanto tempo?» Chiese Leon e non voleva davvero saperlo. Gli bastò perdersi su quelle labbra e in quel sapore che sapeva di buio e mare.
L'illusione di essere completi, irraggiungibili, fu una voglia che si sfaldò tra le dita.
Se ne rense conto Nataa, vissuta nel vuoto che si celava tra il tutto. E lo sapeva Leon, nato nel nulla.
Le mani della donna lo sospinsero via e si ritrovarono naufraghi in una stanza. Il fiato rotto.
«Dobbiamo parlare.»
«Preferivo che la lingua la usassi in altro modo.»
Estrasse la pistola e la puntò contro la fronte dell'uomo.
«Seduto.»
Leon indietreggiò fino a scontrarsi con il bordo del letto su cui ricadde con un tonfo. «Non perdi il vizio di comandare.» Le labbra in un sorriso ironico.
«Sta zitto.» Ringhiò tra i denti mentre rovistava nella borsa alla ricerca di un fascicolo senza perdere di vista l’uomo, trovato, lo lanciò sul letto. «Leggi.»
«Philip Jaeskin. Susan Boates. Vincent Leroy.» L’uomo scorse la lista, le foto, i nomi, i volti. Ripercorse con lo sguardo le parole, imprimendole nella memoria. «E quindi?»
«Hanno creato una squadra per indagare su questi omicidi. Tre membri dell’Ordine morti in circostanze che vogliono mandare un messaggio; credevi non avrebbero aperto un’inchiesta?» Nataa stirò le labbra in una linea sottile.
«Hai pensato subito a me? È gentile da parte tua.»
La donna indicò le foto. «Non prendermi per il culo, Leon.»
«Magari!» Sogghignò e il calcio della pistola lo colpì sulla nuca.
«Lo meritavano.» Asserì Nataa. «Ma devi fermarti, non potrò proteggerti a lungo.»
«Devi fidarti.»
«Non è un problema di fiducia!» Sbottò spazientita. «Si tratta di omicidi e dell’Ordine che ti sta dando la caccia.»
«Ti stai preoccupando per me, Arroway?» Un sorriso sornione gli solcò il volto, morendo nel momento in cui il cane scattò con un click che risuonò nella stanza. «Vuoi giustiziarmi?» Sollevò un sopracciglio. «E dopo, Nataa? Quanti rimpianti avresti quando la notte il mio fantasma verrà a sussurrare al tuo orecchio? Sei troppo debole per questo.»
Le dita della donna si rafforzarono sul calcio. «Ho ordine di uccidere sul posto il colpevole.»
«Fallo. Avanti.» Leon afferrò la canna e la puntò alla propria fronte. «Sii il loro burattino fino in fondo.»
Si ritrasse e lasciò che l’arma ricadesse al suo fianco. «Non lo farò e continuerò a coprirti, ma c’è una cosa che voglio in cambio.»
La risata rauca di Leon rimbombò tra le pareti spoglie del desolante albergo a ore. «Sempre a pretendere qualcosa.» Sputò tra i denti. «E cosa posso fare per te?»
Nataa estrasse una foto, ne ripercorse i contorni con il pollice, la linea degli occhi addolcita in un sorriso, così come le labbra. Leon scorse lo sguardo e percepì l’odore della neve posarsi sulle sue spalle, del lupo che era sempre stato tra loro. Non guardò l’immagine. «Quali sono i tuoi ordini?»
«Trovarla e portarla alla sede centrale per un processo.»
«Una condanna a morte.»
Annuì.
«Vuoi salvarla?»
Annuì di nuovo. Le parole spezzate in gola e negli occhi l’illusione di una fine, già scritta, su una piana innevata di sangue e rancore; lì si sarebbero infrante le maschere per trovare una pelle che non credeva di avere, una colpa incisa nel petto le avrebbe frantumato l’esistenza.
«Sei davvero così ingenua, Arroway, o stai mentendo a te stessa?» La voce roca sembrò riscuotere Nataa dal torpore. «La morte sarà il tuo regalo per lei.»
Ringhiò.
«Ti accompagnerò.»
«Grazie.»
«Avresti potuto solo chiedere e ti avrei seguita lo stesso.»
Scosse la testa e per un istante sembrò tornare una ragazzina rotta.
Leon tese le dita sul suo volto e Nataa poté sentire l’odore del sangue invaderla – mani da guerriero fatte per ferire e non per consolare. «Sarò con te, lo prometto.» Le sfiorò lo zigomo e sorrise al sussulto della donna. «Ti faccio ancora quest’effetto?» Sussurrò cercando le labbra.
Nataa si scostò, la bocca stirata in una smorfia imbarazzata.
«È un no?»
«Rael.» Mormorò a mezza voce mentre si appoggiava contro lo stipite della porta, gli occhi a vagar per la stanza senza trovare il coraggio di soffermarsi sull’uomo, le braccia incrociate sul petto.
Leon reclinò la testa di lato, la fronte aggrottata.
«C’è un’altra persona nella mia vita, Leon.» Alzò lo sguardo al soffitto. «Non avrai creduto ti aspettassi per sempre.»
La bocca socchiusa cercando parole sferzanti per nascondere quel pungolo che l’aveva punto nella testa e nel petto. «Condoglianze a lui. Ha tutto il mio rispetto.» Il tono scanzonato a nascondere la verità – nelle orecchie la voce di Nataa: ‘le persone non cambiano mai. ’
La donna scoppiò a ridere, una risata amara. «Sei ridicolo, nascondi perfino a te stesso la verità.»
«La mia reazione ti dà così fastidio?» sollevò un sopracciglio.
«Avrei voluto vederti reale, almeno nel momento in cui mi hai perso.»
«Tu avresti voluto vedermi soffrire per riscattare il dolore che ti ho fatto patire, nient’altro, Nataa. Sii sincera con te stessa.»
Colpita e affondata. Digrignò i denti e strinse i pugni.
«Se ti aspettavi che mi prostrassi ai tuoi piedi per supplicarti di restare e aspettare, hai sbagliato di brutto.»
Nataa scosse la testa. «Non hai capito nulla, come sempre.» Nella voce una nota di rabbia. «Avrei voluto che per un solo istante ti fosse importato di me.»
Sembrò una ragazzina, gli occhi fissi sull’uomo cercando nel passato un motivo per andare avanti, un’insicurezza che la divorava e a cui non riusciva a sfuggire se non attraverso gesti e parole che nulla significavano davanti alla realtà, Leon l’amava e l’avrebbe sempre fatto. Si alzò di scatto dal letto raggiungendola e portandola a sé, una stretta che molto raccontava di un uomo che non era disposto a chiedere perdono né a tornare sui suoi passi, ma pronto a tenderle una mano e raccoglierla. «Sono felice per te ma mi mancherai.»
Si aggrappò alle spalle dell’uomo affondando il volto nell’incavo dl collo: le dita di Leon s’intrecciarono ai capelli – una dolcezza nuova, il sapore della perdita sulle mani. «Mi mancherai anche tu, dannato idiota.» Si trovò a sorridere e stringerlo più forte. «Ti ho amato, molto.»
«E chi può fare a meno d’amarmi?» Ridacchiò al suo orecchio, non era capace di affrontare i momenti seri se non con una battuta sulle labbra e ingoiando il dolore e le parole. Non riuscì a dirle che l’amore non sarebbe mai finito.
«Cretino.» Berciò Nataa picchiandolo contro il petto e facendolo indietreggiare d’un passo.
Tornò serio il volto di Leon. «Perché non hai chiesto a Rael d’accompagnarti?»
Aggrottò la fronte Nataa e portò lo sguardo oltre le sue spalle, l’uomo scoppiò a ridere perché la conosceva meglio di quanto potesse dire di sé. «Non vuoi sporcarlo con il suo sangue, o non riusciresti più ad avvicinarti. Io, invece, sono sacrificabile.»
«Sono vigliacca.»
«Io direi una -censura- stronza, ma sono punti di vista.» Le sollevò il mento.
«Voglio poter avere una possibilità.»
Rael l’aveva cercata tra le macerie della polvere in cui si era trasformata, attraverso i suoi occhi riusciva a trovare il sole dietro le nubi e il sorriso tra le lacrime. Era un odore simile al suo, in cui riconosceva il suo stesso dolore, ma lui aveva trovato una strada nuova da percorrere e le insegnava a cadere, solo per rialzarsi più forte. Non era amore, perché Nataa non si concedeva il lusso d’aver qualcuno da perdere – troppo aveva lasciato alla vita per permetterle di toglierle altro – ma valeva la pena proteggerlo.
«Sei la solita egoista.» Sorrise Leon sdraiandosi sul letto, gli occhi sul soffitto.
«Mi occuperò dei problemi con l’Ordine.» Non si voltò indietro nell’aprire la porta e scivolare via dalle mani di Leon.
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Re: FanFic Garden

Messaggio da Leonheart88 »

Helena (2/5)


Il jumper si staglia nel buio della notte. Silenzioso scende nel cielo come un rapace si fionda innocente sulla preda. Sorvola ora un grattacielo, sfugge beffardo alle vedette confondendosi tra le nuvole. Nel silenzio più totale un portellone si apre. Due figure fanno capolino nella notte gelida.
Neanche un secondo di esitazione e si lanciano verso l’ignoto. Il Jumper continua la sua corsa anonima e nascosta. Presto è solo un ricordo all’orizzonte.
Precipitano nel vuoto.
Il grattacielo imponente sotto di loro.
Due paracadute si aprono quasi simultaneamente, con un secco strattone la caduta viene interrotta, planano sul terrazzo deserto senza fare rumore. Subito si liberano dai paracadute.
Le armi vengono subito estratte, è una notte senza luna, nessuna lama risplende.
Un gesto concordato e su dirigono verso la porta che dà ai piani inferiori, sul tetto è presente solo una pista per l’atterraggio verticale degli elicotteri, una guardia sbarra loro la strada. Non è un problema per loro due.
Sbadiglia assonnata, non si aspetta che qualcuno possa disturbare il suo turno. Errore fatale, cade nel sonno prima ancora di rendersi conto che sarà licenziato.
Helena dà una pacca sulla spalla al compagno, aver imparato l’incantesimo del sonno dà loro enormi vantaggi per colpire senza essere minimamente sospettati. E pensare che Leon voleva inizialmente usarlo per entrare nelle cucine senza essere scoperto.
Scendono di tre piani, secondo le loro informazioni l’obiettivo si trova in uno degli uffici.
«Non pensavo che realmente si facessero queste cose» Esclama il giovane mercenario.
«Intendi assaltare un ufficio in pieno centro città?»
«No. Liberare donzelle in pericolo! La consideravo una cosa ormai troppo vintage. Più dei tuoi tempi insomma.»
«Al ritorno 500 flessioni, vediamo se fai ancora lo spiritoso» Helena ride. Nonostante la delicatezza della missione non ha perso il buonumore, anzi è convinta che affrontare le cose serenamente aumenti le probabilità di successo.
Certo è che le 500 flessioni gliele farà fare lo stesso però.
L’obiettivo è Rita Lewosky. Figlia del magnate delle industrie aereonatiche Lewosky. Rapita per convincere il padre a cedere il pacchetto di maggioranza ad un’anonima società estera.
Soliti intrighi, classici giochi di potere.
Niente di cui stupirsi insomma.
Ma stavolta qualcosa sarebbe andato per loro storto, una semplice telefonata e la compagnia Kalos era stata ingaggiata.
Seguendo la classica procedura di raccolta informazioni dagli informati e dal pestaggio di affiliati della banda di poco conto, con annesso sequestro temporaneo per evitare che potessero confessare quanto riferito, si era dedotto che la ragazza era tenuta prigioniera in uno degli uffici intestati alla “Silvaross S.P.A”. La società interessata all’acquisizione del pacchetto di maggioranza, anche se il nome di chi gestiva tutti i fili al momento era loro ignoto.
Dovevano concentrarsi solo sulla liberazione dell’ostaggio e null’altro.
Helena Mercier era stata subito scelta per l’incarico. La notevole esperienza in materia la rendeva una candidata ideale.
A sua volta lei aveva scelto Leon come accompagnatore. Si fidava del ragazzo, stava crescendo bene sotto la sua guida. Le sue mosse erano identiche a quelle che avrebbe compiuto lei. E questo era un bene.
Si avvicinarono alla porta dell’ufficio dove in teoria era tenuta prigioniera la ragazza. Non potevano permettersi di usare la forza, non avevano idea del numero di sequestratori dentro. Rischiava di essere un massacro, dove la ragazza sicuramente ci sarebbe rimasta secca.
Bisogna agire di astuzia. Per fortuna che c’è Helena.
«Spostati» Si mette davanti alla porta. Si toglie la tuta, lasciando scoperta una camicia bianca sotto. Il perché ci fosse era per Leon in quel momento un mistero. Bussa.
Nessuna risposta all’interno. Ovviamente.
Helena non si lascia intimidire.
«Mi manda il capo» Sussurra con fare seducente «Ho un regalino per voi» Avvicina le tette allo spioncino.
Leon avrebbe aperto immediatamente.
Un rumore di chiavi che girano nella toppa, la porta che si apre lentamente, lasciando giusto uno spiraglio per fare passare la ragazza.
Helena entra senza esitazioni.
Passano pochi secondi, con Leon vigile e in guardia. All’improvviso si sentono quattro deboli rintocchi alla porta, come un leggero ed impercettibile bussare.
Quattro persone. Helena gli sta dicendo questo.
Leon guarda meglio. La porta non è più chiusa, in qualche modo la ragazza deve essere riuscita a riaprirla senza che nessuno se ne accorgesse.
La apre lentamente. Sono tutti troppo occupati a guardare la camicia volare a terra per degnarlo di uno sguardo. Qualcuno urla di togliersi tutto. Helena ride come se trovasse la cosa divertente.
Precipita nel sonno senza neanche smettere di ridere.
Prima di toccare terra anche un suo compagno fa la stessa fine.
Un uomo sulla quarantina è il primo a reagire. Veloce cerca di prendere la pistola. Il collo si gira in modo innaturale fino a spezzarsi prima ancora che l’arma esca completamente dalla fondina. Lo sguardo di Helena è serio ma senza rimorsi. Si fa quello che si deve fare. Senza rimpianti.
Leon non può far altro che ammirarla.
Veloce si fionda sull’ultima rimasto che, ovviamente, cerca di farsi scudo dietro la ragazza. Non arriva in tempo. Un affondo della Claymore macchia il tappeto e spegne la sua vita.
Helena lo guarda con fare noncurante.
«Se dovessi pagarlo tu il servizio di pulizie stai pur certo che ci andresti più cauto» Si avvicina alla ragazza e la libera. Crolla tra le sue braccia tremando e piangendo. Il capitano restituisce l’abbraccio e le accarezza i capelli per farla sentire al sicuro.
E’ solo un attimo però. Altri soldati possono essere in arrivo.
Corrono velocemente di nuovo verso il tetto.
Helena e Rita davanti.
Leon a chiudere la fila.
Un breve messaggio via codec e sul terrazzo c’è il jumper ad aspettarli. Pochi secondi e sono di nuovo in alto nel cielo.
Missione conclusa.
Il giorno dopo una società dichiarerà il fallimento e verrà perseguita per innumerevoli reati.
Del mandante nessuna traccia.
Leon guarda Helena mentre si sistema i capelli sul jumper. Così brava, così efficiente, così brava ad uccidere. E così bella.
«Leon mi devi dire qualcosa?»
«Per essere vecchia non sei ancora così fuori forma»
«Mille flessioni. E le conterò personalmente»
Questo non può fargli che piacere.
Ultima modifica di Leonheart88 il 05 ott 2014, 13:42, modificato 1 volta in totale.
Leonheart88
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Re: FanFic Garden

Messaggio da Leonheart88 »

Helena (3/5)


Scatta in avanti. Piede destro e mano si muovono simultaneamente cercando l’affondo vincente. Facilmente, Helena schiva il colpo scartando lateralmente. Prova a caricare un tondo con la seconda lama, tutto inutile. Nel tentativo perde l’equilibrio e cade in ginocchio. Helena per tutta risposta gli dà un colpetto in testa.
«Il baricentro era troppo spostato in avanti. Cerca l’equilibrio, sempre»
«Fosse facile» Madido di sudore, Leon si stava rialzando.
«Sei tu che hai deciso di combattere con due lame. Se vuoi avere la possibilità di un secondo colpo non devi mandare tutto a puttane con il primo»
«E come devo fare?»
«Trattieni la forza. Pensa sempre a quello che vuoi fare dopo, se ti lanci senza pensare poi sei svantaggiato»
Leon resiste alla tentazione di rispondere con un “Provaci tu”. Ha ancora ben presente l’allenamento in cui, da sola, la ragazza aveva sconfitto lui e cinque suoi compagni. Brandendo due lame lunghe quasi quanto la Claymore. Quella donna era un mostro, in grado di padroneggiare qualsiasi arma in pochi minuti, di ideare un piano d’attacco privo di difetti in pochissimi secondi.
E in più possedeva un corpo agile e snello. I miracoli della natura.
Leon si rimette in posizione mentre Helena lo guarda compiaciuta, sta per tornare nuovamente all’attacco quando un soldato interrompe l’allenamento.
«Capitano è arrivato un dispaccio per lei dal quartier generale. E’ urgente»
Lo prende e con tranquillità lo apre. Ne legge il breve contenuto senza mostrare il minimo segno di irrequietudine. Finita la missiva ringrazia il soldato e gli dice che non è necessario che porti una risposta.
«Cosa succede?» Si intromette Leon.
«Devo andare al quartier generale a Deling City. Niente di preoccupante» Precisa la ragazza vedendo la faccia decisamente preoccupata del suo subordinato. «Devo semplicemente fare rapporto su alcune missioni, che ci sono state delle incongruenze nei verbali. Succede spesso, la burocrazia finirà per rovinare anche questo lavoro!» Ride. E’ una risata vera, naturale, di quelle che non possono fare a meno di farti sorridere. Di quelle che ti fanno dimenticare all’istante tutti i pensieri. Leon si sente già un po’ meglio.
«Ma quanto dovrai stare via?»
«Paura di combinare casini senza di me?» Gli posa due dita sulla fronte «Boh direi tre quattro giorni al massimo»
Lo sguardo di Leon si incupisce. Come se qualcosa si fosse appena rotto in mille pezzi. Cerca di sminuire la cosa, ma il suo sguardo non incrocia più quello della ragazza «Ma domani è il tuo compleanno»
«Pazienza, tanto non sai manco quanti ne compio. Che ti importa?» Il suo tono è leggero, per alleviare la tensione.
«Venticinque» Improvvisamente si rende conto di come possa apparire sospetta la cosa «No cioè non pensavo che tu potessi essere così vecchia»
«Tu hai solo cinque anni meno di me.» Soppesa per un momento le parole «E quando ritorno ti apro il culo in due. Chiaro??»
Parte due ore dopo senza ovviamente salutare nessuno. Un viaggio di routine, salutare significa dargli importanza. E non ne ha nessuna. Solo tre giorni lontana dalla sua squadra, Null’altro.
Leon non la pensa così. Tre giorni senza di lei, lontano da lei nel giorno del suo compleanno.
Tutto quanto progettato in fumo. Settimane di organizzazione buttate al vento per una stupida lettera. Lancia con forza una delle Claymore nel fango ormai essiccato del campo. Vede la lama entrare con prepotenza nella terra, rimanendo immobile.
Le ore passano velocemente e senza uno scopo preciso. A malapena si accorge che la notte è passata e ora è l’alba. Troppo occupato a pensare a quello che ha perso.
Ci sarà un’altra occasione? Sicuramente sì. Però intimamente sa che questa era perfetta, meravigliosa. Sprecata.
Il giorno è arrivato e lei non c’è.
All’improvviso capisce.
Capisce quanto è idiota, bambino, immaturo ed egoista.
Capisce che stare lì a rimuginare come un cretino non serve a nulla.
Capisce che se vuole qualcosa deve andare a prendersela.
Capisce che vuole ancora di più lei.
Senza riflettere un secondo in più si dirige al deposito veicoli.

E’ sera. Finalmente un’altra giornata noiosa e senza costrutto ha avuto termine. Ore e ore di interminabili discussioni su quanti nemici sono stati eliminati, quanto praticare di sconto a clienti che sono rimasti feriti in scontri a fuoco. Su quante e quali munizioni fornire alla truppe in prima linea.
La burocrazia stava vincendo nettamente. Stava per dirlo ad alta voce ma si rese conto che non c’era nessuno pronto ad ascoltare. Leon era al momento distante centinaia di chilometri. Improvvisamente si rese conto di quanto potesse mancargli.
Odiava quello stereotipo. Lo riteneva stupido. “Ti rendi conto di quanto tieni a qualcosa solo quando la perdi”. Pensava che a lei non potesse succedere, si riteneva intelligente e dotata di raziocinio. Perfettamente in grado di capire quali fossero le cose importanti della sua vita.
Certo sapeva che Leon era importante. Ma non sospettava minimamente lo fosse fino a quel punto. Da far male, da sentire il cuore stretto in una morsa.
Per la prima volta si sentiva veramente donna. E di conseguenza veramente stupida.
Sale sul tetto del grattacielo in cui alloggia, una sua vecchia abitudine di cui pochi erano a conoscenza. Aveva bisogno di stare a contatto con l’aria fredda della sera per dimenticare tutti gli affanni della giornata e riuscire ad andare avanti tranquillamente. Sempre col sorriso sulle labbra.
L’aria fredda le sferza il viso. Era come un gelido e dolce abbraccio, si abbandona ad essa come se fosse una vecchia amica. Sta bene, per un momento tutti i pensieri smettono di attanagliarla. E’ in pace. Il rumore di un jumper in avvicinamento le arriva all’orecchio. Solo frutto della sua immaginazione. O almeno così inizialmente crede.
Il rumore cresce di intensità. Tanto da costringerla ad aprire gli occhi. Pochi secondi e può vederne la sagoma che si staglia all’orizzonte. Lo riconosce. E’ uno del suo reggimento. Cosa succede? Problemi talmente gravi da costringerli a venirsela a riprendere.
Il pilota atterrà di fianco a lei, è una manovra dolce e precisa. Ogni pilota ha una propria identità, un proprio modo di volare. Non riesce a capire a quale corrisponda quello che ha davanti.
Il portellone si apre e non scende nessuno, improvvisamente si ricorda il suo arrivo al campo e scoppia a ridere.
Leon emerge dalla cabina di pilotaggio.
«Sali»
«Non so cosa sia meglio chiederti per primo: da quando sai guidare?? Che diavolo ci fai qua?? Da quando dai ordini ad un superiore??»
«Helena. Sali»
Non risponde. Si limita a salire.
Non parlano per tutto il viaggio, Leon muove con destrezza la cloche come se pilotasse da anni, un dono probabilmente, guida la navicella fino alle colline montuose vicino Timber. Atterra con la leggerezza che lo ha contraddistinto prima.
Il portellone si apre ed Helena non riesce a credere ai suoi occhi. Nel mezzo del nulla è stato predisposto un tavolino pieghevole, con sopra portate di diversa natura. Con in mezzo una candela. Leon si avvicina e la accende.
«Scusa, questa non mi fidavo a prepararla prima»
«Hai preparato tutto questo per me?» Sorride. Non con la bocca. Con gli occhi.
«Si»
«Perché?»
«Buon compleanno»
«Perché?»
Leon sbuffa. Voleva tenersi il discorso per la fine, dopo aver consumato le fragole con il cioccolato fuso, che per inciso sono afrodisiache, ma vede che non può rimandare.
«Tu mi piaci. E penso sia palese a tutti. Non mi interessa quanti anni hai. Il lavoro che fai. Il fatto che potremo saltare in aria da un momento all’altro. Tu mi piaci. E volevo fare qualcosa per te. Una volta tanto»
Helena non risponde. Il tempo delle parole è finito.
Lo tira a sé, sente il calore della sua pelle sul viso, il sapore delle sua labbra pervade il corpo. Le mani artigliano la sua schiena.
Non lo lascerà più andare.
Mai più.
Ultima modifica di Leonheart88 il 05 ott 2014, 13:42, modificato 1 volta in totale.
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Re: FanFic Garden

Messaggio da Leonheart88 »

Helena (4/5)

Sbuca all’improvviso a metà del lungo corridoio che stanno percorrendo. In mano un fucile, e tanta voglia di usarlo.
Spara.
«Scansati!» La sua voce viene però preceduta da un suo stesso movimento. Con una mano spinge lateralmente Leon, che così evita il colpo mortale. Con l’altra mette mano alla pistola. Il soldato così come all’improvviso è arrivato, all’improvviso cade al suolo.
L’ennesimo di quell’inferno.
«Grazie» Dice Leon ad una inesistente Helena, ormai andata avanti per raggiungere i primi soldati del plotone. Le parole si perdono nel vuoto, confuse tra le urla, il rumore dei passi e della vita che si spegne,
Da un corridoio si passa velocemente ad un altro, si prendono le scale in fondo fino a scendere al pianterreno. Sempre in formazione compatta, chiunque ne fuoriesca è da considerarsi perduto.
L’unica che si muove incessantemente è Helena. Un momento è in prima linea ad aiutare i suoi soldati ad individuare i nemici, un istante dopo è in mezzo al gruppo per dettare gli ordini, che tutti ascoltano ed eseguono alla lettera, poi all’improvviso la si rivede in fondo che aiuta i feriti a camminare.
Un’istante dopo è di nuovo in testa.
Leon la guarda passare e più volte tenta di mettersi al suo fianco, ogni volta la ragazza scarta un attimo prima di incrociarlo. Impedendogli di affiancarla. Alla fine ci rinuncia.
Helena prende la ricetrasmittente «Obiettivo catturato, portateci via»
Adam Kastner. Presunto mandante di molti omicidi e rapimenti, sospettato di voler controllare tutta la zona Ovest del continente di Galbadia. Sospettato anche del rapimento di Rita Lewosky. Una vecchia conoscenza di Kalos insomma.
E’ al centro del gruppo, mani legate e cappuccio in testa. Nonostante tutto attira più uomini che mosche con il miele.
Arrivano nella sala d’ingresso, una stanza circolare contornata da alte colonne di marmo. Sembra tutto deserto. L’uscita è proprio di fronte a loro, ma non è così semplice. I nemici compaiono come se potessero materializzarsi all’improvviso. Da ogni colonna, ogni anfratto, ogni rientranza, sbucano mercenari. Sono sicuramente più di loro. Bisogna vedere quanto sono preparati.
Il gruppo resta per un secondo immobile, troppo occupato a rendersi conto della sovrastante superiorità numerica dei nemici. Non si arrenderanno certo, ma combatteranno con la certezza di essere sconfitti. E non c’è niente di peggio.
E’ allora che Helena lo sorprende. Arriva al suo fianco, gli sussurra in un orecchio «Andiamo».
Scattano in avanti, sorpassando tutti gli altri soldati. Sono l’avanguardia, coloro che stimolano gli altri a combattere e a dare il meglio.
Due soldati cadono a terra addormentati prima ancora di rendersene conto. Un terzo, più audace, prova ad andare loro incontro. Cade a terra con il ventre squarciato, prova che Helena non ha proprio voglia di andare per il sottile.
Sanno di poter resistere massimo un minuto senza che nessuno gli dia una mano. Ma devono dare un esempio. Infondere speranza di vincere ai propri compagni.
Schiena contro schiena.
Due avversari si parano davanti a Leon, il fendente del primo viene deviato dalla punta di una Claymore. Il tondo del secondo, parato. Ogni lama si muove come avesse una vita propria, indipendente dal resto. Scattano entrambe fulminee per approfittare della guardia abbassata. Due affondi e due vite crollano a terra. Un urlo. «Abbassati!» Leon china la testa un attimo prima che una lama colpisca l’aria sopra di lui. Incrocia la mano di Helena per un istante. La ragazza devia l’ennesimo fendente con il Gunblade, per poi affondare con la Claymore. La ripassa a Leon senza una parola, tutto coordinato.
Sono circondati, l’attenzione della maggior parte dei nemici è ora rivolta verso di loro. Errore fatale. Kalos non attendeva altro. Si lanciano all’attacco senza nessuna esitazione, ora sanno di vincere. Ed è questo quello che conta davvero.
Pochi minuti e la resistenza cessa. Neanche il tempo di riprendere fiato, sorreggono i propri feriti e corrono fuori. Un furgone blindato li attende poco distante. Salgono e fuggono. Obiettivo raggiunto.
Leon fa per salutare Helena, farle i complimenti per la decisione e dirle tutto quello che prova.
Nuovamente troppo tardi. La ragazza ha già raggiunto l’autista.

Arrivano al campo base.
Subito corre fuori per predisporre la sicurezza del campo e l’immediato invio del prigioniero alla sede centrale. Pochi istanti e non la vede più.
Ormai è più di una settimana che questo comportamento prosegue. Zero rapporti durante tutta la giornata. Motivati con la scusa di impegni e problemi vari. L’unico momento in cui riesce a stare a contatto con lei è durante le missioni, almeno si fida ancora di lui come guerriero. Perché come fidanzato ormai probabilmente non più.
Leon sa che la fine è vicina, e non può darle torto. cxxxo lei è Helena. Eccellente in qualunque campo, una guerriera sopraffina, una donna bellissima, una stratega di prima categoria, sempre con la battuta pronta ed il sorriso sulle labbra.
Lui è solo un ragazzino non troppo cresciuto con tante aspettative e poca esperienza.
Però così non si può andare avanti.
Aspetta che finisca i suoi doveri e la anticipa nella sua tenda, il ricordo di tanti bei momenti passati assieme lo assale, ma non è il momento. Ora deve farsi lasciare definitivamente.
Quando Helena lo vede rimane per un momento sorpresa, subito si ricompone. «Leon scusa sono molto stanca. Stasera vorrei essere lasciata sola»
«Dobbiamo parlare»
In fondo se lo aspettava, sapeva che la sua fuga non poteva durare in eterno, si chiedeva solo quando Leon sarebbe intervenuto. Sorrise.
«Cosa vuoi dirmi?»
«Beh intanto che sei una stronza. E poi del fatto che non mi calcoli minimamente da dieci giorni»
«Ho avuto da fare e lo sai»
«Hai sempre avuto da fare. Ma non hai mai tolto tempo a noi. Trovane un’altra»
«Leon.» Il tono era molto più dolce di quanti entrambi si aspettassero «Sei solo un ragazzo»
«Lo so benissimo. E so che ci sono mille motivi per cui potresti mollarmi legittimamente. Ma merito di saperli.»
Helena si morse il labbro, era solita fare così nelle situazioni di nervosismo, quando non sapeva che fare. Pochissime volte l’aveva vista così.
«Non dovrei stare con te. E’ un errore»
«Stai sottolineando l’ovvio. E’ un errore che sapevamo benissimo di compiere dalla prima volta che ci siamo baciati»
«Ti faccio del male» Sembra trattenere a stento le lacrime, la situazione è paradossale.
«Punto di vista interessante. Ma non sono cazzi tuoi.» La guarda fisso negli occhi. «Helena Mercier. Io ti amo»
Era troppo.
«Leon. Sono incinta. E’ tuo»

Secondi di silenzio che sembrano anni.
Helena lo guarda, convinta di vederlo arretrare e cercare una via di fuga, da animale selvatico qual è.
Leon l’abbraccia. La solleva delicatamente da terra.
«Ci sono» Questo basta e avanza.
Leonheart88
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Re: FanFic Garden

Messaggio da Leonheart88 »

Helena (5/5)
I giorni passano velocemente, in un tripudio di felicità ed emozione. Sta per diventare padre. La guerra intorno, la morte, la desolazione passano in secondo piano rispetto alla sua felicità. Magari è ipocrisia ma sinceramente non gli interessa.
Quando guarda Helena tutto il resto scompare, sono passati ormai sei mesi da quella fatidica sera. La sua vita era cambiata. Sicuramente in meglio.
La ragazza aveva ormai lasciato momentaneamente il servizio attivo, con quel pancione sporgente non era più sicuro lanciarsi da un aereo in mezzo al campo nemico. Non era sicuro neanche prima ma vabbè sono dettagli.
Leon era di conseguenza stato promosso ad interim come capo divisione del suo reggimento, sebbene ci fossero commilitoni più anziani e maggiormente esperti era stato da tutti ritenuto l'uomo giusto.
Il fatto che andasse a letto col capo e che Helena li avesse intimiditi uno per uno era solo un particolare per nulla rilevante. Leon era oggettivamente un bravo leader. Non era Helena ma nessuno poteva essere come lei. Preferiva però avere sempre qualcuno sopra di lui, un responsabile, lui era un ottimo braccio destro. La parte pratica e concreta di un corpo ben organizzato, come cervello preferiva ci fosse qualcun altro.
Il jumper atterra in mezzo al campo senza un rumore, subito Leon scende senza aspettare il resto dei suoi uomini, si dirige verso la sua tenda dove c'è una donna ad aspettarlo. Nonostante il parere di praticamente tutto l'universo dei dottori, Helena aveva deciso di rimanere al campo, al fianco di Leon e di tutti i suoi uomini. Quella era la sua casa e non se ne sarebbe andata con tanta leggerezza. La ragazza lo vede e sorride alla sua vista, è una risata che viene dal profondo, che solleva il morale a tutti. Neanche i frequenti conati di vomito riescono a rovinare tali sensazioni.
La stringe forte a sè, non troppo per non fare danni, e la bacia. Il classico clichè: pochi istanti che sembrano l'eternità. Helena si stacca.
«Come è andata oggi?»
«Solite cose, assalto ad una base nemica. Un pò di morti... ah si questa te la devo raccontare! Un cretino ha provato a lanciarsi contro di noi a cavallo di un Grendell, l'animale a metà strada ha deciso che non voleva più essere cavalcato e lo ha tagliato in due con la coda. Siglier è scoppiato a ridere e a momenti se la faceva nella mutande!»
Helena sorride. Brutalità che normalmente farebbero raccapricciare chiunque per loro sono più che normali. Non sono uomini, sono mercenari. E la differenza è davvero tanta.
«Entra, ti devo parlare riguardo ad una lettera che mi è arrivata oggi»

---------------------

«Non se ne parla!» La voce di Leon è carica d'ira, di rabbia repressa che ancora per poco sarà tenuta dentro.
«Si tratta solo di una missione facile» Cerca di farlo ragionare. «Dobbiamo solo trasportare del materiale edilizio da Winhill a Deling City, chi vuoi che faccia qualcosa? E' noioso solo a parlarne!»
Non si fida. Fosse per lui Helena starebbe in una camera isolata, con muri spessi un metro, e con all'interno un centinaio di cuscini, altro che campo di battaglia.
«Perchè proprio tu?»
«Con questa raggiungo il livello massimo di missioni fatte in un anno. Tradotto un bel di soldi in più. Che sicuramente non fanno male»Sottilinea l'ultima frase massagiandosi la pancia.
Leon cede. Sapeva di arrendersi prima ancora che Helena parlasse. Con lei è così, quando decide una cosa difficilmente cambia idea. Solitamente però ha sempre ragione.
«D'accordo. Ma comando io, tu considerati un ospite. E viaggerai su un camion»
«Ai suoi ordini Comandante!» La donna si mette sull'attenti portando la mano alla tempia unendo le gambe.
«vaffxxxxx»

Tutto procede senza problemi, il carico viene preso in consegna a Winhill senza alcun problema di sorta. Veloce, la spedizione, si incammina verso a meta.
«Dovremmo metterci un paio di giorni al massimo, peccato non poter usare i jumper. Solo questi stupidi camion» Si lamenta Leon bevendo l'ennesima borraccia, passare dal deserto purtroppo accorcia i tempi.
Helena gli arriva al fianco, guidare uno dei mezzi ha i suoi vantaggi. Lo abbraccia e posa la testa sulla sua spalla, abbandonandosi completamente.
«Leon andiamocene»
«Helena se non te ne sei accorta sto guidando!»
«Intendo finita questa missione. Tu e io»
«Una vacanza noi tre?» Leon si immagina in riva al mare, a prendere il sole e a fare castelli di sabbia. Come una vera famiglia.
«Per sempre. Via dalla guerra, via da tutto. Solo noi tre, una vita normale»
Leon la guarda, ha gli occhi umidi. Sorride, le dirrà di si. Che non vuole altro che una vita con lei. Che tutto il resto si fotta.

BAAM
Il rumore li coglie impreparati, pochi istanti e capiscono a cosa corrisponda. Una -censura- mina anticarro. Vedono infatti il mezzo di fianco a loro fare una giravolta a mezz'aria per poi esplodere ricadendo al suolo.
«STOP! STOP!» Urla Leon alla ricetrasmittente. «Compattiamo i veicoli, quelli più avanti tornino indietro seguendo le proprie orme. Fuoco su qualunque cosa si muova»
Le ruote iniziano a muoversi lentamente, troppo. Da sopra una delle colline spunta un Bazooka, prima che Helena sporgendosi dal finestrino riesca a farlo fuori, fa fuoco.
Un altro camion implode, le lamiere arroventate si accartocciano su loro stesse in uno spettacolo grottesco. Le grida degli occupanti vengono sommersi dal rumore delle fiamme e delle esplosioni.
Prima che riescano ad organizzarsi partono all'attacco. Centinaia di soldati corrono loro incontro, sembrano sbucare da ogni roccia, da ogni anfratto. Vomitati dalla terra stessa.
Helena scende di scatto, subito seguita da Leon.
«Che cxxxo stai facendo?» La prende per un braccio, subito però lei si libera.
«Vado ad aiutare i miei uomini» Prima che possa interromperla aggiunge «Morire per morire almeno lo faccio in prima linea, non è che se resto sul camion avremo salva la vita»
Lo sa. Non risponde. La prende per un braccio e insieme corrono verso il fronte nemico. Insieme ancora una volta.
«Attacchiamo. Se aspettiamo abbiamo già perso!»
Il fiume cambia direzione. Guidati da una lucida follia i soldati seguono i propri due leader. Fino all'impatto.
Helena si lancia a testa bassa, Leon devia con le Claymore i proiettili che altrimenti risulterebbero fatali. A rapide falcate riducono la distanza che li separa dai nemici. Ad un certo punto i proiettili non servono più, una lama insanguinata ti giustizia senza pietà.
Il soldato mira verso Helena, impegnata a trapassare con il gunblade un nemico troppo audace, sta per premere il grilletto. La mano cade a terra con un tonfo sordo. Fiotti di sangue schizzano da dove una volta c'era il polso. Cade a terra urlando, un attimo dopo la testa rotola al suo fianco. Leon para con la seconda Clayomere un fendente, un Morfeo e il nemico si addormenta, prima di passare al sonno eterno con il ventre squarciato.
Helena è in difficoltà, i suoi movimenti sono rallentati dalla gravidanza, il desiderio di vomitare anche l'anima è sempre più forte. Un Haste facilità i movimenti ma non risolve il problema.
Leon corre per aiutarla, schiena contro schiena ancora. Insieme ce la possono fare.
Li ha nel mirino del fucile, la testa di lui è proprio al centro. Chiude l'occhio sinistro per sparare. La canna brilla alla luce del sole. Ed è questo a fotterlo. Helena vede il luccichio e spara con il revolver quasi alla cieca. Lo becca in fronte. Il soldato muore ucciso da una ragazza che neanche lo ha visto.
Come in un bacio. I secondi sembrano ore. Kalos è più organizzato e sta progressivamente respingendo l'attacco, seppur con innumerevoli e pesanti perdite.
Colui che doveva essere il padrino del futuro bambino cade a terra davanti a loro, il cranio trapassato da un proiettile, non c'è tempo per piangerlo. Solo per combatterlo e possibilmente vendicarlo. L'orda inizia a scemare. Forse hanno vinto.
Ma loro due, coloro che hanno vanificato le speranze di vittoria degli aggressori, non possono restare impuniti. Una granata vola verso di loro. L'ultimo gesto del capo morente.


La vedo.
Vola verso di noi e non posso fare nulla per impedirlo, in un istante capisco esattamente quello che succederà. Moriremo qui e ora. Senza futuro.
No.
Le mie gambe si muovono da sole, l'istinto mi salva ancora una volta, vedo Leon combattere contro l'ennesimo nemico. Con una spinta lo allontano.
Mi giro per controllare e capisco che non c'è più tempo.
Il mio corpo si butta sopra di lui senza che io debba neanche pensarlo. Cerco di proteggerlo al meglio.
E poi lo scoppio, sento i timpani come se dovessero esplodere. Le carni bruciare, le ossa polverizzarsi.
Infine non sento più niente.
Guardo il cielo azzurro come se non fossi più io.
Delle braccia mi alzano da terra e mi portano dentro uno dei camion rimasti. Delle voci mi urlano di non mollare ma sono tanto distanti! Giurerei che qualcuno sta piangendo vicino al mio corpo. Ma io non posso controllarlo.
Mi lascio andare e sprofondo nel buio.


Lentamente la vede riprendere conoscenza. Gli occhi che ad intermittenza si aprono, le mani scosse da un irrefrenabile tremito. La vede riprendersi.
E' stanco, sono giorni che non dorme, troppo occupato nel vegliarla, ma non è importante. Era essenziale che lui fosse li al momento del risveglio. E' felice, per quanto può davvero esserlo in quel momento.
«S-sono in ospedale?» Si rende conto dei tubi a cui è attaccata e delle sbarre che ne impediscono la caduta.
«Si. Sei rimasta in coma quattro giorni. Ho provato a svegliarti con un bacio ma non ha funzionato»
Helena sorride, è esausta però sa di essere viva per miracolo. «La prossima volta mi cercherò un vero principe» Inizia a muoversi per riprendere contatto con il proprio corpo «Almeno non mi hai trasformato in un ranocch..»Si interrompe di scatto, capisci che c'è qualcosa che non va e cosa. «Leon. Sono paralizzata dalla vita in giù vero?»
Lo chiede tranquillamente, il ragazzo sa che con lei non servono bugie o modi per indorare la pillola. Farà tutto male. Ma bisogna farlo. «Si.» Fa un profondo respiro «Hai una lesione alla colonna vertebrale, con frattura di una vertebra. I medici hanno davvero fatto il possibile, ma non potrai mai più camminare.»
Helena resta in silenzio. Leon aspetta, aspetta la domanda più terribile di tutte. Quella in cui davvero non saprà come rispondere. E poi arriva.
Si porta una mano sulla pancia, il rigonfiamento è svanito. «Il bambino?» Non dice nient'altro.
Attimi di silenzio che fanno capire a Helena la verità. Gli risponde, le deve almeno la verità, detta in faccia non per sottintesi.
«L'esplosione. Hai avuto un aborto prima ancora di arrivare in ospedale, hanno provato a farti un cesareo d'urgenza ma era già morto» In quel momento sente i punti attraversarle l'addome. In un singolo istante ha perso tutto.
Restano in silenzio per la mezz'ora successiva. Mano nella mano, con Helena che guarda distrattamente fuori dalla finestra, come se fosse realmente interessata al panorama.
Poi ad un certo punto succede.
«Forse è meglio che ora vai»
Leon la guarda e sorride. «D'accordo torno domani»
«No. Non tornare»
Non sorride più. «Perchè?»
«Meglio che fra noi finisca qui e ora»
«Io ti amo. Ti voglio stare accanto, la supereremo assieme. Le stringe la mano ancora più forte.»
«Leon.» La sua voce è poco più di un sussurro «Sono spezzata. Dentro e fuori. Io ti amo ma con te accanto nessuno dei due riuscirà mai ad andare avanti e a farsi una vita vera. Ogni giorno recrimineremmo su quello che abbiamo perso. E arriveremmo ad odiarci. Io non voglio odiarti. Voglio ancora avere una vita» Soffoca un singhiozzo.
Non risponde. E' impossibile farle cambiare opinione, e Helena ha sempre ragione. Si limita ad avvicinarsi a lei. La bacia in fronte, un addio umido di lacrime che sembra durare un eternità.
Non servono altre parole. Interminabili discorsi che non portano a niente. Con una frase è già stato deciso e detto tutto. Si gira ed esce dalla stanza.
Prova a soffocarsi con il cuscino, le lacrime scendono ora copiose. Finalmente dà sfogo a tutto quello che sente. Urla. E' un urlo disperato, rabbioso, di odio e di paura.
Piange fino a prosciugarsi fino ad addormentarsi esausta e morta dentro. Dovrà riniziare da capo. Da domani reinizierà a farsi forza, ora è solo una donna che ha perso un figlio e che domani dovrà comprare una sedia a rotelle. Nessuno la disturba, controllano ogni tanto dal vetro della porta. L'ultimo gesto di Leon è stato chiedere a tutto il reparto di lasciarla in pace. Di non intervenire.
Leon butta nel secchio all'uscita una rosa rossa. Dentro c'era un anello.

Il giorno dopo si dimette da Kalos.
Due settimane dopo apprende che Helena è uscita dall'ospedale, e che anche lei ha rassegnato le dimissioni. Si trattiene dall'andare a cercarla. Forse prima o poi l'avrebbe reincontrata.
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Recks
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Il Garden secondo E.L. James.

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Spoiler
Premesso che il film non l'ho visto, per scrivere questo spunto mi sono rifatto a varie recensioni su Youtube.

NB: Nei momenti in cui Pip pensa, immaginate la sua voce come una fuori campo.
* Crazy in love *
Non ce la faccio. Sono troppo agitato.
Gocce di sudore coprono la mia fronte.
Nascono, per poi scendere attraverso la divisa.
Le mie ascelle diventano il Tigri e l'Eufrate.
Forse è così che cominciano tutte le storie d'amore.
...
...
No, non dal sudore dalle ascelle, idioti.
Dalla tensione. Dall'agitazione.

"Ohoh, ohoh, ohoh no-no-no
Ohoh, ohoh, ohoh no-no-no
Ohoh, ohoh, ohoh no-no-no"


Lo so, lo so. E' solo una semplice intervista per il giornale del Garden di Balamb. Eppure, le voci che ho sentito su di lui, mi fanno preoccupare. Mi mordo il labbro, in preda all'agitazione. Lo mordo così tanto che la segretaria della presidenza del Garden di Rinoa crede che ci stia provando con lei. D'altronde, il modo con cui lo faccio potrebbe attrarre chiunque.

Rina: pippino! Dopo tutto questo tempo! Sì pippino, sono tutta tua. Prendimi ADESSO, su questa scrivania.
Pip: no, Rina, c'è un malinteso.
Rina: no, dai, ti prego. Prendimi. Plis. Sono a rischio d'estinzione.
Pip: niente da fare, spiacente. Posso entrare in ufficio?
Rina: umph. Sì.
Pip: allora entro. A dopo.

La mano sul pomello della porta. Da quel momento in poi, la mia vita sarebbe cambiata.
Sono un bagno di sudore. Forse dovrei ritornare nella mia stanza e cambiarmi.
Mi mordo il labbro.

"Pip non morderti il labbro!
Datti un contegno. Adesso entra e fai quella dannata intervista"

Un lungo respiro. Poi entrai in presidenza.

"My baby, I'm not myself lately.
I'm foolish, I don't do this.
Looking so crazy in love
Got me looking, got looking
so crazy in love."


Rina: sarebbe più facile far diventare Filippo etero. Maledetto Pippino. Maledetto.
* * *
La biblioteca, ormai inutilizzata da tutti ("Se hai i super mega poteri, a che cavolo ti serve l'istruzione?!?!"), era stata demolita e, al suo posto, era stato costruito un piccolo cinema. Una cinquantina di poltrone riempivano gran parte dello spazio. Nel posto in cui si trovava la scrivania della bibliotecaria, lì era stato inserito il video proiettore. Sul muro diametralmente opposto veniva riprodotta la pellicola. Il film del giorno aveva attratto un elevato bacino di utenza. Partendo dalle file più in fondo si poteva notare Siegmeyer, che, sotto la Soul of Paine, utilizzava una pistola spara Pop-Corn contro tutti gli astanti, impedendo loro di godere appieno del film in riproduzione. Qualche fila più in là, si trovava Calien, che su un diario di Violetta scriveva, con una penna che poteva aver preso in prestito da Otta (oppure da Rayearth, nessuno poteva dirlo), le sue opinioni riguardo al film. Oushi la osservava, curiosa.

Oushi: ma che c***o stai facendo Calien? Hai pippato di nuovo la lettiera del Chocobo?
Calien: no, sto facendo un esperimento scientifico. Sto cercando di mettermi nei panni dello spettatore medio di questo film, per capire come abbia fatto una pellicola del genere a fare successo.
Oushi: che, tradotto per i plebei, significa: "mi metto nei panni della bimbominkia con chiari problemi con l'altro sesso, cercando di capire come facciano vedere certe decerebrate a vedere il modello di uomo perfetto nel protagonista".
Calien: a dire il vero ho sentito che anche uomini sono andati a vederlo.
Oushi: saranno andati a prendere appunti. Oppure hanno anche loro problemi. In ogni caso, non me ne frega nulla. Calien, so che sotto sotto tu fumi roba pesante. Perciò ti chiedo... mi dai una sigaretta?
Calien: a dire il vero, qui non si può fumare. E' un luogo pubblico.
Oushi: d'altronde, le bambine come te possono vedere queste cose per grandi. Se vuoi chiamo Stray.
Calien: umph. D'accordo. Tieni.

Andando più avanti tra i posti, si poteva trovare una Dea di nostra conoscenza. Vicino a lei si trovava Alex, letteralmente incatenata alla poltrona, con tanto di bavaglio alla bocca. "Così potremo divertirci insieme a vedere il film" aveva detto Rina ad Alex, dopo averle lanciato una gemma Stop. Un colpo davvero basso.

Rina: soulmate, ma mi hai visto? Sono o non sono una brava attrice? Eh? Eh? EEEEEH?
Alex: fjfkehufhrfurhujjj
Rina: non ho capito, Cicci!
Homura: volpe del deserto, finchè le tieni il bavaglio in bocca dubito possa capirla.
Rina: ah, già! Aspetta che glielo tolgo.

Alex: ti prego Robert, UCCIDIMI. Fallo per l'odio che provi per qualunque essere che respiri.
Homura: mi chiamo Homura, idiota. Possibile che tutti sbaglino?
Rina: Best, cosa ne pensi del film?
Alex: mi fa CAGARE. Preferirei fare qualsiasi altra cosa in questo momento, piuttosto che vedere una roba del genere!
Leon: io sono sempre disponibile per un bel limone dure!
Alex: guarda, piuttosto mi ci pianto il basilico. E comunque, non credevo vedessi film per ragazzine!
Homura: burnt.
Alex: no, sul serio, perchè sei qui?


* * *
Drizzt: perchè sei qui?


Pip: sono qui per una semplice intervista per il Garden di Balamb. Solo un paio di domande, sono sicuro che non ci metteremo molto.
("Chissà se è così anche nella vita vera" si poteva sentire la voce di Niamh che gridava contro la pellicola. La voce della verità. Tutti nel cinema pensavano a quella domanda, persino Calien).
Drizzt: d'accordo. Però veloce, che ho molte pratiche da fare qui.

Dritto al punto.
Quando sarei tornato dalla mia amica del cuore Aura, le avrei sicuramente detto che lui era: intenso, intelligente, forse un po' gaio.
Anzi, chi prendo in giro?
SICURAMENTE gaio.
Da una scala da 0 a 10, avrei detto Filippo.
Mi mordo il labbro.

"Baby you are making a fool of me."


Pip: qual è la sua giornata tipo?
Drizzt: beh, mi sveglio, raggiungo la presidenza e poi compilo delle scartoffie. Dopodichè mi consulto con i vari responsabili presenti al Garden e decidiamo i compiti del giorno. Il resto poi dipende dalla giornata. Spesso la vita qui è molto caotica, come in ogni Garden, del resto. Quel che è certo è che la sera la riservo per me. Adoro viziarmi con qualche piccolo piacere. (si morde un labbro) Sai, tutti abbiamo qualche piacere da soddisfare, no?

In quel momento, Drizzt accavallò le gambe con una posa che esprimeva al meglio la sua mascolinità. Deglutii per mandar giù il rospo in gola che mi si era formato per l'emozione.

Ci dovevo provare.
Volevo essere suo.
Dovevo solo capire una cosa.

Pip: tutti i giornali internazionali parlano di come lei sia sempre stato visto da solo, senza nessuna donna. Lei per caso... è gay?

* * *
Una grossa risata coprì qualsiasi rumore nella sala cinematografica. Era Matt, che dopo aver sentito quella domanda aveva avuto una crisi isterica dovuta al troppo riso. In seguito a tale crisi, Matt si era trasformato in Dark Bahamut e aveva cominciato a mangiare le poltrone libere intorno a sè. Cogliendo l'occasione, Siegmayer era salito in groppa e gridava: "VOLA FUFFI!"

La situazione stava rapidamente degenerando, così come il film.
Per fortuna qualcuno era intervenuto con un Morfeo.

Leon: è un film che aspettavo da ANNI! Non rompete le palle! Il prossimo che parla lo trafiggo con le Claymore!
Alex: DAFUQ?
Leon: divinità ultraterrene, mi appello a voi. Yevon, Spongebob e E.L. James, fate sì che questo film prosegua senza che altri rompiballe intervengano con i loro commenti!

E fu così che Leon tornò al suo posto. Anche le poltrone adiacenti erano occupate dai suoi migliori amici. 50 Sfumature di grigio, nero e rosso. Era l'unica compagnia di cui aveva bisogno in quel momento.

Recks: e io che credevo di essere quello più a disagio in questo Garden.



* * *
Drizzt: credo non ci sia bisogno di rispondere a questa domanda. Ho sempre mantenuto segreta la mia vita personale perchè non è affar di nessuno se non mio. Ognuno può pensare come vuole e giungere a conclusioni da solo. Tu per esempio, come credi risponderei?
Pip: eh...

Tentennavo.
Quella domanda era troppo diretta. Bastava solo una parola sbagliata e lui mi avrebbe cacciato dalla presidenza.
Che fare?

Pip: sinceramente, non saprei. Ho sempre cercato di capire le cose da solo ma spesso sbaglio. Mi faccio prendere dall'agitazione, dallo stress e per questo faccio errori. Insomma, mi guardi! Sono sicuro che lei non ha mai visto un giornalista come me. Guardi quanto sto sudando ora per questa intervista.
Drizzt:io la guardo. Ma non vedo ciò che lei dice.

Il modo in cui mi stava guardando mi imbarazzava. Il suo sguardo era così penetrante che non riuscivo a staccare i miei occhi dai suoi. Non sapevo più cosa dire, attratto dal suo sguardo magnetico.

Quel momento di imbarazzo per fortuna fu spezzato dall'ingresso di Rina nella stanza. Era visibilmente preoccupata. Sicuramente non per il fatto che da lì a poco Pip e Drizzt sarebbero arrivati alla scena Clou.

Rina: Drizzt, c'è stata una fuga di gas tossici. Deve andare a sedare Siegmayer. Si è messo a correre per il Garden, vestito con qualche straccio credendo di essere sull'Isola dei famosi. Continua a dire: "Itagliani! Votatemi!". La prego, faccia presto.
Drizzt: non ora, sono ancora impegnato... in questa piacevole intervista. Manda Egil.
Rina: Egil è con lui, anche lui è vittima dei gas. Dice che sono entrambi al televoto. Lancia estintori credendo siano noci di cocco da cui estrarre il succo.
Drizzt: e allora manda Raiden oppure Elza.
Rina: negativo. Raiden si crede Alfonso Signorini. Elza invece Mara Venier. Stanno facendo gara a chi è più femminile. Al momento sta vicendo Raiden, credo.
Drizzt: e allora temo dovrai cavartela da sola... per un po'.
Rina:ma...
Drizzt: è un ordine, Rina. Ora va e risolvi tutto. Conto su di te.


(Dannazione, non ha creduto alla mia balla. Ora dovrò immaginare Pip e Drizzt mentre... Pippano?)


Avevo la conferma che lui mi desiderava.
Non potevo essere incerto. Non più.
Basta mordersi il labbro. Basta sudare.
Era ora di darla.


Cioè, darlo.
Avete capito.

"Baby you got me.
Baby you got me.
Baby you got me."


Quando Drizzt puntò di nuovo lo sguardo su di me, io mi ero già messo in una posa provocante.

Pip: Possiedimi, come Rina possiede la nuova collezione Autunno-Inverno di Desigual.
Drizzt: oh Pip...
Pip: oh Drizzt...
Drizzt: meglio non fare nulla qui. Ci potrebbero scoprire. Che ne dici di andare nella mia stanza dei...giochi?
Pip: di che giochi parli?
Drizzt: è una sorpresa. Vieni con me, non aver paura.

Fu così che Drizzt azionò una leva, portandoci in una stanza sconosciuta a tutti, se non forse ad Otta. Infatti, il suo vecchio nascondiglio era stato riammordernato e trasformato in qualcosa di nuovo. Intorno a noi una decina di tende che coprivano altrettanti scaffali.

Pip: cosa c'è dietro tutte queste tende?
Drizzt: c'è una cosa molto importante che devo dirti, prima che approfondiamo la nostra conoscenza. Io ho una grande passione per un oggetto in particolare, con cui sono sicuro che tu avrai familiarità. Ne ho collezionati diversi modelli. Spero che questo non rovini l'opinione che tu hai di me.
Pip:... non capisco. Di che cosa stai parlando, Drizzt?

("Oushi, di che sta parlando Drizzt?"
"Calien, sei troppo piccola per queste cose"
"Non è vero!")

Drizzt: Pip, devi sapere che io, io...
Pip: cosa, Drizzt? Cosa?

Drizzt con una corda sollevò tutte le tende.
La faccia di Pip cambiò in un istante.
Dalla preoccupazione... all'estasi.


Drizzt: io ho 50 sfumature...di Asfodelo.


("Ammetto che questo non me l'aspettavo. Yevon, che trash"
"Allora nemmeno tu sei così grande, Lehner.")

Drizzt: e ora... sei pronto a provare le mie 50 sfumature di perversione?
Pip: prendimi ora. Now. Facciamo Shessho.

"Got me look so crazy right now.
Your touch got me look so crazy right now"

* 50 SFUMATURE DI ASFODELO *
Prossimamente, al cinema.
Qui di seguito, alcune recensioni da parte di chi ha già avuto la fortuna di vedere il film in anteprima.
Recensioni:

"Gossip Girl": Premesse buone, ma finale deludente.
Era Rina che doveva stare con Pip, non Drizzt! Voto: 0/10

"L'angolo di Leon": Il nuovo successore di Avatar.
Ha toccato le corde del mio cuore.
Commovente e appassionante. Voto: 10/10

"Il pagellone di Alex": vi prego eliminiamo questa vergogna dal Multiverso.
Voto: WTF. I can't even.

"Ohoh, ohoh, ohoh no-no-no
Ohoh, ohoh, ohoh no-no-no
Ohoh, ohoh, ohoh no-no-no"
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Re: FanFic Garden

Messaggio da RinaYeah »

L'infinita tristezza del sentirsi soli
Capitolo 1
Lo stato di semi-mortalità

Un tempo, udì una storia: parlava di un angelo, il più bello e il più intelligente fra i suoi simili, che si ribellò al proprio Dio. Deluso, Dio lo scacció e lo lanciò sulla terra, dove l'impatto provocò un'enorme voragine dove, nel più profondo abisso l'angelo, noto come Lucifero, è intrappolato tutt'oggi e il suo odio verso Dio lo rese una bestia immonda, Satana.
Il solo conoscere questa storia avrebbe dovuto farmi desistere dall'intraprendere il mio cammino, ma il fato aveva altri progetti per me...

La caduta dal Paradiso è stata l'esperienza peggiore che io abbia mai provato. Fu terrificante sentire il mio corpo attratto dalla gravità terrena, sapere che da un momento all'altro ti saresti schiantata, sarebbe finito tutto.
Per fortuna, o purtroppo, non andò così.
A poche decine di metri dal suolo il mio corpo si alleggerì improvvisamente, cullandomi fino a toccare terra.
D'un primo momento le mie gambe cedettero. Urlai e sbattei le braccia sulla strana superficie che accoglieva il mio corpo. Sfidai il cielo, inviandogli bestemmie, ma constatando l'inutilità del mio corrente operato, cedo alla stanchezza.

Riapro gli occhi, persa, con numerosi sintomi in tutto il mio corpo. Tutto ciò era nuovo per me. Cercai di alzarmi, con molto fatica, trovando una difficoltà mai provata nel muovermi. Il mio corpo mi inviava mille segnali, ma non sapevo come interpretarli. Camminai per giorni, sempre più debole, sempre più vicina alla morte. Ma il fato non mi aveva cacciato dal Paradiso per farmi morire, anzi!
Per farmi rinascere.

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Re: FanFic Garden

Messaggio da RinaYeah »

L'infinita tristezza del sentirsi soli
Capitolo 2
Il risveglio

Quando riaprì gli occhi, la prima cosa che notai fu l'assenza di luce. Non un solo raggio illuminava l'area, ma faceva troppo caldo per essere notte.
La seconda cosa fu di essere nuda e coricata su qualcosa di morbido.
Un materasso, forse...
Adoravo osservare gli umani intenti nel loro da fare, ero affascinata dalle loro invenzioni.
-Ben sveglia!
Un raggio di sole illumina l'abitacolo, lasciando entrare una figura. Non era alta, con un corpo piuttosto tozzo, e dei lunghi capelli argentei acconciati in uno strano modo. Fissai un'attimo l'umana, spaventata e affascinata dalla sua figura.
Questa si avvicinò con una strana smorfia sul viso, gli umani la chiamano sorriso.
Mi siedi sul mio giacigno, avvertendo numerose e strane sensazioni fastidiose... dovevano essere i famosi dolori dei quali sentivo spesso lamertarsi gli umani.
Quasi d'istinto, emisi un gemito.
La ragazza accorse, valutando la situazione.
-Dovresti riposare ancora un pò.
-... No...
-Allora sai parlare!
Annuì.
-Come ti chiami? Io sono Ylenia.
Rimasi a fissarla leggermente confusa.
-Nome. Quel è il tuo?
Nome... ne avevo sentito parlare, ma non ne possedevo uno.
Scuoto la testa energicamente.
-Non hai un nome? Grande Gerun!
A quel nome scattai, allontanandomi dalla donna.
-Qual è il problema?
-Gerun... Occuria... Esper...
-Non capisco.
Respirai a fondo, agitata.
-Io... io...
-Tu?
-Io... io sono... io sono un'Occuria.
La ragazza, dopo un'attimo di sgomento, mi fece tranquillizzare e mi aiutò a sdraiarmi, ordinandomi di riposare.

-Come sta?
-Si è svegliata, ma ha le idee confuse, difficoltà di compresione, ricordi mancanti ed alcuni distorti, oltre a problemi di lessico. Ma sono ottimista, si riprenderà presto!

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Edith Lance
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Re: FanFic Garden

Messaggio da Edith Lance »

Day after day
(Nataa Arroway/Leon Rayearth)

Ci sono giorni che ti cambiano la vita, sgusciano in silenzio sotto le palpebre socchiuse dal sonno e quando riapri gli occhi ogni cosa che credevi di conoscere è svanita. Ci sono giorni in cui tutto è diverso, solo per restare uguale a se stesso. Ci sono giorni vissuti al rallentatore, altri che corrono via senza mai passare davvero: restano lì, si cicatrizzano.
Era un giorno di sole come pochi se ne erano visti in quell’inverno gelido, gli occhi faticavano a mettere a fuoco la figura che gironzolava nella stanza in punta di piedi, un riguardo che si addiceva a un uomo come Leon.
«Buongiorno» mugolai coprendo la bocca con il lenzuolo, quando si avvicinò a darmi un bacio. Ne sentii le labbra contro il tessuto, sorrisi appena.
«Sei rientrata tardi, ieri.» si scostò per permettermi di alzarmi.
Scoccai un’occhiata al bancone che divideva la sala dal piccolo cucinotto, cercando l’agognata tazza di caffè mattutina «La riunione è durata un’infinità, hanno blaterato per quasi quattro ore di dettagli insignificanti, senza ovviamente centrare il punto. Niente caffè?» domandai dopo una pausa.
«No, Natty.»
Lo fulminai con lo sguardo.
«È passata una delle tue reclute e lo ha finito. Non potevo dir di no a Lae, ti pare?»
Piegò una maglietta e la sistemò nella valigia aperta sul divanetto. «Se vuoi ti porto al bar e facciamo…» guardò l’orologio «…pranzo fuori.»
Battei le palpebre un paio di volte, concentrandomi sull’uomo che, con meno delicatezza di prima, passava da una parte all’altra della stanza con una pila di vestiti. «Sei in partenza?»
«In serata» stirò le labbra in un sorriso teso «Helena mi ha convocato ieri notte, ma sono riuscito a strapparle il permesso per stare un giorno ancora.»
Leon era cosciente che il Colonello Helena Mercier era un argomento delicato fra noi, uno di quei nomi da pronunciare sottovoce e con cautela. In molti avevano confuso, e forse anche il mio stesso compagno, quell’irritazione che affiorava nelle iridi al parlarne, in gelosia. In verità, io ero profondamente consapevole e sicura dell’amore che Leon provava per me, un sentimento che aveva affrontato la tempesta e ne era uscito più forte di prima – a differenza di quello per Mercier, che era naufragato nel mare della guerra.
Non sarei mai potuta essere gelosa di altre donne, perché sapevo quel era il filo rosso che ci congiungeva, lo avevamo negato per anni ma, testardo, ci aveva condotto lì, a un ‘noi’ di cui non conoscevo il sapore dell’addio.
Detestavo quel nome, perché era l’unico che riuscisse a sottrarmi Leon.
«Sei tornato due giorni fa» gli feci notare con voce bambinesca «è già scoppiata un’emergenza?»
L’uomo si avvicinò a grandi falcate, mi circondò le spalle con un braccio per trarmi a sé: mi irrigidii, cercando di spingerlo via, ma non voleva saperne di scostarsi. Cedetti, spinsi il volto contro la sua maglia, inspirandone a fondo l’odore.
«Un giorno finirà, te lo prometto.»
Sollevai appena la testa per poterlo guardare negli occhi. «Un giorno è lontano, Leon.»
«Nataa…»
Conoscevo quel tono, il modo morbido con cui mi fissava e il dolore in fondo all’iride: le responsabilità che gravavano sulle spalle, il senso d’onore e quella giustizia tanto effimera che negli anni aveva rincorso, sacrificando se stesso.
Se fossi stata meno egoista, se i miei occhi avessero visto e le orecchie ascoltato, se avessi capito, se avessi piegato le labbra in un sorriso e gli avessi detto vai, io sarò qui ad aspettarti, se non fossi stata debole.
L’amore è come perdere per ritrovarsi, un pezzo e via l’altro, ma quanto si è disposti a cedere di se stessi?
Né io, né Leon eravamo tanto maturi da poter far un passo incontro all’altro.
Tremai fra le sue braccia, perché percepivo che quello sarebbe stato un giorno che avrebbe cambiato tutto, così come avevo avuto un brivido più di un anno prima, quando Leon si presentò davanti alla mia porta con uno scatolone in mano e un sorriso fra le labbra.

Nulla sarebbe rimasto uguale a se stesso.



«Ho la schiena a pezzi» mugugnai posando l’ultimo scatolone nel nuovo alloggio, Vikrael era stato tanto gentile da fornirci uno dei pochi monolocali riservati ai Comandanti Seed – nella vecchia camera avevamo resistito una settimana e solo perché per i primi cinque giorni non eravamo usciti da sotto le lenzuola.
«Sarei curioso di sapere quale favore ti deve quell’uomo per averti concesso di traslocare.» Leon lasciò scorrere lo sguardo per tutta la stanza.
Celai la verità di mani insanguinate dietro un sorriso sornione.
«Che ne dici di ordinare da mangiare, per questa sera?» Mi gettai sul divano, afferrando dal tavolino poco distante un plico di dépliant e li aprii a ventaglio, tenendo nascosto il lato con il nome a Leon. «Scegli a caso!»
«Ho idea che tu spenda tutto il tuo stipendio in cibo, Arroway.» disse l’uomo, mentre allungava le dita su uno dei fogli.
Storsi la bocca e lui cambiò opuscolo.
Grugnii, sollevò un sopracciglio e provò un terzo ristorante.
Inclinai la testa di poco e con lo sguardo gli indicai il più distante fra tutti i volantini.
«Pizza!» esultai «Hai scelto proprio quello che desideravo!»


«Leon» sussurrai, tanto che non fui sicura avesse sentito.
«Non posso restare, lo sai.»
Scossi la testa e mi allontanai dalle sue braccia. «Ci penso da molto, sai?»
Corrugò la fronte, ma non mi interruppe.
«L’Ordine si è preso tutto ciò che potevamo offrirgli, ci ha svuotato e reso dei cani» mi fissai le mani sporche della polvere che avevo scrostato e della morte che si era attaccata alla pelle, un odore putrido. «Io voglio riprendermi la mia vita, Leon. Con te.» aggiunsi quando il silenzio divenne soffocante.
Socchiuse le labbra, senza che riuscisse a parlare.
«Lontano da qui, una famiglia vera.»
«Io… io non posso, Nataa.» La voce era rauca, bassa e implacabile. Non c’era una nota di incertezza, ma la triste consapevolezza che fosse la sua via da seguire, niente di più. Non si era mai voltato indietro, i suoi fantasmi li aveva sigillati nel cuore.


Mi risvegliai con un urlo chiuso nella gola, al mio fianco Leon batteva le palpebre ancora confuso dal dormiveglia.
«Altri incubi?»
Annuii raggomitolandomi al suo fianco. «Non mi lasciano in pace.»
L’uomo sospirò e mi allacciò un braccio al fianco, una carezza silenziosa.
«Non tornano mai da te?»
La guardo sottecchi.
«I fantasmi, i rimpianti.»
Ci rifletté per qualche istante, mentre il silenzio rotolava nella stanza.
Molte persone amavano la quiete e il lento ronzare della pace nelle orecchie, non noi: riempivamo ogni giornata con parole e risate, senza mai confrontarci davvero con il silenzio. Forse ci spaventava. Temevamo ciò che avremmo potuto trovare una volta che tutte le voci si sarebbero spente.
«Bussano anche alla mia porta» disse infine «ma io non apro loro.»


Sbuffai una risata amara, arresa. «Non mi aspettavo una risposta diversa, Leon.»
Si passò una mano fra i capelli, stringendoli appena.
È strano come i gesti diano la misura del conoscere: una mano fra le ciocche rade significava dispiacere, braccia conserte era irritato, quando si sedeva a gambe accavallate era sereno, la bocca distesa era un sorriso sincero, se gli occhi si piegavano appena verso il basso, Leon fingeva. Lo avevo vissuto, sopra e sotto la pelle. Era scivolato in me silenzioso, aveva preso posto nel cuore.
Non avevo mai creduto nell’altra parte della mela, cazzate romantiche per ragazzine che non conoscevano la vita, per questo non credevo che Leon fosse ‘l’altra parte’. Lui, semplicemente, mi teneva per mano.
«Non è il momento. Ci sarà tempo.»
«Mi conosci, vero?» ringhiai fra i denti.
Chiusi gli occhi e nel nero delle palpebre passarono colori sconosciuti, rabbia.


«Rientrata!»
Spalancai la porta, sicura di trovarlo al suo posto – divano, chococola e ciliegie – invece l’appartamento era tristemente vuoto. La borsa tonfò a terra, sul tavolo un biglietto scritto velocemente.

Missione. Tornerò presto.

Sprofondai nel materasso con lo sguardo rivolto al soffitto e un nodo ad attorcigliare le viscere: sarebbe davvero tornato, o l’ultimo ricordo di Leon sarebbe stato la sua scrittura a zampe di gallina? Lo potevo immaginare, piegato sul tavolo a scrivere al volo quella riga per non farmi stare in pensiero – una premura che azzannò l’anima.
Il mattino dopo fui convocata da Vikrael, nel suo ufficio: missione sotto copertura. Così, quando Leon tornò a casa il giorno seguente, fu mio il biglietto lasciato sul marmo del bancone.


«Quanto potremmo andare avanti ancora?»
L’uomo sollevò le braccia e le lasciò ricadere ai fianchi. «Ogni scelta comporta un sacrificio.»
Strinsi le dita nel palmo della mano. «Non posso più pagare anche per te.»
«Vorrei davvero poterti far felice.» portò lo sguardo oltre le mie spalle. «Ma non posso farlo nei modi che desideri tu. Non posso lasciare il mio lavoro, non adesso.»
Sospirai affranta, mentre la delusione prendeva il posto di ogni altro sentimento: perché non riusciva a capirmi? Bruciavano quei pensieri, l’incomprensione.
«Io… Io non posso davvero, Nataa.»
Scrollai le spalle, sconfitta. «Uscito da quella porta, non tornare più.»

«Prometto che ti amerò anche quando non ti sopporterò» irrise lui nel picchiettarmi la punta del naso con l’indice.
«Che mi resterai vicino»
«Finché fai sesso con me…»
La cuscinata lo colpì in pieno volto.
«Non lasceremo che il mondo si metta in mezzo. Promettilo!» tesi il mignolo verso di lui, mentre con l’altra mano stringevo ancora il bordo del cuscino.
Leon afferrò il dito con un sospiro rauco. «Ho idea di essermi messo nei cazzi.»
«Esattamente, Rayearth.» Mi liberai dalla stretta per allungarmi ad afferrare un nuovo pezzo di pizza.
«Andrà tutto bene.» ripeté piano e io annuii convinta, prima di mordere la margherita.
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Pip :>
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Re: FanFic Garden

Messaggio da Pip :> »

Buio
Conservala tu. La voglio pulita e splendente al mio ritorno.
L'immagine di Aura che, con una disperazione inconsolabile ed il viso straziato, stringeva il suo Gunblade con la forza di chi sa che quello avrebbe potuto essere l'ultimo regalo di una persona cara, fu l'ultima che Pip poté vedere, prima di essere completamente avvolto dalle radici di Yggdrasill.
Improvvisamente, quando ogni suono si era acquietato, il suo corpo venne invaso da un debole torpore, come se la battaglia appena svoltasi e gli ultimi avvenimenti fossero ormai qualcosa di lontano, perduto, dimenticato e, forse, non così importante, dopotutto.
Non provò paura, Pip.
Sapeva di aver compiuto un sacrificio necessario e che il suo destino poteva essersi, finalmente, compiuto.
In fondo, aveva passato tutta la sua vita a combattere, a proteggere: i più deboli, i suoi amici, il Garden, i suoi ideali.
Se stesso, dall'oscurità, da quella tentazione che attanaglia tutti prima o poi e che si nutre di odio, vendetta, rancore ed anche timore, arrivismo, codardia.
L'aveva più volte tastata e sempre sconfitta, attraverso la sua incrollabile volontà, la sua salda fede.
E allora aveva continuato a proteggere, perché non sapeva fare altro.
Se era davvero il momento di andarsene, non poteva che essere quello il modo.

Non ti preoccupare, non morirai.

Galleggiando in uno spazio indefinito, Pip mosse impercettibilmente le palpebre, per poi aprire stancamente gli occhi.
Intorno a sé non vedeva niente e non era nemmeno sicuro ci fosse qualcosa.
I suoi pensieri erano lenti e macchinosi, così come i suoi movimenti, anche se non vi erano ne punti d'appoggio per spostarsi, ne di riferimento per capire dove si trovasse.

Chi.. Sei..

Non riuscì a capire se quelle parole gli fossero effettivamente uscite dalla bocca e fossero udibili, o se le aveva solo pensate.

Yggdrasill. E tu il mio nuovo Guardiano.
Lasciami.. Andare..
Temo di non poterlo fare, piccolo Uomo. Non è una mia scelta. Se uno dei Guardiani mi abbandona, sono costretto a cercare qualcuno che ne prenda il posto. E' semplicemente questa la mia natura.

Lo Sciamano cercò di stendere il braccio, come ad allontanare da sé quella voce.
Ma l'arto non rispose al comando, rimanendo immobile.
Si mosse, al contrario, quando la sua mente non pensava già più a quel gesto.

La tua volontà ti sta abbandonando, Uomo. Hai paura?
No.. Sono io ad aver accettato questo destino.. Posso combattere in qualche modo?
Tutti i Guardiani hanno opposto resistenza, ma prima o poi hanno ceduto. Puoi provarci, se vuoi. Questa rimane ancora una tua libertà.

Sentì l'altro braccio muoversi, quello che ancora stringeva vigorosamente il Frutto di Yggdrasill, le dita della mano aprirsi e la presa sull'oggetto allentarsi.
Combatté quel movimento indipendente dalla sua volontà e la mano lentamente si richiuse, mantenendo saldo nella sua mano quel prezioso oggetto.

Sembra che tu abbia ancora un po' di tempo.
Sembra di sì, non sono mica una bestia come la Viverna..
Hai ragione. Ti sento ogni attimo più mio e, inevitabilmente, ti continuo a conoscere sempre meglio. Cosa lasci indietro, Sciamano? Nel tuo cuore vedo tristezza, anche se non vi è traccia di rimpianto.
Lascio tanti amici, Yggdrasill. Ma soprattutto.. Lascio il mio sogno di un mondo migliore.
Mi dispiace. Perché non rimpiangi la tua scelta, allora?

I contorni del luogo in cui si trovava ancora stentavano ad apparire, mentre il torpore di cui era preda il suo corpo aumentava.
Sentì nuovamente le sue dita schiudersi, ma ancora una volta resistette alla tentazione di lasciar andare il frutto.

Aspetta, lo so. Perché le persone passano, ma le loro azioni restano. Vuoi essere un esempio per i tuoi SeeD.
Eheh, stai imparando a conoscermi bene.. Ma non è proprio così. Non sono così sicuro che i SeeD siano illuminati dalle mie azioni in verità, anzi, forse proprio no.
E allora, Philip Phoenix? Cosa c'è dentro al tuo cuore?
C'è solo una cosa, caro Yggdrasill. La mia vera natura, che abbraccio e amo. C'è che se non si fa del bene quando si ha la possibilità di farlo, allora tutto perde di significato. Per se stessi, prima che per gli altri.

Inconsapevolmente, Pip avvicinò il Frutto alla sua bocca, addentandolo.
Venne pervaso immediatamente da una sensazione di benessere, come una scarica di adrenalina.

Non pensavo fosse commestibile. Mi fa stare bene.
In questo luogo, addentare un oggetto duro è solo una delle tante differenze rispetto al tuo mondo, qui quelle regole non valgono.

Pip ebbe la sensazione di riacquistare la padronanza del suo corpo, per un attimo.
Si disse di appoggiare il piede a qualcosa e non solo la gamba si mosse, ma incontrò anche una superficie solida.

Non sono più così sicuro di voler restare, Yggdrasill.
Davvero apprezzabile il tuo tentativo, Pip. Ma ormai è troppo tardi.
No, me ne vad..
Dormi, Guardiano.

Improvvisamente ogni movimento gli fu precluso ed il suo corpo smise di rispondere ai suoi comandi.
Prima di perdere conoscenza e che le ombre lo avvolgessero, il pensiero di Pip andò al cielo azzurro, sconfinato, libero.

Ironia della sorte.

In catene per l'eternità, non avrebbe mai più potuto rivederlo.
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Pup :>
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Diario di un mostro

Messaggio da Pup :> »

Estratti del diario.

"Diario di un mostro, giorno numero 2"
Caro diario, il secondo giorno sta appena iniziando.
Ieri ero troppo eccitato per scrivere, quindi anche se avrebbe senso iniziare dal giorno 1... vabbè, inizierò dal 2 e chissenefrega!
Dormire allo zoolab è stato divertente, mi aspettavo peggio.
Il letto di paglia è comodo e dormire assieme a tanti altri animali è stata un'esperienza unica. Certo, per sicurezza ognuno è stato nella sua gabbia. Ma la notte, a luci spente, mentre gli Archeosaurus finiscono di sgranocchiare le loro mucche, i Rub Rum Dragon si riuniscono tra adulti e cuccioli, i Fafnir che ululano alla luna... È spettacolare!
Al risveglio mi sono trovato persino uno Scroccamiao in grembo che faceva le fusa. Mai avuto un risveglio così tenero in vita mia.
Quando Pip mi ha retrocesso da Cadetto a "mostro dello Zoolab" ero veramente spaventato. Ma devo dire che la nuova vita sta iniziando alla grande per me.
Ora ti devo lasciare, stanno portando il cibo.

"Diario di un mostro, giorno numero 5"
Caro diario, eccoci al quarto giorno. Ieri sono stato scelto da Aura per uno scontro.
Oh, ci ha dato dentro di brutto, ma sono riuscita a cavarmela in qualche modo. Certo, il resto del giorno l'ho passato in infermeria veterinaria... e anche quello dopo. Sai, a noi mostri non danno i braccialetti salvavita. Ma è anche un bene, sai? Alla fine il combattimento è più vero, più sentito. Mi dà modo di dare il meglio di me.
Ora mi hanno appena riaccompagnato in gabbia.
E come pasti, mi hanno lasciato un bel montone! Sì, hanno messo proprio un montone intero nella gabbia! E anche vivo!
"Questo te lo dovrai far bastare per almeno 3 giorni" mi hanno detto. Ma guardo la faccia del povero montone... come potrei mangiarlo? Per ora stiamo facendo amicizia, sta iniziando a mangiucchiare la paglia del letto, ma va bene così, dovrà pur mangiare qualcosa, lui! ^^

"Diario di un mostro, giorno numero 7"
Caro diario... alla fine ho mangiato il montone. Quel coso schifoso si è prima mangiato tutta la paglia del letto, la grata della gabbia è scomodissima per dormire, mi sono svegliato ieri con un mal di schiena atroce. Senza considerare tutte le ferite ancora in guarigione dallo scontro con Aura, ma vabbè... Comunque ti dicevo, dopo essersi mangiato tutta la paglia quel coso schifoso ha iniziato a cagare ovunque! Ma che schifo! Io almeno la faccio in un angolino, tutta dallo stesso lato -sì, mica c'è un WC nelle gabbie? :asd:
E cmq quando mi sono risvegliato nella merda, letteralmente, gli ho sparato un firaga contro. E l'ho ucciso.
Aggiungo: è passato un giorno che ancora non hanno pulito, ma mi hanno promesso che sarebbero venuti quanto prima.
Poi vabbè, morto per morto, il montone, ho iniziato a mangiarlo. Solo credo che l'odore abbia fatto venire appetito agli Archeosaurus... hanno iniziato a sdegnare la carne cruda che gli danno e ora guardano me tutto il tempo!

"Diario di un mostro, giorno numero 13"
Caro diario, qualche giorno fa è passato Brian a pulirmi la gabbia, "finalmente" ho pensato. E invece, visto lo schifo, ha fatto finta di niente e se n'è andato, quello stron*o! Giuro che se lo vedo lo ammazzo.
Poi ieri finalmente sono venuti a pulire, ora qui è tutto lindo e pinto, che bella sensazione.
Solo mi sto iniziando un po' ad annoiare... sono 10 giorni che nessuno vuole combattere contro un Egil, quindi sto le mie giornate qui, a non far niente. Quando ho chiesto un libro per leggere qualcosa, il guardiano mi ha riso infaccia dicendo "come se un mostro sapesse leggere"... È stato cattivo e non mi ha fatto per nulla piacere, ecco!
E poi i mostri la notte stanno diventando sempre più insopportabili! Cioè, capisco che sta iniziando la stagione degli amori, ma cavolo... fatelo un po' più piano!

"Diario di un mostro, giorno numero 37"
Caro diario, ormai è quasi un mese che sono qui!
Scrivere su queste pagine è rimasto l'unico modo che mi mantiene ancorato alla mia umanità.
Le condizioni igieniche sono sconcertanti, come cibo mi portano un montone a settimana, ma la carne dopo un po' va in putrefazione e non la posso più mangiare. Quando mi chiamano per uno scontro vado là, subisco ferite quasi mortali e passo i giorni successivi in infermeria tra atroci sofferenze... solo per poi tornare in questa minuscola gabbia. La notte non posso dormire, i mostri più piccoli hanno preso l'abitudine a sgattaiolare dalle loro gabbie ed attaccarmi nel sonno. Inoltre Archeosaurus e Rub Rum Dragon stanno complottando per aggredirmi, lo so. Ma prima o poi fuggirò... e mi vendicherò!

"Diario di un mostro, giorno numero 72"
Sono due mesi... più di due mesi... così tanto tempo è passato qua dentro. Ormai mi sto perdendo... non so usare più la magia, sto diventando sempre più selvaggio. Quando ieri il sorvegliante è venuto a portarmi il cibo l'ho azzannato. Non so perché, ma l'ho fatto. La notte non dormo da... non so più da quanto. Quando vengono i medici per controllare le mie condizioni li scaccio sempre HAHHAHAHAHAHAHAHA lo so che vengono solo per rapirmi! Loro vogliono portarmi via, ma adesso questo è il mio posto... il mio regno! Nessuno potrà prendermi!
...no aspetta... che sto scrivendo... non riesco più a mantenere la mia lucidità. Veglia e allucinazioni si alternano. Ora sto veramente scrivendo sul diario? Oppure sto sol

"Diario di un mostro, giorno numero 13x"
il diario ormai sta finendo sto usando l'ultimo spazietto per le mie ultime parole.
Ho parlato con gli Archeosaurus. Loro sono d'accordo. Al calare della notte attaccheremo... e ci prenderemo il garden.
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