FanFic Garden

Un Gioco di Ruolo Narrativo a più mani, tra SeeD e Cadetti, Garden ed Accademia, Tornei, Missioni, Sagre, e molto altro: questo è il Garden Club! Leggi i topic "Bacheca" e "Spiegazione Topic" prima di postare

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Akainatsuki
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Re: FanFic Garden

Messaggio da Akainatsuki »

Cat Empitsu [BACKstory #EXTRA]
Ze BEEZ
Theme song: Twinkle - Koda Kumi (Amazing Nuts! - Even if you become the enemy of this world)
***
Lavorare all’Honey Bee Manor era come andare a letto con mezza Midgar, a ogni ora del giorno e della notte. Festivi compresi.

Cat sospirò dalla sua postazione alla Reception: non riusciva a concentrarsi sui registri delle presenze. Nessuno in quel posto sembrava in grado di ricordare qualcosa di così semplice come far scorrere una piccola tessera magnetica sull’ingrombrante lettore posto poco dopo l’ingresso di servizio e così doveva arrabattarsi, incrociando orari, tabelle e clienti.

“...Sorridi, gattina…” l’apostrofò uno dei tanti scagnozzi del Don, intento a osservare con aria interessata il culetto ondeggiante di un paio di Bees di passaggio, appoggiato languidamente al bancone “...le belle ragazze devono sorridere, altrimenti il mondo sarebbe un posto desolato peggio che qui negli Slums”.

Strinse le labbra, lasciandole cadere con una decisa piega verso il basso: “...La faccia è mia e sorrido quando mi pare” borbottò senza staccare gli occhi dal computer.

Ignorò i commenti che ne seguirono, cercando di far quadrare quell’ininterrotto flusso di persone e soldi che si muoveva all’interno dell’unico luogo di intrattenimento di quel posto desolato che erano proprio gli Slums.

Sbuffò: poteva prevedere un’ennesima nottata di straordinari in uno degli squallidi locali a fantasie animalier sopra la sua testa. Ovviamente liberati di scocciatori convinti che qualsiasi essere umano all’interno di quelle mura fosse lì a un solo e unico fine.

Mentre ragionava sulla sua triste sorte, improvvisamente la vista le venne meno, mentre un panno bagnato e umidiccio le veniva sbattuto sugli occhi, facendo colare quella che sembrava camomilla tiepida lungo le guance, per poi finire gocciolando sui documenti sotto le sue dita.

“Le si arrossano se resta troppo tempo a fissare quello schermo!” l’ammonì il signor Mukki, premendo la stoffa con forza contro i suoi bulbi oculari. “Deve fare una pausa, signorina Empitsu! E a questo proposito le abbiamo preparato un bel bagno termale rilassante dove ne approfitteremo per informarla sul prossimo Raduno della Fratellanza Perfect Body a Costa del Sol…”

Cercò di divincolarsi, sfuggendo alla presa ferrea e sgusciando di lato, il panno tiepido ancora appiccicato in una zona indistinta tra naso, occhi e fronte. Rimase per qualche secondo immobile, mentre un rivolo le si infilava nella scollatura e constatava lo stato pietoso dei suoi capelli: “...Sono ancora in turno, signor Mukki” soffiò col naso, appallottolando il maldestro tentativo di convincerla a infilarsi nuda nella stessa vasca popolata da una decina di omaccioni baffuti e muscolosi.

“...Non la toccheranno con un dito!” insistette, appoggiandole le manone perfettamente curate sulle spalle e giocherellando con le alucce da apina che le spuntavano dalla schiena. “Non mi consideri indelicato, ma davvero non sono interessati alle sue meravigliose…”

Si tappò le orecchie, strizzando gli occhi: “Ho capito, ho capito!” scosse il capo, tentando di riprendere in mano la situazione. “Ma io sono ancora in turno, devo finire della contabilità e…”

Il vociare e le grida di benvenuto all’ingresso la fecero scattare sull’attenti, salvandola da una lunga e inutile spiegazione: “...e ci sono altri clienti!”

Sgambettò nuovamente alla Reception, cercando di ravvivare quella specie di alga umidiccia che era diventata la sua frangia. Prese un respiro profondo e allargò il suo migliore sorriso falso davanti al cliente che aveva appena fatto la sua entrata.

“CATTY!”

Ebbe un sobbalzo, mentre il suo campo visivo veniva riempito dalla faccia ghignante di un certo Third-Class SOLDIER di sua - sfortunata - conoscenza.

“Mi avevano detto che eri finita qui a lavorare e così ho fatto una scommessa con Theo e mi sa che l’ho vinta io anche se lui era convintissimo che fossero solo brutte dicerie sul tuo conto perché se una ragazza sta al Wall Market non fa solo una cosa…” attaccò a raffica, sporgendosi verso di lei. “Ma costi molto…? Non vedo il tuo prezzo sulle bacheche…”

Cat alzò lo sguardo oltre la capigliatura ipercubica di Will, incrociando gli occhi di un severo impiegato in doppio petto, intento a fissarli annoiato. Il che avrebbe rispettato lo standard dell’Honey Bee Manor, se non fosse stato per il pupazzo a forma di gatto che teneva sottobraccio.

“...Scegli quella o quello che preferisci, paghi qui e aspetti il tuo turno” sospirò, ignorando la sequela di domande che stavano uscendo dalla bocca del SOLDIER davanti a lei. “C’è un altro cliente dietro di te”.

Un sorrisetto nervoso sostituì il suo ghigno e la voce si abbassò: “Sono qui a far da scorta proprio al cliente dietro di me… è un pezzo grosso della Shin-Ra, sai? E non è interessato a voi belle Bees, mi spiace”.

Lanciò una seconda occhiata a quel completo blu elettrico, per tornare a fare la parte della brava Receptionist di bordello: “...Quindi a cosa devo la visita?”

Il suo ciarliero interlocutore non potè rispondere, poiché uno strillo acutissimo riempì la stanza, mentre il Don si fiondava accanto a quell’impiegato, tutto salamecchi e inchini che Cat credette di avere un’allucinazione.

In un battito di ciglia, SOLDIER e impiegato erano scomparsi oltre il capannello di tirapiedi e Bees radunatosi per il trambusto, lasciando Cat sola.

Tornò ai suoi registri, cercando di isolare fuori dalla sua testa il cicalecchio eccitato per la visita di quello della Shin-Ra.

“...Tu stavi parlando con il SOLDIER. Anzi, sembra che tu lo conosca bene”.

Alzò il capo, incontrando gli occhi di un gruppetto di Bees che si erano accalcate attorno al bancone. Poteva ben immaginare cosa si aspettassero da lei, ovvero i sordidi particolari di come avesse conosciuto il suddetto SOLDIER. Carnalmente parlando.

“E voi non conoscete il contatore presenze. Mi fareste un favore se poteste infilarci quella tessera ogni volta che entrate e uscite da qui…” sospirò, mentre la sua richiesta veniva accolta da risatine. “Se non segna che avete lavorato, non vi pagano - e a voi non va di lavorare gratis, giusto?”

Si irrigidirono, sbattendo lentamente le palpebre e stringendo le boccuccie a cuore. Una di loro prese la parola, inondando la postazione di un profumo così dolciastro che le vennero le lacrime agli occhi: “...Inventa. O prevedile. Dicono che a volte ci azzecchi, puoi farlo anche con le presenze”.

“Si prevede il futuro, non il passato” ribattè piatta, attendendo che l’informazione arrivasse ai loro cervelli e venisse elaborata dopo aver attraversato tutti quegli strati di trucco.

Le testoline si mossero all’unisono, annuendo.

“...Allora puoi prevedere i turni, no? Quelli sono nel futuro”.

La conversazione avrebbe potuto prendere una piega ancora più surreale, se in quel momento Cat non si fosse accorta di come mancassero pochi minuti alla fine del suo turno.

Decise che per quel giorno ne avesse avuto abbastanza. Altro che straordinari non pagati da trascorrere su un divanetto di indubbio gusto e pulizia: sarebbe tornata alla sua stanzetta spoglia in un punto sperduto degli Slums senza farsi troppe remore sul lavoro da terminare.

Si levò dalla testa quel ridicolo cerchietto con le sue antennine ballonzolanti, girando i tacchi e salutando pigramente il gruppetto di Bees: “Vedrò di provarci… ma se poi dovrete campare di mance, non prendetevela con me”.

Ignorò le lamentele che si levarono alle sue spalle, infilando lo stretto corridoio che portava agli spogliatoi.

Nella luce tremolante di quella stanzetta, si sedette su uno deglisgabellini malridotti che davano sulle specchiere imbrattate di polvere di cipria e gocce di profumo, fissando con sguardo vacuo il suo riflesso.

Il Don era stato piuttosto orgoglioso di sè quando, alla sua richiesta di poter indossare almeno una camicetta sopra di quella specie di costume da bagno di pessimo gusto, le aveva fatto recapitare polsini e colletto. Senza la camicia, ovviamente.

Slacciò i bottoni con cui ogni giorno li assicurava a collo e polsi, appoggiandoli alla consolle davanti a lei: senza quegli orpelli, era proprio una Bees come tutte le altre.

“...Patetica” mormorò a fior di labbra, rimettendosi in piedi con un colpo di talloni per cercare i suoi vestiti, che sostituì soddisfatta a quella che era la sua divisa quotidiana. In futuro, non le sarebbe dispiaciuto sostiuirla con un tallieur e una vera camicia.

Radunate le sue poche cose, infilò in silenzio la porta di servizio dell’Honey Bee Manor e se la chiuse alle spalle con un tonfo sordo. Tirò un sospiro di sollievo, riempendosi i polmoni dell’aria malsana del Wall Market.

“...Allora eri proprio qui…”

La voce di Theo la fece sobbalzare, immobilizzandola nella sua posizione, mentre stringeva al petto la borsa e allungava le dita sullo spray al peperoncino.

“...Ho ricevuto un messaggio sul PHS su una scommessa che avrei perso, ma ti posso giurare, Cat, che non ho mai fatto niente del genere” iniziò a giustificarsi, prima ancora che potesse aprire bocca, tormentandosi il berretto che teneva in mano. “Posso offrirti qualcosa da mangiare…?”

Rimase sovrappensiero, cercando di collegare gli eventi che si erano susseguiti dallo sfortunato incontro con un certo SOLDIER a quel momento. E si rese conto di avere fame.

“...Volentieri” gli sorrise, avvicinandosi e lasciando la presa dallo spray.

Attorno a loro, il Wall Mart si popolava della consueta clientela in attesa di rincasare in un qualsiasi buco deprimente degli Slums: la sera stava probabilmente calando anche sulla Midgar sopra il Plate.

Cat si trovò a cercare di capire se oltre quella coltre di cemento parecchi metri sopra la sua testa ci fosse stato effettivamente un sole a segnare lo scorrere del tempo: il buio degli Slums non offriva che impercettibili variazioni nella sua oscurità. Fu solo in quel momento che si ricordò di qualcosa di fondamentale che segnava il suo tempo.

“...Aspetta!” escamò, interrompendo il trotterellare di Theo, fermandosi a sua volta e facendo dietro-front.

Tornò sui suoi passi, fino all’entrata di servizio dell’Honey Bee Manor dove, con una smorfia soddisfatta, estrasse la tessera e la infilò nel contatore presenze: la sua giornata era finalmente conclusa.
Spoiler
Un giorno la pianterò, prometto :D
E comunque SI. Faceva davvero la Receptionist all'Honey Bee Manor (ma tutti possono benissimo continuare a non crederle).
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Il segreto della città del tempo

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IL SEGRETO DELLA CITTÀ DEL TEMPO
4 - La nebbia
Aura preferì non entrare nell'ufficio del capo distrettuale. Quella per lei doveva essere una vacanza, una bella passeggiata nella neve e romanzi gialli. Invece si era lasciata trasportare dal suo spirito d'avventura per i delitti e i crimini. La ricerca degli indizi, le ipotesi, la scoperta dell'assassino: aveva sempre ammirato quel genere di lavoro. Rendeva le giornate più frizzanti, imprevedibili. Ogni giorno un nuovo caso, un nuovo mistero e un partner sempre pronto a accompagnarti dietro ad ogni pericolo.
Sospirò. Oltre la parete sentì Cryo alzare la voce. Un po' lo invidiava, doveva ammetterlo. Quella era la vita che, in fondo al cuore, desidererebbe seguire. Non da piccola, non era un sogno che avrebbe mai fatto da bambina. A quell'età si sogna ben altro che un killer da acciuffare. Lei vedeva i Garden migrare in lontananza e tratteneva il respiro nel pensare a quali avventure stavano andando incontro. Era per quello che Piuma l'aveva incoraggiata a candidarsi alla carica Seed: la voglia di scoprire qualcosa di nuovo, di bello, di emozionante. Di svelare il mistero. Niente la rendeva più felice che avercela fatta con le sue forze. Per lei era come una sfida. Smetterla di sentirsi debole, convincersi di potercela fare come tutti i suoi compagni al Rinoa's. Dimostrare di essere forte.
Per lei era arduo, dannatamente arduo. Ma sperava che un giorno ce l'avrebbe fatta.
Quando Cryo uscì dall'ufficio sbattendo la porta, Aura si spaventò. Dallo sguardo capì che la conversazione non era andata bene. A quanto pare a nulla erano valse le sue repliche: per la polizia Jean era colpevole. I risultati del sangue parlavano chiaro, difficilmente lo avrebbero rilasciato solo in base al racconto che aveva fornito. Avevano le prove, avevano un colpevole. Nessuno avrebbe più indagato.
La ragazza seguì il collega fin fuori la sede. Sembrava infuriato e parecchio.
- Allora? - gli chiese immaginando già la risposta. Lui schioccò la lingua, era inutile sottolineare l'ovvio.
- Che facciamo ora?
Alphalaw sospirò fissando la compagna, - C'è davvero bisogno di chiederlo?
Lei allargò un ghigno divertito. Il caso non era ancora chiuso.

La piazza principale era un turbinio di gente. Per tutto il pomeriggio vi furono preparativi per decorare le case: bandierine, festoni, coriandoli persino il palco istallato ai piedi della chiesa comprendeva qualche ghirlanda. Sopra di esso, un palo in legno veniva collaudato da un volontario per controllare che fosse tutto in sicurezza durante la funzione. Ai lati del rogo, carte colorate di rosso, giallo e arancio parevano accendersi in un fuoco immaginario. Fra gli operai, James Thunder dava le ultime direttive con sguardo attento.
Aura rigirò le dita nelle tasche. Quel patibolo non le dava alcuna idea di festa, tutt'altro le sembrava solo esibizionismo. In poco tempo aveva capito che quella città era strana, attaccata ad una cultura che faticava a comprendere benchè lei fosse in prima linea a combattere le streghe. Era un paradosso, sì, ma non poteva ignorare quella stretta allo stomaco che non la faceva stare tranquilla.
- Credi abbia mentito? - domandò all'improvviso Aura fermandosi in mezzo alla piazza. Cryo si bloccò a sua volta.
- Chi?
- Lightman. La sua versione dei fatti era un po' strana, chiunque non ci avrebbe creduto.
Lui espirò sonoramente, - Ma non te, vero?
La ragazza alzò un sopracciglio, - Nemmeno tu lo pensi. Ho sentito come hai difeso quell'uomo in ufficio.
- Origliare le conversazioni altrui rientra nel tuo lavoro di Seed?
- Commander.
Con una scrollata di spalle, l'investigatore tacque. Il suo sguardo si posò invece su James, osservandolo il modo in cui mimava la scena che avrebbe rappresentato quella sera quasi fosse un fantasma. Nonostante la perdita, egli pareva totalmente preso dai preparativi. Si era calato sulle spalle una tunica da giudice, parrucca in capo e libro alla mano. Non fosse stata una cerimonia importante, lo avrebbero preso per un costume di carnevale. D'un tratto un pensiero si allargò nella mente del poliziotto, Aura potè benissimo vederlo da come socchiuse per un istante le palpebre. Camminando sicuro fra la folla, raggiunse il palco e richiamò l'attenzione di Thunder con un gesto della mano. Ancora provato dal dolore, egli gli si affiancò con passo stanco.
- Un lavoro eccellente, - si complimentò Alphalaw accennando un sorriso. - Suo padre sarebbe fiero di lei.
James sciolse le spalle, lasciando cadere le corde dorate che si erano aggrovigliate su se stesse. - Ci tiene… teneva molto a questa funzione. Doveva essere sempre tutto perfetto fin nei minimi dettagli.
- Oggi in particolare, - continuò Cryo sfiorando con una mano il palco, - Questa è la prima volta che lei prende parte. Sono convinto che suo padre avrebbe festeggiato di gran carriera questo suo impegno, magari con un regalo.
L'umore del ragazzo parve peggiorare. Sospiro infastidito ed agirò il libro sul torace come fosse un guanto di sfida - Non era solito farmi regali, con lui era già una vittoria se ricambiava un sorriso. Al massimo prenotavamo al ristorante per festeggiare qualcosa di importante o mi dava una pacca sulla spalla per congratularsi con me.
- O uno stiletto per proteggersi.
Lo sguardo di James si fece confuso, - Proteggermi da cosa, scusi?
- No, nulla. Era un ipotesi, - corse sulla finta difensiva Cryo.
- Mio padre non era un santo, lo ammetto, ma non ha mai osato mettermi le mani addosso. E non mi pare nemmeno di avere nemici che vogliano la mia morte. La gente qui è pacifica, ci si aiuta a vicenda. Un pugnale è l'ultima cosa di cui avrei bisogno qui. Ed ora se volete scusarmi ho altri impegni a cui pensare.
Gli occhi del detective si illuminarono. Con un augurio veloce per la cerimonia, la coppia salutò e si diresse velocemente a lato della chiesa. Aura dovette corrergli dietro a grandi falcate per recuperarlo.
- Ora dove vorresti andare? - gli chiese un po' delusa per essere stata esclusa dalla conversazione. Lui allargò un sorriso e le indicò il campanile. Lì per lì la ragazza non comprese e questo accese una nota orgogliosa nella voce di Cryo.
- Theodoric Thunder non ha mai ricevuto alcuno stiletto. Lloyd, con tutta probabilità, è andato a parlargli di qualcosa, poi sono scesi in piazza insieme e si sono diretti proprio qui dove siamo ora.
Con un dito, il giovane indicò l'entrata della cattedrale. La Commander arricciò la bocca.
- Il campanile. Non penserai davvero di entrare senza…
Prima che potesse completare la frase, lui la sorpassò ed entrò nella navata. Non appena oltrepassò anch'ella il portone, l'occhio corse sul soffitto della chiesa. Grandi affreschi colorati percorrevano ogni centimetro dell'intonaco, lasciando spazio appena per i costoloni e gli archi. Per lo più raffiguravano scene di una fede che a lei non interessava, non era mai stata una credente. In esse tuttavia vi riconobbe delle streghe pronte a scagliare potenti magie ed ella cominciò a chiedersi se esistessero altri luoghi simili in altre parti del globo, magari con raffigurazioni analoghe e colori tanto decisi quanto brutali. Lei di certo era la prima volta che ne vedeva uno.
Il compagno non si fermò ad ammirare. Scavalcò l'altare e raggiunse la porta che Jean aveva descritto loro come “quella sempre chiusa che conduce alle campane”. Subito abbassò la maniglia e non si stupì nel trovarla rigidamente chiusa.
- Hai un grimaldello? - gli chiese la Commander una volta raggiunto. Cryo sospirò e le restituì uno sguardo acido.
- Non è una cosa che un poliziotto si porta solitamente dietro.
Aura gonfiò le guance e fece per afferrare la maniglia per forzare la porta. Il Nen poteva avere degli impieghi particolari se si utilizzava un po' di fantasia. L'uomo la frenò con uno sbuffo divertito.
- Non mi dirai che puoi aprirla senza strumenti, spero!
- Se tu il primo che vuol vedere cosa c'è dietro o sbaglio?
L'uomo alzò le spalle, - Touche.
La ragazza picchiettò le dita sul pomello e senza pressioni, lasciò che la sua energia fluisse nella serratura. In pochi attimi la manipolazione del ferro fece il resto e la porta scattò con un leggero cigolio. Alzando lo sguardo sul detective per lanciargli un segno di vittoria, lo trovò con le braccia incrociate ed un'espressione infastidita sul volto.
- Che c'è?
Lui non rispose, il suo sguardo diceva tutto. Probabilmente non amava la magia quasi quanto i Seed. Varcò la soglia ed una scala alta e ripida accompagnò lui e la Commander per molti scalini. La luce del tramonto filtrava appena dagli oculi, tanto che Aura dovette usare la torcia del codec per non inciampare. A mano a mano che salivano, macchie di umido e sporcizia si presentavano sulle pareti. In alcuni punti i mattoni trasparivano fra una crepa d'intonaco e l'altra, mentre un odore di chiuso e ferro li fece storcere il naso. Impiegarono diversi minuti prima di sbucare in cima.
Una stanza buia li accolse con freddezza. Era completamente priva di finestre, illuminata appena da quattro lampade collocate agli angoli su piccoli tavolini circolari. Il rumore di un condizionatore sovrastava quello degli ingranaggi in funzione, già visibili dal soffitto per via di una grata che separava il meccanismo dalla saletta. Qualche mensola adornava i muri ma per lo più erano vuote e polverose, abbandonate a se stesse. Alcune reggevano delle ampolle contenenti quel che Aura scoprì essere polvere di ferro e sale in grossi granuli. Su di un tavolo posto al centro del pavimento riconobbe alcuni rametti di rosmarino poggiati su fogli scribacchiati a mano. Questi in particolare attirarono l'attenzione di Cryo che prese subito a visionarli con avidità.
Aura gli si avvicinò con una strana sensazione nelle ossa. Nonostante fosse al chiuso c'era un freddo innaturale, quasi spettrale. Solo questo bastò per tenerla in guardia.
- Queste carte non hanno senso, - esclamò con disappunto il detective dopo qualche attimo.
- Che c'è scritto?
- Sono appunti, di alcuni c'è anche la data. Per lo più parlano di funzionalità dell'orologio, o almeno così credevo.
- … Ma? - continuò Aura vedendolo disorientato.
Alphalaw le passò un foglio, indicandole con un dito un passaggio scritto qualche giorno fa.
- Qua fa riferimento a qualcosa che si sta svegliando prima del previsto. E di certo non parla del meccanismo.
La ragazza aggrottò le sopracciglia pensierosa. Aveva ragione, c'era qualcosa che non tornava in quegli scritti. Su alcuni erano disegnati anche strani simboli che parevano rune o qualcosa di simile. Non era un'esperta in materia, per lei quelli potevano anche essere semplici scarabocchi. Strinse le mani sotto le ascelle nel tentativo di scaldarle un po'. L'occhio le cadde su qualche goccia di liquido scuro ai piedi di una seconda scala, stavolta di acciaio, che portava alla grata soprastante. Con una gomitata attirò l'attenzione dell'amico, il quale si precipitò ad indagare. Passò le dita sul pavimento esaminando la traccia.
- Sangue, ma è già secco.
- Pensi sia di Jean? - domandò la Commander ed il verso che il compagno emise fu una risposta sufficiente.
Senza esitazioni, i due s'incamminarono su per la scalinata che portava nel cuore del meccanismo. La luce filtrava dal quadrante in vetro resina colorato di giallo, rendendo l'atmosfera ancor più misteriosa ed intrigante. Nonostante si trovassero così vicini agli ingranaggi, il rumore dei loro passi sulla griglia metallica li sovrastavano largamente. Producevano un cigolio sommesso e flebile, come se il campanile stesso fosse stanco e vecchio e batteva le ore solo perché costretto dal congegno. Nell'aria aleggiata un tenue odore di tabacco, ma lì per lì non seppero dire da dove provenisse finché non scorsero un oggetto luccicante a pochi passi dalle lancette. Un velo di neve segnava il punto dove il vetro si era rotto, affacciandosi direttamente sulla piazza dove James faceva la prova microfono. Lì in mezzo, appena ricoperta, una pipa in madreperla. Cryo abbozzò un sorriso.
- Scommetto 10 guil che è la stessa che Theodoric Thunder ha fumato l'altra notte.
Aura storse la bocca nello sporgersi appena dal quadrante. - Ed io scommetto che è morto cadendo proprio da qui. La storia di Jean regge.
- Strano a dirsi ma è così, - sussurrò l'altro non del tutto convinto da quella vicenda. Nei suoi occhi la ragazza vide brillare ancora quella luce avida di sapere, un po' curiosa ed un po' guardinga. Prima che potesse accorgersene, stava cominciando ad ammirare quella sua tenacia. L'attenzione in quel frangente cadde su una struttura al di là del passaggio che conduceva proprio sotto il meccanismo principale.
- Credo che ci sia dell'altro da scoprire, - gli disse ed Alphalaw volse lo sguardo. Quel che vide, strano a dirsi, lo lasciò turbato.
In un piccolo spazio al centro del campanile stava un cilindro di ferro e vetro. La sommità era sigillata da pesanti catene che pendevano dagli ingranaggi come liane dagli alberi, incrociandosi più volte per tutta la lunghetta e saldandosi fermamente alla base. Incise nel metallo vi erano strani simboli, gli stessi che Aura aveva visto nelle carte. La maggior parte sembravano raffigurare occhi, lettere indecifrabili e le parve di vedere anche qualche numero. Ciò che però la lasciò interdetta fu lo strano bagliore che il cilindro emanava. Pulsava di una flebile luce bluastra che ghiacciava l'ambiente più del freddo dell'inferno. Una nebbia opaca e fitta vibrava all'interno non lasciando intravvedere nulla, ma la sensazione che suggeriva le faceva venire la pelle d'oca.
Cryo avvicinò il viso al vetro, - Sembra qualcosa di magico.
La ragazza lo tirò per il cappotto, facendolo indietreggiare. Al suo sguardo interrogativo lei deglutì insicura.
- Meglio non avvicinarsi troppo, - gli raccomandò. - Non so cosa sia, ma non mi sento tranquilla.
Lui aggrottò le sopracciglia fissando prima la Commander e poi il cilindro, - Di cosa hai paura esattamente?
- Se tu avessi visto quello che ho visto io in tanti anni del Garden, saresti guardingo anche tu.
- Guardingo o no, dubito che salti fuori uno di quei mostri che affrontate tutti i giorni.
Aura ridacchiò nervosa, - Mostri? No, quelli non sono niente in confronto al quello che passiamo tutti i giorni al Rinoa's. Tu non hai la minima idea di tutto quello che ho visto in soli pochi anni.
- Lo so bene invece, - si fece istantaneamente serio il detective. - Avete sempre a che fare con cose strane e magiche, poteri inimmaginabili, battaglie fra popoli. Sopravvivete a tutto, - digrignò i denti, - ma basta una pallottola nel cranio e venite rimpiazzati come bestie in un allevamento.
La ragazza serrò la mascella, - Siamo soldati, è il nostro mestiere.
- Un mestiere senza cuore.
Un fruscio improvviso li interruppe, mettendoli in guardia. Aura mise mano allo Stardust già pronta ad estrarlo, ma non vide nulla di anomalo. Solo la nebbia nel cilindro vorticò per qualche istante instabile, fino ad immobilizzarsi. Il pianto di un bambino le arrivò leggero alle orecchie prima che un fuoco di artificio esplose in cielo. Il poliziotto guardò severo la ragazza prima di dirigersi al quadrante. Sotto al campanile, ai piedi della scalinata, James Thunder diede inizio alla cerimonia.

- Avrei dovuto aspettarmelo.
Aura volse lo sguardo alle sue spalle. Fece appena in tempo a vedere due grosse mani che venne scaraventata di lato. Un martello le arrivò dritto sullo stomaco, mozzandole il respiro. Un dolore acuto le arrivò al cervello, lasciandola carponi a terra con la sensazione di vomitare da un momento all'altro.
- Fermo! - gridò Cryo puntando la pistola d'ordinanza. Fino a quel momento la ragazza non sapeva che ne aveva una con sé, ma fu un bene non averla usata contro la serratura della porta. Solo allora potè veder meglio il viso dell'attentatore. Lloyd Ferguson strinse la presa sull'arnese.
- Non sparerai davvero.
Il detective caricò l'arma, - Non darmi un motivo per farlo.
Prima che l'uomo avesse il coraggio di muoversi, un sottile filo di ferro legò strette le sue mani l'una all'altra. Lo Stardust girò su se stesso e con uno strattone, lo costrinse a genuflettersi con la faccia rivolta alla grata. Il martello gli cadde di mano e per poco non finì sul piede di Aura che lo ritirò trattenendo il respiro.
- Lasciatemi andare! - digrignò fra i denti. Il viso gentile che avevano visto quel pomeriggio sembrava non essere mai esistito.
La Commander si rialzò soffocando un gemito. Le sembrò di essere appena stata investita da un camion, ma barcollando riuscì a rimettersi in piedi. Si tastò la pancia soffiando fra i denti. Di colpi come quello non ne aveva mai ricevuti. Quell'uomo aveva una forza fuori dal comune. Appoggiandosi alla parete più vicina, guidò lo Stadust affinché legasse Lloyd ad un angolo della sala. Lui replicò con un cenno seccato della testa ed un grugnito.
- Allora, - fece Alphalaw riponendo l'arma. Ormai non serviva più, - Perchè hai ucciso Theodoric Thunder?
Ferguson serrò la mascella, - Non l'ho ucciso io.
- Tsk! Non farmi credere che è caduto dal campanile da solo!
- Non ho detto questo, - replicò l'uomo arricciando il naso. Ancora il suono di un pianto catturò l'udito della ragazza.
- Ma ti conviene liberarmi se non vuoi fare la stessa fine.
Il volto di Cryo si fece scuro, - Non sei nelle condizioni di minacciarmi. Ti credevo un buon uomo… fino ad oggi. Perchè mi hai mentito?
- Avevo i miei buoni motivi. Ora slegami prima che sia tardi.
Aura gemette poco lontano, - Che cos'è questo rumore?
Fuori la voce di James Thunder si fece tonante. Rimbombò innaturale fra le mura del campanile come se si trovasse ad un metro di distanza. Forse erano stati istallati degli altoparlanti o altro, la Commander non seppe dirlo. La sua attenzione fu invece rapita da tutt'altro. Le catene che scendevano dal marchingegno traballarono prese da un'insolita frenesia. Il pianto prima udito si trasformò in un ringhio sempre più basso, fino a diventare un lamento greve e baritonale. La nebbia nel cilindro vorticò veloce per qualche istante, fino a bloccarsi all'improvviso e disegnare due labbra pallide. Una lieve risata si alzò dal ferro.
Alphalaw socchiuse gli occhi, - Quello cos'è?
Il fabbro contrasse i muscoli delle braccia, teso, - Sophia Valiant.
Non appena completò la frase, un'onda d'urto spinse i presenti indietro. Aura andò ad impattare contro una lampada esposta sul muro, frantumandola completamente. Le schegge si infilarono sotto pelle ed ella soffiò per il dolore che già le lambiva lo stomaco. Cryo fu più sfortunato. Lo sbalzò gli fece superare lo strato di neve sulla grata. Scivolò, la terra gli mancò sotto i piedi ed il giovane poliziotto cadde al di là delle lancette.
Spoiler
Chiedo scusa per l'immenso ritardo :smt005 Ma siamo ormai alla fine. La prossima è l'ultima parte... forse :P
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Akainatsuki
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Re: FanFic Garden

Messaggio da Akainatsuki »

Cat Empitsu [BACKstory #EXTRA #2]
PostCARD
Theme song: Bokura no Natsu no Yume - Tatsuro Yamashita (Summer Wars)
***
Reeve Tuesti lasciò a passo lento il malridotto bar ai margini di Edge, stringendo nella tasca dei pantaloni il fazzoletto a fiorellini. Si incamminò verso il Motor Tri-Cycle parcheggiato all’ombra di un palazzone poco lontano, per poi superarlo e dirigersi verso la piazza principale della città: doveva schiarirsi le idee prima di fare ritorno all'appartamento, anche se quel tentativo di riordinare i pensieri non era solo rivolto alle nuove politiche di assunzione del WRO.

Iniziò a passeggiare senza una meta precisa lungo i marciapiedi affollati in quella giornata luminosa. Pensò a come, in una manciata di anni, la crescita di ciò che una volta era Midgar era avanzata ben oltre le più ottimistiche previsioni.

Il suo sguardo venne inevitabilmente attratto dall'imponente monumento alla Meteora a qualche decina di metri, nel cuore della città: sorrise al ricordo della signorina Empitsu, che aveva trascorso un intero pomeriggio a borbottare come ‘quella cosa lì in mezzo’ non avrebbe che portato calamità a non finire anche su Edge.

Tornò a camminare, le mani infilate nelle tasche, immergendosi nella vita che scorreva attorno a lui.

Ne era orgoglioso. Di quella nuova città, di quelle persone sopravvissute a una delle peggiori catastrofi che il Pianeta avesse mai affrontato. Certo, erano seguiti il Geostigma e la Reunion, ma ora era tutto finito. Avevano vinto.

Pensò a come avrebbe potuto prendersi un po’ di riposo, dopo tanto tempo: in fondo, doveva una vacanza a Costa del Sol a qualcuno di sua conoscenza, e magari avrebbero potuto fare anche una capatina al rinnovato Gold Saucer, sulla via del ritorno.

Senza davvero rendersene conto, cercò con gli occhi un’agenzia viaggi nelle vicinanze, per uscirne dopo poco con due biglietti e una prenotazione. Invece di rimettersi in cammino, rimase immobile, appoggiato fuori la vetrina del piccolo ufficio, fissando le carte che teneva in mano e cercando di riordinare i pensieri.

Improvvisamente se ne era reso conto, un fulmine a ciel sereno, di come quella non fosse una relazione ‘squisitamente professionale’.

O perlomeno, come, da quel preciso momento, non lo fosse più. O forse, non lo era già da qualche ora, o giorno, o addirittura mese - prima ancora che lei gli chiedesse la risposta a una domanda che non gli aveva mai posto.
***
Quando si erano incontrati per la prima volta, nessuno di loro aveva prestato troppa attenzione alla persona che si trovava davanti: uno era semplicemente un 'pezzo grosso della Shin-Ra' interessato a uscire il prima possibile da quel bordello di pessimo gusto negli Slums, l'altra era una ragazzina infilata in una divisa improbabile che lo fissava annoiata dal bancone della Reception.

"Se vuole un fortune-teller le rivendo la mia receptionist a prezzo di favore, Tuesti" aveva biascicato Corneo dietro al suo sigaro, ghignando alla vista di Numero Uno. "È buona solo a lamentarsi e non sorride abbastanza ai clienti. Potrebbe rallegrarle le giornate, se l'attizzano le piantagrane incapaci di azzeccare anche le previsioni del tempo".

Quando era entrata alla Shin-Ra, non aveva potuto risparmiarle quei lunghi mesi al Dipartimento per il Governo Cittadino, lasciandola alle fotocopiatrici e alle pile di documenti che la burocrazia di Midgar richiedeva ogni giorno: allora, lui era ancora uno dei più alti quadri aziendali a cui lasciare il passo lungo i corridoi, lei una qualsiasi e anonima segretaria di uno dei tanti piani degli HQ.

"Quella lì prevede i miei spostamenti e sa esattamente in che momento iniziare a fingere di lavorare, te lo dico io, Reeve..." aveva borbottato Dominio, sputacchiando nel caffè e rivolgendo un'occhiata inferocita alle sue spalle, in direzione dell'oggetto del suo astio. "Le ho chiesto di darmi i numeri della lotteria o di qualche Chocobo vincente, ma è affidabile come il tuo gatto meccanico".

Quando l'aveva rivista, davanti al modellino di Midgar, non aveva potuto offrirle benvenuto migliore di chiederle di spingere il bottone rosso che ne avrebbe fatto crollare il suo Settore 7: in quel momento erano diventati ciò che sarebbero stati per molto tempo a seguire, El Capodipartimento Tuesti e la signorina Empitsu.

"Qui al Dipartimento per lo Sviluppo Urbano c'è una sola regola” aveva aggiunto, mentre finivano le presentazioni e si lasciavano alle spalle la piccola voragine di quel mondo in miniatura. “Noi non abbiamo un paio di giorni di vacanza. Neanche ce li venisse a regalare il Presidente in persona. In caso di fine del mondo, tuttavia, potrei concedere una settimana prima che il disastro di passaggio si abbatta sul Pianeta.”

Quando la fine si era effettivamente catapultata sul Pianeta, nessuno di loro aveva avuto il tempo di reclamare quelle vacanze promesse e gelosamente custodite per superare i momenti peggiori: troppo impegnati a fare la conta dei morti e dei sopravvissuti, troppo concentrati nel progetto di ricostruire con quello che era rimasto di Midgar, nel bel mezzo del deserto.

"Non ce lo siamo dimenticati, Reeve, soprattutto lei. Ogni tanto la vedo che fissa le cartoline di quel signor Mukki e borbotta qualcosa sui costumi da bagno" aveva ghignato Cait, arricciando il nasino mentre frugava tra le carte sparse sul tavolo. "Verrà il giorno in cui ti chiederà quelle ferie, con tanto di interessi compresi nel pacchetto... Spero che tu sia diventato ricco per allora, anzi, ricchissimo!"

Quando aveva scoperto del suo Geostigma, aveva avuto paura, accorgendosi di non essersi ancora arreso all'idea di come ciò aveva costruito potesse svanire dalla sua vista, che fosse una città, un gatto meccanico o una segretaria: non avrebbe permesso che potesse scomparire nel nulla, senza lottare facendo la cosa che sapeva fare meglio.

"Lei pensa e fa diventare reale ciò che non esiste, giusto?" gli aveva sorriso assonnata, avvolgendosi nelle lenzuola, mentre si sdraiava accanto a lei in quella notte trascorsa solo da poche ore. "Parla e fa cantare quelle gru di carta stonate... Ma non ha mai parlato per sè, signor Tuesti".
***
Entrò nell'appartamento silenzioso, chiudendosi la porta alle spalle. Lasciò le scarpe all'ingresso, per poi avanzare lungo il corridoio, le carte dell'agenzia strette in mano: aveva la brutta sensazione di come stesse sudando freddo, rovinandole.

Arrivò alla porta della sua camera, battendo appena con le nocche sul legno: “...Signorina Empitsu…?” chiamò, a bassa voce. “...Posso disturbarla…?”

Dall'interno, il cinguettio delle gru di carta fu l’unica risposta che ricevette.

“...Cat?” alzò il tono, mentre di nuovo la paura del Geostigma tornava a martellarlo al petto. “Posso entrare?"

Aprì la porta lentamente, gettando un’occhiata alla stanzetta in cui l'aveva vista nascondersi quella mattina: lo sguardo corse sull'armadio spalancato, i vestiti buttati a terra. Solo in quel momento ricordò di come non avesse visto le sue scarpe all'ingresso.

Si avvicinò alle piccole gru di carta colorata che, appese alla testiera del letto, continuavano nei loro gorgheggi, fissandole serio.

“Dov’è la signorina Empitsu...?” sospirò, mentre attirava la loro attenzione e il canto cessava all'improvviso. “L’avete vista?”

Rimasero per un attimo in silenzio, poi le loro vocine si unirono in un’unico trillo: “Non è più qui, signore!”

“Sapete dove possa essere andata?”

“No, signore!”

Cercò di scegliere con cura le parole, ma quei pezzettini di carta erano meno propensi al ragionamento di un Cait Sith. Li aveva pensati per canticchiare, non per lavorare da informatori.

“Non ha detto nulla mentre era qui...?”

Di nuovo sospesero i loro solfeggi, concentrandosi sulla risposta. Proprio quando stava per perdere le speranze, tubarono in una sola voce: “Le doveva una vacanza! E ha fatto le valigie, signore!”

Ebbe un sussulto al sentire quelle parole, indietreggiando di qualche passo e lasciandosi cadere con un tonfo sul letto sfatto. Rimase a fissare un punto davanti a sè, i biglietti ancora stretti tra le dita, rielaborando lentamente quelle parole.

Cat Empitsu se ne era andata.

Proprio mentre era immerso in quei pensieri, sentì la porta principale aprirsi, e trattenne il respiro, cercando di percepire il rumore dei passi che aveva imparato a conoscere.

“...Cait” sospirò, vedendo le orecchie a punta sbucare dal muro. “Vieni pure”.

Trotterellò verso di lui, guardandosi attorno con quell'espressione beffarda stampata sul musetto: “Dov’è Catty? Vi avevo lasciati da soli apposta, Reeve”.

Lo sguardo gli cadde sui biglietti che teneva in mano: “...Credo ci abbia lasciati”.

Sentì gli occhietti cuciti di Numero Quattro rivolgergli quella che avrebbe dovuto essere un’occhiata stupita, mentre una risatina amara riempiva la stanza: “Sei proprio sfortunato, signor capo” commentò senza troppe remore, giocherellando distrattamente con i lembi del mantello.

Nonostante quel suo fare indifferente, notò come le sue orecchie andavano pian piano appiattendosi sotto la coroncina, il nasino che iniziava a fremere.

“...Non la seguiremo, Cait” lo precedette, posandogli una mano sulla testa. “Nessun gioco delle spie, stavolta”.

Sbuffò, miagolando offeso: “Credevo che quei biglietti per Costa del Sol li avessi presi per l’occasione”.

Scosse il capo, osservandoli in silenzio: li appoggiò sul comodino accanto, fermandoli sotto uno dei libri che erano stati pericolosamente impilati in quel minuscolo spazio.

“Se tornerà, li troverà ad aspettarla” mormorò con un sorriso amaro, rilassandosi contro il muro e chiudendo gli occhi. "E così troverà anche noi".

“...Se tornerà” gli fece il verso, imitandolo a sua volta. “Hai troppa fiducia nel Pianeta, Reeve”.

Strinse le labbra, appoggiando il capo contro la parete e abbassando le palpebre fattesi improvvisamente pesanti.

Forse era stata tutta una fantasticheria, quella relazione non più squisitamente professionale, che un paio di biglietti per una meta esotica non avrebbero certo potuto tramutare in realtà.

Come guardare una cartolina da un futuro che lui non era in grado di prevedere.

Fu in quel momento, mentre la sua mente vagava tra i pensieri, che sentì il sapore di sale sulla labbra, la ruvidezza della sabbia sulla pelle, il rumore delle onde nelle orecchie: un posto da cartolina, come uno solo esisteva in quel mondo, in quel presente.
Costa del Sol.
"...Non la cercheremo" ripeté, mentre i suoi occhi si spostavano su quelle piccole gru gorgheggianti. "Ma non la lasceremo sola. Alla signorina Empitsu servirà un portafortuna, giusto?"

Si rimise in piedi, sotto lo sguardo attento di Numero Quattro, sganciando il grappolo di origami dalla testiera del letto e osservandolo rilucere, nella sera che iniziava a scendere su Edge.

Sorrise al suo riflesso nella finestra: gli era avanzata della bellissima carta viola.
Spoiler
Per il Pianeta e gli Dei di Wutai, è uscito fuori un post LUNGHISSIMO e chiedo venia. Ma direi che le cose da dire le ho dette tutte. Ma proprio tutte-tutte-tutte. Quindi chiudiamo qui questa specie di accozzaglia pseudo-romantica.

Comunque NON hanno assolutamente combinato un accidenti di niente questi due. Davvero. Croce sul cuore. Troppo professionali (?) per certi scivoloni da romanzetto rosa di serie Z.

(...E Reeve ha visto le cicatrici del Geostigma solo perché Cat si agita nel sonno, ecco)
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Lenne Silveross
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Re: FanFic Garden

Messaggio da Lenne Silveross »

The WOLF and the CAT #1
// NOTHING is not ENOUGH


Music Theme: Mighty Long Fall - ONE OK ROCK (Rurouni Kenshin - Kyoto Inferno Arc)
***
«Hai potuto prevederlo.»

Muscoli tesi, un’evidenza che Cat ingoiò come pezzi di vetro. Infilata in una camicia stropicciata, dopo aver svestito una divisa che aveva sempre meno significato, fissò la punta delle scarpe con sguardo assente; indifferente avrebbe detto Lenne, se soltanto non fosse stata sicura del contrario. Il fatto che le sue parole non la scuotessero non voleva dire le stesse ignorando.

«Non hai voluto fare abbastanza.»

Scosse il capo in un gesto secco, le dita a tormentare il tessuto mentre tutto, in lei, parlava di contrazione - negazione; non aveva intenzione di lasciarsi accusare in quel modo, permettersi di dubitare e dirsi che sì, avrebbe potuto fare di più, di meglio, perché se alla fine non avesse tentato un folle azzardo non sarebbero stati lì a raccontarlo.

A Lenne, però, non importò quando glielo disse: in silenzio, la linea della mascella appena più contratta e la pupilla ridotta a una fessura sottile, un filo che le rifiutò comprensione, lasciò l'eco delle sue parole vibrare e poi tacere - un vuoto di rumori e suoni che all'orecchio della ragazza rese assordante persino il battito del suo stesso cuore.
Cat si passò la manica della camicetta sul viso senza una vera ragione, inspirò con forza.

Non era stato nulla di pulito. O così veloce come tutti dicevano. Daraen aveva lottato, si era difesa, aveva imbracciato le armi, la speranza, la rabbia: tutto ciò che aveva perché si opponesse all'entità e le assurde pretese che la muovevano; si era erta contro il mostro, il Nulla con le sembianze di una SeeD che aveva votato la propria vita a salvarle, le persone, non ridurle in ginocchio e abbatterle come un cane idrofobo.

Non era bastato, si era rivelato tutto inutile. E lei avrebbe potuto evitarlo.

Nessuno aveva valore per il Nulla, il mondo era solamente una matrice da correggere, una funzione errata, un calcolo da rifare. Anche Daraen.

Ma lei avrebbe potuto far qualcosa.

«Non starai incolpandomi di quanto successo» fu la sola risposta che le sovvenne, testardamente impuntata sul fatto di non essere in torto. Non in quel caso, non in tantissimi altri.

«No. Ma lo negheresti, se fosse?»

La SeeD aprì la bocca, la richiuse.

Non sapeva cosa dire.

«Sei stata fortunata. Considerato il tuo marchio, la cosa non stupisce.»

Non era vero. Aveva visto l'alba dopo una notte nera e accecante, fra strade divelte, edifici in rovina e persone che morivano male - corpi prosciugati che colavano striature nerastre e umide. La Meteora aveva artigliato il cielo, strappato la terra, non aveva concesso alcuna grazia. Cosa c'era di fortunato nell'essere lì, a raccontare di quando tutto era caduto, tutto era morto per poche, interminabili ore mentre un marchio indelebile le ricordava che nessuno sopravvive senza pagare il prezzo?

«Hai pensato alle conseguenze, se Haerii non avesse saputo reagire?»

Non importava. Non era successo.

«Quanto saremmo vissuti se la tua strategia avesse fallito? Minuti, ore, giorni? Questo lo avevi previsto?»

Non sapeva. Ma non era successo e se non era successo dunque non aveva nessun senso preoccuparsi.

Alzò la testa, sostenne lo sguardo della donna. «Perché domandarsi "what if" se non è stato? Siamo vivi ed è questo che conta. Null'altro.»

Lenne la guardò ancora senza dire una parola, la studiò mentre le mani smettevano di tormentare la camicia e stringevano il bordo della panchina.

«Non era canonico? Non stava nei Manuali per la Salvezza del Mondo? Beh, si doveva pur fare qualcosa ed io, scusami se non sono come tutti voi SOLDIER e vattelapesca capaci di muovere spadoni più pesanti di voi, non volevo lasciarci le penne.»

Un sarcasmo sporco, il suo, amaro.

Per la prima volta, Lenne le offerse un'occhiata che la spinse sul serio a pensare di aver parlato troppo: la Mako sembrava viva nei suoi occhi, una nebbia dove si celava la bestia. Non avrebbe saputo dire se fosse una caratteristica di creature come loro, corpi che erano soltanto armi e menti implacabili nascoste dietro una bella faccia o un’espressione impenetrabile, oppure se fosse solo Lenne in particolare a incuterle quel timore. Ma aveva già oltrepassato il confine per tenere a freno la lingua.

Cat inarcò un sopracciglio, appoggiò le mani sulle ginocchia, si chinò verso di lei. «È vero, non ho detto nulla, e non mi pare tu abbia fatto meglio.»

Non la colse in contropiede come forse aveva sperato, però ottenne il suo interesse in una sfida dove no, non voleva essere l'unica perdente.

«Non mi faccio fare la predica sul non aver detto abbastanza da chi invece non ha detto proprio nulla» aggiunse, incrociando le braccia e inclinando brusca il mento nella sua direzione.

Lei sapeva, magari non troppo, ma a sufficienza da sferrare il suo contrattacco; non si aspettava però che la donna sorridesse, denti da lupo sul volto affilato. Azzerò la distanza che le divideva, schiuse le mani sullo schienale della panchina e si abbassò verso di lei, la pupilla di nuovo a fremere sui bordi per poi ristringersi come quella di un felino.

«Vuoi sapere com'era prima? Vuoi sapere cosa volesse dire essere la cavia di un pazzo, contare i secondi fra una tortura e la seguente? Vuoi che ti racconti nel dettaglio sei anni di prigionia, di come ho ammazzato perché non avevo altre scelte; delle vittime, le loro urla - la loro agonia? Non ti interessa tutto questo. Vuoi capire se posso diventare anzitutto un pericolo per te, poi forse per gli altri se avanza tempo; vuoi essere sicura di avere le spalle coperte, di non diventare un» la mano sinistra scese sulla gola, strinse «numero.»

Un tremito nella guancia; un fremito che irrigidì i muscoli del collo. Sotto il palmo, Lenne la avvertì deglutire. Aspettò pochi istanti ancora, poi si ritrasse e riprese le distanze, mani infilate pigramente nelle tasche dei pantaloni e occhi di nuovo normali.

Cat riprese un respiro regolare, le scoccò un'occhiata in tralice. «Puoi biasimarmi? Vengo da un paesino dimenticato dal Pianeta nelle Wastelands, il nulla condito da altro nulla che ti insegna come sopravvivere sia una necessità, non appena prendi la sbagliatissima decisione di andare a Midgar perché oh vediamo com'è questo centro del mondo: cercare qualsiasi cosa che ti permetta di arrivare vivo e con la pancia piena a fine giornata è la base per chiunque si trovi con un minimo di cervello.»

Lenne si massaggiò le tempie con due dita, sospirò. «Questa non è la Shin-Ra, non è Midgar, non è nulla cui tu sia abituata, perché la SeeD, questa SeeD, non si può inquadrare e se vuoi sopravvivere, usa quella tua parlantina e previeni. Sempre.»

«Stai dicendo che sei preoccupata per me?» questionò l'ex segretaria.

«Sto dicendo che la fortuna non va sfidata troppo e tu» rispose mentre lo sguardo tracciava una mappa di cui tuttavia non poteva sapere nulla «hai un debito non indifferente.»

Cadde il silenzio. Cat ne intercettò gli occhi, si stupì a coglierli pieni: di sfumature e pensieri, qualcosa che non aveva mai fatto trapelare prima e lei sentì di potere capire, in parte.

E fu quello a farle davvero paura.

Il loro passato non poteva essere più diverso, ma bastava un elemento ad avvicinarle più di quanto volessero ammettere; una singolarità che era al contempo salvezza e tormento - filo conduttore di entrambe le vite.

Da una parte c'era una ragazza cui una città utopica aveva insegnato a sopravvivere, non a vivere; dall'altra una bambina, e poi donna, allevata nell'amnio artificioso di un orrore chiamato scienza.

Ad accomunarle, per caso, per scelta o forse destino - poco importava oramai - il bagliore della Mako.
Loro, che si erano parlate più volte eppure non l’avevano mai fatto sul serio, loro che guardavano alla vita da due opposte prospettive; due modi diversi di sopravvivere. Ma era sempre sopravvivenza e allora lì si erano stretti i nodi di quel filo rosso. Lì si erano ritrovate ed era nato quello strano rapporto, fra un lupo che aveva continuamente lottato per liberarsi dalle catene in cui volevano costringerlo e un gatto che quelle stesse catene aveva evitato gliele imponessero fin dall’inizio, vivendo secondo la propria natura. Non era empatia, una caratteristica più consona a persone come Aura; e nemmeno amicizia come una semplice pacca sulla spalla. Era qualcosa di più complesso, che le univa e al contempo permetteva loro di mantenere quelle identità tanto agli antipodi.

Perché prima che SeeD; prima che compagne sotto una stessa bandiera, per quanto lacera, erano due donne. Con il loro carico di rimorsi e disillusioni. E ciascuna a modo suo, erano soldati. Soldati che avevano imparato come la retorica andasse bene nei consigli di guerra, ma la vita vera; la vita fuori dai libri e dalle storie era sangue bestemmie e rabbia. Tanta rabbia e tanta esaltazione. Sciacallaggio anche. Di emozioni e di ideali.

Cat camminava sul confine. Mai in uno stesso posto, mai troppo a lungo.
Lenne aveva la ruvidezza del reduce, il cinismo di chi non aveva paura a chiamare le cose con il loro nome, anche se voleva dire rasentare l’improperio e la volgarità. Soprattutto, aveva imparato presto che non esistevano buoni o cattivi, battaglie epiche, ideali fulgidi; che chiunque combattesse, a volte, era mosso solo da motivi personali.
Forse al servizio di qualcosa di più grande. E forse no. Non importava. Né si faceva problemi a riconoscerlo.

Fu proprio lei a infrangere la stasi creatasi, portando una mano sotto la giacca della divisa, all'altezza del fianco, e guardando meglio Cat intravide una sottile cinghia di metallo fasciarle la vita per interrompersi, sulla destra, in un piccolo contenitore: era diviso in tre sezioni ma il tessuto lo nascose nuovamente quando la donna ritrasse la mano, fra le dita un astuccio lungo, stretto e dall'aria resistente. Glielo porse.

«Ho chiesto a Drio di costruirmelo, è una lega indistruttibile e in grado di tenerla alla temperatura adatta» spiegò appena Cat si fece scivolare il contenuto su un palmo. Non servì dirle niente, la riconobbe all'istante non appena gli occhi catturarono quel verde iridescente brillare tra le dita.

Mako.
Immagine Immagine
Non è stato amore al primo sguardo, anche perché esiste qualcuno in grado di amarla a pelle? Ne dubito. Eppure alla fine è successo. Non la amo per quello che ha, ma per quanto nemmeno immagina di possedere. Certo non è perfetta, non è neppure buona, però non è ipocrita. Non pretende d’essere migliore degli altri; vuole bene col cuore e la testa, qualcosa che pochi sono in grado di offrire.

Era come quell’inverno che l’avrebbe vista morire: una coltre bianca su cui ciascuno poteva leggere le proprie colpe, i propri fantasmi, le speranze e le debolezze. Non svelava niente di sé ed era un tappeto di ipotesi, per questo era difficile amarla senza pretendere.
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Re: FanFic Garden

Messaggio da Akainatsuki »

The WOLF and the CAT #2
// What doesn’t KILL you, lets you SURVIVE


Music Theme: True survivor - David Hasselhoff (Kung Fury)
***
«Prendilo come un gesto di fiducia da parte mia» aveva aggiunto Lenne, incrociando le braccia e tornando ad assumere la sua consueta espressione imperturbabile. Pupille rilassate, labbra strette su quel volto così enigmatico nei solchi delle cicatrici che lo segnavano.

Cat fissò il cilindro e il sottile ago appoggiato al suo fianco nel contenitore che teneva in mano. Il rilucere della Mako fluida le portò alla mente ricordi di qualche tempo prima, che ormai le parevano così lontani da sembrare un’eternità.

Perché non era stata quella strana specie di SOLDIER la prima persona a rivolgerle quelle esatte parole, nel silenzio della notte che incombeva su di loro.
*** INTERLUDE // A matter of TRUST ***
«...Non posso fidarmi, capisci? Non posso avere la certezza che le cose siano sempre sotto controllo - nonostante tutto l’impegno che possa metterci.»

Theo aveva chiuso con un gesto secco la scatolina, facendoli sprofondare di nuovo nelle tenebre del Piano 67, debolmente illuminate dagli schermi dei terminali.

«Non ti fidi della SOLDIER? Credevo fossimo ancora gli amici del villaggio nel nulla delle Wastelands» aveva commentato con un sospiro stanco.

«Mi fido di te, Cat. Meno di quelli con cui…» arricciò il naso, mentre gli angoli della bocca si piegavano verso il basso «Per il Pianeta, di tutti quelli che stanno alla Shin-Ra proprio con quelli della SOLDIER dovevi andare a...»

Ignorò quell’eccessiva premura con una scrollata di spalle, rigirando tra le mani il piccolo contenitore, ascoltando il liquido muoversi e gorgogliare. Mako liquida per iniezione d’emergenza.

«...È una questione di sopravvivenza.»

Le aveva rivolto uno sguardo stranito, cercando di capire il significato delle sue parole, di quella lotta per la sopravvivenza che sembrava aver iniziato fin dal primo giorno in cui aveva messo piede a Midgar, scendendo insieme a lui e Will da quel trenino polveroso. Tuttavia era rimasto in silenzio, indicando la fiala e riprendendo il discorso.
***
«Qui nessuno ci può sentire, nessuno può raggiungerci e viceversa: questo potrebbe rivelarsi un problema...» aveva sentenziato seria Lenne «…per me.»

Alzò gli occhi verso la donna davanti a lei, cercando di soppesare ogni parola per trovare il filo rosso che le univa.

«Potrebbe presentarsi la necessità che tu la debba usare...»

Una lunga pausa, come se stesse minuziosamente escludendo tutto quello che non voleva - non poteva - ancora raccontarle, magari davanti a una tazza di buon tè, come avrebbe fatto qualsiasi normale essere umano. Perché c’era molto che di cui non aveva mai parlato, se non a se stessa, se non a un’altra persona che, in quel mondo alla deriva nella vastità del Multiverso, non era lì e non poteva più sentire come prima.

Questo era il suo problema.

«...Su di me.»
*** INTERLUDE // Do not FEAR me ***
«Ora tu mi spieghi cosa ci fai con questa sotto il cuscino.»

Will fremeva di rabbia, stringendo convulsamente la fiala verde in mano, le pupille assottigliate nell’iride brillante di quel colore incredibile che riluceva nella penombra delle stanza. I muscoli del collo pulsavano, mentre cercava di contenere a stento una sensazione di cui non riusciva a dare forma in parole.

«Non hai il diritto di frugare sotto il mio cuscino. Inoltre ricordo fosse in un cassetto: questa è violazione della privacy» aveva ribattuto piatta Cat, senza evitare di fare un passo all’indietro e poi un altro ancora, strisciando i piedi scalzi sul pavimento.

«Tu hai paura di me» aveva sibilato incredulo, notando il suo gesto e portandosi una mano alla fronte, per cadere a sedere con un tonfo sordo sul letto sfatto. «Tu hai paura che io perda il controllo come un qualsiasi esperimento andato a male a quelli del Piano 67 o di qualche altro scienziato pazzo in giro per l’Universo!»

Digrignò i denti, cercando di controllare il respiro fattosi improvvisamente convulso e mettere in ordine i pensieri che come una nebbia gli affollavano la mente.

Tradito, non c’era altro modo per esprimere quello che sentiva dentro, mentre i suoi occhi si spostavano su Cat, ancora immobile e muta nella sua posizione.

«Potresti uccidermi con una di queste» aveva mormorato in un soffio, facendo muovere lentamente il liquido per poi cambiare espressione in un sorriso amaro. «Se perdi la Shin-Ra, se perdi la SOLDIER, non ci sarà nessuno di più forte a proteggerti sul Pianeta, lo sai, vero?»
***
«...È una questione di sopravvivenza.»

Era stata Lenne a pronunciare quelle parole, rompendo il silenzio che si era creato e indicando la fiala. Sembrò per un attimo tornare alla sua personale eliminazione di tutto quello che sarebbe stato superfluo o troppo prematuro da aggiungere al discorso, lasciandosi andare a un lungo sospiro.

La vista di quel colore le sovveniva tanti, troppi ricordi che ancora - non in quel luogo, non in quel momento - non si sentiva in grado di portare a galla e condividere con qualcuno.

D’altra parte, Cat pareva ipnotizzata dal fioco chiarore della Mako tra le sue mani: a differenza della persona che le si trovava di fronte, i ricordi erano per lei un flusso continuo - un cozzare di immagini e voci che aveva invano cercato di affossare in un angolo nascosto nella sua mente.

La Mako era stata la benedizione e la condanna del Pianeta, e ora era tornata ad assumere quell’ambiguo significato anche per le due donne che si fronteggiavano nella notte silenziosa.

«Se riuscissi a prevedere quando ti servirà, sarà meglio.» aggiunse, le labbra che si distendevano in una linea indecifrabile. «Per te. Per tutti.»

«Perché dovrebbe servirmi? Perché tu dovresti...»

Non riuscì a finire la frase, quegli occhi puntati su di lei, uno sguardo perentorio che non le permetteva di aggiungere altro.

Sopravvivere, in ogni situazione, a qualunque costo, con qualsiasi mezzo.

Era qualcosa che avevano sperimentato entrambe, molto tempo prima, sullo stesso Pianeta.
*** INTERLUDE // Best Place to WORK on this PLANET ***
«La sua dedizione alla causa del WRO è encomiabile, signorina Empitsu.»

Reeve aveva esordito con quell’apprezzamento in un giorno qualsiasi di lavoro in uno dei tanti cantieri di Edge. Cat era rimasta in silenzio, un cenno del capo per fargli capire come avesse afferrato le sue parole.

«Temevo che come altri dipendenti Shin-Ra volesse lasciare l’impiego dopo quello che è successo e invece è rimasta. Ne sono felice» aveva continuato quella strana manfrina, accarezzandosi pensieroso la barba.

«Perché non ci sta altro lavoro fuori di qui, Reeve. Morirebbe di fame e dovrebbe tornare da quel Corneo, vero Catty?»

La vocina stridula di Numero Tre l‘aveva fatta sobbalzare dalla sedia, mentre soffocando una risatina nervosa aveva cercato di liquidare quella domanda, ignorando lo sguardo indagatore che gli era stato lanciato.

«Il WRO è più forte, Catty! Più forte della Shin-Ra!» aveva continuato, saltandole in grembo e puntandole contro quegli occhietti cuciti. «Non dovrai più fare quello che...!»

Prima che potesse finire la frase, Reeve lo aveva disattivato, rivolgendole un sorriso imbarazzato e facendo cadere il discorso, tornando a leggere i documenti davanti a lui.

«Lo scusi. A volte non sa di cosa stia parlando.»

Non era vero e Reeve Tuesti, esimio ex-Capodipartimento per lo Sviluppo Urbano di Midgar nonché Capo Supremo del WRO aveva capito tutto, semplicemente aveva il pessimo gusto di usare altri mezzi per far parlare una parte di sé che non considerava consona al suo ruolo di Pluripremiato Vincitore di Ineccepibile Boss dell’Anno.

Sapeva bene come la fedeltà alla causa della sua - tentative name - segretaria non fosse per affatto disinteressata.

Midgar. Honey Bee. Shin-Ra. WRO.

Lei si era messa in cammino, un passo dopo l’altro, un luogo dopo l’altro per garantirsi ciò che in quel Pianeta allo sfacelo era il tesoro più grande di tutti: sopravvivere, spostandosi senza voltarsi indietro, passando di padrone in padrone, proprio come quell’animaletto randagio che le faceva da nome.
***
Cat lasciò scivolare la fiala nella borsa del suo scalcagnato computer di terza mano, appuntandosi mentalmente di trovarle un posto più sicuro che il cassetto di un comodino.

«Mi servirà anche un libretto di istruzioni» mugugnò, assicurandosi la tracolla a una spalla.

«Credevo avessi esperienza con i SOLDIER...» commentò l’altra, un sorriso appena increspato che si diffuse fino agli occhi. La vide accusare la frecciatina, arrossendo come un Piros.

«...Lasciamo perdere. E poi avevo previsto la tua battuta, sappilo» borbottò, aggiungendo orgogliosa quell’ultimo dettaglio. «Sapessi quanto è utile in questi casi.»

Chinò il capo di lato, un sopracciglio alzato: «Personalmente, mi sembra un gran spreco della tua capacità, Fortune Teller

Sbuffò scocciata a sentirla pronunciare quel nomignolo, che pareva averle affibbiato di sua volontà e del tutto poco intenzionata ad abbandonare: ripensò a come l’ultima volta che qualcuno l’aveva apostrofata in quel modo era stato nel bel mezzo di quella che aveva tutta l’apparenza di essere la Fine del Pianeta.

«Quindi restiamo ad aspettare il brutto giorno in cui dovrò scatenarti addosso tutto il Garden per questa?» indicò eloquentemente il rigonfiamento della borsa. «Preferirei saperne di più, trattandosi di te e della Mako. In entrambi i casi, non sono esattamente quisquilie.»

Aveva ragione. Lenne lo ammise addirittura con un cenno del capo, a cui le parole che seguirono diedero voce all’esatto opposto, mentre si celava di nuovo dietro a quello sguardo immobile.

«Devo potermi fidare di te...» rispose senza emozione nella voce, bloccando la sua reazione con un gesto secco della mano «...E quella considerala come un buon inizio. Ma non abbastanza.»

La osservò mentre si arrovellava nel cercare di replicare, mordendosi stizzita le labbra e fissandola torva: era un personaggio incapace di tenere per sé le sue emozioni, talmente assordanti che spesso si era chiesta come avesse fatto - nonostante tutto - ad uscire dalle situazioni più improbabili così fortunatamente viva e vegeta.

Poteva distinguere con chiarezza tutta l’amarezza che provava per aver creduto, anche se solo per poco, di aver capito Lenne Silveross: come cercare di addomesticare un lupo selvatico per farlo diventare un cagnolino domestico.

«Prevedi e parla.» concluse, rispondendo alla domanda muta che le aveva rivolto.

«E tu?» la incalzò, incrociando le braccia e rivolgendole un ghigno beffardo. «Sembra che tutta la fatica la debba fare la sottoscritta. Senza guadagnarci nulla - e io non lavoro gratis

Si portò una mano davanti alla bocca, quasi a dissimulare quello che avrebbe potuto essere una scintilla di divertimento, o ironia. O semplicemente falsa incredulità.

«…Ma a volte sì. E questa è una di quelle volte, giusto?» sospirò Cat, esausta, chinando il capo sconfitta davanti all’evidente prova che il suo curriculum fosse ormai stato sparpagliato ai quattro angoli della Galassia.

Annuì, per poi volgerle le spalle, le mani infilate nelle tasche dei pantaloni. Rimase per un attimo immobile, dandole la schiena, come se fosse indecisa su come concludere quello strano incontro notturno.

Qualcuno le aveva insegnato, tanto tempo prima, di come quel loro essere - animali selvatici, nati e cresciuti a uno solo scopo - non avrebbe dovuto essere sacrificato per quello che al tempo stesso li rendeva ancora umani.

Girò il capo verso Cat, ancora ferma a pochi passi da lei, infagottata in quella camicia troppo grande e dal colore improbabile. Gli occhi le sfuggirono sulla borsa a tracolla, dove aveva lasciato una parte di se stessa, contenuta in quelle poche gocce di Mako.

«A domani, Fortune Teller» la salutò, rompendo il silenzio. «Sopravviverai anche a questa notte, fidati di me
Spoiler
Mai dire "scriviamo due righe - dueddue (cit. nonna) - giusto per passare il tempo".
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Una breve storia di famiglia.

Messaggio da pad93 »

L'allenamento con il preside Phoenix era appena terminato; Mocetòn si ritrovò a vagabondare per il garden con la lancia in una mano, e thé nell'altra.
Trovò ristoro in una panchina nel giardino.
Alys gli si sedette accanto, incuriosita dalla partigiana.

Mocetòn: Ciao Alys.
Alys: Ciao Mocéton. E' da quando abbiamo fatto fuori occhiofosco che te lo volevo chiedere: posso provare la tua partigiana? Se non ti dispiace eh, so che era di tuo padre...
Mocetòn: No, figurati. Vista la tua abilità col falcione non vedo perché dovrei preoccuparmi.

E le porse la lancia.
Alys la soppesò, la fece rotare, e provò diverse manovre e affondi.

Alys: Ottima fattura. E' leggera e bilanciata. Mi piace la testa di drago anche se l'intera asta dorata è forse un po' eccessiva.
Mocetòn, ridendo: Non posso certo dire che i miei antenati amassero la sobrietà; ma sicuramente prediligevano armi di ottima qualità.
Alys: Ah, l'hanno fabbricata i tuoi antenati?
Mocetòn: Non ne ho idea. Mio padre non mi ha mai parlato molto del nostro clan. L'unica cosa che so è che apparteneva a mio nonno, che a sua volta era un dragone. Una sorta di mestiere di famiglia.
Alys: E tua madre?
Mocetòn: E' cresciuta in un monastero, come il sottoscritto. Tutto ciò che so di lei me lo ha raccontato mio padre. Era una templare, cresciuta in un monastero vicino al villaggio di Eruyt. Per lui mia madre era "agile quanto un adamanthar e simpatica come un kyactus"; ma credo fosse solo invidioso del fatto che perdesse contro di lei. Si conobbero in missione: mia madre faceva da guardia del corpo al priore di Eruyt e mio padre era stato assoldato come ulteriore protezione. Una volta completato l'incarico si ritrovano a fare a botte senza un motivo apparente. Credo sia stata l'unica volta che mia madre abbia deposto un uovo.

Il volto di Alys si contorse in un sentimento di orrore misto a disgusto.

Alys: I bangaa... depongono le uova?
Mocetòn: Certo. Perché? Voi umani fate diversamente?
Alys: Non so quanto tu sappia di anatomia umana ma.. si.

Mocetòn guardò dritto negli occhi la Seed che ricambiava con un discreto imbarazzo.
Scoppiò a ridere.

Si ritrovò la propria lancia puntata in petto.

Alys: C***o adesso non potrò più guardare un uovo allo stesso modo!
Mocetòn, continuando a ridere: Ok ok, non farò più battute a riguardo. Promesso!

La Seed ripose la partigiana.

Alys, ridendo: Uova? Come c***o ti è venuto in mente?

Risero di gusto entrambi.
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Per un pugno di Muffin

Messaggio da pad93 »

Wedge giaceva a terra.
Erano riusciti a comunicare che il capo della rivolta era non costituiva più una minaccia.
La rivolta si sarebbe dovuta placare di lì a breve.
Tagliare la testa alla lucertola e il corpo smetterà di agitarsi.
Così diceva quell'antico detto tra i Bangaa.
Una strana sequenza di file nel computer di Pip attirò l'attenzione di Moceton e Sky.
Sembravano una serie di video, alcuni lunghi anche diverse ore.
I due si guardarono perplessi.
Sky:"Adesso non abbiamo tempo per indagare, muoviamoci".
Moceton:"Lo so, ma io prima o poi sono curioso di scoprire di che si tratti".

***

Sky:"Quindi avevi copiato i file?"
Moceton:"Hey, solo perché sono un Bangaa non significa che non sappia proprio usare un pc".
Sky:"Hai i popcorn?"
Moceton:"Assolutamente si. Che domande".
Il primo video venne trasmesso nella sala audivisiva della biblioteca.
I toni della proiezione sembravano tendere al giallo.
Un Leon entrò all'improvviso, squadrò i due e osservò la proiezione.
Prese dei popcorn e si sistemò.
Leon:"E questo film dove lo avete trovato?"
Moceton:"Pip".
Leon, mangiando popcorn:"Ah.. *munch*.. non credevo gli piacessero i western".
Sky e Moceton si voltarono, si guardarono, tornarono a guardare il film.
Avrebbero scoperto più tardi a cosa si riferiva Leon.
Quelli che avevano identificato come i titoli di testa stavano finendo.
Altre persone entrarono nella stanza, ma il bangaa era troppo concentrato sulla proiezione per identificarli.
Iniziò.
Il protagonista era un biondo straniero capitato per caso in una città deserta. Un'elsa elaborata pendeva pigramente da suo fianco finistro.
Entrò in taverna.
Il barista sembrò incuriosito dalla nuova figura in città.
Lo straniero ordinò da bere.
Il barista gli riempì il bicchiere e lo intimò di andarsene: la città era contesa da due famiglie rivali.
Lo straniero sorrise. Ci sarebbe stato lavoro per lui.
***
Il duello nella piazza della città.
Lo straniero sta affrontando Ramòn, il capo di una delle due famiglie.
Erano in stallo: entrambe le armi giacevano a pochi metri dai rispettivi proprietari.
Si fissarono.
Gli sguardi erano tesi.
Lo straniero spostò il sigaro all'altro angolo della bocca.
Lo straniero:"Mi avevi detto che quanto un uomo con un gunblade incontra un uomo con un claymore, l'uomo con il claymore è un uomo morto".
Espirò una boccata di fumo.
Lo straniero:"Vediamo se è vero".
Con un crescendo la colonna sonora riempì la scena.
Scattarono.
Lo straniero fu più rapido.
Ramòn fissò il claymore che gli aveva perforato il petto. Prima morire lanciò un ultimo sguardo carico di odio al biondo straniero. I suoi occhi erano del color del ghiaccio.
Prese il gunblade lo posò su Ramòn.
Raccolse il proprio cappello e si avviò incontro al sole ormai al tramonto.
In quella città ormai non c'erano più muffin per lui.
I titoli di coda iniziarono a scorrere.


Le luci si accesero nuovamente nella sala.
Con sorpresa Moceton si accorse che la sala era al completo e che anche l'ultimo popcorn era stato divorato.
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Re: FanFic Garden

Messaggio da Akainatsuki »

The coming BACK #1
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***
Il wi-fi era tornato a funzionare.

Per qualche decina di secondi, Cat Empitsu, codardo Cadetto SeeD del Garden di Rinoa, aveva avuto la sua possibilità di riconnessione con un mondo che non fosse solo Adamantharth affamati, divinità nevrotiche e distese selvagge a perdita d’occhio.

La sua languente casella di posta ebbe un sobbalzo, mentre il pop-up indicava 1 messaggio non letto, facendola illuminare in viso per quell’improvviso ritorno alla tecnologia.

Senza perdere tempo, si fiondò sul suo scalcagnato portatile di quindicesima mano e mai aggiornato dalla fondazione della Shin-Ra, aprendo febbrilmente la mail ricevuta.

Codec:
Da: monsterjob@jobandclasses.com
A: catherine.empitsu@gmeil.com
Oggetto: Nuove offerte di lavoro per te!

Ciao Catty,

abbiamo trovato un’offerta di lavoro interessante che sembra essere proprio adatta al tuo profilo sul nostro sito. Per saperne di più, leggi qui!

Buona fortuna,

Il team di JobAndClasses.


Cat cliccò il link che avrebbe portato alla fantomatica proposta di lavoro, un po’ delusa nello scoprire come non avesse ricevuto altri messaggi in quel lungo periodo di lontananza dal Pianeta.

La connessione cadde nei pochi istanti successivi all’apertura della pagina, che venne caricata in 0,31 secondi…

...Mentre il computer di ghisa venne lanciato senza troppi complimenti contro il muro, esattamente 31 secondi dopo, e Cat Empitsu correva fuori dalla sua stanzetta alla massima velocità consentita dalle sue corte gambe.

“DEVO. FARE. UN. COLLOQUIO!”

Stretta nel suo stropicciato tailleur blu, la camicetta abbottonata fino al collo e il Mag Rod stretto in mano, superò di gran carriera chiunque si parasse sul suo cammino, fino a sbattere dolorosamente contro il piatto di un’enorme spada che conosceva bene.

“Spostati, Lenne. Fammi passare” sbuffò, incrociando lo sguardo curioso che la squadrava parecchi centimetri sopra la sua testa. “Devo parlare con il Capo, la Sala Macchine, la Grande Volontà del Grande Universo e far volare questo Garden a costo di smuoverlo a pedali”.

Il silenzio e la totale immobilità che ne seguirono le fecero capire come senza essere chiara e diretta, non avrebbe avuto molte possibilità di portare a termine quanto si era prefissata.

“IL WRO NON AVRÀ ALTRA SEGRETARIA AL DI FUORI DI ME!” esclamò, mentre la rabbia le saliva in viso, strozzandole la voce in gola.

Lenne chinò il capo, sbattendo lentamente le palpebre, nel tentativo di mettere assieme i pezzi sconnessi che componevano il nuovo, personalissimo puzzle della ragazza davanti a lei: “...Credevo lavorassi per il Garden. Che diventare SeeD fosse la tua nuova milestone per il curriculum...” commentò riportando alla mente i discorsi che avevano monopolizzato le loro rare conversazioni, mentre il Mag Rod veniva fatto sbattere rumorosamente e ripetutamente contro il muro.

“Sono anche la segretaria del WRO, per il Pianeta” ringhiò, tirando con il naso. “Non ho mai dato le dimissioni: quindi quella scrivania è ancora mia”.

Si morse un labbro, forse cercando di contenere quello che era un ghigno divertito, oppure semplicemente un pensiero di troppo: “...Non credo di Pip ti lascerà prendere possesso del Garden per tornare al Pianeta che ci ha banditi tutti a vita”.

La vide sbiancare, stringendo convulsamente il Mag Rod tra le mani: “...Nemmeno una navicella? Un jumper? Una bicicletta?!”

“Vorresti tornare per sempre sul Pianeta?” incalzò, incrociando le braccia per poi guardarla dritto negli occhi. “Non solo una visita di cortesia per rimarcare il tuo… ’segretaria ufficiale del WRO’, ma per restare?”

Cat fece un sospiro, mentre tutta l’energia che aveva sprigionato fino a poco prima sembrava improvvisamente spegnersi. Si addossò al muro che aveva iniziato coscienziosamente a maltrattare, chinando il capo.

Rimasero per qualche lungo secondo in silenzio, la vita del Garden che continuava a scorrere attorno a loro.

“...Non puoi usare il Garden per i tuoi scopi fin troppo personali. Metteresti tutti in pericolo: tornare allo scoperto significherebbe essere di nuovo alla sua mercè”.

“È maledettamente grosso questo coso, ovvio che dia nell’occhio” sbuffò, scuotendo nervosa il capo. “Capisco che il Cristallo sia effettivamente enorme, ma ottimizzare gli spazi sarebbe il minimo per chiunque dotato di…”

Lenne la interruppe con un gesto, tra lo stizzito e lo scocciato: “...Un Cristallo più piccolo, dici?”

Annuì, senza alzare lo sguardo: “...Monoposto, solo andata”.

Prima che Cat potesse reagire, si abbassò su di lei, fissandola con quelle pupille ridotte a una fessura sottile nel verde brillante. Restò immobile a osservarla, mentre qualcosa pareva guizzare nelle profondità della Mako, ormai sempre più difficile da tenere affogato come un qualsiasi Soggetto Zero nella sua capsula di sicurezza.

“Solo andata. Al Pianeta” ripetè, scandendo bene le parole. “Ma dovrai fare una cosa per me”.
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Re: FanFic Garden

Messaggio da Akainatsuki »

The coming BACK #2
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***

Lenne non era persona da chiedere favori. Seduta sulla consueta panchina del Giardino, fissava un punto davanti a sè mentre cercava di trovare le parole, la giusta quantità, per rendere la partenza di Cat alimentata da qualcosa che non fosse una semplice rivendicazione del suo ruolo di segretaria del WRO.

“...Di ideali futili ne abbiamo avuti abbastanza” mormorò, assottigliando il foglietto di carta che aveva tra le dita.

“Salvare il proprio posto di lavoro da qualsiasi giovincella scondinzolante è un ideale per cui combattere” rimbeccò l’altra, lanciandole un’occhiata in tralice, mentre Chiyoko canticchiava qualcosa, appollaiata allo schienale.

“Per fortuna che il signor Tuesti non ci può sentire qui” aveva sospirato, senza nascondere una risatina chiocciante. “Credo non gli piacerebbe venire bollato come uno scapolo di mezza età che si approfitta delle sue giovani colleg-”

Cat colpì l’origami con uno schiocco delle dita, mettendolo a zittire.

“...Il problema è proprio questo. Nessuno ci può sentire qui” parlò Lenne, mettendo fine al battibecco. Il varco che si era aperto per quei pochi secondi aveva cessato di esistere, rinchiudendoli di nuovo in quella dimensione fuori dalla portata di altrettanti Multiversi pronti a gettarsi sul Garden e reclamarne le spoglia. “E viceversa”.

Strinse i pugni, fino a farsi sbiancare le nocche, stropicciando il foglietto. Trovare le parole giuste e affidarle a qualcuno che potesse portarle con sè non era facile, specialmente se la persona in questione era quella ragazzina dotata di una notevole capacità per attirare su di lei le peggiori sfortune.

Per un attimo, ebbe un ripensamento. Forse, non troppo presto ma in un futuro abbastanza vicino, le cose si sarebbero sistemate e avrebbe avuto la possibilità di tornare sul Pianeta o perlomeno in un luogo non più così maledettamente distante.

Spostò lo sguardo su Cat, intenta a ragionare con Chiyoko sui regolamenti aziendali Shin-Ra e linee guida per i rapporti interpersonali tra dipendenti: “...Ho un Cristallo. Basta per un solo viaggio, per una sola persona”.

La vide immobilizzarsi sul posto, incredula. Seguì qualche secondo di silenzio, in cui le sembrò quasi di sentire i meccanismi di quel cervello lavorare alla loro massima velocità: “...Ma vuoi qualcosa in cambio”.

“Non è un oggetto. È una persona” replicò, cercando di dare al foglietto nuovamente una forma. “Non mi fido ancora di te, Fortune Teller, ma…”

Era una strana e inaspettata combinazione di fortuiti eventi. Lenne non credeva nelle coincidenze, nel destino e in tutte quelle fandonie da chiacchiere da bar, però dentro di lei sentiva come quel momento sarebbe stato irripetibile, un’occasione che non poteva perdere.

“A Nord del Pianeta, si trova una persona“ sospirò, allungandole il foglietto. “Tu e il tuo capo... credo possiate aiutarla. O almeno spero”.

Nei minuti che seguirono, Cat rimase in ascolto, accoccolata sulla panchina del Giardino, mentre alle sue orecchie arrivava una storia che pochi fino ad allora avevano potuto sentire.

“Si chiama Lilith ed è mia… sorella. Non abbiamo legami di sangue” precisò all’occhiata che le venne rivolta. “Ma a volte non servono, per chiamare qualcuno famiglia”.

Rimase in silenzio alcuni secondi, incerta su cosa dire: “Sono un esperimento. E questo l’hai capito. L’Anziana De Garde era a capo di un distaccamento di ricerca dell’Ordine dei Garden, un complesso di laboratori sotterranei situato proprio sul Pianeta, lontano da occhi curiosi. Non so quante e quali ricerche conducessero, io però sono stata la cavia sperimentale di una in particolare”.

La ragazza cercò il suo sguardo, senza trovarlo. Lenne fissava un punto indefinito di fronte a sé.

“La Mako non era che il punto di partenza. Tutto quello che sono va oltre, ma spiegarlo prenderebbe troppo tempo. E tu hai un posto di lavoro da reclamare”, piegò le labbra in un sorriso a mezza bocca, quasi divertita nonostante tutto. “I risultati positivi ottenuti con me convinsero De Garde a provare con un nuovo soggetto. Nacque Lilith. A dividerci, sei anni. Sei anni, quando ci sono di mezzo esperimenti, diventano una vita. Era… è albina. Non avrebbe superato le prime fasi, dicevano, invece ci riuscì: reagì bene alle iniezioni ed è tutto quello che so. Quattro anni ancora, poi l’Ordine interruppe le ricerche e ordinò a De Garde di liberarsi dei soggetti, tranne Lilith. Era sua figlia, glielo concessero. Io finii in mani peggiori.”

Una leggera contrazione della mascella fu l’unico modo per Cat di percepire ciò che stava provando la SeeD. Ascoltò con maggiore attenzione quando riprese a parlare: le raccontò di quando rivide Lilith, di non avere alcuna memoria di lei né del prima, tutto quello che portò infine alla cattura da parte della Dharma. Del tornare a essere una cavia.

“Se De Garde aveva iniziato un progetto stupefacente, Lyron lo portò a un livello ulteriore. In sei anni di prigionia ho visto cose che non avrei voluto vedere, sperimentato sofferenze che non credevo possibili, mi sono piegata alla sua scienza. Ho ucciso persone innocenti sotto i suoi ordini, ho fatto cose che vorrei dimenticare… e non sono riuscita a salvare Lilith”.

Si girò verso di lei. In quel momento, ricambiando uno sguardo dove la Mako sembrava ormai viva, Cat poté azzardare di aver compreso un po’ di più Lenne Silveross.

Intossicazione da Mako, la chiamerebbero sul Pianeta. Era molto di più. La vidi morire appassire e sparire. Ogni notte l’avevo guardata dormire, delirare, sanguinare. Ma quando cadde in coma, pensai che fosse tutto perduto. Che sarebbe stato meglio arrendersi. Invece la trascinai fuori da quell’inferno, mi presi cura di lei per sei mesi fuggendo senza nemmeno sapere dove andare. Non era rimasto nessuno, eppure eravamo ancora insieme e tanto mi sarebbe bastato. Sarebbe guarita, lo credevo e avrei fatto sì che accadesse. L’Ordine però ha una particolare passione per le persecuzioni ad personam: mandò due dei suoi soldati migliori a fermarmi e ci riuscirono. Ci trovarono a poche ore da un confine dove non avrebbero più avuto giurisdizione”. Rise amaramente: “Morii in quella -censura- piana, sotto gli occhi di Lilith.”

Non le sfuggì l’espressione di Cat, dunque proseguì: “Lyron tuttavia aveva ragione, nella sua follia. Il mio corpo non avrebbe lasciato che accadesse. Qualsiasi… cosa io abbia dentro di me, lavorò per due settimane, rigenerandomi, costringendomi a vivere di nuovo. Conobbi Mita e da lei seppi cosa fosse successo, di come Lilith si fosse ripresa e mi avesse portato con sé fino a trovare aiuto. Di come avesse vegliato su di me per tutto il tempo. E di come tutto questo la privò delle poche energie che aveva”. Lenne prese un profondo respiro: “Non si è più svegliata da allora. Mita se ne prende cura al posto mio.”

La voce sfumò in un silenzio così lungo da far pensare avesse finito. Sembrava però che volesse aggiungere qualcosa, parole forse ancora più difficili. Private.

“È sempre stato un affetto senza condizioni, il mio. Lilith era l’unica scusa che avevo per sentirmi forte, per sopravvivere. Le voglio bene anche per questo: perché mi ha permesso di salvarle la vita. Di provarci, se non altro. Così facendo, ha dato un senso alla mia”.

Cat rimase in silenzio, soppesando nella sua mente il racconto che le era stato fatto. Aveva vissuto in un mondo costruito su Mako ed esperimenti, quello che aveva sentito era una delle tante e oscure facce dello stesso dado, giocato per azzardare con la vita e il Pianeta.

“...Tieni con te la fiala, potrebbe esserti utile, in un universo o l’altro” concluse Lenne, alzandosi in piedi all’improvviso. “Potrei tornare a riprenderla, in futuro”.

“Io ti lascio la colomba di cartapesta, senza nessun rimorso e senza alcuna intenzione di tornare a riprenderla” sorrise amara l’altra, afferrando Chiyoko per un’aluccia e mettendogliela sotto il naso. “Inoltre potrebbe essere davvero utile, per fare quattro chiacchiere, ogni tanto”.

Arricciò le labbra, indecisa se accettare o meno quell’offerta, ma l’origami le venne infilato testardamente in mano, accompagnato dal borbottio della diretta interessata.

“...Hai un piano?” sospirò, osservando Cat oltre quel pezzetto di carta riottoso. “Perché quello che stiamo per fare non è esattamente…”

Un sorriso machiavellico le si stese sul viso, da un orecchio all’altro: “Ovviamente. Ma iniziamo dal Piano A”.
Torno al Pianeta.

Vado dal mio capo.

Riprendo il mio lavoro.

Corro da tua sorella.

Uso i potenti mezzi a mia disposizione.

Salvo la situazione.

Torno a Edge.

Mi faccio un tè.

E aspetto che tutto questo finisca.

“Ora manca solo il Cristallo e la mia valigia” concluse, pensierosa. “Abbiamo anche tute da astronauta interdimensionale in questo posto?”
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Re: FanFic Garden

Messaggio da Akainatsuki »

The coming BACK #3
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***

Cat Empitsu era scappata dal Garden, usando un Cristallo probabilmente comprato al peggior mercato nero di qualche punto del Multiverso da quel personaggio (falsamente) poco loquace di Lenne Silveross.

Alle spalle si era lasciata una lunga sequela di cose, situazioni e vite in sospeso, il tutto per rivendicare il suo posto di lavoro e, nota a margine, per salvare una certa persona sul Pianeta.

Si guardò attorno, la statua della Meteora che svettava sopra la sua testa nella piazza centrale di Edge. Mancava ancora qualche ora all’alba, rincuorandola della possibilità di riuscire a raggiungere El signor Tuesti prima che qualcuno la incrociasse in quell’ingombrante tuta spaziale.

Le serviva un mezzo di trasporto: il Cristallo era ormai tornato ormai a essere una pietra priva del suo potere.

Nel silenzio della città ancora addormentata, si mise in cammino, scandagliando le stradine nella ricerca di qualsiasi cosa avesse potuto esserle di aiuto: una bicicletta abbandonata in un vicolo venne scelta come unico e personalissimo destriero per fare il suo ritorno agli scalcagnati quartieri non-generali del WRO.

Quel mattino, un astronauta interdimensionale in sella a una bicicletta, attraversò Edge in direzione di uno dei complessi condominiali in costruzione ai suoi margini, fino a fermarsi, esausto, di fronte a un palazzone anonimo.

Cat parcheggiò diligentemente all’interno degli spazi consentiti, per poi iniziare a salire le scale che conducevano all’appartamento da cui, uno stesso mattino di qualche tempo prima, era scappata. Molte cose potevano essere cambiate dalla sua partenza, ma dentro di sè conservava la speranza che, oltre a quell’annuncio di lavoro, molto cose fossero rimaste le stesse.
Tuesti - Empitsu - Cait

Dentro al casco che ancora la proteggeva, ebbe un sobbalzo a leggere il campanello, mentre il dito premeva appena sul pulsante.

Quando la porta si aprì e l’uomo di fronte a lei rimase immobile, fissando senza parole quell’astronauta comparso improvvisamente all’ingresso, Cat si irrigidì in un inchino sgraziato.

“Sono qui per il colloquio, signore” gracchiò dell'interfono. “Mi chiamo Cat Empitsu e sono una segretaria”.

Allentò il casco, per poi toglierlo e infilarlo sotto il braccio, prima di tornare a guardare negli occhi El signor Tuesti, vestito di un imbarazzante camicione viola.

“TE L’AVEVO DETTO CHE AVREBBE FUNZIONATO, REEVE!!!”

Lo strillo di Cait Sith ruppe il silenzio che era venuto a calare tra i due, mentre si aggrappava alle gambe di Cat, singhiozzando teatralmente.

“...Ti aspettavamo, Catty! Abbiamo sentito storie, eravamo preoccupati e così abbiamo messo l’annuncio… e tu ci hai abboccato! Proprio come nei miei piani!” ghignò, senza lasciare la presa, ignorando l’occhiata furibonda che gli venne lanciata. “Reeve non voleva, ma non potevamo lasciarti , giusto?”

“...Piani?” balbettò, incredula, spostando lo sguardo verso l’uomo di fronte a lei.

Lo vide irrigidirsi nella sua posizione, chinando il capo colpevole. Trascorso qualche lungo secondo, riprese la parola, ricambiando il suo sguardo: “Sono desolato, signorina Empitsu. Non era mia intenzione…”

“PIANI?!” esclamò, stringendo il casco tra le mani.

Sospirò, assottigliando le labbra in una linea, mentre Numero Cinque si dileguava codardamente all’interno: “Vorrei poterle spiegare. Sarà comunque libera di…”

“...Non posso più tornare indietro, Reeve!” ringhiò, cercando di trattenere le lacrime di rabbia che sentiva pizzicare. “È stato il mio viaggio di sola andata perché…”

“...Credeva la volessi sostituire?”

“Esattamente” mormorò seria, per poi estrarre minacciosamente il Mag Rod. “Ma avrei combattuto per riprendere il mio posto”.

A quelle parole, qualcosa brillò negli occhi di Reeve Tuesti, mentre il senso di colpa per aver prestato ascolto all’assurdo piano della sua creaturina continuava insistentemente a mordergli un pezzo di cuore.

Cat Empitsu era cambiata. Non sapeva descrivere con precisione quella sensazione, ma la persona che gli era comparsa davanti, bardata da astronauta, era diversa dalla stessa che aveva perduto in un mattino di Edge.

“È ancora il suo posto, se lo desidera” annuì, cercando di trovare le parole giuste.

“Non ne avrei comunque molti altri in cui andare, signor Tuesti” incalzò cupa, scuotendo il capo e lasciando ricadere mollemente l’arma che teneva in mano. Più che un’affermazione, suonava come una sconfitta.

“Lei può diventare tutto quello che vuole, signorina Empitsu” ribatté perentorio, per poi abbassarsi su di lei, stringendo le mani guantate tra le sue. “È stata tante persone fino ad oggi, può ancora diventare chiunque desideri”.

Rimase in silenzio per qualche lungo secondo, mentre i loro sguardi si incrociavano: “...Anche la sua segretaria? Di nuovo?”

Le tese la mano, sorridendole: “Ne sarei felice”.
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Re: FanFic Garden

Messaggio da Akainatsuki »

The coming BACK #4 - END

One way >> to ANSWER


Music Theme: Boku wa boku de atte - Angela x Fripside (Aijin)
***

Le Wastelands fuori da Edge si susseguivano brulle e isolate a perdita d’occhio, mentre il trabiccolo pomposamente battezzato come veicolo istituzionale del WRO sfrecciava alla massima velocità consentita per non capovolgersi miseramente nel bel mezzo del nulla.

“...Non sarà un po’ vistoso?” aveva commentato Cat, senza nascondere il sarcasmo. “Viola. Un colore un pochino meno sfortunato sarebbe stata una scelta…”

“Lo ha detto lei stessa: niente viola finché fosse stata nell’organico del WRO. È mancata proprio quando abbiamo ottenuto i fondi per i mezzi di trasporto” sorrise appena Reeve, tamburellando sul volante e sistemandosi il camicione della stessa tinta melanzana. “Oppure ho pensato potesse essere divertente ascoltare la sua prevedibile reazione a riguardo”.

“Sei prevedibile, ma non prevedi” ridacchiò Cait, sedutole in grembo, ghignando nella sua direzione, per poi tornare ad osservare assorto il deserto davanti a loro.

“...Kalm. Una coincidenza potrei azzardare fortunata, signorina Empitsu”.

Cat annuì, stringendo tra le mani il foglietto che Lenne le aveva dato: lettere tondeggianti a indicare un nome, un indirizzo e null’altro. Tutto il resto era nella sua testa, registrato parola per parola nel racconto del Giardino.

“Healen Lodge si trova a poca distanza, potrebbe essere la soluzione” continuò, rivolgendole un’occhiata interrogativa. “Anche il Presidente è d’accordo”.

“Dovranno esserlo anche loro. Non credo sarà facile guadagnarcene fiducia: questa volta non basterà un Cait Sith chiacchierone e una previsione azzeccata” sospirò, mentre un mugugno offeso si levava da Numero Cinque e il trabiccolo usciva dalla desolazione delle Wastelands.

Un silenzio carico di pensieri calò all’interno dell’abitacolo, forse ancora più stretto della minuscola sala comandi in cui quell’assortito trio si era già trovato, tanto tempo prima, a guidare un’operazione simile.

“La piccola Chiyoko avrebbe potuto esserci utile, ma sono contento di questo scambio: ancora non sono in grado di mettermi in contatto con lei, ma quando la situazione di stallo sarà superata potremo dare alla signorina Silveross la buona notizia”.

“Se la buona notizia fosse una vacanza, ne sarei felice” sbuffò Cat, spostando lo sguardo al finestrino. “È davvero un peccato che quei biglietti per Costa del Sol siano scaduti…”

Per un breve istante, una smorfia contrita si dipinse sul viso dell’uomo accanto a lei: “Avrà uno stipendio e le vacanze se le potrà guadagnare da sé, questa volta”.

Kalm era diventata il riferimento per gli abitanti di Midgar fuggiti alla Meteora e poco desiderosi di tornare a vivere dove la furia degli Dei sembrava essersi riversata in quella notte spaventosa. Ad ascoltare le dicerie della gente, la nuova e grigia Edge avrebbe un giorno rischiato la stessa, miserevole fine.

“Superstizioni da minatori di zappe” aveva commentato Cait, guardandosi attorno nella piazza principale del villaggio. “Non muoverò una zampa quando avranno bisogno di me”.

Cat si trovò a ragionare come, con quei vestiti viola e un gatto meccanico al seguito non avrebbero certamente potuto mimetizzarsi tra le persone che popolavano le strade. Sentiva su di sé sguardi curiosi a ogni angolo, portandole alla mente alcuni brutti ricordi di un certo Settore 6.

“...Non era mia intenzione passare inosservato: è nostro compito accertarci circa lo stato delle zone sotto il WRO”.

La voce di Reeve la scosse dai suoi pensieri, mentre Numero Cinque annuiva coscienzioso accanto a lei: “Siamo a lavorare, Catty. Come sempre!”

Senza stipendio come sempre, vorrai dire” sospirò, guardandosi attorno alla ricerca del numero segnato sul suo foglietto. Le sue capacità di previsione avevano ignorato come i biglietti per Costa del Sol fossero scaduti e avevano fatto le valigie non appena aveva rimesso piede sul Pianeta.

Impegnata a trovare una nuova divinità da maledire, non si accorse di come Cait si fosse staccato dal suo fianco, scomparendo oltre un angolo. Fu solo quando sentì il suo strillo vittorioso, vedendolo ricomparire correndo a rotta di collo verso di loro che comprese come si fossero appena cacciati in un grosso guaio.

“HO TROVATO LA PERSONA BIANCA!!!”

L’inaspettato ritorno dei suoi brutti presentimenti la salvò da quello che pochi secondi dopo si materializzò in un proiettile esattamente dove si trovava fino a poco prima. Il sinistro caricare di un tamburo le arrivò alle orecchie, mentre Reeve si parava davanti a lei, l’arma in mano.

“Sono Reeve Tuesti, Commissioner del WRO! State intralciando un’operazione governativa, vi ordino di cessare ogni ostilità!”

Cat sbiancò a sentire quelle parole, cercando di trovare con lo sguardo un riparo in quell’area desolata di Kalm. Immersa nei suoi pensieri, non si era resa conto di quanto si fossero allontanati dalla zona più abitata, per finire in un dedalo di vicoli e stradine che sembravano essere stati abbandonati alla loro sorte dai tempi della Meteora.

Si rimise in piedi, estraendo il Mag Rod che portava ormai sempre con sé, conteggiando silenziosamente le Materia che teneva nascoste sotto quella vestaglia melanzana.

“...Cosa vorrebbe dunque il WRO?”

Alle loro spalle Cait era sospeso a mezz’aria, afferrato per il mantellino rosso e la coroncina ormai dispersa in un angolo lontano.

“Siamo in missione, signora” miagolò stizzito, dondolando nella presa. “Per la persona bianca. Ma Catty sa tutto e le diremo tutto perché siamo delle pessime spie, vero Reeve?”

Un gesto della mano segnalò il cessato pericolo, facendo apparire il cecchino improvvisamente faccia a faccia con l’uomo ancora immobile nella sua posizione: “...Siamo delle pessime spie, grazie Numero Cinque”.

Scomparsa la minaccia all’interno dell’abitazione, Reeve nascose nuovamente l’arma tra le pieghe dell’abito, per poi rivolgere lo sguardo verso la donna che li aveva apostrofati: “La signorina e io siamo qui per offrirvi protezione...” prese fiato, avanzando di un passo. “Per aiutarvi nella vostra situazione”.

“...Situazione?” alzò il mento, una nota amara nella voce.

In quel momento, nella mente di Cat rieccheggiarono le parole che le erano state rivolte, qualche tempo prima, su una panchina del Giardino. Prevedi e parla, Fortune Teller, e forse potrò fidarmi di te.

“Lenne Silveross fa discorsi col sopracciglio” esordì con voce strozzata. “Lunghissimi discorsi col sopracciglio. E io li ho ascoltati tutti”.

Sul viso della donna comparve uno strano sorriso, mentre Numero Cinque veniva lasciato libero mettendosi alla ricerca della sua preziosa coroncina.

“Hai la mia attenzione, signorina...”

“Empitsu. Sono Cat Empitsu, segretaria ufficiale del WRO, SeeD Receptionist mancata, Fortune Teller non autorizzata...” rispose tutto d’un fiato “...E ho notizie di Lenne Silveross”.

*** ANSWER - 2 ***


Music theme: Answer - Bump of Chicken (3 Gatsu no Raion)

La notte di Kalm era piacevolmente noiosa. Non c’erano rumorosi cantieri da tenere sotto controllo o divinità nevrotiche con spiccato odio per l’umanità intera: tutto era tranquillamente normale.

“Quindi stiamo qui ad aspettare che ci diano una risposta?” Cait aveva alzato il musetto, impegnato a lucidare la sua coroncina ammaccata. “Credevo che almeno tu avessi un lavoro serio, Reeve”.

Seduto sullo stretto divanetto del piccolo albergo nella piazza principale del villaggio, El Commissioner Tuesti aveva sospirato, massaggiandosi gravemente la fronte: “Lasceremo Kalm domani mattina. Sapranno come farci avere loro notizie”.

“Avrebbero dovuto accettare subito. Prendere o lasciare” sbuffò, osservando serio le punte rovinate. “È come quel Cloud, Reeve. Troppa Mako e ha fatto indigestione col cervello”.

Cat sospirò, rigirando tra le mani il soprabito viola che aveva finalmente potuto togliere: “Healen Lodge. La Shin-Ra che ripara la sua Mako” mormorò, portandosi istintivamente una mano al fianco, dove le tracce del Geostigma avevano pizzicato per le lunghe ore precedenti.

“Aspetteremo la loro risposta, signorina Empitsu” le sorrise l’uomo accanto, spostando per un breve attimo lo sguardo sulla creaturina ancora intenta a controllare minuziosamente lo stato desolato della sua coroncina di latta. “Intanto… potrei darle la mia”.

Si irrigidì nella sua posizione, stringendo la stoffa tra le dita: “...Una relazione squisitamente professionale, signor Tuesti” scosse il capo, senza guardarlo. “Sono tornata solo per riavere il mio posto di segretaria”.

“...E per aiutare la sua amica”.

“Sì”.

“Esattamente come la mia risposta” si alzò in piedi. “”.

Trattenne il respiro, mentre Reeve Tuesti, esimio El Commissioner del WRO, raccoglieva un Cait Sith addormentato tra le braccia, per poi rivolgersi di nuovo verso di lei: “Aspetterò la sua risposta, signorina Empitsu”.
Spoiler
Finisce così.
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Messaggio da Akainatsuki »

Abi’s FUNtastic world #1
1 GIL each


Music ON: Blood Circulator - Asian Kung-fu Generation (Naruto Shippuuden)
***
Non ci aveva quasi fatto caso.

Le rese dei conti allo Zoolab erano pubbliche, sfidanti e tifoseria, addirittura qualcuno con abbondante tempo libero si sarebbe improvvisato giudice dello scontro. Ecco perché vedere De Vultures seguire di qualche passo più indietro le combriccole peggio assortite del Garden non l’aveva eccessivamente preoccupata - ovviamente cercando di ignorare quella spiacevole sensazione che le pungeva il naso da quando l’aveva incontrata.

“Siamo a diciannove presenze in una settimana, signorina Silveross” puntualizzò Chiyoko dall’alto del suo nuovo trespolo personale, un salvadanaio che proprio l’interessata aveva consegnato a Lenne alla fine del primo scontro a cui aveva partecipato. Ancora non era riuscita a venire a capo del motivo per cui avrebbe dovuto infilarci dei Gil lì dentro.

Sul terminale controllò gli allenamenti programmati per la giornata, mentre il counter della colonna De Vultures confermava il conteggio del piccione di cartapesta.

Il suo arrivo fu puntuale, appena qualche secondo dopo che gli sfidanti avessero assicurato i Bracciali Salvavita, prendendo posizione all’interno dell’area di combattimento.

La vide corricchiare accanto al minuscolo ufficio, gettando uno sguardo distratto ai nomi sul pannello, per poi comprare qualche snack dal dubbio sapore al distributore automatico e sdraiarsi mollemente sugli spalti.

Dalla sua postazione, Lenne aveva capito tre cose sulla partecipazione di De Vultures allo Zoolab.

Primo, non guardava lo scontro, come se non le importasse.
Secondo, non tifava per nessuno, come se non avesse bandiera.
Terzo, aspettava qualcosa che non accadeva mai.


“È inquietante, signorina Silveross” chiocciò Chiyoko, arruffando la carta. “Se posso permettermi una considerazione personale, credo stia gufando. E io me ne intendo di volatili, non so se mi sono spiegata”.

Due sopracciglia si alzarono all’unisono, mentre lo scontro giungeva alla sua conclusione e una Paine sul piede di guerra recuperava i due baldi sfidanti a brandelli e li portava per direttissima in Infermeria.

“I Bracciali. Per fortuna che abbiamo quelli, altrimenti si ammazzerebbero sul serio, loro e i loro ormoni o quello che gli gira nelle vene” aveva sibilato, scuotendo il capo per poi lanciare un’occhiata eloquente verso la figura che scendeva mogia dagli spalti. “Quella l’hai chiamata apposta?”

Guardandola allontanarsi e scomparire nel corridoio, Lenne rigirò in mano il salvadanaio vuoto, cercando un paio di misere monetine da 1 Gil che poi fece tintinnare al suo interno.

La risata che pronta le giunse alle orecchie confermò i suoi pensieri. Aveva capito.

“Dovremo fare più attenzione alla manutenzione ordinaria” sospirò, strappando una lattina di tè e fissando lo schermo davanti a lei. “Finché è questo il prezzo, possiamo permettercelo”.

Chiyoko rivolse il beccuccio verso di lei: “...Il prezzo?”

“Non è alto, ma è pur sempre un valore” sbuffò amara, mentre stringeva le labbra in una linea sottile. “Per una vita, di questi tempi, è davvero incredibile”.
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Re: FanFic Garden

Messaggio da Akainatsuki »

Abi’s FUNtastic world #3
A LIZARD’s morning
Music ON: VS - Blue Encount (Gintama)
***
Spoiler
Con il buon Pad93, ci si era detti solo di sistemare un paio di virgole e fare una storiella a quattro mani di quelle che inizi e finisci in una serata. Poi è posto il mio problema con la prolissità e si è giunti a una storiella divisa in tre mini capitoli,
giusto perché altrimenti si sfociava nel wall-of-text.
First THINGS first
Mocéton Cortante, Cadetto Bibliotecario del Garden e Dragone del Monastero di Tchita, aveva superato diverse prove di coraggio nella sua vita precedente, tra le alture piovose di quella remota regione di Ivalice.

Trovarsi davanti all’ingresso del dormitorio femminile, armato solo di un palmare, gli fece considerare come avesse avuto meno problemi ad affrontare un Hell Wyrm piuttosto che avanzare ancora di un passo lungo quel corridoio.

Prese fiato, sbuffando dalle narici e tornando a concentrarsi sui numeri delle stanze.

Continuò a zampettare, immerso nel silenzio della prima mattinata: molti cadetti avevano già lasciato i loro alloggi per gli allenamenti giornalieri, o per mettersi in fila alla colazione.

Un insistente e conosciuto cicaleccio proveniva da una delle porte poco più avanti: Mocéton si diresse in quella direzione, per poi fermarsi per un attimo prima di bussare con qualche colpetto deciso.

Il brusio si interruppe, mentre Lenne apriva la porta con uno scatto, comparendo sulla soglia.

“Buongiorno, Cortante” lo salutò, incrociando le braccia al petto per poi appoggiarsi alle stipite.

“Buongiorno signor Cortante” rincarò con un pigolare gioioso Chiyoko, entrando nel suo campo visivo prima di appollaiarsi sulla spalla della compagna di stanza. “Una splendida mattina, non trova? Stavo appunto aggiornando la signorina Silveross come ultimamente stia iniziando ad accumulare troppi libri e probabilmente qualche scadenza potrebbe esserle passata inosservata, da cui deduco la sua visita, o sbaglio?”

Il Bangaa rimase spiazzato dalla quantità di parole che quel oggettino di carta era in grado di infilare, mentre rigirava nervosamente in mano il palmare in cui segnava i prestiti della biblioteca.

“Sembra che tu sappia prevedere il futuro” scherzò, rivolgendo a Lenne uno sguardo divertito. Ammutolì nel vederla irrigidirsi nella sua posizione, staccandosi dalla porta per alzare un sopracciglio in direzioni dell’origami, che sembrò ignorare quel gesto.

“Probabilmente è un lascito che la signorina Empitsu mi ha elargito” cinguettò orgogliosa.

“E tu sei un lascito che non avrei voluto ricevere.”

Diretta, concisa e al vetriolo.

Mocéton cercò di esternare la sua consueta calma e compostezza davanti a quel teatrino, controllando con fare professionale la lista che si era materializzata sul dispositivo.

Sospirò, rizzando le squame e fingendo un colpetto di tosse per attirare l’attenzione del duo davanti a lui: “Sono arrivati gli ultimi volumi di Sage Knowledge e ho pensato come potrebbero interessarti, Lenne.”

Un sorriso appena abbozzato si dipinse sul volto della donna, mentre annuiva a quella affermazione: “Immagino che prima ti debba restituire i precedenti.”

Chiyoko tubò qualcosa di intelligibile, che venne prontamente zittito da una nuova occhiata storta.

“Massimo cinque libri alla volta, questa è la regola: finisci pure le tue letture con calma…”

Non riuscì tuttavia a concludere la frase: un trillo alle sue spalle coprì le parole, strappando a Lenne una palese smorfia di disappunto.

Good mourning a tutti voi!”

Abi si intromise in quel sereno scambio di battute mattutino con la stessa grazia di uno Shoopuff infilato a calci in una cristalleria. Rimase in piedi in mezzo a loro, guardandoli incuriosita, senza curarsi del silenzio imbarazzato che era calato a seguire il suo saluto.

“Buongiorno, De Vultures” sospirò Lenne, afferrando prontamente l’origami per un’aluccia, impedendole di tornare a tessere le sue trame con la becchina del Garden. O giardiniera, non aveva ancora ben capito.

Mocéton ripose il palmare nella tracolla che portava con sé, riprendendo con gran fatica il discorso: “Ti aspetto allora in Biblioteca per i nuovi volumi.”

“Volevo comunque ricordare come i precedenti sono scaduti da un pezzo” aggiunse Chiyoko, fischiettando.

Per tutta risposta, Lenne fece un passo indietro e chiuse la porta con un tonfo sonoro. Il naso di Abi rischiò di venire tranciato di netto da tanta foga, ma sembrò non avvedersene, tornando a concentrare la sua attenzione sul Bangaa che abbozzò un sorriso di circostanza.

“Mi sembra incredibile che quella piccola e adorabile fenice ancora non abbia incendiato la Biblioteca” commentò, pensierosa. “E sono arrivati altri libri: non hai ancora pensato a una buona assicurazione contro disastri e calamità naturali?”

Scosse il capo, facendo tintinnare gli anelli che portava all’orecchio sinistro: “Non credo ce ne sia bisogno” sospirò, allontanandosi lentamente dalla stanza per incamminarsi verso l’uscita del Dormitorio.
***
What about a FIRE insurance?
Mocéton Cortante, Raro Sopravvissuto al Sopracciglio Alzato di Lenne Silveross, sperava di aver finalmente concluso la sua spedizione mattutina: tuttavia, i passettini regolari a un metro esatto di distanza da lui non erano rassicuranti delle sue convinzioni.

Ripensò a una sbuffante conversazione avuta con Cain solo qualche giorno prima, quando questo era tornato a larghe falcate nella loro stanzetta condivisa per buttagli sul letto un impressionante plico di documenti scritti fittamente.

“Un regalo della stramba là fuori” aveva esordito con un ghigno che avrebbe potuto considerare divertito. “Io non ho il tempo da perdere per questa sequela di cavilli, ma te ne hai a iosa, lucertola, in quella tua Biblioteca.”

Era scomparso nuovamente oltre la porta prima che potesse anche solo elaborare quello che aveva detto. Di certo non gli mancava il tempo per iniziare a visionare quelle carte, tuttavia non gli era chiaro come Cain avesse potuto entrare in possesso di tutti quei documenti: erano fin troppo arzigogolati persino per lui.

Per esaminare quella mole di fogli e opuscoli, aveva rispolverato i suoi occhiali da vista e inaugurato un nuovo blocco note: il risultato finale era stato un considerevole quantitativo di alberi sacrificati in nome della burocrazia post-mortem e qualche diottria in meno.


Si fermò, per poi voltarsi verso Abi: “Non sono interessato a un’assicurazione.”

Lo affiancò, scrutandolo da sotto quella massa di capelli, che la faceva sembrare una curiosa medusa: “Ne esiste un’ottima per il possesso di mostri in via d’estinzione e pericolosi verso terzi: ma io non sono un’assicuratrice.”

“Lo so di cosa ti occupi” annuì l’altro, mentre passavano davanti all’Infermeria e Paine sbuffava qualcosa che avrebbe potuto benissimo suonare come un oggi niente lavoro per te, beccamorta.

Rimasero in silenzio mentre salivano le scale che portavano alla Biblioteca, dove Abi si staccò finalmente da lui per precipitarsi tra mille gridolini verso la piccola fenice, intenta a osservare il suo riflesso contro gli ampi finestroni.

Mocéton guardò preoccupato la scena, mentre la stringeva al petto, incurante delle proteste: quando i suoi capelli iniziarono a prendere fuoco, decise di intervenire.

“De Vultures. Lasciala in pace, per favore” la pregò, mentre le sue parole venivano soffocate da una cantilena molto simile a ma di chi è questa fenicina carina-carina a cui seguì l’ennesimo strizzare di quello che ormai era più simile a un Piros ardente.

Con un gesto secco, il Bangaa riuscì a riprendere possesso del pulcino fiammeggiante, che finalmente libero si rintanò chiocciante e offeso sullo scaffale più alto.

“Preferirei non prendessi fuoco in Biblioteca” sospirò, rivolto probabilmente sia alla fenice sia ad Abi. Questa si era accorta del principio di incendio alle punte di quei capelli assurdi e ora stava cercando di spegnerli con le dita, accompagnando ogni tentativo da uno strillo di dolore.

“Lascia fare a me, non lo sento nemmeno.”

La sentì borbottare qualcosa a mezza bocca, mentre le fiammelle si annullavano sotto quelle enormi mani scagliose.

“È un problema se si scatenasse qui” commentò, lanciando un’occhiata in direzione del pigolio sommesso che proveniva sopra le loro teste, pulendosi dalla cenere. “Potrebbe andare a fuoco non solo la Biblioteca, ma anche l’intero Garden.”

Gli rivolse uno sguardo supplicante: “Possiamo tenerla comunque, vero?”

Incrociò le grosse braccia, scuotendo il capo, pensieroso: “Di certo diventerà parecchio più grande del pulcino che è adesso.”

L’espressione di Abi mutò improvvisamente in una cupa serietà, come se fosse davvero preoccupata per le sorti del luogo che aveva raccolto lei e i suoi compagni di squadra: “Fatti un’assicurazione” sentenziò, per poi aggiungere quello che Mocéton non poteva non aspettarsi. “E io ti preparo un contrattino. Per quel che mi concerne, ovvio.”

Si mise a sedere su una delle poltroncine della Biblioteca, rassettando i capelli che erano tornati a muoversi per le loro oscure ragioni. Gli fecero cenno di avvicinarsi, ma il Bangaa rimase in piedi, grattandosi incerto il mento.

“Ho già il mio foglio di carta De Vultures” tagliò corto, incrociando gli occhi increduli della ragazza.

“Non mi interessa il tuo testamento. Molto melodrammatico, ma non è questo il genere di contrattino di cui sto parlando.” Magicamente, parecchi fogli di carta ben infilati in una cartellina viola vergata a lettere argentate le comparve in mano, per essere prontamente sventolata sotto il naso del suo interlocutore. “Non mi interessa conoscere a chi intesterai i tuoi averi: voglio l’esclusiva su chi sarà a occuparsi di te alla fine… O quando la Biblioteca andrà a fuoco.”

Diretta, concisa e al vetriolo.

Mocéton ebbe un brivido, che cercò di dissimulare con una scrollata di spalle: “Ho anche il tuo genere di contrattino. Voi De Vultures siete davvero in ogni punto del Multiverso.”

I capelli di Abi iniziarono ad agitarsi, muovendosi minacciosi nella sua direzione: “Siamo una grande famiglia” ghignò divertita, mentre pareva ragionare su qualcosa. “Ivalice… La cara Endme?”

“Endme De Vultures, ho già firmato con lei. Non me la stavo vedendo troppo bene ed è comparsa all’improvviso ad offrire i vostri servizi” commentò con una punta di amarezza. “Avete una certa fissazione per questa storia dell’esclusiva, proprio come…”

Si interruppe, portandosi una manona alla bocca.

Un avvoltoio, Cortante. Questa è la parola giusta” completò la frase, aggiungendo una smorfia. “Tuttavia non mi dispiace informarti come il tuo contratto non valga al di fuori di Ivalice: ciascun Hade ha la sua area di operatività e influenza per cui le persone vive o morte che siano cadono al suo interno, che abbiano già firmato o meno. Se un contraente si sposta ed entra nel territorio di un altro Hade, il contratto può essere rinegoziato.”

Il Bangaa avvertì una poco rincuorante sensazione di pericolo, mentre sul volto di Abi si dipingeva un sorrisetto soddisfatto.

“Fammi indovinare: ora sono nel tuo territorio?” sospirò, cercando di trattenere l’ironia nella voce. “Tutti noi del Garden siamo nel tuo territorio, già sotto il tuo contratto?”

In risposta, una risata divertita risuonò squillante nel silenzio della Biblioteca: “Sarei l’Hade più felice di ogni Multiverso, Cortante!” soffocò tra le lacrimucce di ilarità.

Mocéton attese che i risolini si spegnessero, ripensando al discorso di poco prima: “Siete degli avvoltoi, quindi niente è davvero vostro - almeno fin dal principio” schioccò le dita ad accompagnare il suo ragionamento. “Almeno finché non viene firmato un contratto.”

Quei De Vultures erano davvero gli uccellacci del malaugurio che volteggiavano sui campi di battaglia, in paziente attesa che lo scontro finisse. Chiunque in quel fazzoletto di terra diventava loro, mettendo la propria firma su quel contratto invisibile: se non fosse uscito vivo dalla battaglia, ci sarebbero stati loro a prendersene cura.

Abi annuì, dondolando pigramente la cartellina viola: “Straccia il foglio di Endme. A Galbadia conosciamo le buone maniere e una certa eleganza in questo genere di questioni” gli sorrise, tamburellando con le dita sulle lettere in rilievo.
***
A toast in COLD blood
Mocéton Cortante, Discendente di Mocédad e Detentore del Medaglione di Adrammelecht, si sedette con uno sbuffo sulla poltroncina, recuperando dalla tracolla che aveva appoggiato a terra il paio di occhiali già usato per esaminare le carte di Cain.

“Voglio leggere il tuo contrattino prima di annullare quello che ho già firmato: allora non ne ho avuto il tempo.”

Ignorò il suo risolino di scherno, mentre prendeva in mano il plico di fogli ben rilegati.

“Sono tutti piccoli dettagliucci insignificanti.” La vocetta di Abi, lo distolse dall’esame di ciascuno dei documenti fittamente scritti che aveva già letto. “Quello che conta è il foglio centrale. Quello grande, grosso e spesso.”

La scritta Contratto campeggiava a lettere argentate e tutte fronzoli su una vistosa carta color melanzana.

Rigirò il foglio tra le manone, per poi riporlo da parte sul tavolino che li separava: “Prima leggo, poi firmo” commentò placidamente, fingendo di non notare la smorfia sconfitta che gli venne rivolta.

Si immerse nella lettura di quelle righe che già conosceva, ma del tutto intenzionato a non saltarne nemmeno una virgola. Quando alzava lo sguardo verso la sua interlocutrice, poteva vedere tutta l’impazienza che i suoi capelli agitati non riuscivano a dissimulare.

Mentre Mocéton continuava nel suo esame, la piccola fenice scese dal suo trespolo per appollaiarsi accanto a lui, ricacciando a strilli e soffi i goffi tentativi di amicizia di una certa becchina, ormai incapace di stare ferma nella sua posizione.

Abi doveva ammetterlo a se stessa: era davvero annoiata. Nessun cliente aveva mai letto le carte che parecchi Hade prima di lei avevano meticolosamente compilato: perché ogni volta non c’era tempo, non era il momento giusto per perdersi nella burocrazia, o perché semplicemente la gente stava morendo.

“Firmo, quindi?”

La vociona del Bangaa ruppe la bolla di silenzio che si era creata attorno a loro, facendo sobbalzare la ragazza, che si era quasi appisolata e dopo un attimo di smarrimento iniziò ad annuire con foga.

“Firma, data e…” Si mise a frugare nelle tasche dell’ampia veste che l’avvolgeva. “Timbrino.”

Il foglio centrale, grande, grosso e spesso venne vergato dalla firma di Mocéton Cortante, Primo Firmatario dei Contratti Pre-Dipartita della Premiata Agenzia di Onoranze Funebri De Vultures in sede Rinoa’s.

Un largo sorriso soddisfatto si allargò da un orecchio all’altro della sua proprietaria, procurando a Mocéton un brivido gelido lungo le scaglie, mentre posava sul tavolino la stilografica violetta.

Vide Abi infilare il contratto in una seconda cartellina, che notò essere ancora vuota, mentre era tornata a cercare qualcosa sempre nella profondità delle sue tasche.

Rimase senza parole nel vederla far comparire una boccetta dal contenuto misterioso e due bicchierini di porcellana tutti ghirigori.

“Distillato di Gigantuar di Centra” spiegò, facendo tintinnare il liquido per poi versarlo con parsimonia.

Le rivolse un’occhiata dubbiosa: “Con questo non diventerò subito tuo materiale di lavoro, vero?”

Soffocò un risolino: “Questo riporta in vita i morti” gli sorrise enigmatica, lasciandogli il dubbio se lo stesse prendendo in giro o potesse davvero usarlo sul campo di battaglia per i suoi misteriosi fini.

Mocéton rimase per un attimo a fissare pensieroso il suo bicchierino, mentre Abi lo sollevò vittoriosa in aria prima di ingollarlo in un sol sorso: “Alla tua salute, Cortante!”
Spoiler
Endme De Vultures, Hade di Archadia e piuttosto inferocita quando scoprirà di certa gente che fa stracciare i suoi contratti.
Grazie sempre a Pad93 per l'idea: il parentado di Abiuccia in giro per il Multiverso inizia a mostrarsi, nel bene e nel male e in quello che si sta di mezzo.
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Gabriele
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Messaggio da Gabriele »

Cloud_92 ha scritto: 28 ott 2007, 14:48 Fare i conti con il passato

Dopo che era uscito dall'accademia Cloud_92 aveva deciso di tornare al paese di Nibelheim, dal quale se ne era andato in giovane età dopo la morte della sua famiglia. Era sempre stato alla ricerca dei banditi che irruppero nel paesino bruciandolo e provocando la morte degli abitanti e il momento di affrontarli era finalmente arrivato, aveva deciso una volta per tutte di fare i conti con il suo passato e di chiudere la faccenda. Era una giornata ventosa e piuttosto fredda e il ragazzo doveva fare un lungo viaggio per giungere al piccolo paesino. Aveva deciso di attraversare il monte Nibel per giungere poi a destinazione. Durante il suo cammino il giovane si trovò spesso a combattere con mostri di tutti i tipi, che però non gli davano grandi difficoltà grazie all'esperienza che era riuscito ad ottenere nella permanenza in accademia. Dopo due lunghi giorni di viaggio riuscì ad attraversare per intero la grande foresta nel quale si era imbattuto e una volta fuori provò piacere a sentire nuovamente il calore del Sole sulla pelle e di poter vedere il volo degli uccelli, cose che, tra gli alberi della foresta, non poteva permettersi. Il biondo alzò lo sguardo e all'orizzonte vide la punta innevata del monte Nibel, quasi come se fosse pronto ad aspettarlo. Cloud_92 vide un piccolo fiumiciattolo non molto lontano e ne approfittò per rifocillarsi, poi si sdraiò sulla riva di esso e si riposò per qualche attimo. Vedendo il Sole che iniziava piano piano a calare decise di ripartire con il viaggio
C92 - è meglio ripartire, voglio accamparmi in un buon posto prima che faccia buio
Cloud_92 si alzò, si rimise la pesante spada nel fodero attaccato alla schiena e riprese a camminare con passo veloce per il sentiero che attraversava l'enorme pianura e che portava ai piedi del monte Nibel. Dopo alcune ore di viaggio la stanchezza iniziava a farsi sentire e inoltre la notte iniziava a sopraggiungere
C92 - Bene, ho trovato un posto dove stare
Cloud si accampò in un piccolo spiazzo erboso e finalmente si riposò, prese dallo zaino i viveri e inizò a cibare, mentre il Sole tramontò e lasciò spazio alla notte oscura. Cloud_92 finito di mangiare si mise a guardare le stelle fino a quando si addormentò. Lo risvegliò il tiepido Sole mattutino che gli accarezzava il volto, il ragazzo di sfregò gli occhi e capì che era mattina presto, era il momento di rimettersi in viaggio. Prese le sue cose e si rimise in marcia
C92 - Sono piuttosto vicino al monte Nibel, domani potrò finalmente dormire di nuovo nel mio vecchio Paese
Il ragazzo era contento di ciò, rivedere il suo Paese lo riempiva di gioia, ma allo stesso tempo lo riempiva di nostalgia e del ricordo di tutti i suoi amici e dei suoi familiari. Il giovane in un paio d'ore di cammino si ritrovò ai piedi del monte Nibel, lo guardò e vide come era imponente, ma non era abbastanza per spaventarlo. Cloud_92 prese lo stretto sentiero che saliva verso la cima costeggiando il fianco della montagna e iniziò a camminare avvolto dai pensieri. Mano a mano che si avvicinava alla cima il freddo iniziava ad essere pungente e l'ossigeno a scarseggiare, aumentando anche la stanchezza del ragazzo che però non voleva arrendersi. Doveva sbrigarsi poichè passare la notte sul monte non sarebbe di certo stata la cosa migliore. Dopo una lunga camminata Cloud_92 raggiunse la cima innevata del monte, prima di prendere il sentiero che lo avrebbe portato dall'altra parte, decise di godere del panorama. Vedeva ogni cosa, si sentiva potente. Poteva vedere il mare, i fiumi, la grande pianura che aveva appena attraversato e soprattutto poteva vedere Nibelheim. Questa visione fece scendere una lacrima dagli occhi di Cloud_92, ma la nostalgia lasciò spazio alla preoccupazione, infatti del fumo saliva dal Paese e subito il cuore del ragazzo iniziò a palpitare per la preoccupazione! Capì che Nibelheim stava nuovamente andando a fuoco, allora senza perdere altro tempo prese il sentiero che portava al paese e iniziò a correre più veloce che poteva, la notte stava per sopraggiungere, ma non se ne accorse poichè i suoi pensieri erano incentrati sul raggiungere il Paese. Ci mise molto poco a giungere ai piedi della montagna, l'odore di fumo si faceva sempre più intenso e poteva sentire il calore delle fiamme, Nibelheim era proprio di fronte a lui, la rabbia lo stava mangiando vivo, prese la spada e dopo aver lanciato un urlo corse verso l'entrata del Paese. Una volta arrivato vide un bambino in lacrime, appena fuori dai cancelli
C92 - Ehi ragazzo! Che succede?
??? - Dei ... dei banditi! Hanno sfondato i cancelli ed ucciso le guardie e poi sono entrati in paese con alcune torce e hanno dato fuoco a tutto! Io sono riuscito a scappare, ma ... ma ...
C92 - MA COSA?
??? - I miei genitori, i miei amici, sono in quell'inferno
C92 - Non ti preoccupare, ci penserò io!
Cloud_92 rivide sè stesso in quel bambino e non voleva che soffrisse come aveva sofferto lui in passato. Allora corse più veloce che poteva nella piazza, vedendo i cadaveri delle guardie aggredite. Alcune donne piangevano, mentre gli uomini stavano per essere uccisi dalle lame dei banditi.
C92 - FERMI! NON FATE NULLA O VE NE PENTIRETE!
I banditi subito lasciarono andare i pochi uomini sopravvissuti e si avvicinarono al ragazzo
C92 - Voi uomini, portate in salvo le donne! Cercate di salvare quanta più gente possibile, mentre io mi occuperò di questi dannati!
??? - Io sono Astard, il capo dei banditi del nord, e tu chi sei piccolo moccioso?
C92 - Non importa chi sono, sappi solo che dovrai salutarmi il diavolo quando sarai all'inferno!
Cloud_92 subito prese la sua spada, mentre due della banda di Astard lo attaccavano, il ragazzo non trovò difficoltà a disarmarli e ad affondare la sua lama nei loro addomi. Nel mentre gli unici sopravvissuti all'incendio riuscirono ad uscire dal paese, salvandosi. Ma tutto andava a fuoco e Cloud_92 sembrava non voler lasciare il luogo senza prima aver ucciso ogni singolo nemico. Oramai i banditi erano stati stesi uno ad uno, ma Cloud era stanco, mentre Astard si avvicinava a lui brandendo il suo martello.
Astard - Bene, ti devo dare il merito di aver ucciso tutta la mia banda, ma io non sono come quei pivelli. Il paese sta bruciando, potevi scappare finchè eri in tempo, ma hai voluto fare l'eroe e ora ti spaccherò il cranio lasciandoti poi bruciare insieme a questo cumulo di polvere
Cloud_92 lo guardava fisso negli occhi, ansimava, ma non poteva arrendersi. Brandì la spada e provò a colpire con un fendente il suo nemico che però bloccò il colpo con il suo martello e con una spinta mandò a terra il ragazzo. Non aveva probabilmente alcuna possibilità, era a terra e a causa della brutta botta la gamba gli faceva male.
Astard - Ragazzo, dì addio al mondo, sto per ucciderti, non puoi reagire, hai anche una gamba fuori uso! ADDIO!
Astard alzò il martello al cielo e Cloud_92 riuscì a vedere una cicatrice accanto all'occhio del nemico: era la cicatrice che aveva riportato anni prima quando la sua famiglia era morta! Cloud_92 sentì la rabbia bruciare dentro di sè e sentì una strana forza dentro di sè. Rotolò ed evitò la martellata di Astard
C92 - ADDIO!
Cloud_92 inizialmente provocò una profonda ferita nella gamba sinistra di Astard, poi lo infilzò all'addome. Astard lo guardò fisso negli occhi prima di morire, mentre Cloud_92 continuava a tenere la lama nell'addome del suo avversario
Astard - T...tu ... ti r...ricono...sco. L'unico so...sopravvissuto all'attacco di anni fa ... final...mente hai avuto la t...tua v...vendetta...m...ma l'incen...dio non ti lascerà sca...mpo
Astard cadde a terra senza vita a causa della ferita di Cloud_92, il ragazzo tolse la spada dall'addome del rivale e poi la lasciò cadere a terra, lo guardò fisso, prima di cadere a terra ... senza sensi.
Cloud_92 si risvegliò poco dopo in un piccolo rifugio, si svegliò di soprassalto e si chiese cosa fosse successo. Un uomo si avvicinò a lui
??? - Finalmente sei sveglio, grazie mille per ciò che hai fatto
C92 - Ma che è successo?
??? - Mentre le fiamme divoravano Nibelheim, mio figlio mi disse di averti incontrato fuori dal paese, e che tu eroicamente eri entrato salvando i pochi sopravvissuti all'incendio. Così decisi di accettare la richiesta di mio figlio e dei sopravvissuti per vedere se eri ancora vivo e tornai alla piazza, ti vidi lì senza sensi, ti presi sulle spalle e presi la tua spada, portandoti in salvo prima che le fiamme avvolgessero per intero Nibelheim
C92 - G...grazie ma il paese?
??? - Purtroppo è ridotto ad un cumulo di cenere, ma ora stiamo collaborando, abbiamo costruito questo piccolo rifugio e stiamo ricostruendo tutto, grazie di cuore per ciò che hai fatto
C92 - Non importa, ora devo andare
??? - Non puoi conciato così!
Cloud_92 non ascoltò le parole dell'uomo, prese le sue cose ed uscì dal rifugio ringraziando tutti, si sentiva fiero di sè, finalmente aveva chiuso i conti con il suo passato, il Sole lo accarezzava, mentre iniziò il viaggio per tornare in accademia ...
Hahaha potrei morire qui,non so da quanto tempo non mi partiva una risata così spontanea e lunga,Grazie mille persone potenzialmente morte, ok che si parla di oltre 10 anni fa ma un eroe con il nome di Cloud_92 tale tale huahahahahauahah

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Cloud_92
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Re: Re:

Messaggio da Cloud_92 »

Gabriele ha scritto: 16 mag 2019, 20:56
Cloud_92 ha scritto: 28 ott 2007, 14:48 Fare i conti con il passato

Dopo che era uscito dall'accademia Cloud_92 aveva deciso di tornare al paese di Nibelheim, dal quale se ne era andato in giovane età dopo la morte della sua famiglia. Era sempre stato alla ricerca dei banditi che irruppero nel paesino bruciandolo e provocando la morte degli abitanti e il momento di affrontarli era finalmente arrivato, aveva deciso una volta per tutte di fare i conti con il suo passato e di chiudere la faccenda. Era una giornata ventosa e piuttosto fredda e il ragazzo doveva fare un lungo viaggio per giungere al piccolo paesino. Aveva deciso di attraversare il monte Nibel per giungere poi a destinazione. Durante il suo cammino il giovane si trovò spesso a combattere con mostri di tutti i tipi, che però non gli davano grandi difficoltà grazie all'esperienza che era riuscito ad ottenere nella permanenza in accademia. Dopo due lunghi giorni di viaggio riuscì ad attraversare per intero la grande foresta nel quale si era imbattuto e una volta fuori provò piacere a sentire nuovamente il calore del Sole sulla pelle e di poter vedere il volo degli uccelli, cose che, tra gli alberi della foresta, non poteva permettersi. Il biondo alzò lo sguardo e all'orizzonte vide la punta innevata del monte Nibel, quasi come se fosse pronto ad aspettarlo. Cloud_92 vide un piccolo fiumiciattolo non molto lontano e ne approfittò per rifocillarsi, poi si sdraiò sulla riva di esso e si riposò per qualche attimo. Vedendo il Sole che iniziava piano piano a calare decise di ripartire con il viaggio
C92 - è meglio ripartire, voglio accamparmi in un buon posto prima che faccia buio
Cloud_92 si alzò, si rimise la pesante spada nel fodero attaccato alla schiena e riprese a camminare con passo veloce per il sentiero che attraversava l'enorme pianura e che portava ai piedi del monte Nibel. Dopo alcune ore di viaggio la stanchezza iniziava a farsi sentire e inoltre la notte iniziava a sopraggiungere
C92 - Bene, ho trovato un posto dove stare
Cloud si accampò in un piccolo spiazzo erboso e finalmente si riposò, prese dallo zaino i viveri e inizò a cibare, mentre il Sole tramontò e lasciò spazio alla notte oscura. Cloud_92 finito di mangiare si mise a guardare le stelle fino a quando si addormentò. Lo risvegliò il tiepido Sole mattutino che gli accarezzava il volto, il ragazzo di sfregò gli occhi e capì che era mattina presto, era il momento di rimettersi in viaggio. Prese le sue cose e si rimise in marcia
C92 - Sono piuttosto vicino al monte Nibel, domani potrò finalmente dormire di nuovo nel mio vecchio Paese
Il ragazzo era contento di ciò, rivedere il suo Paese lo riempiva di gioia, ma allo stesso tempo lo riempiva di nostalgia e del ricordo di tutti i suoi amici e dei suoi familiari. Il giovane in un paio d'ore di cammino si ritrovò ai piedi del monte Nibel, lo guardò e vide come era imponente, ma non era abbastanza per spaventarlo. Cloud_92 prese lo stretto sentiero che saliva verso la cima costeggiando il fianco della montagna e iniziò a camminare avvolto dai pensieri. Mano a mano che si avvicinava alla cima il freddo iniziava ad essere pungente e l'ossigeno a scarseggiare, aumentando anche la stanchezza del ragazzo che però non voleva arrendersi. Doveva sbrigarsi poichè passare la notte sul monte non sarebbe di certo stata la cosa migliore. Dopo una lunga camminata Cloud_92 raggiunse la cima innevata del monte, prima di prendere il sentiero che lo avrebbe portato dall'altra parte, decise di godere del panorama. Vedeva ogni cosa, si sentiva potente. Poteva vedere il mare, i fiumi, la grande pianura che aveva appena attraversato e soprattutto poteva vedere Nibelheim. Questa visione fece scendere una lacrima dagli occhi di Cloud_92, ma la nostalgia lasciò spazio alla preoccupazione, infatti del fumo saliva dal Paese e subito il cuore del ragazzo iniziò a palpitare per la preoccupazione! Capì che Nibelheim stava nuovamente andando a fuoco, allora senza perdere altro tempo prese il sentiero che portava al paese e iniziò a correre più veloce che poteva, la notte stava per sopraggiungere, ma non se ne accorse poichè i suoi pensieri erano incentrati sul raggiungere il Paese. Ci mise molto poco a giungere ai piedi della montagna, l'odore di fumo si faceva sempre più intenso e poteva sentire il calore delle fiamme, Nibelheim era proprio di fronte a lui, la rabbia lo stava mangiando vivo, prese la spada e dopo aver lanciato un urlo corse verso l'entrata del Paese. Una volta arrivato vide un bambino in lacrime, appena fuori dai cancelli
C92 - Ehi ragazzo! Che succede?
??? - Dei ... dei banditi! Hanno sfondato i cancelli ed ucciso le guardie e poi sono entrati in paese con alcune torce e hanno dato fuoco a tutto! Io sono riuscito a scappare, ma ... ma ...
C92 - MA COSA?
??? - I miei genitori, i miei amici, sono in quell'inferno
C92 - Non ti preoccupare, ci penserò io!
Cloud_92 rivide sè stesso in quel bambino e non voleva che soffrisse come aveva sofferto lui in passato. Allora corse più veloce che poteva nella piazza, vedendo i cadaveri delle guardie aggredite. Alcune donne piangevano, mentre gli uomini stavano per essere uccisi dalle lame dei banditi.
C92 - FERMI! NON FATE NULLA O VE NE PENTIRETE!
I banditi subito lasciarono andare i pochi uomini sopravvissuti e si avvicinarono al ragazzo
C92 - Voi uomini, portate in salvo le donne! Cercate di salvare quanta più gente possibile, mentre io mi occuperò di questi dannati!
??? - Io sono Astard, il capo dei banditi del nord, e tu chi sei piccolo moccioso?
C92 - Non importa chi sono, sappi solo che dovrai salutarmi il diavolo quando sarai all'inferno!
Cloud_92 subito prese la sua spada, mentre due della banda di Astard lo attaccavano, il ragazzo non trovò difficoltà a disarmarli e ad affondare la sua lama nei loro addomi. Nel mentre gli unici sopravvissuti all'incendio riuscirono ad uscire dal paese, salvandosi. Ma tutto andava a fuoco e Cloud_92 sembrava non voler lasciare il luogo senza prima aver ucciso ogni singolo nemico. Oramai i banditi erano stati stesi uno ad uno, ma Cloud era stanco, mentre Astard si avvicinava a lui brandendo il suo martello.
Astard - Bene, ti devo dare il merito di aver ucciso tutta la mia banda, ma io non sono come quei pivelli. Il paese sta bruciando, potevi scappare finchè eri in tempo, ma hai voluto fare l'eroe e ora ti spaccherò il cranio lasciandoti poi bruciare insieme a questo cumulo di polvere
Cloud_92 lo guardava fisso negli occhi, ansimava, ma non poteva arrendersi. Brandì la spada e provò a colpire con un fendente il suo nemico che però bloccò il colpo con il suo martello e con una spinta mandò a terra il ragazzo. Non aveva probabilmente alcuna possibilità, era a terra e a causa della brutta botta la gamba gli faceva male.
Astard - Ragazzo, dì addio al mondo, sto per ucciderti, non puoi reagire, hai anche una gamba fuori uso! ADDIO!
Astard alzò il martello al cielo e Cloud_92 riuscì a vedere una cicatrice accanto all'occhio del nemico: era la cicatrice che aveva riportato anni prima quando la sua famiglia era morta! Cloud_92 sentì la rabbia bruciare dentro di sè e sentì una strana forza dentro di sè. Rotolò ed evitò la martellata di Astard
C92 - ADDIO!
Cloud_92 inizialmente provocò una profonda ferita nella gamba sinistra di Astard, poi lo infilzò all'addome. Astard lo guardò fisso negli occhi prima di morire, mentre Cloud_92 continuava a tenere la lama nell'addome del suo avversario
Astard - T...tu ... ti r...ricono...sco. L'unico so...sopravvissuto all'attacco di anni fa ... final...mente hai avuto la t...tua v...vendetta...m...ma l'incen...dio non ti lascerà sca...mpo
Astard cadde a terra senza vita a causa della ferita di Cloud_92, il ragazzo tolse la spada dall'addome del rivale e poi la lasciò cadere a terra, lo guardò fisso, prima di cadere a terra ... senza sensi.
Cloud_92 si risvegliò poco dopo in un piccolo rifugio, si svegliò di soprassalto e si chiese cosa fosse successo. Un uomo si avvicinò a lui
??? - Finalmente sei sveglio, grazie mille per ciò che hai fatto
C92 - Ma che è successo?
??? - Mentre le fiamme divoravano Nibelheim, mio figlio mi disse di averti incontrato fuori dal paese, e che tu eroicamente eri entrato salvando i pochi sopravvissuti all'incendio. Così decisi di accettare la richiesta di mio figlio e dei sopravvissuti per vedere se eri ancora vivo e tornai alla piazza, ti vidi lì senza sensi, ti presi sulle spalle e presi la tua spada, portandoti in salvo prima che le fiamme avvolgessero per intero Nibelheim
C92 - G...grazie ma il paese?
??? - Purtroppo è ridotto ad un cumulo di cenere, ma ora stiamo collaborando, abbiamo costruito questo piccolo rifugio e stiamo ricostruendo tutto, grazie di cuore per ciò che hai fatto
C92 - Non importa, ora devo andare
??? - Non puoi conciato così!
Cloud_92 non ascoltò le parole dell'uomo, prese le sue cose ed uscì dal rifugio ringraziando tutti, si sentiva fiero di sè, finalmente aveva chiuso i conti con il suo passato, il Sole lo accarezzava, mentre iniziò il viaggio per tornare in accademia ...
Hahaha potrei morire qui,non so da quanto tempo non mi partiva una risata così spontanea e lunga,Grazie mille persone potenzialmente morte, ok che si parla di oltre 10 anni fa ma un eroe con il nome di Cloud_92 tale tale huahahahahauahah

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Se potessi mi teletrasporterei dal me stesso di 10 anni fa per dargli un paio di schiaffi, in effetti
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