FanFic Garden

Un Gioco di Ruolo Narrativo a più mani, tra SeeD e Cadetti, Garden ed Accademia, Tornei, Missioni, Sagre, e molto altro: questo è il Garden Club! Leggi i topic "Bacheca" e "Spiegazione Topic" prima di postare

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Nanashi Mumei
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L'accaduto fin'ora, e un preludio a cos'accadrà.

Messaggio da Nanashi Mumei »

Homura camminava per i corridoi del Garden, zaino in spalla, diretto alla mensa. Aveva solo quest'ultima faccenda da sbrigare, poi se ne sarebbe andato. Se tutto fosse andato per il verso giusto, sarebbe svanito nel nulla, dimenticato da tutti, inghiottito dalle nebbie di Gaia.
O forse, da un molboro sovrappeso.
Spalancò la porta e si diresse dubito verso il suo bersaglio.
"Paine." Disse il bastardo.
"Che vuoi?" Rispose la dottoressa.
"Parlarti, in privato." Rispose Homura.
Paine rimase a fissarlo per un attimo, prima di indicare con un cenno del capo la sedia di fronte a lei.
"Hai circa cinque minuti prima che Elza arrivi. E se mi rovini l'appetito, te le suono." Proseguì la dottoressa.
"In realtà, avevo una richiesta da farle." Cominciò il bastardo.
"Te ne vai?" Chiese lei.
"Sì."
"Alla buon'ora!"
"Appunto per questo volevo chiederle di prendersi cura di Elza. E di non farla soffrire."
"Tutto qui?" Chiese la dottoressa, un po' stupita. "L'avrei fatto comunque, che credi?"
"Giusto accertamene." Replicò Homura, alzandosi.
"A mai più." Disse infine il bastardo, girando sui tacchi e andandosene.
Paine rimase lì, a guardarlo mentre scompariva davanti a lei. Vanish. Che melodrammatico.
Sospirò e riprese a tagliare la sua bistecca. Era più dura del solito quel giorno lì. Poi si rese conto che in effetti poteva chiedergli dove stava andando, che intenzioni aveva, cose così.
Ma non si conoscevano abbastanza per poterlo fare.
E comunque, ogni lasciata è persa. Meglio pensare alla bistecca.

-0-

La cella, come ogni cella, era umida e fredda. Era anche priva di ratti, stranamente, o blatte o simili schifezze animali.
Ma gli alexandrini ci tenevano alla pulizia. E molto.
Ci tenevano anche alle visite. Specialmente dei reali, e specialmente per i criminali peggiori. O quantomeno speciali.

Homura era un criminale in quanto membro delle Ex Seed del Garden di Rinoa, la più nobile delle fecce.
Perciò non si stupì quando i regnanti vennero a trovarlo.
"Re Gidan, regina Garnet." Salutò Homura.
"Ave." Rispose Gidan con un sorriso.
"Che avevamo detto in quanto alle formalità?" Rispose Garnet, sempre sorridendo.
"Solo perché ho fatto da balia a vostra figlia?" Rise Homura, alzandosi dal suo lettino. Gli faceva male ovunque.
Gli fece più male quando una spilungona dai capelli verdi gli si avventò contro e lo stritolò in un abbraccio.
"Homura!"
"Esme...soffoco..."
Esmeralda non mollò la presa.
La coppia di reali rimase lì a guardarli col sorriso sulle labbra, in attesa che la signorina Crosswind finisse di polverizzare le vertebre al fratellastro.

-0-

"Mi devi dire dov'è." Ringhiò Homura.
"Non so niente."
"Sei mio padre!"
"Non ti ho cresciuto. Vattene."
"Assumiti un po' le tue responsabilità e dimmi dove si trova!"
"VATTENE!"
"Non so a chi altri rivolgermi, sei la mia ultima speranza!"
Il padre osservò suo figlio per un attimo solo, prima di sbattergli la porta in faccia.
Homura rimase a fissare per un attimo il batacchio, prima di allontanarsi bestemmiando.
Si rintanò nel cortile della villa, montando una tenda e rifugiandosi dentro.
Cominciò a piovere qualche ora dopo, e l'intemperia proseguì per tutta la notte.
La mattina dopo, mentre Homura stava mangiando, una figura gli si parò davanti.
Era una ragazza. Avrà avuto più o meno la sua età. Boccoli verdi lunghi fino alle spalle, occhi color oliva, cappello nero con piuma di chocobo, abiti rosso cremisi e mantella nera. Portava uno stocco al fianco.
"Mio padre ti ha chiesto di andartene."
"Tuo padre, eh?" Rispose Homura, sghignazzando.
"Che hai da ridere?"
"Non ti ha detto niente, vedo."
"Che doveva dirmi?"
"...Niente d'importante."
"Mi stai prendendo per il culo?"
"Può darsi."
"Vattene. Non sei il benvenuto."
"Non posso. Tuo padre sa qualcosa di cui io ho bisogno. E resterò qui fino a che non vuota il sacco."
"E a me non m'importa un accidente e voglio che tu te ne vada. Ora." Disse la ragazza, mettendo mano alla lama.
Il bastardo rimase a guardarla da dentro la tenda, seduto.
"Vogliamo risolverla da adulti?" Chiese Homura, gelido.
"Seguimi." Rispose la ragazza.

-0-

Homura stava respirando a fatica.
"Che... volete?" Ansimò.
"Vedi... diciamo che il macellaio non ha proprio rispettato gli accordi." Disse Gidan.
"Quindi ci sembra solamente giusto che nemmeno noi rispettiamo i termini dell'accordo." Proseguì Garnet.
"Quindi volete liberarmi?" Chiese Homura, sollevando le manette.
"In realtà," Disse il re, estraendo una chiave dalla tasca dei pantaloni, "vorremmo assumere te e tua sorella."
"Per cosa?" Chiese Homura.
"Scoprire la causa dell'infezione." Concluse Esmeralda, tutta pimpante.
Garnet rimase un attimo allibita: le aveva rovinato il momento drammatico.
"Infezione? Che infezione?" Chiese Homura.
"Direi che abbiamo molto da spiegarti..." Proseguì la regina.

-0-

Salirono la rampa dritti al negozio d'armi di Toleno, e vi entrarono.
La gabbia sotto al negozio era vuota. Ottimo.
"Un duello, eh? Ve lo si legge in faccia. 5000 Guil."
Pagò Homura, e si misero in posizione.
Lui sguainò il suo pugnale, lei il suo stocco.
"Ce l'hai un nome, almeno?" Chiese il bastardo.
"Vuoi sapere il nome del tuo carnefice?"
"No. Della mia vittima."
La botola s'aprì, atterrarono, e subito partirono all'assalto.

Homura cercò subito l'affondo, per terminare immediatamente lo scontro, mentre la ragazza scagliava una sfera di fuoco nella sua direzione.
Questi schivò con una scivolata, e quando si rialzò, venne immediatamente investito da un'ondata di vento gelido che lo scaraventò contro la sfera di fuoco, la quale si era bloccata a mezz'aria.
Quindi il suo piano era quello, allora.
"Merda-!"
S'avvitò, riacquistò l'equilibrio in volo e si girò su se stesso, schivando per un pelo il globo igneo.
Il quale detonò comunque mentre vi stava passando a fianco. Homura venne brutalmente scagliato contro la parete, e non appena si rialzò, vide la maga avventarsi contro di lui, stocco spianato.
Deviò l'ovvio affondo, solo per vedere la lama dardeggiare attorno al pugnale come una serpe e cercare di tagliargli i tendini della mano.
Non ci riuscì: Homura era troppo veloce, ma nonostante lo scambio velocissimo di fendenti e parate, il bastardo era costretto a indietreggiare, cosa che, prima o poi, l'avrebbe condotto ad una sconfitta certa.
Dovendo cambiare strategia, sputò dalla bocca un Fira dritto al volto della maga rossa, costringendola a coprirsi la faccia con uno Shell improvvisato, mentre Homura sfruttava la distrazione per chinarsi e spazzarle la terra da sotto i piedi.
Funzionò.
Cadde in terra e Homura fece subito per avventarsi su di lei, quando questa gli puntò lo stocco contro, infilzandolo allo stomaco. Il ragazzo, per inerzia, cadde sulla maga, urlando e spingendo la lama più a fondo, e nella caduta, le piantò il pugnale nel fianco.
Lei ignorò la ferita, caricò un ultimo incantesimo quando Homura le serrò ambo le mani sulla gola, cercando di strozzarla.
Questa rispose con un pugno sul muso, forte abbastanza da levarselo di dosso.
Non ebbe il tempo di preparare un altro incantesimo che una voce la fermò.

-0-

“-E questo è quanto.” Concluse la regina Garnet.
“...Pazzoidi ovunque. E pensate che sia dovuto ad un virus?” Chiese Homura.
“Il dottor Totto ne è certo. Ha passato due mesi ad analizzare campioni di sangue.” Rispose Gidan, sgranocchiando i pasticcini.
“Abbiamo rischiato tutti quanti, ma siamo riusciti a contenere l'infezione. Almeno qui ad Alexandria, a Lindblum e a Burmesia.” Proseguì Garnet.
“Capisco. Degli altri mondi, si sa niente?” Chiese Homura.
“Niente.” Rispose Esmeralda. “Con la caduta dei Garden si è perso qualsiasi contatto fra i mondi.”
“E voi credete che l'origine dell'infezione sia in questo mondo?” Chiese ancora Homura.
“Non possiamo mica mandarti su Ivalice a cercarla, no?” Scherzò Gidan.
Homura rimase a fissare i regnanti per un secondo, poi sospirò con aria rassegnata.
“Accetto.” Disse soltanto. “A due condizioni.”
“Sentiamo.” Disse Garnet.
“La prima, è che vi prendiate cura di quella stronzetta di vostra figlia. Mi ci sono affezionato, che devo dire.”
“Concesso. E la seconda?”
“Che mi aiutiate a trovare mia madre.”

-0-

“Siamo fratelli?” Chiese Esmeralda, stupita.
Erano seduti su delle vecchie brande, i maghi bianchi intenti a curare Homura, il quale bestemmiava e fremeva come un posseduto. Rigenerare un pezzo di fegato con la magia non era roba da poco.
“Fratellastri.” Corresse il padre.
“Mi stai dicendo che hai messo incinta una ragazza e sei scappato?” Chiese Esmeralda, delusa.
“Sì.” Rispose il padre. “Ma da ora in avanti, il passato è passato. Non è affar nostro. Vieni.”
“Aspetta!” Disse Esmeralda. “Davvero non sai dove si trovi sua madre?”
“No. E anche se lo sapessi, non è affar mio. Vieni, ora, hai degli impegni da sbrigare.”
La ragazza si voltò verso Homura: tremava ed era madido di sudore.
“Mi dispiace...” Cominciò.
“Non ha importanza.” Ridacchiò lui, debolmente.
“Come ti chiami?”
“Homura. Homura Tsukihime. Tu?”
“Esmeralda. Esmeralda Crosswind.” Disse lei con un sorriso.

Si reincontrarono il giorno dopo, mentre Homura stava lasciando Toleno. Aveva una bisaccia a tracolla con dentro del pane, una tenda multiuso, un moguflauto e un diario.
“Dove vai?” Chiese Homura.
“Vengo con te.”
“Non è affar tuo.”
“Ho appena scoperto di avere un fratello, e adesso non posso neanche conoscerlo?” Disse lei, gelida.
“Sì.”
“Bhè, col cavolo. Vengo con te.”
Homura rimase un attimo a fissarla.
“E i tuoi?”
“Lo sapranno tra un paio d'ore, quando vedranno la mia lettera.”
“Capisco. Bhè, meglio sbrigarci allora, sorella.” Disse Homura con un sorriso.

-0-

Si lasciarono le prigioni reali alle spalle, e salirono sulla gondola che li avrebbe riportati ad Alexandria.
“Quindi...” Cominciò Esmeralda.
“Non sappiamo cosa stiamo cercando, dove sia e come trovarla.” Finì Homura.
“E si aspettano dei risultati.” Proseguì Esmeralda.
“Sì. Almeno non abbiamo scadenze.” Continuò il bastardo.
“Almeno quello.” Concluse la maga.
Calò il silenzio.
“Andiamo a prenderci un panino?” Propose Esmeralda.
“...Perché no.” Concluse Homura.

Avessero prestato attenzione al gondoliere, lo avrebbero visto ghignare.
Nanashi Mumei
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Cruor.

Messaggio da Nanashi Mumei »

Pioveva a dirotto su Alexandria, e lo stand dei panini era chiuso.
Come tutto quanto, del resto, per terrore dell'infezione che trasformava la gente in belve assetate di sangue.
“Ed io che avevo proprio voglia di mortazza…” Sussurrò Homura.
“Dai, su col morale!” Rimbeccò Esmeralda. “Prima o poi troveremo qualcosa!”
“Sono sei mesi che cerchiamo in questa cxxxo di città! Sei mesi! E non abbiamo trovato neanche l’ombra di una pista!” Rispose il mezzo Jenoma.
“In realtà, mi riferivo al panino. Ma troveremo anche quella!” Rispose la maga rossa, alzando il pugno e sorridendo al fratellastro.
Homura scosse la testa in segno di disappunto.

-0-

La gabbia gli stava stretta. Letteralmente. La chiusa gemeva sotto ogni suo movimento, e il sentire i gemiti di disperazione dei suoi compagni non faceva che agitarlo.
“Ku-pò!” Ringhiò dallo sforzo, agitando le gambine tozze.
Erano due settimane che era lì, ma sapeva che alcuni dei suoi compagni di prigionia erano lì da molto, molto tempo. Abbastanza da essere morti di fame o sete o disperazione.
O della mannaia del loro aguzzino. Tremò di paura al solo pensiero, ma decise che non era il tempo di pisciare sugli altri moguri, era ora di agire! Si agitò ancora di più, ancora di più, agitando con veemenza le ali tarpate e le zampette tozze, quando, finalmente, riuscì a spostare la gabbia.
Di un centimetro. Ma spesso, le grandi vittorie derivano da cose piccole.
“Stavi tentando di scappare, eh?!” Ringhiò il mattatore.
Spalancò la gabbia, afferrò il moguri per il maglioncino e lo sollevò con violenza, portandolo al tavolo sporco di sangue e pieno di tagli. Ma Moggu li comprava economici, i maglioncini, e questo presentava già due grossi strappi in cui far passare le ali. Strappi che si accentuarono con la presa sulla collottola, fino a che l’indumento non si strappò in due, liberando Moggu con una sonora culata a terra.
“Kupò! Sono libero!” Gridò il moguri, schizzando come una scheggia sotto anfetamine verso la porta dello scantinato. E prima che il mattatore potesse prendere la mannaia e tirargliela addosso, Moggu era già fuggito, e l’arma andò a conficcarsi nella cornice della porta.
La recuperò e corse come un ossesso dietro al moguri, urlando minacce e auguri di morte, ma sapeva che era tutto inutile: non è che i moguri non avessero predatori, è che sono tutti incapaci di star loro dietro.
Lasciò cadere in terra la mannaia e arrugginita nel sangue e seguì le tracce di Moggu, camminando sotto la pioggia con indosso solo un paio di pantaloni e una canottiera macchiata di grasso troppo larga per il suo fisico rachitico.
E fu così che arrivò davanti al porto che dava al castello di Alexandria.
“cxxxo.”
La gondola era già salpata.
“cxxxo!”
Tornò indietro, di corsa, quando si ricordò che aveva lasciato la porta aperta nella fretta.
Scese nello scantinato, e si rese conto che non c’era nemmeno una gabbia chiusa.
E, se è per questo, nemmeno l’ombra di un moguri.
Evidentemente, la velocità e la libido non sono le uniche cose che impediscono a delle creature insignificanti come i moguri di estinguersi.

-0-

Il giorno dopo, Homura ed Esmeralda vennero chiamati a corte.
“Potevate dircelo che stavano sparendo i moguri!” Disse la maga rossa.
“Pensavamo ve ne accorgeste! Anche se in effetti, è vero che nessuno fa mai caso a loro…” Mormorò la regina Garnet, cullando la piccola principessa.
“Tranne quando bisogna salvare, montare le tende, e ricevere lettere… Dovremmo dar loro uno stipendio…” Proseguì re Gidan, pensoso.
“Il punto è: era più facile investigare quello che non le origini della malattia.” Rispose Homura, che agitava un sonaglio sopra la principessina.
“Strunz! Strunz!” Rise la piccolina, muovendo le braccia verso Homura. Garnet guardò il mezzo jenoma in tralice.
“Hanno cominciato a sparire dopo che vi abbiamo assegnato l’incarico.” Si giustificò il re, come se ciò gli avesse impedito di cambiare loro i compiti.
“Avevate delegato a qualcuno di investigare le sparizioni?” Chiese Esmeralda.
“Sì, ma non avevano ottenuto risultati fino a ieri, quando il qui presente Moggu è riuscito a scappare.” Proseguì la regina.
Homura arricciò il naso, prima di riprendere a giocare con la piccola.
“Strunz! Strunz!”
“Non ha importanza. Dobbiamo quindi accompagnare Moggu verso il nascondiglio del loro aguzzino?” Chiese il mezzo jenoma mentre lasciava che la piccola principessa giocasse con le sue dita.
“Isabeau, non piegargli le dita.” Sgridò con dolcezza la regina Garnet.
Homura non se ne curò e continuò nel viziare la piccola principessa.
“Sì. In pratica, sì. Andate lì, cercate delle tracce e datevi alla caccia.” Concluse Re Gidan.
“Sarà fatto, sua maestà!” Rispose Esmeralda, scattando sull’attenti.

-0-

Impacchettarono le vettovaglie e la strumentazione in un paio di zaini e borse a tracolla, e seguirono il terrorizzato Moggu per le strade di Alexandria. Aveva appena smesso di piovere, e il sole cominciava a fare capolino tra le nubi, ma il freddo umido, coadiuvato da una nebbia nascente, stava ancora permeando le strade di una gelida aura che non si sarebbe allontanata tanto presto.
Giunsero in fronte alla casa del mattatore di moguri; l’abitazione era situata in un distretto residenziale demolito dalla furia di Bahamut e abbandonato per questioni puramente strutturali: le fondamenta erano state cotte e fuse e distrutte dalla potenza dei megaflare, ma qualcosa sopravvive sempre alla furia naturale degli eidolon.
Entrarono, Moggu che tremava come una foglia: la casa era piena di polvere, i mobili ribaltati dal tremore delle esplosioni, una pendola pendeva traversa nel corridoio, conficcata nel muro.
Vi passarono sotto e intravidero delle scale che portavano di sotto, nel seminterrato.
Entrarono, e videro subito le gabbie, vuote, sparpagliate ovunque, insieme ad un tavolo lercio di sangue secco con una grossa mannaia piantata nel mezzo e ad una grossa stufa nella quale riposavano braci ancora calde. Quasi certamente Moggu aveva visto molti suoi compagni venire sgozzati su quel tavolo, per poi venire eliminati nella stufa. Homura aprì la stufa, e vide delle ossa semi carbonizzate che si stavano sbriciolando sotto il loro stesso peso insieme a dei brandelli di carta annerita, mentre il moguri cominciò a piangere ed Esmeralda l’abbracciava e lo confortava come meglio poteva.
“Probabilmente si era segnato una serie di indirizzi cui potersi rifugiare, e ha bruciato ogni prova cartacea.” Disse Homura, gelido.
“Quindi, nessuna possibilità di prenderlo?” Chiese Esmeralda.
“Ho detto prova cartacea. Ci sono cose che non puoi bruciare, tipo le orme nella polvere. Magari, se abbiamo culo, ha pure dimenticato qualcosa.” Disse il mezzo jenoma.
“E cosa speri di dedurre?” Chiese la maga rossa.
“Non spero niente. Le speranze esistono solo per essere deluse.” Ammise Homura.
“Te lo leverò il tuo cinismo, un giorno.” Sussurrò Esmeralda, sempre tenendo Moggu in braccio, mentre Homura estrasse le ceneri dalla stufa e si mise ad esaminarle alla ricerca dei brandelli di carta.
Quel che trovava, gli si sgretolava tra le dita, quindi si rialzò e uscì dallo scantinato, si fermò sul pianerottolo che conduceva con un decrepito salotto semi ribaltato e osservò le scale che davano al piano superiore: c’erano orme nella polvere. Concitate. Per non dire disperate, da come i piedi avevano scavato e scaraventato pulviscolo ovunque.
“Saliamo.” Disse Homura, algido.
Si arrampicarono su per le scale, i gradini che cigolavano ad ogni loro passo, e proseguirono il loro percorrere le orme. Il killer di moguri non saliva spesso: c’erano solo le orme che risaltavano come impronte sulla prima neve, e il cigolio che accompagnava i passi di Esmeralda.
Trovarono una piccola camera da letto, con un armadio semi-aperto e un letto fatto coperto di polvere e tarme. Spalancarono le ante, e trovarono all’interno una sola gruccia vuota, le altre presentavano abiti eleganti da signore distinto… e un camice da laboratorio. Di fianco alla gruccia vuota. Lo presero, e notarono che presentava il logo dell’Atelier del Calderone.
“Non era in questo distretto? Voglio dire, mi pare di ricordare che l’esplosione dell’Atelier del Calderone a seguito del megaflare di Bahamut sia stata la ragione per cui questa zona non è stata ricostruibile.” Disse Homura.
“L’hanno spostato nel distretto est. Vi faccio strada.” Disse Moggu, parlando rapidamente, chiaramente tutto desideroso di andarsene da quella casa.
Lo seguirono.

-0-

“Quindi, fammi capire bene. Ti sono scappati.”
“Sì.”
“Dalla tua vecchia casa.”
“Sì.”
“E sei tornato qui. All’Atelier del Calderone.”
“Esatto.”
“Al luogo che il Macellaio usa come fabbrica di esplosivi per il suo gran progetto su Gaia.”
“Fammi indovinare: è tutto un gran preambolo per darmi del cretino?”
“Lo sei comunque.”
“Crepa.”
“No, crepi tu! Per mano mia! Ti avevamo licenziato, e… URGH! Senti, ti avevamo dato quel lavoro dei moguri perché ci facevi pena, ed è stata colpa nostra, perché non dovevamo darlo ad un incompetente come te!”
“Non sono un incompetente!”
“Oh, certo, e io sono Brahne magra! Ma non dovevamo fidarci di te! Adesso, dicci, sei venuto qui col camice per nasconderti fra i nostri lavoratori, giusto?!”
“Sì.”
“Dov’è il camice di riserva?”
“…”
“Il camice che diamo in caso quello normale prenda fuoco, sai, lavorando con gli esplosivi… dov’è?”
“…”
“L’hai bruciato, almeno?”
“…”
“Io ti uccido. Io ti uccido. Io ti uccido così forte che resusciti così che ti possa ammazzare ancora!”
“…non era mia intenzione…”
“Sai che m’importa! Ci tocca iniziare in anticipo, e non siamo minimamente pronti! Avevi un solo compito, ed era fermare il mogunet, e manco quello sai fare! Io…”
Estrasse uno stiletto.
“…TI UCCIDO.”
Nessuno ebbe il tempo di reagire che il pugnale venne immediatamente affondato tra le costole, ripetutamente, rosso che schizzava da tutte le parti, mentre l’assalitore uccideva l’assassino di moguri tra una risata sguaiata e l’altra. Lo scaraventò a terra, e continuò a pugnalarlo fino a che la lama non si ruppe su una costola. A quel punto, lo prese a morsi in faccia, e non sputò ciò che rancava via.
Nessuno intervenne.
Proseguirono la produzione di esplosivi e di armi chimiche. Dovevano cominciare in anticipo, dopotutto. E del resto, era stato promesso loro controllo del loro angolo del nuovo mondo. Una promessa che sapevano non sarebbe stata mantenuta, ma quando il diavolo bussa alla tua porta con un aut aut in mano, nessuno dice no.
E adesso, da impreparati che erano, dovevano giocare tutte le loro carte migliori.
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