FanFic Garden

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Akainatsuki
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Re: FanFic Garden

Messaggio da Akainatsuki »

Cat Empitsu [BACKstory #4]
The SEVENth
Music Theme: Night Tales Deceiver – IA PROJECT / Jin (Mekaku City Actors / Kagerou Project)
***
The FIRST: Gluttony

“…N-non credevo bevessi tè”.

Cat alzò lo sguardo dal menù sgualcito e appiccicoso di bevande zuccherate. Dall’altra parte del tavolino, la faccia di Lala avvampò, facendola somigliare a un fiammifero acceso, con quegli assurdi capelli color carota a completarne l’immagine.

“…I-insomma, anche in pausa pranzo bevi birra…”

Analcolica” la interruppe sospirando. “Regolamento aziendale: capelli raccolti e niente alcolici in servizio”.

Lala annuì, aggiungendo con una risatina: “A-al Dipartimento di Pubblica Sicurezza avranno un Regolamento diverso, n-non credi?”

Le battute sui quantitativi di bottiglie scolate dai Turk ogni giorno si sprecavano: probabilmente servivano a sciacquare via anche solo il minimo rimorso che ciascuno di loro avesse potuto provare all’ennesima esecuzione.

Prima che Cat potesse dare voce alle sue considerazioni, la piccola e malandata caffetteria in cui avevano trovato un bancone e un paio di sgabelli liberi ebbe un sussulto, mentre un treno passava a tutta velocità sopra le loro teste.

“Forse avremmo dovuto andare da un’altra parte…” mormorò Lala, arrotolando imbarazzata una ciocca e guardandosi attorno. “Non capisco come mai qui ci siano solo uomini…”

The SECOND: Lust

“La risposta è… femminilità” commentò piatta Cat, sorbendo il suo tè e indicando la barista che si muoveva a larghe falcate tra un avventore e l’altro, le sue grazie lasciate ondeggiare a ogni movimento.

Lala Ribon annuì di nuovo, tormentandosi una guancia lentigginosa: “Oh, quel genere di femminilità…” mormorò, rigirando tra le mani la tazza di caffè bollente. “A-anche tu, Cat, lavoravi con quel genere di femminilità, giusto?”

Il sorso di tè le andò di traverso, mentre un paio di omaccioni grandi e grossi seduti accanto a loro non nascosero un ghigno divertito. Li ignorò e fece un respiro profondo, cercando di far trovare alla bevanda la direzione giusta per il suo stomaco.

“No, Lala. La risposta è no” sentenziò secca, posando la tazza con un tintinnio di ceramica.

“Ma a me s-sono giunte voci, ho letto nel tuo dossier che hai lavorato all’Honey Bee Manor e…” si interruppe all’improvviso, per poi completare la frase “…e facevi la s-segretaria alla Reception…?”.

“Brava. Quella è la parola giusta: segretaria” ripeté, picchiettando con un’unghia sul piattino sbeccato. “Ho fatto quello fin dall’inizio e lo farò per tutta la vita”.

Rimase un attimo silenziosa, fissandola sottecchi per poi scuotere il capo: “A-allora devi stare a-attenta a quello che dicono agli altri Piani…”

Chiuse gli occhi, sospirando: “Non voglio saperlo, Lala…”

“D-devi saperlo! Io sono tua a-amica e devo dirtelo!” pigolò, scuotendola per una manica della giacca. “Credono tutti che tu abbia… lavorato all’Honey Bee Manor!”

“È quello che ho detto e mai negato…”

“…Con q-quel genere di femminilità. S-senza la parte della segretaria” concluse con la voce rotta, imbarazzata.

Gli sguardi degli uomini tornarono a concentrarsi su di loro.

Cat si alzò in piedi. Estrasse velocamente una banconota dal portafoglio e la sbattè sul bancone: “Offro io, pago tutto e lascio anche la mancia! Non serve lo scontrino!” esclamò, incrociando lo sguardo della barista e afferrando Lala per il cappotto leggero. “Arrivederci e grazie!”

Si lasciarono la porta malandata alle spalle e iniziarono ad avanzare a larghe falcate lungo una delle tante stradine buie degli Slum del Settore 7.

The THIRD: Wrath

La stazione dei treni non era troppo distante. Cat camminava veloce, senza lasciare la presa sulla manica di Lala.

“M-mi dispiace, ho p-parlato troppo!” singhiozzò affannata dietro di lei, cercando di tenere il passo. “A-anche Scarlet dice che d-dovrei imparare a…”

“…A TENERE LA BOCCA CHIUSA!” sbottò, senza voltarsi. “Proprio in un posto del genere ti è venuto in mente di…”

Il passaggio di un convoglio sferragliante inghiottì le sue parole. Entrarono nella stazione affollata e fumosa, illuminata debolmente dalle luci Mako. Con un automatismo maturato dai tanti giorni sempre uguali in direzione degli Shin-Ra HQ, estrassero nel medesimo istante le tessere magnetiche dalle rispettive tasche, facendole strisciare sui cancelli di ingresso ai binari. Restarono in attesa, unendosi alla fila ordinata lungo il marciapiede e si infilarono nella carrozza non appena le porte si aprirono.

Cat si sedette con un tonfo su un sedile riservato, ignorando le occhiate preoccupate di Lala e quelle stizzite delle vecchiette attorno a lei.

“Anche tu, seduta. E zitta” borbottò. La osservò dondolare, incerta sul da farsi, stringendo la maniglia sopra alla sua testa. Infine, con un sospiro, prese posto.

“…P-potremmo stare in piedi? Questi sedili sono per…” cercò di giustificarsi, nervosa. Il silenzio di Cat la mise a tacere a sua volta.

The FOURTH: Envy

Lala trascorse il viaggio fissando colpevole le sue ginocchia, senza avere il coraggio di alzare lo sguardo. Solo quando intravide le gambe di Cat muoversi e scattare fece lo stesso, lasciandosi sfuggire un sospiro di sollievo.
*** Dlin Dlon ***
Fermata Wall Market – Benvenuti al Settore 6!
Vi preghiamo di fare attenzione alle porte in apertura!
“I-il Settore 6?”

Lala strozzò un gridolino, incespicando contro le persone che affollavano la stazione, così identica alla precedente nel suo grigio e bagliori di quel verde malato. Si affrettò a raggiungere Cat, che camminava spedita, oltrepassando con un saltello le numerose buche e crepe aperte sull’asfalto, i detriti ammassati un po’ ovunque, come un gigantesco cantiere a cielo aperto.

“Non c-credevo ci fosse un parco qui…” commentò meravigliata, rallentando, mentre passavano accanto a una recinzione cadente, osservando alcuni bambini intenti a rincorrersi e giocare sul cemento. “…Green Park? N-non vedo molto verde qua attorno, a essere s-sincera”.

Cat si fermo all’improvviso, voltandosi verso il parco, per poi alzare lo sguardo verso il Plate parecchie decine di metri sopra le loro teste. Arricciò il naso: aveva un brutto presentimento, ma l’idea che tutto quel metallo potesse crollare dal cielo da un momento all’altro le sembrò fin troppo azzardata.

Probabilmente si stava sbagliando.

Tornò a guardare i bambini che giocavano, ignari della presenza di qualcosa che in un futuro vicino li avrebbe potuti inghiottire tutti. Li invidiava un po’.

Scrollò le spalle, gettando un’occhiata a Lala, che la fissava tormentando la rete metallica: “Non siamo venute qui per questo” borbottò, rimettendosi in marcia.

The FIFTH: Greed

Si staccò dalla recinzione, fissandola interrogativa: “P-per cosa, allora?” sbuffò, avvicinandosi a lei. “Credevo non ti piacesse il Settore 6…”

Cat strinse le labbra in una linea sottile, avanzando in silenzio. Le strade iniziavano a svuotarsi del consueto viavai di persone, mentre altre sembravano comparire improvvisamente dagli angoli più bui, affiancandole nel loro procedere. Lala si guardava attorno nervosa, seguendo passo per passo le orme di Cat: si era ben resa conto come tutti stessero avanzando nella stessa direzione e dentro di lei non poteva fare a meno di rabbrividire all’idea verso la loro destinazione.

“…Il W-wall Market, c-come non immaginarselo, eh?” mormorò, cercando di dissimulare una risatina. “C-credevo che nemmeno il W-wall Market ti piacesse…”

“Mi hai costretta a venire qui” sibilò, facendosi strada tra le facce sempre meno raccomandabili che incrociavano a ogni passo. “Giammai si dica che io, Cat Empitsu, 21 anni e qualche mese, non possa aver lavorato all’Honey Bee Manor come segretaria-e-basta”.

“N-non capisco, c-cosa hai intenzione d-di…?”

Si fermò di colpo, rivolgendo a Lala un ghigno soddisfatto: “Vado a chiedere una lettera di raccomandazioni” sillabò. “Dopo mi offrirai la cena, per avermi fatto venire fin qui”.

The SIXTH: Sloth

Le luci abbaglianti del Wall Market diventavano sempre più intense man mano che si addentravano tra i suoi vicoli. Le persone attorno a loro si muovevano a disagio sotto quei riflettori, cercando di confondersi nelle ombre e negli angoli. Cat procedeva spedita, lo sguardo fisso davanti a sé, senza prestare attenzione alle occhiate fameliche e le gomitate che si susseguivano a ogni passo.

Lala non riuscì trattenere un gridolino quando, oltrepassata la distesa di carretti e camioncini intenti a dispensare ciotole fumanti agli avventori di passaggio, sbucarono nello spazio antistante all’enorme e luccicante insegna dell’Honey Bee Manor. Lanciò un’occhiata disperata in direzione di Cat, ma senza successo: la vide avanzare, facendosi largo a spallate tra la piccola folla che si era radunata all’ingresso, fino a trovarsi faccia-a-faccia con un tizio che aveva raggiunto il livello di Meno-Raccomandabilità-Possibile che si potesse detenere in tutto il Pianeta. Trattenne il fiato.

“Poteva anche vestirsi di meno, miss” ridacchiò l’uomo strizzato in un doppio petto falsamente elegante, mentre rivolgeva a Cat la stessa occhiata che avrebbe dato a una gallina al mercato. “Stasera non cerchiamo compagnia, ma può ripassare più tardi”.

“Devo parlare con il Don” incrociò le braccia al petto, dando un colpo di tacchi a terra.

L’uomo si sporse verso di lei, squadrandola per un lungo istante: “Oh, la gattina, Catty Matita” commentò piatto, senza che i suoi occhi abbandonassero di vista un certo punto tra il collo e l’ombelico. “Quanto tempo. Scommetto che là sopra non ti pagano bene come da noi, eh? Saranno anche persone perbene, ma qui gli straordinari li ricompensiamo come si deve…”

“C’è il Don?” lo ignorò, stringendo le labbra. “Non voglio farvi perdere tempo visto che state per aprire”.

Si passò pigramente una mano tra i capelli, guardandosi attorno annoiato: “Sì, ma forse… no”.

“Lo prendo come un sì” rispose di rimando, oltrepassandolo ed entrando all’interno.

Perché all’Honey Bee Manor le piacenti pulzelle si fanno sempre entrare, anche senza una buona scusa.

Lala rimase immobile al suo posto, fissando inorridita la figura di Cat che scompariva oltre le svolazzanti tendine d’ingresso. Dopo qualche secondo la vide mettere fuori la testa, invitandola con la mano: “Ovviamente mi serve un testimone. Entra anche tu”.

The SEVENTH: Pride

Era trascorso qualche tempo da quando Cat aveva lasciato l’Honey Bee Manor, richiamata alla Shin-Ra da qualche personaggio sconosciuto e schiavizzata dal Dipartimento per il Governo Urbano di Midgar, al Piano 62. Tuttavia quel posto non era cambiato, così come la persona seduta tutta tronfia davanti a lei, mollemente adagiata sugli strabordanti cuscini rossi.

“…E cosa vorresti dal buon Don?”

Cat abbassò il capo per incontrare gli occhietti acquosi che fissavano un punto tra il suo collo e il suo ombelico: “Una lettera di raccomandazioni, per il mio lavoro svolto qui. In qualità di segretaria di questo posto”.

Lo vide passarsi il sigaro da una parte all’altra di quella bocca di rospo ingrassato, tamburellando sul petto peloso con quelle dita tozze e ricoperte di paccottiglia.

“Ti ho dato le tue carte, ti ho pagato lo stipendio… non devo darti altro, signorina segretaria” ghignò con fare canzonatorio, aggiustandosi il ciuffo biondastro sulla fronte pelata. “O tu puoi dare qualcosa a me, gratis ovviamente. Poi parleremo della tua lettera, cosa ne dici?”

Il suo sguardo si spostò su Lala, che alle spalle di Cat osservava ammutolita quella scena assurda.

“Aggiungiamo anche la tua amica e te la scrivo non appena finiamo. Mi sembra una buona proposta, da brava persona quale sono, io, il Don del Wall Market”.

Scese uno scomodo silenzio in quella stanza chiassosa, dove pacchiani dragoni dorati si stagliavano contro le pareti, così minacciosi da temere di venirne inghiottiti in un sol boccone se si fossero improvvisamente risvegliati dal loro sonno. Lala non sapeva dove poter posare gli occhi, terrorizzata dalla possibilità che Cat potesse davvero prendere in considerazione quel baratto.

“Come non detto” sospirò, alzando le spalle. “Le ho fatto perdere tempo, noi ce ne andiamo”.

“Non accetti la mia offerta? È maleducato non accettare i favori del buon Don…” si leccò le labbra umidicce, facendo ruotare il sigaro sulle dita. “Potrebbe essere la tua ultima possibilità per non sentire più certe dicerie che si sono sfortunatamente diffuse alla Shin-Ra…”

Cat socchiuse gli occhi, ma non commentò: aveva un orrendo presentimento, di gran lunga peggio di vedersi crollare sulla testa tutto il Plate.

Accennò un inchino frettoloso e girò i tacchi, strattonando Lala per la manica. Percorsero velocemente scale e saloni, fiondandosi a fuori dall’Honey Bee Manor mentre alle loro spalle risuonava la risata malvagiamente divertita del Don.

Lala si trovò a ripercorrere a ritroso la strada di poco prima, incespicando e affannandosi, rischiando più volte di cadere malamente sul cemento dissestato. Entrarono di corsa nella stazione quasi deserta, infilando le porte del treno in chiusura.

“N-non abbiamo controllato la d-direzione…” ansimò Lala, crollando su un sedile.

Cat non rispose, seduta accanto a lei, i pugni stretti sulle ginocchia. Odiava quando i suoi piani andavano a sgretolarsi come un castello di sabbia a Costa del Sol. Certo, avrebbe potuto prevedere come non sarebbe stato facile ottenere quello che voleva, ma non aveva pensato alla possibilità che tutto avesse avuto origine proprio dalla mente vischiosa che regnava indisturbata sul Settore 6.

Le sue capacità di preveggenza erano del tutto inutili quando si aveva a che fare con quel genere di esseri umani.

Sospirò, guardando fuori dal finestrino il paesaggio cupo di Midgar nella notte, illuminata solo dai riverberi verdi dei reattori.

“Quindi, come farai?” domandò improvvisamente Lala, spalancando gli occhi e scuotendo Cat dai suoi pensieri. “Agli altri Piani c-credono tutti che…”

Rimase un attimo in silenzio, incontrando il suo riflesso.

Non le serviva una lettera di raccomandazioni. Nemmeno il prestare orecchio alle maldicenze che rimbalzavano di bocca in bocca.

Lei era Cat Empitsu, 21 anni e qualche mese, neo-schiava per il Dipartimento del Governo Urbano di Midgar. E basta.

Io so qual è la verità” annuì, rivolgendo a Lala un sorriso. “Io sono una segretaria”.
Spoiler
Cat e una storia non d'amore.

Perché oltre ai suoi diversi casini con uomini/amici/ex-vicini di casa, Cat ha avuto anche una vita prima dei 70 Piani della Shin-Ra. Come segretaria / Apina Receptionist dell'Honey Bee Manor, anche se nessuno sembra crederci troppo - eccetto lei, che probabilmente l'ha vergato a lettere cubitali nel curriculum vitae.

Poi c'è Lala Ribon, altra segretaria schiavizzata al Dipartimento per lo Sviluppo Militare, dove si dedica ad allevare con amore Flo, il pesce rosso di Scarlet, tra un caffè e una fotocopia.

(E il cognome di Cat significa proprio 'matita' in giapponese. Just for your information)
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Re: FanFic Garden

Messaggio da Akainatsuki »

Cat Empitsu [BACKstory #5]
LIMITless >> POWERless


Theme song: Re:Re ver.2016 – Asian KungFu Generation (Boku Dake ga Inai Machi)
***
Lo schiaffo lo colpì con forza a una guancia.

Cat era davanti a lui, immobilizzandolo contro la parete del corridoio. Sentiva la rabbia farle ribollire il sangue, mentre i piedi doloranti le ricordavano il motivo per cui trascorreva ogni suo giorno a scalare i gradini dei 69 piani degli Shin-Ra HQ.

“Sei un Guard. Fattelo bastare” sibilò, senza lasciare il suo sguardo: avevano gli stessi occhi, lei e quel perfetto idiota di suo fratello minore. “Mice Empitsu, sto parlando con te e vorrei essere chiara una volta per tutte”.

“Sei una violenta, ecco perché tutti scappano da te” ribatté beffardo, massaggiandosi la guancia dolorante. “Se continui così, puoi scordarti il matrimonio con uno dei tuoi fidanzati…”

Incrociò le braccia al petto, trattenendosi dal prenderlo nuovamente a ceffoni: “Non ho intenzione di cambiare argomento. Ho visto il database e c’è il tuo nome. Come ‘candidato SOLDIER’…”

“La richiesta è pubblica, può partecipare chiunque, Cat” rispose piatto, alzando gli occhi al soffitto. “E io posso partecipare, checché ne dicano mamma e papà: ho 15 anni, sono un cittadino con diritto di voto e libertà di decisione. Lo dice anche la Legge, sai?”

Batté un piede sul pavimento di linoleum, stringendo i pugni: ecco il motivo per cui le sue suole si erano tanto consumate. Un fratellino con il pallino di diventare il prossimo SOLDIER strafatto di Mako… se avesse ovviamente avuto la forza - e la fortuna - di passare tutti i test e non diventare un qualsiasi cervello in poltiglia da lasciar morire negli Slums. O direttamente nei laboratori sopra le loro teste.

Mice sbuffò, imitando la sua posa e appoggiandosi al muro accompagnato dal clangore metallico dell’ingombrante divisa della Shin-Ra Guard: sotto gli occhi attenti di Cat si aggiustò con noncuranza l’alto colletto che gli arrivava fino al mento.

“…Posso andare, allora?”

“Non mi stai ascoltando, voglio che ritiri la tua iscrizione. Adesso. Con me presente” ringhiò, puntandogli un dito al petto. “E appena un certo SOLDIER e un certo scienziato di mia conoscenza mi capitano tra le mani, li lancio dal Piano 70”.

Scosse il capo, sconsolato: “Non ho intenzione di ritirarmi”.

Un secondo schiaffo venne evitato solo perché conosceva bene la segretaria tuttofare davanti a lui, abbassandosi sulle ginocchia al momento giusto per poi prendere la rincorsa e infilare il primo ascensore al termine del corridoio.

“…Lascialo fare, io sono sopravvissuto benissimo”.

La voce di Will arrivò fastidiosamente alle sue orecchie, seguita dal tossicchiare imbarazzato di Theo. Non ci voleva un genio per capire che quei due erano rimasti nascosti in un angolo ad ascoltare il siparietto familiare.

Cat si lasciò cadere contro il muro, prendendolo a ritmiche testate: “…Avrei dei dubbi sulla tua affermazione” commentò, tra un colpo e l’altro. La fermarono nel suo tentativo di aumentare il contatore suicidi della Compagnia, afferrandola per le spalle e costringendola a voltarsi verso di loro: era rossa di rabbia e vergogna, mentre stringeva i pugni fino a farsi sbiancare le nocche.

“…Non posso cancellarlo dalla lista dei candidati. Non ho le autorizzazioni necessarie, mi dispiace…”

Theo anticipò la sua domanda, distogliendo lo sguardo verso un interessante punto vuoto sul pavimento e lasciando la presa.

“Puoi certamente organizzare un falso test o manomettere la sua cartella medica?” lo ignorò, sottraendosi alla presa di Will ed entrando nel campo visivo dello schiavo del Dipartimento di Scienza e Ricerca. Sul viso scavato e pallido di Theo si dipinse una smorfia, mentre le occhiaie sembravano diventare ancora più profonde: “…Non ho le autorizzazioni per farlo. I test sono organizzati dal dottor Hojo e vengono fatti tutti in sua presenza, se venissero manomessi…” deglutì a fatica, probabilmente presagendo la sua prossima sorte come cavia umana, da vivisezionare per puro diletto nel tempo libero.

“Basta così, Catty” si intromise il SOLDIER, la mano guantata come una morsa d’acciaio sul suo braccio. “Abbiamo tutti i nostri limiti qui alla Shin-Ra…”

Rimase in silenzio, mordicchiandosi nervosamente un labbro. Il suo cervello era improvvisamente diventato come un foglio di carta bianca, incapace di pensare, figurarsi azzardare di mostrarle qualcosa su quello che avrebbe potuto accedere in futuro.

Tutto quello che aveva era un presentimento. Un brutto presentimento.

“C-ci sono c-cose che non possono es-essere cambiate. Se d-devono accadere, a-accadono” sospirò una vocina alle loro spalle. Lala si avvicinò al gruppetto, la boccia di Flo sottobraccio: “È di p-plastica, s-se do-dovesse cadere s-sopravvivrà…” commentò allo sguardo interrogativo che le venne lanciato.

Sopravvivere comunque, ma non abbastanza.

Forse quella era la parte peggiore di uscire vivi da un test SOLDIER e non risultarne idonei. Piuttosto, era meglio restarne uccisi e venire scaricati nella spazzatura, nei sotterranei degli Shin-Ra HQ.
***
SOLDIER TEST No. #0960042-exG
“…Ho l’autorizzazione a farti entrare come dipendente Shin-Ra, Cat” mormorò Theo, alzando il colletto del camice mentre controllava il piccolo monitor pulsante davanti alla capsula oscurata. “Ma non posso interrompere quello che sta succedendo adesso, anche se… non sta andando bene”.

Si strinse nelle spalle: “…Posso vederlo?”

Sospirò, guardandosi attorno e poi verso le telecamere di sicurezza. Picchiettò per qualche lungo secondo sullo schermo, togliendo l’oscurazione artificiale che aveva evitato alla maggior parte degli schiavi del Dipartimento di morire di terrore a ogni nuovo ingresso nella sezione Test. C’erano degli esseri umani, là dentro, ma spesso non potevano più essere considerati tali, almeno a una prima occhiata oltre il vetro rinforzato.

Tubi, respiratori, aghi e il verde riverbero malato della Mako. Suo fratello fluttuava all’interno di quella capsula, proprio come un pesce addormentato nella sua boccia.

“Quindi è… morto?” mormorò senza voltarsi. “Sii sincero, per favore”.

Cadde un silenzio pesante, disturbato solo dal rumore sordo dei macchinari. Sentì Theo sospirare gravemente, calcandosi fino agli occhi la bandana che nascondeva il suo consueto berretto grigio: “…Quasi. Potremmo tenerlo così finché ci è utile per altri scopi, ma come SOLDIER non ha passato nemmeno la prima fase dei test” commentò, fissando il monitor davanti a sé.

“…Diventerà spazzatura?”

“Preferivo non essere così indelicato, Cat”.

Prima che potesse ribattere, la porta scorrevole si aprì con uno scatto improvviso: “Lo sapevo che vi avrei trovato qui!”

Will entrò a larghe falcate nel laboratorio, facendo ondeggiare allarmato i suoi capelli ipercubici. Si portò una mano alla bocca, soffocando un fischio di disapprovazione, mentre Theo si parava davanti a lui a difendere uno dei pochi spazi in cui la SOLDIER poteva sentirsi in svantaggio. O meglio, davvero a disagio.

“Non sei autorizzato a entrare” sibilò, avanzando deciso, fronteggiandolo. “Torna al tuo Piano 49, subito”.

“Cos’è tutta questa baldanza? Non penserai di fare l’eroe davanti a Catty mentre il suo fratellino…” si interruppe, lanciando un’occhiata oltre il vetro della capsula mentre il suo viso si incupiva. “…Oh”.

“Cosa posso fare adesso?” mormorò Cat voltandosi verso i due e cercando di controllare la voce. “Cosa posso dire ai miei… ai nostri genitori?”

Si sentiva senza forze, completamente impotente.

Lo aveva previsto, aveva avuto quel brutto presentimento e nonostante questo aveva lasciato che prendesse la sua decisione.

“Ora dovrai prendere una decisione per lui”.

Ebbe un sobbalzo nel sentire quelle parole provenire da Will, mentre si avvicinava alla capsula, sfiorandola con la mano guantata. Theo annuì appena, rivolgendo uno sguardo alle telecamere di sorveglianza: “…Posso darti un aumento dei livelli di autorizzazione come dipendente Shin-Ra e parente del soggetto di test” aggiunse. “Puoi decidere cosa fare per lui”.

Sentì un singhiozzo salirle alla gola. Aveva solo due scelte davanti a lei, ma la conclusione sarebbe stata comunque la stessa.

“È ben oltre lo status di ‘Mako Poisoning', Cat…” mormorò secco Will, osservando il monitor. “Per gli Dei, Hazard, potevi anche evitare di buttagli dentro tutta questa roba al ragazzino…”

Il volto di Theo diventò livido: “Non insinuare che lo abbia ammazzato io, ho fatto solo il mio lavoro, ho seguito le maledette procedure!”

“Vi lasciate prendere facilmente la mano, voi del Piano 67!”

“Non tutti possono diventare SOLDIER… e tu lo sai benissimo, esperimento fallito di 3rd Class che non sei altro!”

“Almeno sono ancora vivo e questi pugni te lo possono dimostrare!”

Cat rimase per qualche lungo secondo a osservare sconvolta quello scambio di battute, poi finalmente, riuscì a ritrovare la voce: “…Spegni tutto, dottor Theo Hazard”.
Spoiler
Cat e i problemi di famiglia, specie se hai un parente che vuole diventare SOLDIER, AKA Mice Empitsu, AKA i soliti adolescentelli che crescono sul Pianeta con il poster di Sephiroth nella cameretta.
Il fatto che la sopracitata impiegata sfruttata ben conosca i due estremi dei test SOLDIER (il cervello bucato dei pompati del Piano 49 e la mancanza di senso comune degli schiavi del Piano 67) è tipo una garanzia che tutto andrà nel peggiore dei modi.
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CrisAntoine
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Re: FanFic Garden

Messaggio da CrisAntoine »

L’infinita tristezza del sentirsi soli
Capitolo 5
La Dolce Magia dell’Amore

La scoperta della mia natura “magica” cambiò, anzi rafforzò, il legame che mi univa a Flik.
Ogni pomeriggio utile ci vedevamo per allenarci, spade di legno in pugno; ci allontanavamo dal villaggio, al sicuro da occhi indiscreti, e ci esercitavamo. Iniziavamo con qualche semplice esercizio di riscaldamento, seguito da scambi di fendenti e ripasso delle regole di scherma, infine cercavo di utilizzare il mio potenziale in modi differenti: scoprimmo che, oltre a lanciare palle di fuoco, ero in grado di evocare stalagmiti di ghiaccio (che Flik trovava molto utili date le temperature del deserto), enormi bolle d’acqua, scariche di fulmini, provocare scosse di terremoto e forti folate di vento. Ci vollero interminabili ore di esercitazione per controllare le diverse forme che la mia energia poteva assumere, ma l’entusiasmo di Flik mi spronava a dare il massimo.

Ma presto la copertura saltò.

Un pomeriggio come tanti ci ritirammo in un’oasi non molto lontano dal villaggio per esercitare la mia magia, non considerando che qualcuno potesse raggiungerci. Fu esattamente nel momento in cui una palla di fuoco si formò dal nulla sul mio palmo destro che udimmò un urlo seguito da un tonfo.
-Che… che…?
A terra, in mezzo alla sabbia rovente, l’anziano del villaggio ansimava spaventato.
-Come..?
-Posso spiegare.
Aiutammo il vecchio ad alzarsi e lo portammo vicino al laghetto per farlo riprendere dallo shock.
-Nessuno, tranne i mostri! Nessuno, se non quelle maledette sfere vulcaniche che vivono non molto distante da qui, è in grado di fare delle simili diavolerie. COSA SEI?
-La smetta! Rina è un essere umano come noi, solo con un potenziale speciale.
-Non è possibile… non può essere umana!
-Mi lasci spiegare…
Presi un profondo respiro e gli raccontai degli Occuria, degli Esper e della mia “caduta”. Non risparmiai alcun dettaglio, non tralasciai alcun particolare. Dovevano sapere con chi avevano a che fare.
-Vi rendete conto della gravità della questione? Del pericolo al quale avete esposto tutta la tribù?
Abbassai lo sguardo, spaventata, mentre Flik prendeva le mie difese.
-Non avrà mica l’intenzione di cacciarla? Sta imparando a controllare il suo potere, sta diventando bravissima! Potrebbe difendere il villaggio da qualsiasi bestia con tutto quel potere! Potrebbe anche guarire, se la mettiamo alla prova.
L’anziano non ne era convinto, come nemmeno io… come faceva un potere così distruttivo ad essere sottomesso o perfino usato a scopi curativi? Ma, date le diverse forme in cui si presentava, poteva essere una possibilità! Non restava che testare.
Flik mi prese per un braccio e mi costrinse ad abbassarmi su di lui. Prese un pugnale dalla cintura e si provocò un taglio sulla mano, porgendomela con una smorfia di dolore.
-Puoi farcela.
Il vecchio osservava, a metà tra il dubbio e la speranza. Tirai un sospiro e presi la mano del mio amato tra le mie, concentrandomi sulla ferita: era un taglio pulito e superficiale, che si sarebbe rimarginato in pochi giorni con una semplice bendatura (gli insegnamenti di Ylenia erano serviti a qualcosa), ma non era quello che mi stavano chiedendo. Mi concetrai sull’immagine dei lembi di pelle che si rimarginavano, legandosi come prima della ferita: le mie mani si illuminarono di uno scintillio verdognolo e, lentamente, la ferita scomparve dalla mano del ragazzo. Gli occhi di Flik si illuminarono, mentre l’anziano fissava incredulo il miracolo; prese la mano del ragazzo e la fissò, notando la scomparsa di qualsiasi segno della ferita.
-Nemmeno una cicatrice…
-Ha visto? Rina è fantastica, sono sicuro che il suo potere potrebbe esserci utile e poi…
Si alzò, prendendo sotto braccio il vecchietto ed allontanandosi rapidamente da me, forse un po’ troppo per l’anziano.
-Hey!!! Aspettatemi!!!!



Mi fu permesso di restare a patto di tenere segreto il mio potere fino a quando non sarebbe stato indispensabile, ma il motivo mi fu chiaro solo pochi giorni dopo.
Passeggiando sulla riva di quella stessa oasi dove l’avevo guarito giorni prima, lo vidi particolarmente nervoso. Aveva rifiutato di allenarsi quel giorno, cosa decisamente sospetta, e adesso prestava a malapena attenzione ad un aneddoto di quella mattina che gli stavo raccontando.
-Rina…
-C’è qualcosa che non va?
-No, no, assolutamente… volevo solo chiederti una cosa…
-Dimmi tutto allora.
Si fermò, sguardo basso. Stava cercando le parole giuste e vederlo così imbarazzato mi faceva ridere.
-Sicuro di star bene?
-Sì… ecco…- sospirò profondamente e alzò lo sguardo, puntando i suoi occhi nei miei- So non ci conosciamo da molto, ma sento che ci lega qualcosa di più profondo di un’amicizia… credo… so che tu non hai molta dimestichezza con queste cose… questi affari, diciamo, “umani”, ma…- si inginocchiò di fronte a me e mi prese una mano continuando a fissarmi negli occhi –vorresti essere la donna della mia vita e condividere il tempo che ci rimane insieme, come sposi?
Guardai confusa il ragazzo, cercando di interpretare le sue parole.
-Credo di non avere capito- dissi schietta
Flik scoppiò a ridere, poi si alzò e si strinse a me –Ti sto chiedendo se ti vuoi legare a me come Jules e Maria, se mi ami abbastanza da voler vivere per sempre con me.
Jules e Maria erano due ragazzi, coetanei di Flik, che erano stati uniti in matrimonio dall’anziano un mese prima. Allora non sapevo cosa significasse, ma Ylenia me lo spiegò nel modo più elementare possibile, con tanto di marionette.
-Allora ho capito! Sì, lo voglio!
Gli occhi di Flik si illuminarono di amore e mi baciò con trasporto. Poi fece un passo indietro e mi mise qualcosa all’anulare sinistro. Portai la mano davanti al volto e osservai l’oggetto. Un semplice anello di un metallo giallastro, forse oro.
-Questa si chiama fede. E’ l’anello che si scambiano gli amanti che si uniscono in matrimonio.
-Si scambiano..? Per Gerun, io non ne ho uno da darti!
Flik rise di gusto, pensando fosse una battuta.
–Non è per niente divertente! Io non capisco tutte queste usanze che avete!
"In a world full of eggplants and peaches, I'm a tomato!"

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Il segreto della città del tempo

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IL SEGRETO DELLA CITTÀ DEL TEMPO
1 - La neve e l'ariete
La regione di Winhill rappresenta un'ottima meta turistica per chi è interessato a passare qualche giorno di tranquillità. Dai prodotti artigianali tipici della zona al nuovo allevamento di Chocobo, vanta un'accoglienza senza precedenti. Un po' come tutte le città nelle vicinanze, fra cui un insolito paese spesso non segnato sulla mappa a causa della sua storia. Per la gioia dei lettori curiosi, ecco alcune delle informazioni che siamo riusciti a trarre dai testi dedicati ad esso.
Chronos, la Città del Tempo. Così la si trova soprannominata in molti casi. Le sue origini risalgono a molti secoli fa, quando Sophia Valiant fuggì fra queste lande a causa delle accuse di stregoneria torte contro di lei. A quei tempi le streghe venivano arse sul rogo o sigillate in luoghi angusti e segreti, solo successivamente fecero la loro comparsa i Seed e l'Ordine dei Garden. Nessuno scritto afferma con certezza che Sophia fosse davvero una strega, ma secondo una leggenda ben conosciuta dai paesani il giorno in cui la donna bruciò, l'orologio del campanile della città si fermò improvvisamente. Da quel momento le lancette si mossero molto lente, potendo compiere un giro completo nell'arco dell'intero anno. Per qualche strano motivo, il 31 della fine dell'anno, prima che le lancette completino l'ultima ora, dodici rintocchi di campana riportano indietro le suddette lancette fino alla mezzanotte in punto.
Sono trascorsi più di 400 anni e questo evento ha assunto un valore simbolico per la città. Il giorno infatti viene chiamato come il Giorno delle Streghe, dove con una cerimonia i paesani ricordano Sophia Valiant e la sua morte sul rogo. Come di consuetudine, le donne si traves...

La rivista Timber Maniacs venne accartocciata e buttata dentro il camino. Il fuoco brillò scoppiettante per qualche istante fra i ceppi, illuminando un cupo salotto ed un signore anziano dalla pelle arrossata che trattenne un lamento dato dai dolori dell'età. Storse la bocca infastidito guardando la carta dimenarsi fra le fiamme come una lucertola fra le grinfie di un gatto. Dopo qualche attimo si portò lentamente alla poltrona poco distante, aiutandosi anche con un bastone intarsiato in madreperla. Nonostante il calore del focolare, l'uomo si strofinò le mani infreddolite e sbottò un'imprecazione nel cercare lo spiffero che lo fece tremare sul posto. Rassegnato, agguantò una campanello dalla tasca e la tintinnò senza grazia. Qualche minuto dopo un maggiordomo dal viso pallido ed il naso adunco arrivò con un vassoio d'argento su cui era adagiata una pipa.
– Eccomi, signor Thunder – disse porgendo il piatto.
Il padrone trasse l'oggetto senza ringraziare, aspirando avidamente il fumo che inondò il salone con il suo odore dolciastro.
– Che giorno è oggi?
Il lacchè stirò la schiena, – il 30, lunedì.
– Bene, vai a chiamare mio figlio e portamelo qui. Dobbiamo discutere sui preparativi della cerimonia.
– Subito, signore.
Poi girò i tacchi ed uscì. Qualche minuto più tardi James Thunder chiamò la polizia, denunciando la scomparsa del padre.

– Ci mancava solo questa!
Aura guardò allontanarsi il chocobo che l'aveva portata sin lì. Aveva passato il pomeriggio a cavalcare per la valle in lungo ed in largo per trovare Chronos, la città non segnata sulla mappa. Trovarsi di fronte il cartello di benvenuto fu un sollievo. Sfortunatamente l'animale aveva deciso di disarcionarla e lasciarla a piedi, scappando chissà dove e spaventato da chissà cosa. La ragazza trasse un profondo respiro. Fissò l'orizzonte ancora per qualche istante finché la macchia gialla sparì oltre la foschia, poi si sistemò il cappuccio sulla testa e proseguì.
Le ultime luci della sera si stavano affievolendo. In cielo solo una luna bianca spezzata dalle nuvole vegliava sulla valle, osservando la neve che scendeva dalle sue mani come zucchero a velo sul dolce del giorno. Aura schiacciò più forte la sciarpa contro il naso, riparandosi dalla ventata di vento freddo che la condusse fino alle prime case.
– Chissà che direbbe Piuma se sapesse che un chocobo mi ha disarcionata, – commentò fra sé e sé.
– Sicuro mi prenderebbe in giro fino alla morte. Sempre che tornerà presto dalla sua “vacanza” con Rouge. Lui e quel suo “voglio passare qualche giorno alla stato brado”… Gli dava fastidio accompagnarmi fin qua prima di partire?! Ah, questa non te la perdono, nanetto!
Si strofinò le mani e soffiò forte per scaldarle, ripensando per un attimo al passato. Era stata appena nominata Commander, l'apprendistato si era concluso senza molte cerimonie e il Comandante Commander Lynus le aveva dato qualche giorno di permesso prima di tornare al Garden di Rinoa. Aura aveva perciò deciso di andare a trovare Maurice a Saint Lucie, scoprendo con somma gioia che si era fidanzato con una giovane fioraia del paese. Purtroppo però il lavoro aveva richiesto la sua presenza, perciò dovette scegliere un'altra meta dove passare la vacanza. Per caso su un numero del Timber Maniacs a casa del poliziotto lesse di Chronos e della leggenda della strega dell'orologio. Perciò eccola lì, a cercare una taverna ancora aperta ed una buona tazza di cioccolata calda per riprendersi dal freddo dell'inverno.
Come aprì la porta, l'aria satura di caffè e birra le inondò le narici. Dovette trattenersi dallo starnutire ripetutamente, quindi si diresse al bancone ed ordinò la cioccolata. Osservando meglio il locale potè notare come fosse quasi completamente vuoto, eccezion fatta per un paio di uomini dalla folta barba, una giovane coppia ed il taverniere che cominciò a lavorare fra bicchieri e macchine. Il profumo dolciastro di alcool che emanava le fece arricciare il naso*. L'uomo non diede peso alla sua espressione e versò la bevanda nella tazza che la Seed afferrò prontamente. Quasi si ustionò la lingua nel prendere con foga il primo sorso.
– Nottataccia? – cercò di attaccar bottone il taverniere, – Non sembri una che esce a quest'ora solo per bere un drink.
Aura non rispose subito solamente perché l'alito le serviva per scaldare le mani, – Sono qui solo per una vacanza.
– Ah, – fece lui con voce contrariata. – Allora sei qui per assistere alla cerimonia della strega dell'orologio, giusto?
La ragazza inclinò la testa curiosa, – La cerimonia della strega?
L'uomo si lisciò il pizzetto, – Sì, si ripete ogni anno per ricordare l'uccisione di una strega di nome Sophia.
– Mi sembra di aver letto qualcosa del genere su una rivista. Ma è vero che l'orologio l'ultimo dell'anno riporta indietro le lancette?
Lui annuì. – Già. Nessuno sa perché. L'unico che si occupa del meccanismo è il fabbro del paese, ma più volte ha ripetuto che è roba vecchia. Per far funzionare tutto, anche se lentamente, è costretto a muovere al contrario gli ingranaggi. Non so in che modo però, ma a me non importa più di tanto. Sono anche abbastanza scettico sulla leggenda della strega uccisa sul rogo. Al giorno d'oggi esistono i Seed per queste cose e dubito che in passato le vere streghe si lasciassero bruciare.
Aura bevve un altro sorso, lavandosi poi con la lingua i baffi di cioccolata. – Quindi lei pensa che Sophia non fosse una strega.
Egli storse la bocca, – Per me era una povera ragazzina innocente. Per questo non amo che il sindaco organizzi ogni anno questa cerimonia. La sua famiglia è vecchia come il paese, non mi stupirei se fosse stato un suo antenato ad uccidere Sophia. Ad uno come lui dovrebbero dare la galera per ogni volta che tratta i compaesani come bancomat personale, o peggio. Ma tanto anche se morisse, a pochi importerebbe.
In quel frangente un urlo acuto esplose in strada. La taverna si zittì all'improvviso ascoltando altre grida accavallarsi l'una sull'altra con una certa paura. Aura stava già per alzarsi ed andare a controllare, ma la porta si aprì prima ancora ch'ella poggiasse la tazza sul bancone. Un uomo rosso in viso ed un cappello infeltrito entrò boccheggiando ed aggrappandosi alla prima sedia che trovò.
– è morto! – annaspò col respiro – Il sindaco è morto!
Dallo sgomento il taverniere fece cadere un bicchiere a terra. La coppia prima intenta a scambiarsi effusioni saltò sul posto, sicché la donna si strinse ancor più fra le braccia dell'amato. La neo Commander invece ebbe una reazione più contenuta, intimando l'uomo di raccontare cosa aveva visto.
– è-è lì fuori! Tutto coperto di s-sangue! È morto!
– Stai scherzando, Jean? – replicò il taverniere, – Il sindaco morto, ma che…
– Non sto mentendo! È in strada, steso in strada! Venite!
In un istante furono tutti fuori. Nevicava ancora ed una densa nebbia nascondeva parzialmente le strade affacciate sul borgo principale. Sul manto vi erano svariate impronte, tutte fresche ed ognuna conduceva alla folla che si era riunito al centro della piazza ellittica e che due uomini in divisa stavano già cercando di far allontanare. Sulla scena apparve un secondo uomo che cominciò a scattare foto a quel che giaceva a terra, oggetto d'attenzione della confusione che sbraitava cercando di capire cosa fosse successo. Il taverniere scansò quanta gente poteva ed Aura seguì la sua scia per avvicinarsi il più possibile. Appena arrivata al limitare della calca, un uomo con un lungo cappotto nero la fermò.
– Dove crede di andare?
Aura arricciò il naso, spostando la mano che le ostruiva la visuale. Ciò che riuscì a vedere non la sorprese molto. Il corpo di un uomo anziano era riverso a terra, accanto a lui un bastone da passeggio era lievemente macchiato di sangue. Il suo viso era cianotico e se la ragazza riuscì a distinguerlo dalla neve che tappezzava la sommità del suo abito fu grazie alla macchia scarlatta che colava dalla fronte. Intorno all'uomo non vi era alcuna impronta.
“Un assassinio”, pensò subito la Commander. “Mi sa che non riuscirò a godermi questa vacanza come avrei voluto”.
Il fotografo strattonò per un braccio uno dei poliziotti, – Io qui ho finito. Vado subito a sviluppare e poi ve le mando.
– Perfetto – rispose l'interessato e con un fischietto diede istruzioni ai colleghi appena giunti di allontanare i curiosi.
Aura approfittò della nebbia e della stazza del taverniere per sgattaiolare oltre la folla ed osservare più da vicino il fu sindaco. Avrà avuto fra i sessanta ed i settant'anni, le rughe gli solcavano la pelle come crepe su una pietra levigata. Mancava uno dei gemelli, di fattura pregiata ritraente un ariete dagli occhi di rubino. Non si azzardò a protendersi troppo sul cadavere per non compromettere la scena del crimine. E la mano che l'agguantò ad un braccio l'aiutò ad allontanarsi con un salto.
– Non è posto per curiosi questo – le sussurrò all'orecchio una voce calda e profonda.
D'istinto lei si ritrasse, trattenendo un'espressione seccata. Quando incrociò gli occhi del suo interlocutore quasi rimase senza fiato. Di un viola-blu struggente e magnetico, la scrutarono con distacco. Aura ne rimase molto colpita.
– Non sono una ficcanaso, – replicò con voce ferma. – Stavo semplicemente studiando la scena del crimine.
L'uomo schioccò la lingua, – Una ragazza giovane come te non dovrebbe nemmeno avvicinarsi a un morto per “studiarlo”. Conosco i tipi come te, che si intromettono nelle indagini pensando che il loro aiuto sia di vitale importanza. E solo perché portano una medaglia al petto, si credono superiori a tutto e tutti.
La Commander fece un passo indietro, stupita di quelle argomentazioni.
– Come fa a dire una cosa del genere?
Egli si posizionò fra lei ed il cadavere, ostruendole ancora la vista e fissandola glaciale, – Dalla sua reazione di prima, sembra abituata a stare sempre con la guardia alta. Un'abitudine che hanno solitamente poliziotti e militari.
Aura incrociò le braccia al petto. Il gesto fece sorridere l'uomo che si chinò in avanti sussurrando cinico.
– Lasciami indovinare… Polizia di Winhill?
Fu il turno della ragazza di sorridere, estraendo un documento corredato di medaglia, – No, sono un Commander del Garden di Rinoa.
La bocca dell'interlocutore si storse. Con un gesto seccato, si stirò indietro la frangia nera.
– Seed. Non sono andato tanto lontano. Ho sentito parlare molto di voi, anche se da questa parti non se ne sono mai visti. Mercenari al servizio dell'Ordine, pagati per sporcarvi le mani sostenendo lotte di potere al pari dello Stato stesso.
– I tempi sono cambiati, – replicò lei, – Non siamo più mercenari, non uccidiamo per soldi ed anzi, cerchiamo proprio di evitarlo. Siamo soldati, uomini che difendono altri uomini.
– Uomini che uccidono streghe, – la punzecchiò mentre con una mano chiedeva di consegnargli i documenti. Aura glieli diede senza problemi, sicura che quel tale non sarebbe riuscito ad allontanarla tanto facilmente da quel caso.
– Sei da poco diventata Commander, Aura Lundor. E pure medico effettivo del Garden. Le mie congratulazioni.
Non ci volle un genio per capire che non stava a genio a quell'uomo. Eppure non sembrava avere molti più anni ed esperienza di lei. La carnagione olivastra, l'altezza intorno al metro e settanta e la risolutezza dei suoi gesti lo facevano sembrare più maturo di quanto forse la sua età dettava. Se non fosse per quegli occhi, probabilmente Aura non si sarebbe fermata così a lungo a studiare il suo aspetto.
– La ringrazio. Ma è da maleducati non presentarsi a sua volta, signor…
Egli trasse il distintivo da detective dalla tasca del cappotto, esibendolo abbastanza frettolosamente. La giovane fece appena in tempo a legge qualche riga, confermando l'ipotesi della giovane età. “25 anni”, pensò. “Chissà da quanto tempo lavora nella polizia per essere già investigatore”. La sua presentazione fermò i suoi pensieri.
– Cryo Alphalaw, detective di Chronos. Ora se vuoi scusarmi ho un caso da risolvere.

------------***------------
*: In questa fan fiction Aura è appena diventata Commander, quindi qualche tempo prima del periodo di depressione ed alcolismo avuto al Garden
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IL SEGRETO DELLA CITTÀ DEL TEMPO
2 – La dimora del fulmine
Il mattino seguente il bar fu un ciarlare continuo. Non si parlava d'altro che della morte del sindaco, di come il figlio abbia denunciato la sua scomparsa la sera prima per poi rintanarsi in casa, lontano dai giornalisti che avevano colto la notizia al volto. Il giornale del paese aveva dedicato la prima pagina a Theodoric Thunder, un uomo rispettabile che amava profondamente la storia e l'arte, tanto da rendere la sua casa un piccolo museo. L'omicidio misterioso di una persona di quella caratura era uno scoop che nessuno si sarebbe lasciato sfuggire.
Il poliziotto pagò il conto di cinque cornetti, tre cappuccini e due caffè, lasciandosi dietro i mormorii della gente e dirigendosi in questura. Non appena varcò la soglia, i colleghi si avventarono sulla colazione lasciandolo con l'amara convinzione di essere stato per l'ennesima volta sfruttato per qualche dolcetto. Convinzione che ebbe anche quanto entrò nell'ufficio dell'investigatore, notando come sia lui che la ragazza non gli dessero il giusto peso.
– Grazie, Mike, – lo salutò Cryo intimandogli poi di andarsene. Allo scatto della porta, l'uomo tornò ad esaminare i documenti che gli avevano portato un'ora prima. Aura invece rimase seduta e composta al suo posto, non senza mandare qualche colpo di tosse per attirare l'attenzione. Nello studio aleggiò per qualche attimo un silenzio imbarazzante, rotto soltanto dal suono del cucchiaino che girava nella tazzina e dagli sbadigli assonnati della dottoressa.
– Si può sapere che ci fai ancora qui? – chiese buttando un occhio oltre i fogli. Lei poggiò i gomiti sulla scrivania allargando un sorriso ruffiano.
– Voglio collaborare alle indagini.
– Mi pare di averti detto che non vogliamo l'aiuto di un Seed.
– Commander.
– Fa lo stesso. – Il ragazzo bevve il caffè tutto d'un fiato, tornando a studiare l'autopsia della vittima. Ci vollero altri cinque minuti prima di cacciarla per la seconda volta. La giovane poggiò il mento sui palmi delle mani, guardandolo come si guarderebbe un bambino capriccioso restio ad andare a scuola.
– No, – si limitò a dire sbattendo i fogli davanti a sé. – Questo è il mio caso e sono perfettamente in grado di risolverlo da solo.
Aura alzò le sopracciglia in tono di sfida, – Davvero? Quanti casi ha risolto finora?
Cryo incrociò le braccia, sicuro si sé. – Cinque casi di omicidio, tre di rapimento e ben dieci di furto. Il resto sono bazzecole che un poliziotto qualunque saprebbe sbrogliare.
– Del tipo?
– Pedinamenti, stalker, truffe assicurative… Devo continuare?
La dottoressa alzò le spalle, – Starei qui ad ascoltarla per tutto il giorno, ma abbiamo un caso da risolvere, perciò….
– IO ho un caso da risolvere, – la interruppe con voce acida, – E non ho alcun bisogno del tuo aiuto.
– Ne è certo? Un partner fa sempre comodo e poi i poliziotti non girano mai da soli, o sbaglio?
– Mai avuto un partner e non comincerò ad averne uno oggi. Ora per favore ho del lavoro da sbrigare, addio.
Così dicendo Alphalaw rialzò le carte e volse la poltrona verso la finestra alle sue spalle. La Commander si stirò sulla sedia, portando poi le mani in grembo per niente decisa a lasciare quello studio senza una collaborazione. Dopo qualche altro attimo di silenzio, il detective sbuffò seccato.
– Cosa devo fare per mandarti via?
Aura picchiettò le dita sulle gambe, – Lasciarmi investigare insieme a lei. Le prometto che non causerò danni e seguirò i suoi ordini senza replicare.
Da oltre lo schienale, gli occhi viola dell'uomo la scrutarono dall'alto in basso indecisi. Probabilmente nel suo cervello stava valutando l'idea di comandare un Seed, traendone un successivo vantaggio o un semplice piacere personale. Solleticò il bordo della scrivania serrando più volte la mascella, ma infine si decise a parlare.
– Perchè vuoi a tutti i costi seguire questo caso?
Lei alzò le spalle, – Perchè sono in vacanza.
La risposta parve sorprenderlo a tal punto che chinò la testa in avanti e trattenne a stento un risata. I suoi occhi si posarono prima sui fogli sparsi, poi sul viso della giovane. In quel preciso momento Aura potè vedere la rassegnazione nei suoi occhi.

Il campanello risuonò a malapena in mezzo al vociare dei giornalisti oltre il cancello. Dall'interno una voce composta intimò al visitatore di allontanarsi dalla casa, ma Cryo non pareva per nulla un tipo rinunciatario. Bussò alla porta insistentemente, alzando la voce per farsi sentire dall'altra parte.
– Signor James Thunder, sono il detective Alphalaw. Ho bisogno di parlare con lei di suo padre.
Oltre il legno intarsiato ci fu qualche passo incerto. Alla fine la serratura si aprì con uno scatto titubante e dalla feritoia che si aprì sbucò un viso pallido dal naso adunco.
– Il signorino Thunder non è dell'umore giusto per parlare con un poliziotto ora, – disse sottovoce, quasi avesse paura di farsi sentire dai giornalisti più avanti.
– So che non è facile accettare una morte così brusca di un parente, – spinse l'uomo mostrando il distintivo, – Ma ho bisogno di fargli alcune domande ora che i suoi ricordi sono ancora freschi. E lo stesso vale per lei, signore.
Il maggiordomo serrò la mascella pensieroso. Diede un veloce sguardo all'interno, poi annuì e spalancò la porta. Lasciò entrare il detective e quasi si spaventò quando una mano afferrò il suo braccio prima che richiudesse la soglia. Una ragazza dai lunghi capelli castani gli rivolse un sorriso di cordoglio.
– Ah. Lasci entrare anche lei, non darà alcun fastidio, – lo anticipò Cryo sottolineando le ultime parole cinico. Aura recepì il messaggio e lo seguì alla volta del salone.
Era un luogo molto bello nonostante le tende viola ed il cartello funebre ne adornassero le pareti. Un grande tavolo giaceva al centro di un vistoso tappeto finemente lavorato, circondato da una serie di sedie perfettamente in tono con il testo della stanza. Due poltrone di cuoio dormivano ai lati di un camino in marmo sormontato da un quadro raffigurante un lord in armatura, probabilmente un antenato della famiglia. Le vetrate sul lato ovest lasciavano entrare solo una minima parte della luce del mattino. Una porta vetri fra di esse dava su piccolo portico che a sua volta conduceva al giardino. A coronare il tutto, un grosso lampadario in quarzo e resina dorata tintinnava placidamente ad ogni spostamento d'aria dei presenti. Proprio sotto ad esso, con una mano a sfiorare un piedistallo su cui era posata la riproduzione di una chiesa in bronzo, stava James Thunder. Aveva uno sguardo assente ed a giudicare dalle occhiaie, non sembrava aver chiuso occhio per tutta la notte.
– Veniamo subito al nocciolo, – disse con voce tremante. – Dubito che anche lei voglia perdere tempo in quisquilie.
Cryo fece un cenno ad Aura ed ella trasse dalla borsa un taccuino che egli le aveva dato in questura. Suo unico compito era quello di trascrivere le informazioni più importanti, di più non gli era stato permesso.
– No di certo, – cominciò. – Lei ed il maggiordomo siete gli ultimi ad aver visto la vittima prima della scomparsa.
James rispose le mani nella tasca della giacca, – Avevamo cenato insieme quella sera. Non succedeva da molto tempo, in questo periodo sono molto impegnato con il lavoro. Essere uno scrittore ha i suoi contro…
– Eravate in buoni rapporti?
– Mmp, non saprei dirle. Era difficile capire cosa gli passasse per la testa. In tanti anni non ricordo di averlo mai sentito dire qualche parola di affetto nei miei confronti. Era rude, sì. Anche piuttosto severo, ma non mi ha mai denigrato né insultato. Si limitava ad annuire, si congratulava a malapena ed era assai raro che mi concedesse una pacca sulla schiena. Nonostante tutto, io gli volevo bene e penso che anche lui me ne volesse.
Il detective passeggiò per la stanza, osservando la mobilia e soffermandosi sul camino. Il ragazzo sorrise a malapena quando strusciò la mano sulla poltrona.
– Gli piaceva sedersi accanto al fuoco a fumare la pipa la sera tardi, prima di coricarsi. Anche quella sera aveva deciso di passarla qui, nel salone.
– Quindi presumo che prima di chiamarla, il suo maggiordomo gli ha portato una pipa. Giusto?
L'uomo in questione rizzò la schiena ed annuì, – Esatto, detective. Il signor Thunder mi ha chiamato come di consueto, chiedendomi poi di cercare il signorino per parlare dei preparativi della cerimonia.
Aura e Cryo si fecero attenti. – La cerimonia di stasera? – chiese lei sentendosi subito dopo schiacciare dallo sguardo acido dell'investigatore.
– Esatto, signorina. Da secoli la famiglia Thunder si occupa di organizzare la cerimonia per il Giorno delle Streghe, ricordando la morte di Sophia Valiant replicando la sera in cui fu arsa sul rogo. I signori Thunder il giorno prima si erano messi d'accordo affinché il signorino James interpretasse il ruolo del giudice davanti a quelle che furono le ultime parole della strega.
I presenti fissarono il ragazzo ed egli spostò lo sguardo verso terra.
– Di solito quel ruolo lo svolgeva mio padre, ma per quest'anno aveva voluto fossi io a prendere il suo posto. A volte lo sentivo parlare di voler andare in pensione, ma non pensavo implicasse anche questo. Comunque accettai e ieri…. Ieri sera avremmo dovuto rivedere la parte per filo e per segno. Conoscendolo, probabilmente si sarebbe arrabbiato se avessi sbagliato una singola parola.
La dottoressa scribacchiò sul taccuino per qualche istante, poi lanciò un'occhiata a Cryo che procedette con altre domande.
– La sera in cui è scomparso, cosa può dirci?
Thunder esitò per qualche istante, portandosi una mano al mento cercando di ricordare. – Quando sono entrato qui dentro, lui era già scomparso. Ricordo che il fuoco era acceso, ma faceva comunque freddo. Poi guardando meglio, notai che la porta vetri era socchiusa e per terra c'era una piccola pozza d'acqua.
Alphalaw si portò una mano al mento, commentando con un “interessante” detto a mezza voce. Avanzò verso la porta denominata e cominciò a studiarla da varie angolazioni per qualche istante. Ogni tanto le mani riproducevano dei gesti ed Aura si ritrovò presto ad ammirarlo incantata per come prendesse sul serio il suo lavoro. Poi egli inclinò la testa e chiese della pipa. James alzò le spalle.
– Non ricordo di averla trovata da qualche parte.
– Comprendo. Ricorda qualcos'altro? Un particolare, un rumore, qualsiasi cosa strana mentre si dirigeva al salone?
Il ragazzo scosse la testa, poi cambiò espressione improvvisamente, – In effetti una cosa c'è. Quando mi sono avvicinato alle finestre, ho sentito un odore appena accennato di carbone.
– Carbone? – ripetè la ragazza, venendo fulminata nuovamente da Cryo.
– Va bene, signor Thunder, – disse l'uomo porgendo la mano in segno di saluto. – Direi che abbiamo abbastanza elementi su cui indagare per ora. Se doveste ricordare altro della notte scorsa mi chiami immediatamente. Condoglianze per suo padre.
Con un cenno del capo, costrinse Aura a seguirlo fuori casa. Benché ella non fosse contenta di come si era svolto quell'incontrò, obbedì a malincuore.

– Crede sia stato il figlio?
Alphalaw finì di mangiare il suo cornetto al cioccolato prima di risponderle. Il bar parve zittirsi per un attimo quasi fosse in ascolto.
– Difficile dirlo. Non ha un vero alibi per l'omicidio, il maggiordomo si è limitato a chiamarlo e non lo ha seguito mentre andava verso il salotto. James ha affermato che non era in cattivi rapporti col padre, ma chi può dirlo. Se fosse colpevole, la prima cosa che farebbe è quella di apparire innocente, ma non troppo altrimenti rischierebbe di dare l'idea contraria. Per ora lo considero un indiziato.
Aura inzuppò il suo dolce nel cappuccino, – Ha visto le sue occhiaie? Non ha chiuso occhio e dalla voce sembrava abbastanza provato dell'accaduto. Per me è innocente.
L'altro sospirò finendo la merenda. – Non ho chiesto il tuo parere.
– Ci pensi bene, non ha minimamente provato ad interrompere il maggiordomo quando ha parlato di quel che avrebbero dovuto discutere. Se centrasse qualcosa con il movente, l'avrebbe zittito. Inoltre stasera la cerimonia verrà rappresentata lo stesso nonostante l'omicidio di ieri. SI direbbe che i paesani e lo stesso James ci tengano molto al “Giorno delle Streghe”.
Il vociare le bar si vece via via più confusionario, forse saziato da quella conversazione così da poterne parlare per il resto della giornata con nuove ipotesi. Cryo sbuffò nel sentire un vicino di tavolo mormorare dell'eredità, del posto di sindaco e cose del genere. Si passò una mano sulla fronte stirando la francia, seccato. Non era del tutto convinto dell'opinione della compagna.
– Thunder ha parlato di un odore. Carbone. Non so fin dove ci porterà questa pista, ma tanto vale tentare. Rileggimi un attimo quello che c'era scritto sull'autopsia della vittima di stamattina.
La ragazza bevvè d'un fiato il cappuccino, poi recuperò il taccuino su cui lo stesso detective aveva segnato le informazioni due ore prima. Nonostante fosse un uomo, aveva una bella calligrafia ed ella non faticò a leggere il resoconto.
– Theodoric Thunder, 63 anni, storpio ad una gamba. Sul corpo sono state trovate numerose ecchimosi derivanti da fratture multiple a bacino e costole. Causa della morte è un trauma cranico esteso, comprendente soprattutto la zona occipitale… In sostanza è morto cadendo da un posto alto, forse un balcone o un tetto.
– Per poi essere spostato in piazza senza lasciare alcuna impronta? La cosa è molto strana, ma facciamo un passo alla volta.
– Il sangue che c'era sul bastone? – chiese la Commander ricordandosi del particolare, ma l'altro si alzò dalla sedia battendola sulla domanda.
– La scientifica sta facendo le analisi, avremo presto un riscontro. Per ora dovremo seguire la pista che abbiamo.
Aura riflettè mettendo in linea i pensieri, – Qualcuno è entrato nel salone prima che arrivasse James.
- Sì, lo so, – rispose l'altro come se fosse la cosa più ovvia del mondo. – L'acqua sul pavimento probabilmente era neve sciolta, ieri sera ha nevicato molto ed anche oggi il tempo non promette bene. Perciò ci conviene sbrigarci prima che si rannuvoli.
L'uomo recuperò il cappotto nero e si sistemò la sciarpa intorno al collo, pagando velocemente il conto e dirigendosi alla porta. La ragazza si affrettò a seguirlo prima che la seminasse, convinta ch'egli cercasse un modo per sbarazzarsi di lei il prima possibile e continuare le indagini da solo. Quel tipo non sembrava accennare il benché minimo rispetto per lei, tanto che si accorse solo sulla soglia del bar (e grazie anche alla prontezza della cameriera) che egli aveva pagato solo per sé. Con un sonoro sospiro, spillò i soldi e rincorse il detective prima che svoltasse l'angolo.
– Non sei molto gentile, sai?
Lui storse la bocca, – Da quando ti permetto di darmi del tu?
– Da ora. E poi tu mi hai dato del tu fin dal principio! Perchè sei così freddo con me?
– Perchè ti sei intromessa in un caso che non ti riguarda. E poi perché i Seed non mi piacciono.
Fu il turno della ragazza di storcere la bocca, – Ti ho già detto che non siamo più mercenari.
– Non ha importanza, già il fatto che sei così invadente non mi sta bene. Tendete ad intromettervi dove non siete richiesti e laddove vi si chiede un aiuto concreto, fallite miseramente.
Nella sua voce, Aura parve notare una rabbia repressa seguita da un tono malinconico. La curiosità fu più
forte di lei. – Odi i Seed perché ti hanno fatto qualcosa?
Cryo si bloccò di colpo, lanciando uno sguardo di fuoco alla compagna che si pentì di averlo chiesto.
– Non sono affari tuoi. Ora muoviti se non vuoi che ti lasci indietro. Dobbiamo parlare col fabbro prima che riprenda a nevicare.
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Cat Empitsu [BACKstory #6]
The ODDS are always with YOU
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***
“Abbiamo fatto una figuraccia, Catty”.

Abbassò lo sguardo su Numero Due seduto comodamente sulle sue ginocchia, sbattendo stancamente le palpebre. Sospirò, asciugandosi il sudore dalla fronte, mentre cercava di ricomporre le parole che poco prima le erano uscite dalle labbra.
“Quello che cerchi sarà tuo… ma perderai qualcosa di caro”.
Cat fece una smorfia, massaggiandosi lentamente le tempie, mentre alle sue spalle sentì la porta scorrevole aprirsi con un rumore sordo. Il suo nuovo capo, El Capodipartimento Reeve Tuesti, fece il suo ingresso nello stretto ufficio in cui lei e Cait Sith Numero Due erano infilati da un tempo indefinito per assistere e supportare con una bella previsione azzeccata l’entrata di Cait Sith Numero Uno come spia nel gruppo dell’AVALANCHE.

“Una tazza di caffè. Penso possa servirle dopo questo primo incontro con il nostro obiettivo”.

“Abbiamo sbagliato due volte su tre, Reeve. Ci è mancato poco che perdessimo l’occasione…” commentò Numero Due, con la sua vocetta acuta.

“Mi ha colto impreparata con quella domanda. Non ho davvero alcuna idea di dove possa essere Sephiroth, e se anche lo sapessi non sarebbe certo l’AVALANCHE a essere il primo a venirne a conoscenza” ribatté Cat, accettando la tazza fumante e cercando di nascondersi dietro di essa. “…Però siamo riusciti a ottenere la loro fiducia, ed è questo che conta, non crede, signor Tuesti?”

Lo vide lasciarsi cadere in silenzio sulla sedia imbottita accanto a lei, lisciandosi pensieroso la barba. Cat strizzò gli occhi alla vista di quel tremendo completo blu elettrico con tanto di cravatta rossa, ma preferì non fare commenti: da quando lavorava al Dipartimento per lo Scatafascio Urbano, sembrava che il suo nuovo capo avesse un armadio composto di vestiti tutti uguali.

“La nostra introduzione nel gruppo è stata un po’ forzata, ma ha funzionato. Numero Uno ha avuto un’ottima idea a sfruttare la sua predizione, signorina Empitsu” mormorò, girandosi verso di lei e abbozzando un sorriso soddisfatto. “Come sta?”

“È la prima volta che mi succede una cosa del genere”.

“Ha visto qualcosa?” incalzò, mentre la voce si irrigidiva. “In quanto suo superiore, vorrei esserne messo a conoscenza”.

Arrossì dall'imbarazzo, stringendo con forza la tazza tra le mani: “È quello che ho detto anche a quell’ex-SOLDIER. Perderà qualcosa di caro per ottenere quello che vuole” sospirò, evitando di incrociare il suo sguardo. “Ma non ho idea di chi o cosa perderà…”

Il musetto peloso di Numero Due entrò nel suo campo visivo, fissandola con quegli occhietti cuciti: “Catty, non si può dire che tu sia precisa con le tue previsioni” ghignò, prendendola in giro.

Gli sfilò per ripicca la coroncina di latta, ignorando il suo miagolio irritato: “Si chiama futuro, Cait. Non è preciso” sbottò seccamente.

“Ma lei riesce ad averne una parvenza, ogni tanto” aggiunse Reeve, togliendole a sua volta l’oggetto dalle dita e riconsegnandolo al suo proprietario. “O almeno dal numero di fulmini che hanno colpito molti degli impiegati Shin-Ra nell’ultimo periodo, posso considerare come la sua capacità abbia solo bisogno di un po’ di tempo e allenamento per svilupparsi a dovere…”

“Hai un futuro da meteorologa, Catty” annuì divertito l’altro, scambiando un cenno d’intesa con il suo creatore.

Cercò di dissimulare l’imbarazzo prendendo un sorso di caffè, che le rimase in gola tanto era amaro: si appuntò mentalmente di non accettare più biberoni ricostituenti dai suoi superiori.

Lo stretto cubicolo in cui si trovavano cadde per qualche lungo secondo nel silenzio, interrotto solo dal picchiettare annoiato di Numero Due sulle tastiere collegate agli ingombranti schermi che davano al trio la possibilità di vedere il mondo fuori Midgar. Attorno a loro, pezzi di ferraglia e un quantitativo imprecisato di scatolette di cibo formavano lo spartano arredamento di quel posto, illuminato solo da una poco vivace lampada al neon sopra le loro teste e una finestrella sulla città sotto di loro.

“…Mi scusi, controllarne due non è così semplice” si giustificò El Capodipartimento Tuesti, grattando pensieroso le orecchie della seconda copia della Fortunata Serie Fortune-Teller Cait Sith. “Numero Uno per adesso sarà autonomo nelle sue azioni, interverremo solo se sarà strettamente necessario”.

“E se ci scoprissero, Reeve?” lo rimbeccò, fissando gli schermi e indicando il gruppetto. “Quel Cloud ha il cervello in acqua, ma se gli altri sospettassero qualcosa…?”

Cat sospirò, ingollando a malavoglia ancora un po’ di caffè: che fossero riusciti a inserire quella creatura - con tanto di Moguri sovradimensionato come mezzo di trasporto - in quella squadra di disadattati eco-terroristi plus cavie da laboratorio, era qualcosa che riteneva ancora incredibile. La possibilità che potessero venire scoperti in quanto maledette spie Shin-Ra era praticamente l’ovvietà.

Seduto sulla sedia, la imitò in quello sospirare stanco, sfogliando alcuni documenti davanti a sé: “Dobbiamo restare con loro fino alla fine. Se mai la nostra copertura dovesse cadere, useremo i soliti sporchi trucchetti. Prenderemo degli ostaggi”.

Il musetto di Numero Due fremette, mentre le orecchie si afflosciavano meste: “Sembriamo quella Scarlet quando parli così, Reeve”.

“Non vorrei farlo, ma potrebbe essercene il bisogno” mormorò, osservando alcuni fogli, che Cat riconobbe come le sue ultime fotocopie. “Donne e bambini, sono sempre utili in questo genere di casi… Cercheremo di essere delicati” sentenziò, senza trattenere una smorfia e mettendole sotto il naso un paio di fotografie. “Lei ha un fratello minore, nel caso dovessimo affidarle la custodia dei soggetti in questione, penso avrà più dimestichezza del sottoscritto”.

Deglutì rumorosamente un nuovo sorso di caffè, mentre cercava di visualizzare nella sua testa la complicata mappa degli eventi che sembravano doversi avverare di lì a un futuro prossimo.

“Perdoni la franchezza, ma mi sembra un lavoro da… Turk. Non dovremmo rivolgerci al Dipartimento di Pubblica Sicurezza?” tentennò, provando a liberarsi di quel nuovo fardello. Credeva di aver raggiunto il massimo della crudeltà nello spillare a uomini sposati Gil sonanti in quel dell’Honey Bee Manor, ma a quanto pare quello era stato solo l’inizio della sua carriera di cane della Shin-Ra.

“I Turk non devono essere coinvolti. Dovremo prendere i due soggetti in custodia, come ostaggi, ma - come ho detto - con delicatezza. Magari portandoli lontano da Midgar e da occhi e orecchie indiscreti” si massaggiò lentamente la fronte, lasciandosi andare a un sospiro pesante. “Non è qualcosa che voglio fare, ma dobbiamo prevederne la possibilità, signorina Empitsu”.

Annuì, poco convinta, stringendo la tazza tra le mani: la sfortuna nera non era il suo genere preferito di predizioni – anzi, l’idea di diventare una meteorologa iniziava a non dispiacerle.

Lo osservò mentre si alzava, dando un buffetto sulla testolina di Numero Due che si affrettò a prendere con un balzo il suo posto, per poi lasciare l’ufficio immerso in uno dei tanti silenzi a cui Cat stava iniziando a fare l’abitudine: a volte, credeva di poter sentire il muoversi ritmico degli ingranaggi del suo cervello.

“Ci servirà molta fortuna, Catty: per questo ci sono io”.

La vocetta acuta di quel gatto meccanico tornò a risuonare in quello spazio angusto, mentre si sistemava tutto orgoglioso il mantellino rosso che portava legato al collo.

Ridacchiò, sorseggiando il caffè ormai tiepido: “In che senso?”

“Sono serio, Catty. Io sono Cait Sith e porto fortuna a tutte le persone che mi incontrano! Reeve mi ha creato per questo, non solo per fare la spia di quell’AVALANCHE!” esclamò, saltellando sulla sedia imbottita come una molla impazzita. “Grazie a me, nessuno sospetterà della Shin-Ra e la missione sarà un successo: metteremo a tacere quella Scarlet e quel Heidegger fino alle prossime vacanze estive!”

“…Noi al Dipartimento dello Sviluppo Urbano non abbiamo un paio di giorni di vacanza, nemmeno se ce li offrisse il Presidente in persona” lo interruppe, imitando la voce del signor Tuesti e incontrando la bocca spalancata della sua creaturina. “Tuttavia, in caso di fine del mondo, ci verrà concessa una settimana libera, prima che il disastro di passaggio si abbatta sul Pianeta”.

Le vibrisse di Numero Due si mossero nervosamente: “Voglio andare anche io al Golden Saucer, ma prima devo parlare con Reeve” sentenziò, sistemando la coroncina di latta sulla testolina. “I nostri ingranaggi devono riposare ogni tanto: vedrai, ti porterò fortuna e potrai andare in vacanza anche senza aspettare la fine del mondo”.

“Costa del Sol” aggiunse, salutandolo mentre saltava dalla sedia e imboccava la porta. “Ricordati, voglio una settimana pagata a Costa del Sol!”

Si voltò verso di lei con un cenno, mentre zampettava veloce lungo il corridoio buio.

Cat rimase a guardare quella figurina con il suo mantellino svolazzante scomparire dietro l’angolo, pregustando ciò che ancora credeva la remota possibilità di una lunga e meritata vacanza al mare.

Sorrise tra sé, finendo il caffè con un ultimo sorso: un portafortuna non avrebbe fatto altro che giovare alla sua disastrata esistenza.
Spoiler
Cat e il suo complicato rapporto lavorativo / spionistico con... Cait (Sith).
Prendete una OL qualsiasi e fatele fare lo sporco lavoro da Turk in compagnia di un gatto meccanico e un Capodipartimento filantropo con la passione per il meccano: cosa ne poteva venire fuori?
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Messaggio da Lenne Silveross »

DE PLATINORUM ET FUFFAM
Spoiler
Doveva essere un normale post ma sono sempre troppo lenta a scrivere e ora sarebbe fuori contesto. Perciò se ne sta qui. Le vicende seguono quanto scritto da Aura con Gaudenzio e l'uovo.

«Non vorrei evidenziare l’ovvio» osservò Lenne alcuni minuti più tardi, mentre un guizzo tiepido animava gli occhi freddi e la bocca si sollevava appena in un accenno di sorriso «ma credo che tutti voi vi siate sbattuti, in maniera piuttosto creativa, per…»

«Per un cxxxo» ringhiò Paine, strappandole di mano il bicchiere e finendo in un unico rabbioso sorso il drink con cui aveva sostituito il sorbetto all’arancia; la donna scrollò le spalle, prendendone un altro dalla fila ordinatamente predisposta da Filippo.

«Avevo capito non fossi per nulla interessata a quell’uovo.»

«Non me ne frega, infatti. Sono Gaudenzio e il suo cervello da spora pungiforme a ispirarmi violenza» spiegò lei impaziente.

«Tu sei sempre violenta» le fece presente la SeeD, serafica.

«Sei sicura di non avere sangue di pony sincero, sfregiata?»

«No, che sfortuna, vero? Ora cosa posso fare per te, in veste di tua personale dispensatrice di alcolici?» domandò quando le strappò anche il secondo bicchiere – sembrava averci preso gusto.

«Zoolab» rispose e Lenne inarcò un sopracciglio. «Tu ed io.»

«Ci conosciamo da anni, mi aspettavo qualcosa di meno triviale. Anche solamente gli spogliatoi. Cattiva, cattiva dottoressa.»

Sogghignò. «Che insolita presenza di spirito. Tranquilla, se mai volessi darmi da fare con te sfrutterei il primo cantone utile.»

«Onorata da questa didattica lezione sul rimorchio spiccio.»

Prima di poter dire altro, videro Elza marciare verso di loro battagliera e corazzata come una macchina Albhed, salvo poi lasciarsi cadere contro Paine sbuffando, sguardo fisso su Gaudenzio preso a dare bella mostra di sé nella nuova mise haute couture.

«Ti rendi conto che quel ronzino si è mangiato tutto l’uovo da solo?» sbottò perfettamente a sproposito come se stesse continuando un discorso lungo ore. «Sei chili di cioccolato… Sei chili!»

Lo sguardo che la dottoressa inchiodò sul colpevole a quella rivelazione fu tanto incandescente che il giovane dovette captare un’interferenza: smise di farsi bello come uno stormo di pavoni, socchiuse gli occhi e aggrottò la fronte, all’improvviso irrequieto.

«Se resta nudo potrebbe venirgli un malore» ponderò speranzosa «o, se siamo davvero fortunati, una pleurite fulminante.»

Si sarebbe presa il tempo per fargli shampoo e balsamo, insultandolo in almeno tre lingue diverse, togliendosi, perché no, qualche sfizio con percosse fisiche violente e soddisfacenti; ma la priorità al momento era rassicurare Elza. Non tutto era perduto, sussurrò dandole un buffetto, e il broncio della ladra si stemperò.
Trotterellò di nuovo verso il nucleo della festa. Fu ben presto sostituita da Cat, che ordinò qualcosa di alcolico a Filippo e lo bevve con lo sguardo assorto orientato verso un punto indefinito.

«Pensate che Recks sia interessante?» L’improvvisa domanda, evidentemente rivolta a loro non essendoci nessun altro negli immediati paraggi, sortì l’effetto di smuovere l’espressione marmorea di Lenne in una sorta di blanda perplessità mentre Paine, passato il primo istante di smarrimento, ponderò la sua risposta.

«L’unico motivo che potrebbe spingere una donna a interessarsi del disagio fatto persona, è che possegga un manganello di platino finora tenuto ben celato» fu la sua essenziale costatazione.

A Cat, forse colta alla sprovvista, andò di traverso la birra che stava sorseggiando e dopo un paio di secondi, Lenne intervenne con due decise pacche sulla schiena che le ridiedero colore.

«Paine…» gracchiò con la voce ancora arrochita dalla tosse.

Lei mosse la mano, noncurante. «Non far finta di scandalizzarti, per favore: se diventi puritana, la chiacchierata finisce qui.»

«Non mi scandalizzo certo per un manganello di platino.»

«Dunque ce l’ha?»

«Il platino? Non ho verificato nemmeno il manganello» rispose la SeeD con prontezza e la dottoressa scoppiò in una risata.

«Bella battuta. Allora, hai introdotto con scarsa nonchalance l’argomento Seagull perché vuoi discutere del suo manganello.»

«Io non… non voglio parlare di manganelli…» ribatté Cat, roteando gli occhi e cercando il sostegno della sola persona apparentemente normale. Lenne le riservò uno sguardo impenetrabile.

«… per il momento…»

«Senti, ma quegli ormoni te li inietti la mattina o li produce la tua ipofisi?» s’informò la ragazza. «Perché sarà esausta ormai.»

Paine scrollò le spalle. «Sono in parte Angelo Nero. E sai…»

Cat non sapeva. Anche se poteva benissimo immaginarselo.

«Okay. D’accordo, ho inteso il notevole concentrato ormonale della tua discendenza ma io, uhm, preferirei parlare d’altro.»

«Vuoi sapere come gestire un interesse emotivo per Recks?»

«Anzitutto vorrei capire come approcciarlo senza causargli un aneurisma per l’agitazione; non mi pare tipo da primo passo.»

«I maschi sono l’apoteosi della mancanza di tempismo: se devono muoversi non lo fanno nemmeno a mettere loro un petardo nel…» Cat liberò un colpo di tosse strategico, adducendo come scusa gli effetti postumi della birra andata di traverso. «E quando dovrebbero stare fermi, partono a muzzo come i cani nel sentire odore di tartufo. Nasconditi nuda dentro il suo armadio.»

A quello sgancio di bomba, la SeeD sbatté le palpebre. «Non credo di potermi infilare nuda nel suo armadio. A parte i vari ed eventuali motivi, Recks quasi certamente morirebbe pietrificato.»

«Che noia. Stai inquadrando troppo la cosa e secondo il mio modesto parere sbagli; non devi gestirla, devi viverla, buttarti…»

«Nuda dentro a un armadio?»

Paine ammiccò. «Anche, vedi che inizi a entrare nell’ottica?»

«Stavo facendo del sarcasmo.»

«Se proprio vuoi sapere come comportarti con lui, posso solo dirti che dipende dal risultato: lo vuoi momentaneo o stabile?»

«Per adesso mi basterebbe vederne l’ombra, del risultato.»

«Vuoi uscire con lui? Appuntamento a scopo copulativo?»

La segretaria serrò la radice del naso fra il pollice e l’indice, cominciando a pentirsi. «La cosa sta un po’ sfuggendo di mano.»

«Scusami se sono così diretta, non sono brava a parlare per metafore, mi fa venire un cerchio alla testa… devo capire in che modo t’interessa Recks, se vuoi che reciti sonetti o se ti fa sangue.»

«S-sangue?» gemette Cat, mentre Lenne scuoteva la testa e si dissociava anche dall’ascolto passivo; vicino a lei, dietro il bancone, Filippo si era concesso alcuni minuti di pausa per assistere.

«Mi sorprende non vedere Rina prendere appunti» disse la donna, ricordando come in effetti la dea non si fosse più vista da nessuna parte subito dopo la lotteria. Il barista s’era accollato tutto il lavoro ma a giudicare dalla smorfia, ne conosceva le ragioni.

«Ha ottenuto nuovo materiale sulla liason di Alex con il vichingo nordico» sorrise sornione senza smettere di seguire il dialogo fra le due SeeD. «È passata di qua per darmi la notizia, chiedermi di sostituirla, descrivere locuzione per locuzione la fruttuosa chiacchierata, tutto in meno di un minuto. Ho dovuto spararle una cannonata a salve in segno di rispetto per l’ammirevole gestione del fiato in apnea, che le verrà utile in svariate e interessanti occasioni quando Drio la pianterà di fare il bello e dannato.»

— poco prima —

«Sei più indulgente, eh? Merito di Arne, ne sono sicura.»

«Dio mio, sei proprio fissata. Quando si tratta di lui, più che un senso unico diventi un passo carrabile.»

«Insomma, capiscimi: dobbiamo essere tutti grati al buon principe per essere stato la chiave di volta di questa tua specie di rebird…»

«Forse volevi dire rebirth? Rebird suona come ri-uccello.»

«Be’…»

«Rina!»

«E tu cosa ne sai?» stava dicendo in quel momento Cat a Edith, inseritasi a quanto pare nella conversazione. Lei sogghignò.

«Un cxxxo, come al solito, ma intromettermi e sparare giudizi non ponderati è la mia specialità, quindi non interrompermi» rispose in assoluta tranquillità. «Vuoi sapere che cosa ne penso?»

«Secondo suggerimento, non ti fermerò con inutili supposizioni. Mi limiterò ad ascoltare sorbendo la mia birra economica.»

«Lenne!» il tono della dottoressa, che ritenne di aver fatto a sufficienza da sportello psicologico, fu incisivo quanto quello di un Generale Maggiore; la SeeD le rivolse un pigro saluto militare.

«Comandi.»

«Mi serve il tuo aiuto per una cosa. Avanti, muovi il culo.»

«Sempre lieta di offrire il mio spontaneo contributo» motteggiò iniziando a seguirla. «Purché non si tratti di concretizzare la famosa didattica spiccia, in quel caso dovrò proprio declinare.»

Paine grugnì qualcosa di inintelligibile mentre proseguiva a passo di marcia fino alla meta, chiudendo poi la porta alle spalle.

«Il magazzino delle scorte!» gorgogliò Lenne con un insolito scintillio ilare nello sguardo. «Devo cominciare a preoccuparmi?»

Afferrò al volo l’oggetto che le fu lanciato in tutta risposta, guardandolo con la fronte aggrottata: era un uovo di cioccolato e l’occhiata della dottoressa, che ne teneva alcuni fra le braccia, la informò molto espressivamente di non commentare la questione.
Quella notte stessa, al rientro dalla festa, Elza si ritrovò la stanza tappezzata di uova di cioccolato. Il giorno successivo, invece, un Gaudenzio piuttosto sgomento si scoprì appeso a un albero del giardino nella perfetta rappresentazione di una pignatta.
I giocatori volenterosi, d’altronde, nemmeno mancavano.
Immagine Immagine
Non è stato amore al primo sguardo, anche perché esiste qualcuno in grado di amarla a pelle? Ne dubito. Eppure alla fine è successo. Non la amo per quello che ha, ma per quanto nemmeno immagina di possedere. Certo non è perfetta, non è neppure buona, però non è ipocrita. Non pretende d’essere migliore degli altri; vuole bene col cuore e la testa, qualcosa che pochi sono in grado di offrire.

Era come quell’inverno che l’avrebbe vista morire: una coltre bianca su cui ciascuno poteva leggere le proprie colpe, i propri fantasmi, le speranze e le debolezze. Non svelava niente di sé ed era un tappeto di ipotesi, per questo era difficile amarla senza pretendere.
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Messaggio da Akainatsuki »

Cat Empitsu [BACKstory #7 - Part 1 of 3]

This GUY are SICK


Theme song: Doukei (IA Rocks feat. TEEDA – IA Project)
***


“…Geostigma?”

Aveva fatto cadere rumorosamente a terra il pesante fascicolo che teneva sottobraccio, facendo sobbalzare Cait Sith Numero Tre, che accanto a lui fissava quelle camicette striate di grigio fuoriuscire dal cesto della biancheria.

“È polvere, Reeve” ribattè di rimando, giocherellando con un bottone. “Non può essere quel Geostigma, Catty non sta male… come gli altri”.

Si chinò, afferrando una manica e osservando in silenzio le tracce che segnavano internamente il tessuto. Trattenne per un attimo il respiro, stringendo la stoffa in un moto di rabbia.

Alle loro spalle l’aprirsi della porta d’ingresso del minuscolo appartamento che avevano recuperato a Edge, annunciò il ritorno del terzo e ultimo abitante di quelle stanze affastellate ai margini della città.

Cait uscì dal ripostiglio, gettandosi con un balzo sulle gambe della sua vittima: “CATTY, BENTORNATA!”

Una pedata ben assestata evitò a Cat di venire catapultata a terra da quell’ammasso di ingranaggi rivestiti di pelliccia finta.

“Ti voglio bene anche io, Numero Tre” ghignò, evitando il nuovo assalto dall’alto, e lasciando che Numero Tre cadesse con un tonfo sul pavimento. “E… buongiorno, signor Tuesti”.

“Potremmo cercare di non distruggere anche questo Cait Sith, per favore?” la salutò, entrando nella stanza che avevano designato a essere un curioso incrocio tra una cucina, un laboratorio e il salotto buono.

Cat fece una smorfia divertita, mentre sfilava la pesante tracolla che portava con sé. L’appoggiò sul tavolo assieme alle chiavi del Motor Tri-cycle, commentando il traffico che aveva iniziato a formarsi all’interno di Edge: “…Penso sia una buona cosa, comunque. Stiamo tornando a una certa normalità dopo tutto quello che è successo”.

Scampare contemporaneamente dall’esplosione della Sister Ray e dalla Meteora che crolla sul Pianeta poteva essere considerato un avvenimento più unico che raro nella vita di una singola persona. E in quello spazio ristretto erano ben in due a detenere quel record.

***


Reeve si ricordava bene come si fossero incontrati all’interno del labirinto di corridoi degli Shin-Ra HQ, mentre lui si faceva strada oltre le Prigioni e lei correva a perdifiato alla ricerca di una via d’uscita, senza voltarsi indietro. Quando l’aveva vista - sola - grigia di polvere e calcinacci, gli occhi rossi delle lacrime che stava cercando di ricacciare, l’aveva afferrata d’istinto per la sua giacchetta da impiegata e l’aveva portata con sé, fuori da quell’inferno di cemento.

“Lei lavora per me, e noi non abbiamo vacanze pagate, se lo ricordi. Nemmeno dovesse finire il mondo” aveva sentenziato, mentre sgusciavano fuori dall’ingresso principale, immobilizzandosi alla vista della gigantesca Meteora rossastra nel cielo scuro, sferzati da quel vento innaturale.

“Abbiamo un’intera Midgar da mettere al sicuro, questo è il nostro lavoro, adesso”.

Cat aveva annuito, prendendo fiato e asciugandosi gli occhi con una manica impolverata: “…Come salverà Midgar, signor Tuesti?”

L’idea era semplice, ma serviva un’ottima organizzazione. E loro potevano farlo, dopo tutto quel tempo a lavorare fianco a fianco, uniti da quel pupazzo meccanico chiamato Cait Sith.

“Faremo scendere la popolazione dell’Upper-Plate negli Slums. Il Plate stesso dovrebbe riuscire a proteggerli dall’impatto della Meteora. Ci servono tutte le squadre di emergenza di Midgar a raccolta per l’evacuazione della città: inizi a fare le sue telefonate, signorina Empitsu... Io mi occuperò di interpellare un paio della squadra di Strife che non sono stati chiamati al Northern Crater”.

Quando il Lifestream era fuoriuscito dal terreno per contrastare la caduta della Meteora, illuminando le tenebre di quella notte spaventosa, Cat aveva avuto un brutto presentimento: tuttavia, la gioia per il cessato pericolo e le incombenze dovute alla necessità di ricostruire tantissime vite dopo quello che Midgar e la catastrofe dal Cielo avevano rappresentato, lo fecero scivolare per qualche tempo in un angolo della sua mente.

***


Stiamo tornando a una certa normalità dopo tutto quello che è successo”.

Non appena finì di pronunciare quelle parole, si portò inconsciamente, per un breve istante, una mano a sfiorare fianco sinistro.

“…Stanno aumentando di numero, vero? I malati di Geostigma”.

La voce di Reeve risuonò stranamente fioca, mentre cercava di distogliere lo sguardo dalla sua ormai ex-segretaria, fingendo un coinvolgimento personalmente non troppo interessato verso quella malattia che aveva misteriosamente fatto la sua comparsa dopo la Meteora: la maggior parte del gruppo di Strife era sparpagliata nel resto del Pianeta a combattere con i suoi mezzi il suo avanzare, ma nessuno di loro sembrava aver avuto successo.

Annuì, tamburellando sul tavolo: “Molti sono convinti che ci sia un nesso tra Geostigma, Midgar e Mako” sospirò, nuovamente la mano che tornava a muoversi sul fianco. “C’è addirittura chi pensa sia l’ennesimo esperimento Shin-Ra andato male…”

“Come stai, Catty?” le vibrisse di Numero Tre fremettero nell’aria, mentre le orecchie si appiattivano mogie sulla testolina. Ignorò l’occhiataccia che gli venne lanciata dal suo creatore, stringendo i bordi del mantello tra le zampine.

Con un sospiro, Cat si sedette sul bordo del tavolo, facendo dondolare pigramente le gambe: “…Non volevo nascondervelo, ve ne avrei parlato non appena le cose fossero diventate più serie che qualche vestito sporco di grigio” commentò piatta, fissando disinteressata le punte dei piedi.

“Signorina Empitsu, il Geostigma è molto più di un po’ di grigio…” intervenne Reeve, stringendo i pugni nelle tasche. Si avvicinò a lei, osservandola con lo stesso sguardo preoccupato che avrebbe dedicato a un Cait Sith dagli ingranaggi malfunzionanti: “Come si sente?”

“Glielo ho già chiesto io, Reeve” borbottò Numero Tre, saltando sul tavolo per poi sedersi accanto a lei. “Ma di certo non stai bene, Cat. Quel Geostigma è come la ruggine per i miei ingranaggi”.

“Non è da prendere alla leggera. Dobbiamo capire a che stadio è la sua malattia e cercare di arginarne l’avanzare almeno finché il gruppo di Strife non avrà trovato un modo per contrastarla” incalzò nuovamente. “Andremo dal Presidente Shin-Ra, all’Healin. Anche lui sta combattendo contro il Geostigma e alcune delle cure sembrano aver sortito effetto: potremo usare le stesse con lei…”

Soffocò un colpetto di tosse, mentre con la mano lo interruppe: “Non sto così male da scomodare l’Healin o il Presidente, signor Tuesti” gli sorrise, scuotendo il capo.

Lo vide irrigidirsi, per poi rivolgere lo sguardo verso Numero Tre che improvvisamente si disattivò, tornando muto e immobile su quel tavolo recuperato da qualche ufficio degli HQ.

Era la seconda volta che spegneva di sua volontà un Cait Sith: la prima – e unica fino ad allora – era stata la notte precedente alla battaglia contro Sephiroth, nelle profondità del Northern Crater, per trovare il suo motivo di combattere.

Sapeva bene di non essere un guerriero di prima linea, tuttavia da quando poteva ricordare il suo ingresso alla Shin-Ra la sua vita era stata una lunga ed estenuante lotta fatta di carte e firme svolazzanti, di notti insonni nel cercare di ridurre i danni che il resto della Compagnia avrebbe potuto arrecare al Pianeta. Non sapeva darsi un motivo per cui aveva fatto tutto quello, seguiva solo ciò che credeva essere giusto.

Si appoggiò a sua volta al bordo del tavolo, chinandosi verso di lei: “Signorina Empitsu, questa volta non possiamo sperare in un nuovo intervento degli Ancient a risolvere la situazione. Potrebbe gentilmente prestarmi ascolto…?”

Rimasero per qualche lungo secondo senza muoversi, fissandosi a vicenda, nel silenzio improvvisamente sceso all’interno di quella stanza alla periferia di Edge.

E quando stava per ricominciare il suo discorso, lo baciò.

In fondo, lo sapevano tutti all’Honey Bee Manor che quello era il modo migliore per zittire una persona: Cat poteva assicurarne un’efficacia quasi assoluta.

Quasi, perché El ex-Capodipartimento Reeve Tuesti sembrava essere immune da quel genere di soluzioni da bordello degli Slums.

“Non dovrebbe baciare tutte le persone che incontra solo per zittirle, signorina Empitsu” mormorò a fior di labbra, staccandosi lentamente da lei. “Alcune potrebbero farsi delle aspettative… che non includano fulmini”.

Fece una smorfia, mentre le stringeva le spalle con delicatezza, come lo aveva visto fare con quei Cait Sith addormentati, prima di dargli la sua benedizione silenziosa e lasciarli correre vivi e chiassosi nei corridoi degli Shin-Ra HQ.

“Lei lavora per me. Senza stipendio, ma lavora per me. È capace solo di avere brutti presentimenti e fare previsioni apocalittiche, ma è ciò di cui ha bisogno questo mondo: qualcuno che gli mostri il peggior scenario possibile… per poterlo evitare” sospirò, fissandola serio. “Inoltre, al WRO serve una segretaria”.

Prima che potesse ribattere qualcosa sul fatto che lavorare senza stipendio era esattamente uno dei punti che aveva intenzione di sollevare in occasione di una delle tante cene consumate a scatolette e gallette, la baciò a sua volta.

E Cat Empitsu, 22 anni e qualche mese, pensò di essersi - seriamente - innamorata.
Spoiler
Cat e le sue storie d'amore completamente random MEET Reeve Tuesti. Che è praticamente il motivo fondamentale per cui abbia mollato Pianeta e Costa del Sol per andare a fare tutt'altro lavoro.
Ultima modifica di Akainatsuki il 23 mag 2016, 09:23, modificato 2 volte in totale.
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Re: FanFic Garden

Messaggio da Leonheart88 »

Sopravvivenza
1/4
Il pugno arrivò come previsto. Per la forza del colpo il viso si storse violentemente verso destra, mentre fiotti di sangue venivano lanciati fuori dalla bocca. Un dente cadde al suolo senza che nessuno ci desse peso.
Leon ansimò, d'istinto fece per allungare un braccio per frapporlo ai due aggressori, un rumore metallicò gli ricordò di essere incatenato al muro dietro di lui. Mani e piedi. Sospirò.
«Il grande Rayearth così ridotto. Non ti fai un pò pena?»
«Giusto un poco. E te come fai tutti i giorni della tua vita?»
«Che insulto scontato...perdi colpi»
«Devono essere quelli che ho dato a tua madre ieri, scusa»
La ginocchiata lo colpì in pieno stomaco facendogli sputare bile e succhi gastrici.
«Tra poco non potrai fare più lo spiritoso, domani ti verrà tagliata la testa»
Lo sputo lo colpì in pieno viso, arretrò d'istinto bestemmiando. Leon sorrise soddisfatto.
«Domani godrò nel sentire la sentenza. Bastardo»
«A domani Seed Johnson. A domani Commander Turcy»
Paul Johnson
Jamie Turcy
Membri della Seed con cui aveva avuto qualche leggero battibecco in passato. Due delinquentelli che leccando i culi giusti erano riusciti a fare carriera e a crearsi un giro di guadagni illegali che ben presto li avrebbe resi ricchi. Nessuna prova.
E ora erano lì per fargliela pagare, approfitando di quella squallida celletta in cui era stato rinchiuso.
Ma su una cosa avevano ragione.
Era ormai un condannato a morte. Magari non domani, ma presto.

-----
*Poche ore prima*

«Commander Rayearth si accomodi» La voce atona di un Seed lo introdusse all'interno dell'ufficio di Helena. Solo che non era sola.
Un manipolo di Seed e Commander si distribuiva dentro l'ufficio, con il presento caposquadra di fianco alla carrozzina dove era presente la donna.
«Leon»
«Jamie»
Si avvicinò sogghignando. Un paio di manette brillarono nelle sue mani.
«Sei accusato di aver perpetrato l'omicidio dell' Anziano Superiore Coldwell, dell'Anziana Susan Boates e dell'Anziano Philip Jaeskin»
E molti altri, ma probabilmente volevano tenerseli per il processo.
«Commander Rayearth è vero quello che stanno dicendo? Che gli hai uccisi per vendicarti dell'Ordine» La voce di Helena interruppe il Commander, Leon istintivamente la guardò per capire che non lo aveva tradito. Che era ancora dalla sua parte. Che la persona che gli aveva ordinato gli omicidi ora non lo stava tradendo. E aveva anche capito che rispondere.
«No. Sono innocente, non ho mai ucciso per tornaconti personali» Bugia. Aveva goduto come un porco a fare a pezzi Coldwell, ma Helena era stata brava a indirizzarlo.
«Domani lo dimostrerai in un processo a porte chiuso che è già stato organizzato, se davvero sei innocente non ti succederà nulla» Fece un segno ai suoi galoppini «Arrestatelo»
Sul momento ebbe la tentazione di reagire, di far fuori i Seed presenti e darsi ad una rocambolesca fuga, il suo animo selvaggio e sanguinario, uno sguardo di Helena che sembrava dire "imbecille-non-ti-muovere" lo fece desistere.
«Per la tua sicurezza passerai la notte in cella. Non ti preoccupare, veglieremo noi sulla tua sicurezza.
Leon rise. «Oh si mi immagino come lo farai»

------

*Poche ore dopo*

Il processo era una farsa.
Loro sapevano che era colpevole. Leon sapeva di averlo fatto. Il resto non era considerato.
Mancavano delle vere prove ma non era importante. Tutto quello che erano stati in grado di trovare erano delle somiglianze tra l'omicidio di Coldwell e quanto accaduto a Helena, più la testimonianza che un jumper del Garden era stato visto a qualche miglio di distanza tra gli alberi durante il massacro di Jaemskin. Il collegamento alla vendetta, unito alla necessità di trovare velocemente un colpevole, aveva fatto il resto.
Helena accanto a lui gli strinse la mano, non era un vero e proprio processo. Non c'era necessità di un avvocato o roba simile. Era più un "noi sappiamo che sei colpevole, se non ci dimostri il contrario sei morto", la mano della donna accarezzava la sua, e per un momento niente altro era importante.
Non poteva dire che era colpevole, perchè altrimenti avrebbero potuto sospettare di Helena come complice.
Ma professarsi innocente non avrebbe portato a nulla.
L'unica cosa era stare in silenzio e guardare lo scorrere degli eventi.
«Lei ha ucciso l'Anziano Coldwell perchè reo, secondo lei, dei fatti accaduti alla Comandante Mercier dieci anni fa»
Si chiese nella sua testa perchè alcuni fatti erano universalmente noti e nonostante tutto non esistevano provvedimenti in atto, ma era una questione a cui sapeva già la risposta.
Stava per alzarsi in piedi e urlare a tutti di essere un cazz di giustiziere, di aver agito in nome della giustizia e altre menate del genere. Magari ci avrebbero creduto. Dando tempo a Helena di reclutare altra gente per le ultime volontà di Raistlin.
Ma improvvisamente la porta dell'aula si spalancò.
Nataa entrò velocemente, sguardo fisso in avanti e faccia particolarmente incazzata.
Dietro di sè, con un paio di manette, un bracciale antimagia e una catena che la collegava alla Commander, c'era Calien.
«Anziano Thunder. Ho portato il vero colpevole»
Ma che cxxxo sta succedendo?
Ultima modifica di Leonheart88 il 07 mag 2016, 10:58, modificato 1 volta in totale.
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Edith Lance
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Re: FanFic Garden

Messaggio da Edith Lance »

«Non voglio»
Il ricevitore tremò leggermente mentre lo spostava da un orecchio all’altro, per tenerlo fra la guancia e la spalla così da essere libera di firmare la pila di documenti che le occupava la scrivania.
«So che è qua fuori ad aspettare e che l’appuntamento era dieci minuti fa» picchiettò con la penna sulla scrivania, spazientita dalle parole dell’uomo all’altro capo del filo «ma non ho voglia di vederla. È psicopatica quella ragazzina, mi fa paura.»
Rael Fjodor ascoltò paziente la dissertazione di Nataa, cercando di trattenere una risata perché pur non potendola vedere era certo che avesse un’espressione imbronciata sul volto: le labbra rivolte verso il basso, lo sguardo triste e velato. «Più la farai attendere, peggiori saranno le conseguenze» le fece notare.
Il silenzio che seguì, gli confermò che la donna stava ponderando le sue parole.
«Ormai sono passati dodici minuti, ho sforato la linea del disastro» mugugnò, infine «Ti prego, chiamami per qualche missione urgente. Un massacro. Un omicidio. Un piccolo genocidio?»
«Arroway» la rimproverò «sei un Comandante dell’Ordine e hai delle responsabilità che non puoi scaricare su di me»
«Una strage. Oppure un’invasione di alieni. No, aspetta. Non c’era qualche prigioniero da interrogare, o un gattino da salvare? Mi accontento anche di un Geezard da cacciare.»
Rael sapeva che avrebbe dovuto attaccare il telefono, perché l’elenco sarebbe stato ancora lungo e Nataa non lo avrebbe ascoltato fino alla fine del suo volo pindarico fra disastri e catastrofi, ma con un sospiro si adagiò meglio sulla poltrona e posò il ricevitore sul tavolino davanti a lui. Aveva quasi finito la colazione quando la voce della donna gracchiò un «Allora? Niente?»
«No» disse serafico, pur sapendo quanto lei odiasse quel tipo di risposta.
«Devo proprio?»
«Sì»
«Sicuro?»
«Mh. Mh.»
«Rael, vaffxxxxx!»
L’uomo sollevò un sopracciglio d’un millimetro. «Ti porto il gelato stasera. Una coppa di stracciatella.»
Nataa deglutì a vuoto, poi finalmente staccò la telefonata e si diresse alla porta per far accomodare Calien O’Nayel.
«Sai che si sentiva ogni parola, Comandante Arroway?»
La ragazzina sorpassò la donna, senza chiedere il permesso per entrare e si accomodò sulla poltroncina che fino a pochi momenti prima ospitava Nataa. Le fece segno di chiudere la porta e sedersi davanti a lei.
«Ma prego, come fossi a casa tua» ringhiò in rimando la Commander, sprofondando sulla sedia.
«Non fa piacere neanche a me essere qui.» La ragazzina piantò i suoi occhi in quelli di Nataa che rabbrividì leggermente.
C’era un’inquietudine che le calava addosso ogni volta che si trovava a fissare quello sguardo vuoto; non aveva mai creduto a chi le rivelava di non provare sentimenti – perché convinta che il mondo non potesse essere fatto di soli grigi – ma Calien era una bambola svuotata, non c’era nulla dietro le pupille. Un vetro liscio e perfetto. Non era a suo agio con una persona che viveva rinchiusa in schemi logici e asettici, non era a suo agio quando Calien la scandagliava e credeva di averla compresa – e la cosa che la spaventava di più era proprio che potesse avere ragione su di lei.
Si rigirò una ciocca di capelli fra le dita, attendendo che la ragazzina le rivelasse il motivo per cui si era spinta a cercarla.
«Ricordi i casi degli anziani morti?»
Nataa annuì. Era stata a capo delle indagini per svariato tempo e in tutto quel periodo non aveva fatto altro che coprire le poche tracce lasciate dal suo vecchio amico e compagno Leon Rayearth.
«Fra pochi giorni verrà emanato un mandato a carico della nostra comune conoscenza» rivelò Calien «Ha perso il controllo e si è fatto scoprire»
La donna allungò una mano per afferrare il dossier che le stava passando. Lo sfogliò e lesse con attenzione ogni dettaglio. «Ha perfino lasciato tracce di DNA.» sospirò infine.
«Coldwell» riprese a parlare la ragazzina «era il mandante di quanto occorso a Helena Mercier. So che non ti fa piacere rivangare questi ricordi.» aggiunse in risposta al silenzio di Nataa che stringeva fra le dita le foto dell’omicidio.
«Non m’interessa affatto se quel cretino si è fatto scoprire per una sua vendetta personale, o perché è solo idiota nell’animo. E con queste prove non posso far nulla per lui.»
«Qualcosa sì»
La donna si sporse in avanti, attenta.
«Il DNA era molto danneggiato, quindi è possibile che si possa ricondurre a un parente prossimo e non direttamente a lui. Certo, con una piccola spintarella da parte di chi fa le analisi.»
«Vuoi che cerchi suo padre e faccia ricadere su di lui la colpa?»
«Non è necessario»
Se Nataa non avesse conosciuto Calien da tempo, avrebbe detto che dentro di lei si stava svolgendo un’epica lotta fra il disgusto, l’orrore e l’imparzialità. La ragazzina rilassò le spalle sulla poltroncina, poi abbassò lo sguardo fissandosi le punte dei piedi che non toccavano terra. «Ho trovato i documenti che riguardano la mia nascita e il campione maschile utilizzato. Sono la figlia naturale di Leon. Ironia della sorte vuole, che mi abbia avuto senza bisogno di rapporti sessuali.»
La donna non rispose, si alzò invece, percorrendo la breve distanza fra lei e l’armadietto degli alcolici. Bevve d’un fiato il primo bicchiere e anche il secondo. Liscio. Senza ghiaccio. Aveva bisogno di festeggiare (o dimenticare) lo scampato pericolo di avere come figlia Calien. E che Leon era padre. Un po’ di merda, ma pur sempre un genitore. E quel -censura- str***o lo era diventato prima di lei.
«Fammi capire, ti prenderesti la colpa perché sei sua figlia? Cos’è, amore?»
La ragazzina scosse la testa. «Convenienza. Per la missione è meglio che lui resti libero.»
«E perché lo dici a me? C’era Helena, no? Yevon, Leon mi ammazzerà.»
«Helena è inutile in questa situazione, troppo coinvolta nelle vicende; attraverso di lei si potrebbe risalire al testamento di Raistlin. Tu, invece…»
«Io invece ho una maledetta vita da portare avanti e non potete intromettervi quando e come volete, senza considerare che, forse, non sono sempre disponibile a levarvi dai casini.»
Nataa vagò senza meta nella stanza.
«Non sei obbligata» mormorò Calien «ma te ne saremmo tutti molto grati.»
«Non sono obbligata, dici? Si parla di una condanna a morte nel caso di colpevolezza.» batté un pugno sul tavolino e la pila di fogli cadde a terra. «Merda.»
«Grazie, Arroway.»
«Lascia perdere i ringraziamenti. Piuttosto, hai intenzione di farti uccidere o hai un piano per salvarti?»
«Mi piacerebbe vivere» ammise lei «ma no, non ho alcuna strategia per uscirne illesa.»
Nataa grugnì un’imprecazione a mezza bocca, mentre la rassicurava che avrebbe provveduto lei a trovare un modo per farla fuggire dal comando, o Leon avrebbe davvero provveduto ad ammazzarla come non aveva fatto neanche con Coldwell.
«Lo avresti salvato lo stesso, non fosse stato conveniente?» le domandò prima che sparisse oltre la soglia della porta.
«Se non vuoi la verità, meglio che tu non chieda.»


Ogni dettaglio era stato pianificato con cura, fino alla nausea avrebbe voluto dire Nataa, invece si stava ritrovando a ripetere ancora una volta l’intero piano davanti a una Calien ammanettata.
Era arrivata al momento in cui avrebbe dovuto disattivare i bracciali antimagia con un apposito apparecchio che le aveva fornito il piccolo genio al suo fianco, quando il codec iniziò a vibrare nella tasca della giacca. Era arrivato il momento dello spettacolo e assieme il momento della sua fine: addio pensione anticipata e fuga romantica a Costa del Sol, addio stipendio e forse addio gradi.
Il calcio che diede alla porta dell’aula fu dettato da un impulso di rabbia, ma fu di un inaspettato effetto scenografico, tanto da far zittire tutti i presenti.
«Ho il vero colpevole» ringhiò, tirando in avanti Calien per portarla al centro della sala. No, non le sfuggì la mano di Helena su quella di Leon, né il sorriso compiaciuto del Colonello Mercier nel vederla digrignare i denti.
Era lei a essersi fatta il culo per quella storia, lei ad aver messo in gioco tutto, comprese nottate di sonno che per sua fortuna c’era Rael a tenerle compagnia e incoraggiarla.
«Perché diavolo lo sto facendo?» gli domandò una notte scrutando fuori dalla finestra. Lui le pose una coperta sulle spalle e la strinse con dolcezza, baciandola alla base del collo.
«Perché non lo lasceresti mai solo.»
Colpita e affondata.
Non aveva avuto il coraggio di chiedere a Rael, il suo compagno, se lo feriva quel suo comportamento, infondo conosceva la risposta. No, non poteva colpirlo perché lei lo aveva scelto. Era sua come null’altro gli sarebbe mai appartenuto.
«Se non lo aiutassi, non ti riconoscerei» ridacchiò al suo orecchio e solo nel sentire la sua risata – vera – si rilassò.
«Comandante Arroway, cosa sta dicendo?»
«Calien O’Nayel ha confessato i suoi crimini pochi momenti fa, al cospetto di tre Commander e un Anziano.»
L’attenzione dell’accusa si spostò dalla donna alla ragazzina al suo fianco.
«Tu non potresti mai… perché?»
Le labbra di Calien si spalancarono in un ghigno distorto e quando parlò, la voce sembrò il cigolio d’un cancello arrugginito. «Vendetta. Per me e mio padre.»
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Aura
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Il segreto della città del tempo

Messaggio da Aura »

IL SEGRETO DELLA CITTÀ DEL TEMPO
3 - Acciaio
La fucina era un disordine totale. Ovunque si girasse lo sguardo, i ferri del mestiere lottavano contro i panni imbevuti di qualche sostanza chimica per emergere dal guazzabuglio. Una nebbiolina bianca si levava dalle tinozze colme di acqua, alcune talmente luride da non distinguerne la superficie. I forni sbuffavano fumo e masticavano fiamme roventi che rendevano il luogo una sauna e l'aria così pesante da essere quasi soffocante. Non appena Aura varcò la soglia d'entrata, trattenne una smorfia di disgusto per l'odore acre e la fuliggine che fluttuava già nell'atrio. Dovette stringersi la sciarpa contro il naso per poter respirare. Cryo invece si limitò ad arricciare la bocca e procedere verso il bancone di vendita. In mezzo a qualche martello di varie grandezze, il campanello tintinnò rumorosamente.
- Eccomi!
Lo sfrigolio di un ferro rovente accompagnò l'arrivo del fabbro. Era un uomo sulla quarantina, la pelle di cuoio ed una zazzera di capelli arruffati sulla testa incorniciavano la sua enorme presenza in contrasto con gli occhi chiari di bambino. Una lunga cicatrice gli adornava il braccio destro, bianca come il latte e abbastanza larga da comprenderne la gravità. Nel vederla la Commander si chiese quanto duro fosse il suo lavoro per lasciare segni indelebili come quello.
Con un sorriso sornione, l'uomo allargò le braccia in segno di saluto, - Cryo Alphalaw! Qual buon vento!
Il detective gli strinse la mano ricambiando la cordialità, - Lloyd Ferguson, come vanno gli affari?
- Non molto bene, i turisti qui sono assai rari. A proposito, chi è la ragazza? Una tua amichetta?
Lei si presentò a sua volta, sfoggiando un'espressione decisa, - Aura Lundor. Sono la sua part…
- Parente, - la interruppe il compagno lanciandole un'occhiataccia. - Una lontana cugina, è venuta qui a farmi visita per qualche giorno.
Il fabbro le battè la mano sulla spalla facendole l'occhiolino. - Ah! Allora ti conviene portarla alla cerimonia di stasera, almeno stacchi un po' dal lavoro una volta tanto.
Fece per aprir bocca, ma Cryo fu più svelto, - Non so, lei non ama molto le feste.
Antipatico!
- Piuttosto, c'è anche tuo figlio qui?
Le sopracciglia di Lloyd ebbero un leggero fremito. Fu quasi impercettibile, ma entrambi lo notarono. Con un sospiro si schiarì la gola.
- Stai lavorando sul caso, vero?
Bastò un cenno e Ferguson sollevò le spalle. Facendo eco con la mano chiamò a gran voce un certo Adam, il quale sbucò qualche secondo dopo da una stanza laterale asciugandosi il sudore dalla fronte. La prima cosa che attirò l'attenzione della coppia fu il grande cerotto che gli copriva la guancia sinistra, alcune piccole gocce di sangue e polvere ne sporcavano il biancore. Un sospetto fece breccia nella mente della ragazza e lo stesso parve accadere a Cryo. Difatti non appena il giovane fu al bancone, socchiuse gli occhi e serrò le labbra.
Non appena Adam si accorse degli ospiti, il suo sguardo esitò. Ma nonostante quel primo momento di sorpresa, aspettò in silenzio quel che avevano da chiedere. Il padre gli battè una pacca sulla schiena con una nota di orgoglio nella voce.
- Non è bello il mio figliolo? Se non fosse che sta sempre qui dentro a lavorare, avrebbe la schiera di ragazze fuori dalla fucina ad aspettarlo!
- Non ne dubito, - rispose Cryo cinico, poi con un cenno ordinò alla partner di prendere taccuino e penna. Come l'inchiostrò cominciò a segnare il foglio, Lloyd assunse un'espressione autoritaria trasformandosi in una persona più seria. Alphalaw lo rassicurò dicendogli che avrebbe solo trascritto qualche parola, giusto per farla sentire utile. Aura gonfiò le guance offesa.
- Sarò diretto, cosa stavate facendo ieri sera verso le 20.30?
Il fabbro cinse con un braccio le spalle del figlio. Un gesto protettivo, la ragazza non se lo lasciò sfuggire.
- Io sono uscito un attimo a fare una commissione. Adam è rimasto qui ad aspettarmi.
- Una commissione così tardi? Doveva essere un cliente davvero esigente.
Ferguson storse la bocca, ma non mostrò segni di rabbia. Probabilmente si aspettava una domanda del genere.
- Non ci girerò intorno, sono andato a Villa Thunder.
Un angolo della bocca di Alphalaw tremò appena, - James Thunder mi ha detto di aver sentito odore di carbone quando è entrato in salotto, dopo la scomparsa del padre.
- Theodoric mi ha detto di consegnargli l'oggetto che ha ordinato proprio a quell'ora. Doveva essere un regalo per James.
- Di che si trattava?
Al suo fianco, Adam strinse le mani a pugno. Aura non gli staccò gli occhi di dosso.
- Uno stiletto con un'elsa decorata con la testa di un ariete. Era un po' la sua firma.
- E gli è piaciuto?
La calma con cui Lloyd sostenne lo sguardo indagatore di Cryo fu ammirevole, - Sì, è rimasto soddisfatto. Comunque non sono rimasto là molto. Non appena avuti i soldi ho lasciato la villa e sono tornato qui.
- Capisco, - annuì Cryo dando un'altra occhiata al ragazzino. - Non ha notato niente di insolito mentre tornava in città? O sentito qualcosa, un rumore acuto, uno sparo.
Il fabbro rifletté per qualche istante massaggiandosi il mento sporco. Alla fine scosse la testa, - No, nevicava molto ieri sera. Anche volendo dubito mi sarei accorto di qualcosa.
Con un'occhiata il detective si assicurò che Aura avesse segnato tutto, ma ella non gli diede peso. I suoi occhi erano rimasti fissi su Adam, il quale era apparentemente in attesa che quella conversazione finisse. Tuttavia il modo in cui stringeva le sue mani suggerivano un certo nervosismo.
- Dovresti cambiare quel cerotto, - gli disse all'improvviso indicando la sua guancia con la penna. Il giovane sussultò sul posto ed anche se la domanda fu lecita, lui parve non aspettarsela. Con la coda nell'occhio cercò un segno da parte del fabbro, ma non arrivò nulla.
- Ti sarai scottato con qualche ferro, no? - continuò lei con un piccolo sorriso, - Lavorando tutto il giorno qui, può capitare.
- Ah… - sussurrò lui aggrappandosi a quelle parole. - Sì. Ho preso dentro contro lo sportello rovente del forno.
- Io studio medicina, magari posso dargli un'occhiata e medicarti meglio.
Il ragazzo alzò una mano pronto a declinare l'offerta, ma la Commander aveva già passato il bancone. Levando il cerotto, Aura notò una serie di graffi più o meno profondi, tutti già in procinto di guarigione e non più vecchio di una giornata. La ragazza arricciò il naso e recuperò un unguento dalla borsa che portava tracolla, porgendolo poi ad Adam descrivendolo come un medicinale.
- In questo modo guarirai prima e non ci saranno infezioni, - lo rassicurò. - In mezzo a tutta questa polvere meglio non correre rischi, no?
Nonostante la diffidenza emanata dal suo sguardo, evitò di fare brutte figure ed accettò la medicina. Al suo fianco Lloyd lo strinse con forza ringraziando la Commander di quel dono. C'era da dire che padre e figlio avevano temperamenti molto diversi, giacché Adam sussurrò un semplice “grazie” senza molti fronzoli.
Il detective assistette inacidito alla scena finché la ragazza non tornò al suo posto. Neanche si scompose nel rifilarle un'altra occhiataccia, sicuramente sapeva che non avrebbe sortito alcun effetto.
- Avete altre domande?
Cryo infilò le mani nelle tasche del cappotto, - No, abbiamo finito. Grazie della pazienza.
- Ah, non c'è problema! - esclamò Ferguson cercando di riportare la conversazione su un tono gioviale, - è il tuo lavoro, nessun fastidio.
- Per il momento vi saluto. Magari ci vedremo stasera alla cerimonia.
- Ah, dubito ci saremo quest'anno. Ho da completare un ordine e ne avrò per tutta la giornata. Ma tu offri una birra a tua cugina da parte mia come ringraziamento per la medicina!
Alphalaw fissò la Commander. Poi alzò le sopracciglia scettico.

Non c'è problema che un buon piatto di pasta non possa risolvere. Almeno questa era la filosofia del ristorante “Gran pezzo di Gnocco” dove la coppia andrò a pranzare dopo la visita alla fucina. Alle due del pomeriggio il locale era già quasi vuoto, eccezion fatta per un grande tavolo dove alcuni signori stavano conversando fitto fitto. Di cosa Aura poteva ben immaginare.
La cameriera li accompagnò alla postazione con un grande sorriso stampato in faccia. Il modo in cui cercava di rimanere composta ma al contempo provocante non sfuggì alla dottoressa. Ad ogni passo la donna faceva ondeggiare le anche in un movimento quasi ipnotico, tant'è che un paio di uomini prima assorti nel discorso si voltarono a guardarla. Diverso fu per Cryo, il quale si limitò ad ordinare “il solito” accompagnato una bottiglia di vino rosso prima di concentrare tutta la sua attenzione sugli appunti segnati. Non uno sguardo, non un commento da parte sua e questo parve toccare la cameriera che se ne andò tremante. Aura ci avrebbe scommesso lo stipendio che non aspettava altro che farsi notare da lui. Sicuramente non era la prima volta che il detective pranzava lì, così come sicuramente non era la prima volta che quella donna cercava un contatto. Anzi, fu strano non vedere gelosia nei suoi occhi quando le chiese l'ordine. Forse aveva già portato altre donne lì.
Mi chiedo che razza di uomo sia Alphalaw in verità.
Scosse la testa cercando di pensare ad altro. Quando tornò ad osservare il compagno, comprese perché era così ambito dall'altro sesso e la cosa la infastidì. Quegli occhi avrebbero fatto tentennare chiunque.
- Lo fai apposta o non te ne accorgi proprio?
Lui stappò la bottiglia senza togliere occhio dal taccuino. Aura arricciò il naso.
- Sei davvero un pezzo di ghiaccio.
- Non ho tempo per queste cose - si giustificò versandosi un po' di vino rosso. Lei gli rubò il bicchiere da sotto il naso.
- Il contatto umano fa parte della vita. O sei talmente narcisista da pensare di non averne bisogno?
- Mai detto questo – disse lui richiedendo indietro il vino, - Semplicemente non sono interessato. Ho altro a cui pensare.
- Avresti potuto almeno salutarla, chiederle come sta. Non aspettava altro.
Il detective si lasciò andare contro lo schienale, sospirando sconfitto. Quando la cameriera tornò con un filetto al sangue, Aura gli fece segno di parlarle. Da come serrò la mascella infastidito, capì lo sforzo nel trattenersi dal non mandarla al diavolo. Non appena Cryo aprì bocca, la donna sobbalzò sul posto. Le sue guance si colorarono ed un sorriso genuino accompagnò la sua risposta. La conversazione non proseguì oltre, ma quel breve scambio di battute la rese talmente felice che tornò in cucina più leggiadra che mai. Come sparì oltre l'angolo, il detective si riappropriò del bicchiere di vino e soffiò acido.
- Contenta?
La dottoressa recuperò la forchetta dal tavolo con un sorriso vittorioso. - Per ora.
- Sei davvero molto testarda. Sei così anche sul campo?
- Dipende dalla situazione. Ma in genere ho ampio respiro.
- Mai disobbedito agli ordini?
La forchetta tintinnò sul piatto. Immediatamente Aura si fece cupa nel rimembrare le circostanze del suo passaggio di grado. La decisione di Ruben le bruciava ancora*.
La sua esitazione, invero, mise a tacere Alphalaw, il quale riprese a studiare i suoi appunti. La Commander alzò lo sguardo su di lui mentre la cameriera tornava con il dolce. Il tortino al cioccolato venne brutalmente ucciso con poche e semplici cucchiaiate. In quel frangente Aura si trovò di nuovo a rimirare i suoi occhi viola finché le tornò in mente un particolare.
- Vuoi dirmi perché odi i Seed?
Il taccuino che l'uomo stava ancora visionando si chiuse con uno scatto. Per un attimo la dottoressa credette che sarebbe esploso in una rabbia violenta, tuttavia egli si limitò a picchiettare le dita sul bordo del tavolo ed a fissarla grave.
- Perchè vuoi saperlo?
Lei inclinò la testa sentendosi prendere da un'insolita malinconia. Che provenisse da lui o no, non seppe dirlo.
- Da quando sono qui mi hai sempre guardata male, con una certa acidità. Ho pensato che semplicemente non amassi molto i modi dell'Ordine, ma poi ho ripensato a quello che mi hai detto… Sul fatto che falliamo se si richiede il nostro aiuto. L'hai detto come se avessi vissuto da vicino un torto da parte dei SeeDs. Se vuoi continuare a trattarmi male, fai pure, ma voglio almeno capire il perché.
Alphalaw serrò la mascella prima di bere l'ultimo sorso dal bicchiere. Nonostante si fosse scolato quasi tutta la bottiglia, non pareva per nulla provato dall'alcool. Al contrario sfilò il telefono dalla tasca e cominciò a scrivere qualcosa che Aura non potè leggere.
- Mio padre era Seed in servizio diretto all'Ordine, - confesso senza togliere gli occhi dallo schermo – Era un ottimo cecchino ed un buon mediatore, spesso veniva assegnato in squadre di salvataggio o mandato in missioni top secret. Per questo non era quasi mai a casa ed io potevo vederlo ben poche volte durante l'anno.
Ad Aura si chiuse lo stomaco nell'ipotizzare cosa gli fosse accaduto.
- Cosa gli è successo?
In quel frangente il cellulare del detective ricevette un messaggio. Lui si aggrappò a quella scusa per evitare di continuare il racconto, lasciando la ragazza sulle spine. Qualcosa le diceva che non gli era accaduto niente di buono, ma evitò di chiedere ulteriormente. Il tono di voce con cui aveva parlato era di quelli provati da una sofferenza straziante. Anche se ad un occhio meno attento quello poteva essere cinismo, per Aura invece era dolore. Egli si portò il tovagliolo alla bocca, in procinto di lasciare il tavolo.
- Cosa…?
- I risultati delle analisi, - fece lui cercando il portafoglio, - Hanno identificato il sangue sul bastone di Thunder.
La Commander si fece attenta, - Di chi si tratta?
- Jean Lightman. Incredibile, non l'avrei mai detto.
- C-Che vuoi dire? Ehi, ma dove vai?

La casa era piccola e modesta. In mezzo a tutti quegli appartamenti di spicco, sembrava una pecora nera in mezzo ad un gregge di bianche. O l'agnello in un branco di lupi, era difficile dirlo. Sulla soglia, la moglie trattenne un sorriso di rammarico di fronte al distintivo. Fin da subito cercò di addolcire la pillola descrivendo Jean come un uomo pio e tranquillo, di quelli che non farebbero male ad una mosca. Cryo l'ascoltò senza battere ciglio mentre ella guidava la coppia verso la cucina, dove Lightman stava bevendo una tazza di caffè amaro. Nel cogliere il detective in casa sua, il suo viso sbiancò.
- Jean Lightman? - chiese come di consueto. Lui annuì ed invitò la coppia a sedersi. Solo allora Aura si ricordò di aver già visto quell'uomo la sera prima, alla taverna. Era stato lui a denunciare il morto.
- A cosa devo la sua visita? - chiese con un filo di voce. Le sue dita strinsero nervosamente la tazzina quasi vuota. La Commander deglutì non sapendo come inquadrare quell'uomo.
- Abbiamo trovato il suo sangue sul bastone di Thunder.
Jean deglutì, la mano volò al collo. Un gesto involontario ma significativo. A Cryo bastò quello per giungere subito alla conclusione.
- Voglio credere a quello che sua moglie dice, - scelse un tono di voce calmo, serafico, - Ma le prove parlano chiaro. Ha ucciso lei Theodoric Thunder?
La testa dell'uomo sussultò, impaurita - No, detective! Io non farei mai una cosa simile, lo giuro!
- Allora perché il suo sangue è stato trovato su un oggetto personale della vittima? Me lo sa spiegare?
- Io… - tentennò sentendosi schiacciare dalla tensione del momento. Sua moglie venne a rassicurarlo cingendogli le spalle.
Vedendo la coppia stringersi confusa da quella scoperta, Aura decise di intervenire. Allungò una mano verso Lightman, stringendogli appena le dita in segno di conforto. Alphalaw le mandò un'occhiata interrogativa, afferrandole il polso e costringendola a ritrarre piano il braccio. La ragazza gli restituì lo sguardo.
- Anche noi crediamo che non sia stato lei, - esordì avvertendo il compagno al suo fianco irrigidire la presa su di lei. Tuttavia non arrivò alcuna negazione da parte sua. Probabilmente neanche lui era sicuro della colpevolezza di Jean.
- Ma abbiamo bisogno di sapere cosa ha visto ieri sera, - continuò con un sussurro. - Se davvero lei è innocente, non avrà problemi a dirci tutto.
Titubante, l'uomo cercò un segno da parte della moglie che lo intimò di parlare. A quel punto non poteva fare altrimenti. Trasse un profondo respiro e bevve l'ultimo sorso di caffè rimasto, quindi tornò a stringere le mani della consorte.
- Ieri sera ero sceso in piazza per fare una passeggiata. Lo faccio ormai da mesi secondo il consiglio del dottore. Talvolta mi fermo ad ammirare la chiesa ed il campanile alle luci della sera e proprio ieri ho notato il sindaco girovagare da quelle parti insieme ad un altro uomo. Mi sono avvicinato per salutarlo… sa, due chiacchiere non le ha mai negate. In più ero curioso di sapere se c'era qualcosa che non andava col campanile. Senza volerlo ho sentito che ne parlavano come se fossero preoccupati, quasi impauriti.
Cryo si sporse appena sulla sedia, - Impauriti? Da cosa?
Jean scrollò le spalle, - Non lo so. Li ho visti salire lungo la scala che porta alle campane. Quella porta è sempre chiusa… La curiosità è stata più forte di me. Li ho seguiti fino in cima e non appena sono sbucato fuori, Thunder mi ha colpito sulla nuca col bastone. La sento ancora pulsare da quanto forte era il colpo.
Aura fissò il compagno confusa, ma egli la zittì con un dito per sentire il resto della storia.
- Era molto arrabbiato di vedermi lì. Mi ha sgridato pesantemente e sono stato costretto ad andarmene il più velocemente possibile. Avreste dovuto vederlo, era letteralmente infuriato! Non mi sono neanche chiesto il perché, sono uscito e basta. E… mentre tornavo a casa ho sentito un forte rumore.
- Che tipo di rumore? - chiese il detective e Jean scrollò ancora le spalle cercando di ricordare.
- Come… Come un vetro che si rompe. E subito dopo un altro rumore, più sordo. Preoccupato sono tornato indietro ed è stato allora che l'ho visto… Thunder era steso a terra, anche con la neve potevo vedere chiaramente che era macchiato di sangue…
La moglie strinse Lightman più forte a sé, accarezzandogli la testa ed aspettando che l'uomo si riprendesse da quella visione. Il detective invece saettò gli occhi da un angolo all'altro del tavolo nel pieno dei suoi pensieri finché realizzò una domanda.
- Ha visto chi era l'uomo con Thunder?
Jean storse la bocca non molto convinto. Nel momento in cui aprì la bocca, qualcuno bussò alla porta. La mogli si apprestò subito per andare ad accogliere altri ospiti, ma l'ingresso si spalancò di colpo prima ancora ch'ella arrivasse al pomello. Due uomini in divisa irruppero nella cucina scusandosi con la signora per l'invadenza. I loro occhi andarono subito su Lightman, dichiarando una serie di diritti ed esibendo un paio di manette.

------------***------------
*: Ricordo che Aura è appena diventata Commander, indi la trama sulla Dekatris e la Destiny si era conclusa da poco.
Leonheart88
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Re: FanFic Garden

Messaggio da Leonheart88 »

Sopravvivenza
3/4

Silenzio.
Giró la testa verso destra, non vide nulla, era come se qualcuno avesse improvvisamente spento la luce sul mondo. Nero. Indefinito.
Provó a guardarsi le mani. Nulla, buio. Nel silenzio che lo circondava anche la vista gli era stata preclusa.
Ma perché era li? Come ci era arrivato.
Provò a concentrarsi, quale era l'ultima cosa che si ricordava?
«Vendetta. Per me e mio padre»
Suo padre? Calien non aveva un padre. Era un -censura- esperimento da laboratorio. Uno scherzo artificiale senza anima e sentimenti.
Eppure. Eppure aveva biologicamente un padre ed una madre.
Sentiva la sua testa pesante, faticava a collegare i pensieri, eppure non c'era nulla di difficile.
Delle voci turbarono il silenzio, ma erano distanti. Ovattate. Come un eco poco più che silenzioso. Gli ultimi ricordi.
«Seed O'Nayel. Vendetta?»
«Vendetta per la mia nascita, per gli esperimenti, per gli ordini. Per aver giocato con me e mio padre come fossimo dei burattini nelle vostre mani. Mio padre. Il Seed Commander Leon Rayearth»
Ok. Ecco l'origine del blackout.
Aveva una figlia.
L'aveva sempre avuta al suo fianco senza saperlo. E ora la stava perdendo. Per i suoi crimini. Per essersi fatto scoprire.
No.
Come era arrivato, così il buio si dissolse improvvisamente.
Il processo era finito e le guardie l'avevano già quasi circondata. Nataa stava in un angolo con le braccia conserte, guardando con disgusto Calien.
Ora.
Stava per confessare quando i suoi occhi incontrarono per un istante quelli della ragazza.
E tutto fu chiaro.
Non perché era suo padre. Ma perché era comunque la persona piu vicina a lei. Colui che più di tutti la conosceva.
Sorride pensando che se avesse saputo prima di essere il padre sicuramente sarebbe riuscito a sputtanare tutto.

Senza battere ciglio si lasciò scortare fuori dalla sala, veloce la processione attraversò il corridoio principale e fuoriuscì nel grosso piazzale dinnanzi al Garden. Lí una navetta, originariamente per Leon, l'avrebbe scortata alle prigioni del deserto. Luogo da cui darebbe scomparsa senza lasciare traccia alcuna. Una morte da far passare in sordina.
Fu un attimo. Un gioco di sguardi impercettibile per chiunque.
Nataa si portò la mano in tasca. Un gesto normale che però suonò come il segnale tanto atteso per Calien.
Le manette caddero a terra con un tonfo, seguite a ruota dal bracciale antimagia. Completamente inutile ormai. Fu l'inferno.
Subito un tornado si sollevò dal nulla, scaraventando a parecchi metri di distanza i seed della scorta. Torri fiammeggianti comparvero sulla piazza subito dietro di loro, tagliando l'accesso a tutti coloro che erano ancora dentro il Garden.
C'erano solo loro. Niente distrazioni o comparse all'improvviso.
Calien. Leon. Nataa. E qualche dozzina di Seed e Commander. Pura formalità. Con la magia timer già aveva limitato di molto i nemici, e ancora non si era scaldata.
Cosa che invece non poterono dire molti dei partecipanti.
Voleva aiutarla. Ma non poteva. Non doveva. Altrimenti tutto sarebbe stato vano. Tutta la puttanata di prendersi la colpa al posto suo sarebbe miseramente crollata come un castello di carte.
O meglio. Non poteva intervenire liberamente.
Vide Turcy caricare il fucile alle spalle di sua figlia, il bastardo si preparava a colpirla di nascosto.
Il proiettile schizzò fuori dalla canna con prepotenza, diretto al centro delle scapole.
Nella confusione nessuno notò un piccolo varco aprirsi, inghiottire il pezzetto di metallo e risputarlo fuori una ventina di centrimetri a sinistra. Il colpo sfiorò appena la spalla della ragazza per andare a conficcarsi nel petto di Johnson.
Vendetta karmica.
Nel frattempo il fanciullo interiore di Leon rideva sguaiatamente per la scena.
Nataa urlava comandi conditi di imprecazioni a tutti coloro che potevano udirla, non facendo altro che mandarli ancora di più in confusione, non sapeva dire se la cosa fosse fatta apposta o meno, ma sicuramente stava funzionando.
E se qualcuno per caso si muoveva nel modo giusto, un blind o uno slow silenzioso completavano l'opera.
Non c'era nulla da fare. Calien era troppo forte.
Imbattibile quasi per chiunque, per questo la conclusione dello scontro fu anche troppo esagerata. Come una promessa fatta ad una entità soprannaturale in cambio del suo starsene buono per qualche tempo.
Griever.
"FINALMENTE" In un lampo di luce l'enorme bestia comparì sul campo di battaglia.
Con un pigro e velocissimo gesto della mano destra fracassò la spina dorsale di Turcy, reo di essersi avvicinato troppo e di aver in seguito dato le spalle al GF.
"Oh ma guarda e io che pensavo che non ce l'avesse già da prima" il fanciullo interiore di Leon era un gran bastardo.
«Leon riparati» La voce di Calien lo raggiunse.
Istintivamente obbedì senza neanche sapere il perchè, l'ultima cosa che vide furono Griever e Calien aprire le braccia simultaneamente, come in una sorta di preghiera.
Onda Cosmica.
Il terrifficante attacco spazzo via tutto, facendo volare a parecchi metri di distanza tutti gli ultimi avventori, la battaglia era assolutamente finita.
Con passo leggero si avvicinò al Commander, suo padre.
«Non mi cercare. Mi farò viva io quando la situazione sarà pronta. Ciao Leon»

I successivi minuti furono frenetici, con la scomparsa del muro di fuoco presto la piazza fu gremita di Seed e anziani che volevano capire cosa fosse successo.
Lui lo sapeva, e non gli interessava dare spiegazioni a nessuno.
Si avvicinò a Nataa, intenta a urlare contro alcuni Anziani del fatto che dare dei bracciali antimagia classici a una con poteri artificiali era una stronzata, che il laboratorio le aveva dato solo quello. Classica strategia passivo aggressiva che probabilmente avrebbe funzionato.
La prese per un braccio, strattonandola.
«Andiamo. Dobbiamo parlare.»
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Edith Lance
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Re: FanFic Garden

Messaggio da Edith Lance »

Sopravvivenza
«Cos’è successo là dentro?»
Leon trattenne a stento la rabbia prima di arrivare nella stanza della Commander, l’aveva trascinata per i corridoi tenendola per un polso e stringendo tanto forte da lasciarle il segno.
Nataa si massaggiò la pelle arrossata, prendendo tempo per misurare le parole.
«Cos’è successo là dentro?» ripeté l’uomo con una sfumatura d’irritazione più percettibile.
«Si è sacrificata per te»
Il pugno si abbatté a pochi centimetri dalla testa della donna, lei non si scostò. Alzò il mento e lo sfidò. Conosceva Leon da anni, forse più a fondo di quanto lui credesse, e sapeva che quel modo di fare gli avrebbe fatto spegnere la ragione, ma fu più forte di lei. Questo era uno dei motivi – ricordò a se stessa – per cui la loro storia era dovuta finire: due caratteri feroci, pronti ad azzannarsi e mai tanto maturi da scendere al compromesso. Nessuna parola fra loro avrebbe divorato quel divario di rabbia, tristezza, dolore, che li teneva distanti e incapaci di essere noi.
Non si stupì Nataa, quando la mano di Leon si chiuse intorno alla sua gola e la sollevò da terra. Sentì il dorso della mano stringere la trachea, mentre le dita premevano sulla carotide: fu l’istinto a farle cercare una via di fuga, non la paura, portò il ginocchio sul punto più molle dell’inguine e spinse con forza, facendolo arretrare di due passi. Crollò lungo la parete.
«Stai lontano» ringhiò contro l’uomo «a distanza di sicurezza Leon.»
«Tu dammi delle -censura- spiegazioni, Nataa»
«Si è sacrificata perché tu sei stato tanto idiota da farti scoprire. Cos’altro vuoi sapere, mh?» mugugnò lei, tossicchiando di tanto in tanto per cancellare quel bruciore annidato in gola.
«Ti stai dimenticando della parte “io sono tua figlia”?»
«Ne so quanto te» allungò un dito verso la sua scrivania «lì c’è un fascicolo e una lettera scritti da Calien per te.»
Il Commander percorse a rapide falcate la distanza che c’era fra lui e il tavolino, aprì la cartellina e lesse rapidamente le pagine. «Non ci capisco un cxxxo»
Nataa scrollò le spalle. «Non è semplice, per questo in fondo ci sono le istruzioni.»
Leon sollevò un sopracciglio mentre scrutava quella calligrafia minuta con cui aveva scritto: DNA for dummies.
«È assurdo» sbottò all’improvviso «come può essere?»
«Hai letto, no? La donazione fatta ai tempi di Kalos ha dato i suoi frutti.»
«Lo sapeva! E tu lo sapevi!»
Si voltò di nuovo verso di lei con fare minaccioso.
«Ne sono venuta a conoscenza solo qualche giorno fa, quand’è entrata nel mio ufficio per chiedere una mano. Mi ha chiesto di non rivelarti nulla, perché avresti fatto qualche casino e non posso dire di non essere stata d’accordo. Non dovrei dirlo io, ma Leon, stai diventando troppo emotivo.»
L’uomo lottò contro se stesso e i suoi temperamenti animali, perché non era facile mandare giù una critica che sapeva perfettamente essere reale: le emozioni lo avevano portato a fallire e perdere anche ciò che non sapeva di aver avuto. «Merda» mugolò facendo un passo indietro e crollando sulla sedia vicina. «Merda» ripeté prendendosi la testa fra le mani.
Nataa lo osservò per qualche istante poi, quando vide le sue spalle sollevarsi e riabbassarsi, si avvicinò. Tese le dita verso di lui ed esitò un solo momento prima di intrecciare le dita fra i suoi capelli e accarezzarlo con un gesto dolce. Leon le bloccò la mano, afferrandole il polso e la tirò verso di sé, l’abbracciò posando la fronte contro la sua spalla.
«Nataa» sussurrò quando le afferrò il mento fra le dita e le piegò la testa di lato.
Fu più veloce lei. Si liberò da quella morsa, che in passato l’avrebbe incantata, e gli sorrise – sollevò appena le labbra, imbarazzata.
«Non posso, Leon. Non posso davvero.»
Non che per un istante non avesse desiderato tornare indietro nel tempo, o voluto provare ancora una volta – l’ultima – cosa significasse avere le sue labbra sulle sue: conosceva il suo modo di baciare, lo aveva sognato per notti e notti dopo averlo perso e ancora nelle notti successive finché non le sembrò di impazzire.
Ma per la prima volta nella sua vita, c’era qualcosa di più importante e prezioso, qualcosa che valeva la pena preservare e salvare.
«Mi dispiace» gli disse ancora, mentre Leon la scrutava con aria contrita «Non posso.»
«Sto per sposarmi» rivelò d’un fiato, sputando quelle parole come fossero vetri.

Aveva immaginato per mesi come sarebbe stato rivelargli quel segreto e nessun caso contemplava una situazione del genere. Nel cassetto della sua scrivania c’era l’invito al matrimonio per Leon, ma non era mai riuscita a spedirlo trovando scuse su scuse pur di non affrontare il distacco.
Ci sono cose che è giusto lasciare indietro, ma che restano aggrappate al cuore come una patina. Restano nei giorni di pioggia che hai iniziato ad amare e aspettare, nel profumo che solo tu puoi percepire prima di addormentarti, nel gusto stretto sul palato, nelle parole sussurrate nel buio e nel modo di fare l’amore.
E Leon era tutto e oltre.
Non poteva decidere di chiudere la porta e voltarsi di spalle. Lo aveva allontanato più volte, ma poi aveva sempre trovato il modo di averlo accanto.
E quell’invito era il punto di fine.
«Non sapevo avessimo in programma di sposarci» sorrise lui
Nataa gli diede un pugno sulla spalla «Rael Fjodor»
«Quel coglione? Ma è gay!»
«Ma direi proprio di no!»
«Ne sei sicura?»
La donna annuì, portandosi una mano al ventre. «Sono incinta»
Leon batté le palpebre, deglutendo a vuoto.
Non disse nulla a Nataa, ma dentro di sé sentì rompersi qualcosa di molto profondo, forse era il suo cuore quel brandello di carne che giaceva a terra. Fece un bagno di realtà e scoprì di essere rimasto solo.
«Per fortuna non sono io quello sfigato che dovrà sopportarti per il resto della sua vita» scherzò ma sul palato c’era una patina amara ma se la voce lo tradì, Nataa non lo diede a vedere.
Perché non posso essere io? Lo hai scelto tu, idiota.
«…venire a trovarci.»
Leon si ritrovò ad annuire, a promettere che sarebbe andato al matrimonio, che avrebbe fatto da padrino al loro figlio, che ci sarebbe stato per lei, sempre, ma gli era presa una strana nausea alla bocca dello stomaco. Era dolore. Un dolore egoista.
Cosa credevi? Ti aspettasse?
Sì. Ci aveva pensato mille volte a come sarebbe stato il suo futuro e non c’era altra persona che avrebbe voluto al suo fianco se non lei, Nataa.
«Ora devo andare» disse all’improvviso
«D’accordo» annuì Nataa, senza indagare
Sapeva che avrebbe avuto bisogno di solitudine e di distruggersi prima di tornare a essere il suo Leon. «Ci rivedremo Commander Rayearth?»
«Senza dubbio, signora Fjodor» sghignazzò Leon, sollevando il pollice in aria e poi scomparendo dietro la porta.
Il pugno che tirò contro lo stipite gli fece uscire sangue, ma lui non se ne curò. C’erano dei dolori più forti.
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Akainatsuki
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Re: FanFic Garden

Messaggio da Akainatsuki »

Cat Empitsu [BACKstory #7 - Part 2 of 3]

VIOLET is not BLUE


Theme song: Utakata Hanabi - Supercell (Naruto: Shippuuden)
***
Escludendo Sephiroth, la Meteora e la Shin-Ra Company, combattere contro qualcosa di imbattibile non era propriamente innato nel suo normale atteggiamento nei confronti dell'esistenza.

Cat osservò sconsolata lo stretto bendaggio che le fasciava la vita, imbrattato di quel colore grigio sporco che l'aveva costretta a smettere le sue camicette bianche per evitare a El (ex-) Capodipartimento Tuesti di avere ogni volta una silenziosa e implosiva crisi isterica con conseguente febbrile produzione di decine di minuscole e canticchianti gru di carta.

"...Non mi piace il viola. E poi, dicono porti sfortuna" borbottò al riflesso di Numero Quattro allo specchio, intento a osservarla con i suoi occhietti cuciti.

"A Reeve piace. Anche se dice che non è viola, è blu scuro tendente al viola" si grattò pensieroso il mento, mentre un ghigno divertito si allargava sul musetto. "Color melanzana, ecco cosa".

Abbottonò la nuova camicetta fino al collo, scuotendo il capo: "Quindi non avremo problemi con i vegetali..." mormorò sarcastica, senza lasciarsi sfuggire l'afflosciarsi delle orecchie di Numero Quattro alle sue parole.

"Non dire così, Catty... nemmeno quel Rufus è ancora diventato un broccolo" sospirò, tormentando il mantellino rosso. "E tu non diventerai una melanzana, vedrai che Strife e gli altri troveranno un modo per risolvere la situazione anche questa volta. Con o senza l'aiuto della signorina Gainsborough".

"Abbiamo le gru di carta. A che quota siamo arrivati?" spostò lo sguardo sull'enorme mazzo di origami canterino che faceva la sua bella mostra appeso a un gancio accanto alla testiera del letto.

"Precisamente settecentosettantasette. Ha detto che vuole arrivare a mille, anche a costo di dare fondo alla carta igienica, credo" rispose con una risatina.

Prima di allora, Cat non avrebbe mai creduto che il suo posato e cogitabondo (ex-) capo potesse credere davvero a certe superstizioni da decrepita vecchietta di Wutai: mille gru da piegare e un desiderio da esprimere.

E lei sapeva bene quale fosse quel desiderio.

L'avanzare del Geostigma sembrava essersi impennato in quei giorni: la stretta al fianco era mutata da un sopportabile fastidio sottopelle a un continuo e martellante dolore che la lasciava senza fiato, gocciolante di sudore a ogni nuovo respiro. Sotto gli occhi impotenti di El (ex-) Capodipartimento Tuesti.

Si sedette sul letto, accantonando le coperte stropicciate e scorrendo in silenzio le ultime notizie sul PHS. I titoli principali erano sempre gli stessi, un puntiglioso promemoria di tutto quello che aveva seguito la fine della Shin-Ra e la ricostruzione del Pianeta. Un trafiletto tuttavia attirò la sua attenzione, all'interno degli annunci locali di Edge:

Codec:
Strife Delivery Service - temporaneamente sospeso.

Ricordò solo in quel momento perché quel giorno l'appartamento fosse così silenzioso e con lei ci fosse il nuovo Numero Quattro: El (ex-) Capodipartimento Tuesti era uscito all'alba portando sottobraccio Numero Tre e borbottando qualcosa sulla necessità di trovare Nanaki per raggiungere quelli dell'AVALANCHE.

Le esplosioni che inaspettatamente fecero tremare i vetri e i soprammobili della stanzetta mettendo a tacere il canticchiare sommesso delle gru, furono per Cat l'eloquente spiegazione di quella inaspettata gita fuori porta in compagnia di un peluche meccanico e un enorme canide senziente.

Stringendo un terrorizzato Numero Quattro tra le braccia, gettò un'occhiata oltre la finestra che dava sul cantiere a cielo aperto di Edge: là fuori c'era un enorme Bahamut intento a distruggere a Megaflare tutto quello che stava sotto di lui.

"...Reeve sta tornando, Catty. Non ti preoccupare".

"Sei tu quello che sta tremando come una foglia..." lo prese in giro, ignorando il suo soffiare indispettito.

"Anche tu" la rimbeccò di rimando, tornando sul pavimento e fissandola con i suoi occhietti. "Fa male, Catty?"

Non ebbe il tempo di rispondergli, mentre le parole le si mozzavano in gola. La fitta al fianco sembrò risucchiarle i polmoni dall'interno, bruciandole la pelle come un incendio improvviso. Crollò sulle ginocchia, cercando di prendere fiato, mentre i tremiti le sconquassavano la schiena e sentiva la camicetta incollarsi a lei, imbrattandosi del colore scuro del Geostigma.

***

La risvegliò lo scrocchiare della carta.

Cat aprì stancamente gli occhi, scoprendo la stanza immersa nella penombra, illuminata solo dalla lampada sul comodino. Accanto a lei sedeva El (ex-) Capodipartimento Tuesti, scuro in volto e intento a piegare meticolosamente l'ennesima aluccia delle sue gru.

Si accorse del suo tentativo di mettersi a sedere, lasciando cadere l'animaletto.

"Signorina Empitsu... non si muova, per favore" si sporse verso di lei, scostandole la frangia appiccicata di sudore alla fronte. L'aiutò a rialzarsi con lentezza, mentre Cat cercava di trattenere i conati di disgusto nel sentire l'inconfondibile sensazione della melma del Geostigma scivolarle lungo il fianco.

"...Bahamuth. Che fine ha fatto?" sibilò tra i denti, deglutendo a fatica. "L'ho visto su Edge e..."

"È tutto finito. Ora venga con me" la rassicurò con un filo di voce, sollevandola tra le braccia senza che opponesse resistenza. "Non ha sentito il telefono squillare, per questo ne ho portata un po' con qui. Spero non la consideri una violazione della sua privacy".

Le parole arrivavano ovattate al suo cervello, quasi da non riuscire a legare le une alle altre. Avrebbe voluto commentare come il fatto di non aver risposto al telefono poteva essere ampiamente giustificato dal suo essere crollata priva di sensi sul pavimento, ma preferì risparmiare l'aria che con tanta difficoltà era riuscita a introdurre nei polmoni.

"...Si sta sporcando la camicia..." mormorò, abbassando gli occhi sulla vistosa macchia scura che si stava allargando sul suo petto. Non rispose, serrando le labbra e uscendo lentamente dalla stanza per poi infilare il minuscolo bagno che si trovava in fondo al corto corridoio.

Il riflesso verdognolo del Lifestream brillava all'interno della stretta vasca in cui Cat era tornata da qualche tempo alle sue personali sedute di meditazione sull'esistenza - finché El (ex-) Capodipartimento Tuesti non avesse iniziato a battere scocciato alla porta reclamando il suo turno.

"...Non ha sentito il telefono squillare e mi sono permesso di considerare come nelle sue condizioni un viaggio fino al Settore 5 non sarebbe stata la soluzione migliore" interruppe il silenzio con un filo di voce. "A quanto pare, anche questa volta la signorina Gainsborough ha salvato il Pianeta... e la maggior parte di Midgar".

Alzò lo sguardo verso di lui: "...Una cura per il Geostigma?"

Annuì, accompagnandola fino a sedersi sul bordo della vasca: "Dovrà immergersi, il resto verrà da sè. Posso lasciarla sola, se desidera, signorina Empitsu".

Sentì il sangue rifluirle al viso, arrossendo appena per poi scuotere il capo. Intinse i piedi nell'acqua fredda, scivolando lentamente senza togliersi i vestiti. Trattenne un brivido, mentre il luccicare del Lifestream si espandeva attorno per poi concentrarsi su di lei: sentiva la pelle pizzicare e formicolare sotto la stoffa, quasi nutrendosi di quel riverbero dal colore inconfondibile.

In una manciata di secondi, quel momento si concluse, facendo sprofondare nuovamente lo spazio ristretto in cui si trovavano nella penombra della sera.

"...Come si sente?"

La sua voce la scosse, facendola tornare alla realtà: il dolore era scomparso in un battito di ciglia, così come il brillare del Lifestream.

Uscì cautamente dalla vasca con gli abiti appiccicati addosso, gocciolando sulle piastrelle, ma non ebbe il tempo di rispondere a quella domanda: un enorme asciugamano l'avvolse, stringendola nella sua morbidezza.

Reeve Tuesti la stava abbracciando. Lo sentì sospirare di sollievo, mentre la stringeva a sé.

"...Sto bene, la ringrazio" mormorò, rispondendo alla domanda di poco prima.

Abbozzò un sorriso, accarezzandola con l'asciugamano: "Sono felice di riaverla ancora tra di noi" sussurrò, avvicinando il viso al suo e posandole un bacio sulla guancia. "Bentornata sul Pianeta, signorina Empitsu".

"Potrebbe baciarmi per davvero, signor Tuesti...?" sospirò, soffiando con il naso e cercando di trattenere le lacrime che improvvisamente avevano iniziato a pungerle gli occhi. "Penso di averne bisogno..."

Rimase per un attimo a fissarla, come non avesse capito le sue parole, poi si abbassò su di lei, scrutandola serio: "È sicura di stare bene?"

Annuì, mordendosi le labbra e cercando di dissimulare il tremore che aveva iniziato a scuoterla: fino ad allora non aveva mai pensato che proprio a causa del Geostigma avrebbe potuto tornare al Pianeta come altri avevano fatto prima di lei. Quelle parole erano state come un'epifania del tutto inaspettata, che aveva smosso qualcosa dalle parti del suo cuore.

"...Si sta innamorando di me?"

Cat arrossì nuovamente, stringendosi nell'asciugamano: "Non sarebbe una novità. Ma si ricordi i fulmini sugli impiegati Shin-Ra e faccia le sue considerazioni".

"Non le ho salvato la vita, signorina Empitsu. Non mi deve il suo amore per qualcosa che non ho fatto" sospirò, giocherellando con una ciocca dei suoi capelli e portandosela alle labbra.

"Non è amore. Quello è diverso".

La guardò divertito, invitandola a continuare quello strano discorso: "Quindi la teoria per cui lei baci le persone solo per zittirle è confermata...?" ridacchiò. "Se non è amore... cosa sarebbe?"

Rimase per qualche secondo in silenzio: essere innamorata era una sensazione che conosceva - molto - bene. Credeva di esserlo stata tante volte fino ad allora e anche quel giorno, su quel tavolo sgangherato, accanto a un Cait Sith disattivato per l'occasione.

"...Gratitudine" mormorò, cercando le parole. "Per gli Slums, per la Shin-Ra, per il Pianeta, per il Geostigma. Avrei potuto morire in tutte quelle occasioni, signor Tuesti, eppure sono ancora viva. Grazie a lei".

Qualcosa guizzò negli occhi dell'uomo che le stava di fronte. Senza replicare, scomparve oltre la porta per tornare qualche minuto dopo con una di quelle camicette colorate.

Cat non riuscì a trattenere una smorfia, che non passò inosservata: "Era l'unica tinta disponibile della sua taglia, signorina Empitsu. Vorrei sottolineare nuovamente come non sia viola, ma una particolare gradazione di blu scuro".

"...E a lei piace" aggiunse con un ghigno divertito.

"Gratitudine" sospirò, allungandole la camicetta piegata. "Per la Shin-Ra, per il Pianeta, per il WRO. Avrei potuto essere solo in tutte quelle occasioni, ma lei c'è sempre stata. La ringrazio".

"È il mio lavoro. Senza contratto e senza stipendio, ma sono la sua segretaria" ribatté, accettandola. "Inoltre, lei non è solo. Ha pur sempre un Cait dalla sua parte".

Abbozzò un sorriso, annuendo: "Ha ragione. Quindi prevede come questa relazione si manterrà squisitamente professionale?"

"Non posso predire il mio futuro" scosse il capo, fissando poi torva la camicetta e spostare nuovamente lo sguardo su di lui. "Ora, posso riavere la mia privacy?"

Accennò un inchino, girandole le spalle con un colpo di talloni e lasciando quel minuscolo bagno. Prima di chiudere la porta dietro di lui, si fermò sulla soglia, voltandosi nella sua direzione: "Ha ragione, il viola mi piace. Potrei pensare a qualcosa di nuovo per il WRO".

"Non finché verrò conteggiata nel suo organico aziendale, signor Tuesti. Questo colore porta sfortuna".

Fece le spallucce, rivolgendole un sorriso stiracchiato prima di sparire nel corridoio: "Però le dona. In fondo, lei è una persona sfortunata, o sbaglio?"
Spoiler
Cat e le sue sfortunate storie romantiche MEET (again) Reeve Tuesti in quel del post-Meteora / Sephirot-is-back(-for-5-minutes).
Scheda personaggio Garden Club - Abi "Hade" De Vultures
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Messaggio da Akainatsuki »

Cat Empitsu [BACKstory #7 - Part 3 of 3 - END]
The MAP to the >> FUTURE
Theme song: Falling Down - Oasis (Higashi no Eden)
***
Quella situazione non era esattamente definibile come squisitamente professionale. O meglio, lo sarebbe stata qualche tempo prima, secondo gli standard dell’Honey Bee Manor.

Cat si raggomitolò sotto le lenzuola, avvolgendocisi e rotolando sul pavimento. Si rialzò con uno scatto e iniziò ad avanzare in punta di piedi verso la porta. Stava allungando le dita verso il pomello quando questo si abbassò e El (ex-) Capodipartimento Tuesti comparve sulla soglia, accompagnato da due tazze di caffè.

“…Sta scappando?” alzò un sopracciglio, mentre le labbra si increspavano in un sorriso divertito. “Con le mie lenzuola?”

Le lasciò cadere a terra, infilando in un battito di ciglia lo spazio libero oltre la porta e gettandosi con un balzo nella sua stanza, a dirimpetto su quello stretto corridoio. Fece girare il chiavistello due volte. Poi ci ripensò e lo girò di nuovo, per sicurezza.

“…Avevo preparato la colazione, signorina Empitsu” continuò serafico dalla parte opposta, ignorando il fatto che si fosse appena rinchiusa a chiave senza proferire parola. “La lascio nel microonde, se le venisse fame più tardi”.

Affondò il viso tra le mani, ficcandosi le unghie nella pelle e trattenendo il respiro.

“Se fai così, morirai davvero, Catty”.

La vocina di Cait Sith Numero Quattro risuonò nella stanzetta immersa nel sole di quel mattino inoltrato, facendola sobbalzare.

“Lo hai detto proprio tu che potevo dormire qui. Tanto eri da Reeve…” rispose alla sua domanda muta, scendendo dal cassettone su cui la osservava con un’espressione saccente dipinta sul musetto. “Hai dormito bene?”

Rimase in silenzio, stringendosi a sé. La camicetta bianca frusciò sotto le dita, tranquillizzandola: conteggiò mentalmente i suoi vestiti, lasciandosi sfuggire un sospiro.

Forse, quella relazione si era davvero mantenuta squisitamente professionale. Secondo gli standard della Shin-Ra Company.

Numero Quattro si sedette accanto a lei, osservandola con i suoi occhietti cuciti: “Non hai fatto niente di male, Catty” sentenziò. “E nemmeno Reeve”.

Spostò lo sguardo su di lui, soffiando con il naso: “…È il mio capo” borbottò.

“È il mio Inspire, eppure non ho mai fatto una tragedia a dormici assieme”.

Ridacchiò sommessamente: “Ci sono molti modi di dormire assieme a un essere umano” sospirò, muovendo pigramente le dita dei piedi libere dai collant. “Ma preferirei non approfondire adesso l’argomento”.

“…Era il tuo lavoro prima della Shin-Ra, vero?”

“NO” rispose secca, stringendo le labbra. “Ero la Receptionist”.

Le vibrisse si mossero nell’aria, mentre un ghigno divertito gli si stiracchiava sulla pelliccia sintetica. Iniziò a pungolarle una gamba con la zampina guantata: “Scommettiamo…?”

Si alzò in piedi con un colpo di talloni, fulminandolo con un’occhiataccia: “NO”.

“Ti brontola lo stomaco, Catty”.

Arrossì, addossandosi alla porta e tendendo le orecchie ai rumori nel corridoio. Poteva ben prevedere i movimenti mattutini di El (ex-) Capodipartimento Tuesti in quella manciata di stanze alla periferia di Edge, per cui rimase in ascolto sotto lo sguardo divertito di Numero Quattro.

Fece girare cautamente il chiavistello della stanza. Senza una parola, prese quella specie gatto meccanico per la collottola facendolo penzolare malamente all’esterno: “Vedi qualcosa…?”

“Sei un po’ codarda, Catty” sibilò, agitandosi e riuscendo a sfuggire dalla sua presa. Rimbalzò sul pavimento con un saltello per poi fissarla con aria di sfida, a distanza di sicurezza.

Cat si guardò attorno, uscendo dalla sua camera, strisciando le suole delle ciabatte in direzione della strana combinazione tra salotto buono, laboratorio e cucina che si trovava oltre il corridoio.

A ogni passo, la sua mente ripercorreva quello che era successo nelle ore precedenti, ricordandole perché avesse dato tre colpi di chiavistello piuttosto che accettare un caffè mattutino appena preparato.

Aveva trascorso la notte con Reeve Tuesti, il suo (ex-) capo.

E aveva trasgredito alla sua Regola.

“Ha avuto un incubo, signorina Empitsu”.

Si immobilizzò sulla soglia, mentre Numero Quattro la superava e li lasciava soli scomparendo oltre l’ingresso, borbottando qualcosa su un improvviso impegno che aveva scordato.

“Stava lavorando nella sua stanza e si è addormentata. Ha avuto un incubo e abbiamo concordato che avrebbe potuto…” cercò le parole, accarezzandosi la barba “…non essere sola. Per una notte. Cait è stato molto felice di poter avere un intero letto tutto per sé”.

Non ricordava quell’incubo: avrebbe potuto essere qualcosa di dimenticabile senza troppi pensieri o una delle sue solite previsioni catastrofiche da cui avrebbe potuto dipendere il futuro del Pianeta. Tuttavia la sua memoria non le era – come al sempre - di aiuto.

Ricordava però quello che era successo dopo essersi svegliata di soprassalto, la fronte imperlata di sudore gelido e i brividi che le attraversavano la schiena, facendole dolere le tracce che il Geostigma aveva lasciato su di lei.

L’acciottolio della tazza che batteva sul tavolo la scosse dai suoi pensieri: Reeve la invitò a sedersi, mentre riscaldava e serviva la colazione a base di caffè nero e toast al burro.

Prese posto, a capo chino: “…Grazie” mormorò, rigirando lentamente il cucchiaio.

Si sedette sulla sedia accanto alla sua, facendo tornare la sua attenzione ad alcuni documenti impilati a distanza di sicurezza dal caffè e i suoi aloni.

Rimasero in silenzio per qualche minuto, ciascuno impegnato nelle sue attività del primo mattino. Cat stava mangiucchiando distrattamente il pane tostato quando la voce a qualche centimetro da lei la fece sobbalzare.

“…Solo una notte, signorina Empitsu. Non ha fatto nulla di sbagliato e non è successo nulla di sbagliato: per cui, le chiedo - gentilmente - di tornare in sé”.

Prese un sorso di caffè amaro, sforzandosi di deglutire. Come sempre aveva scordato il detto errare umano ma perseverare è diabolico: non accettare mai più biberoni bollenti dai propri superiori.

“Sto bene” sospirò, appoggiando la tazza e stringendola con forza tra le mani.

Sentì il suo sguardo posarsi su di lei, mentre una risata riempiva la stanza: “Stava sgusciando via dalla mia stanza con addosso le mie lenzuola. Se questa è la sua regola, posso anche concordare sulla sua ultima affermazione”.

“La mia regola è diversa” borbottò, per poi mordersi la lingua non appena chiuse bocca. Poteva ben immaginare l’espressione incuriosita dell’uomo accanto a lei, ma restò zitta, continuando a rigirare il cucchiaio.

“Come le ho detto, non è successo nulla di quello che per gli standard Shin-Ra sarebbe costato il posto ad entrambi. Non conosco il regolamento dell’Honey Bee Manor, ma non credo che…”

“NO” arrossì fino a sentirsi bruciare le orecchie. “È la mia regola, e di nessun altro”.

“Sarei troppo vecchio per lei, signorina Empitsu, non crede?”

“Non è una questione di età” scosse il capo, stringendo i pugni. “È una questione di… relazione professionale. Squisitamente professionale”.

“Mi ha baciato, una volta” incalzò, facendosi pensieroso. “Ma probabilmente stavo facendo un noioso discorso su come salvarle la vita e non aveva altri mezzi per zittirmi, o sbaglio?”

Si girò, senza guardarlo negli occhi: “…Le ho detto che non mi sono innamorata di lei” sbottò, soffiando con il naso. “Se lo fosse di me, lo ammetta a sé stesso e me lo dica chiaramente”.

Il rumore di un tuono lontano riempì il silenzio in cui cadde la stanza, mentre il sole si nascondeva dietro alle nuvole in corsa.

“…Che un fulmine la colpisca, signor Tuesti” sospirò, allungandosi stancamente sul tavolo e affondando i capo tra le braccia.

Una mano le si posò sulla testa, accarezzandole i capelli liberi dai suoi soliti fermagli, ignorando la maledizione che gli era appena stata lanciata: “Le darò una risposta”.

Cat si voltò verso di lui, senza capire, incontrando quello strano sorriso che lo aveva visto abbozzare prima di uscite al limite dell’assurdo come la Meteora ci sta cadendo addosso e noi andremo a nasconderci negli Slums – che il Pianeta ci abbia in gloria.

Si mise lentamente in piedi, sistemando le tazze e i piatti nell’acquaio: “Oggi ho in programma un appuntamento poco fuori Edge, non ci vorrà molto. Poi, quando tornerò, le darò la risposta che mi ha chiesto”.

In quel momento notò quell’abbigliamento formale, camicia bianca e pantaloni blu che aspettavano solo di essere abbinati a una cravatta e una giacca.

Lo vide uscire dalla stanza, per tornare qualche minuto dopo, stretto nel suo completo impeccabile, le chiavi del Motor Tri-cycle lasciate tintinnare nella mano.

Si avvicinò, chinandosi su di lei: “…Ora che è tutto finito, posso dirglielo sinceramente” le mormorò all’orecchio, scegliendo con cura le parole. “Sembra la mappa del Pianeta, quello che resta del suo Geostigma”.

Rimase immobile, mentre la salutava con un gesto della mano e la porta si chiudeva alle sue spalle.

Trascorse qualche lunghissimo minuto in quella stanza improvvisamente silenziosa, che il sole spuntato da dietro le nuvole era tornato ad illuminare, portando via tuoni e fulmini.

Senza pensare, Cat si alzò meccanicamente dalla sedia, dirigendosi nella sua camera.

Gettò sul pavimento la camicetta spiegazzata. Lo specchio appeso al muro le rigettò il riflesso di quelle macchie scure sulla pelle, immobilizzandola, mentre le parole di El (ex-) Capodipartimento Tuesti riecheggiavano nella sua testa.

Scrollò le spalle, afferrando una nuova camicetta bianca, poi con movimenti rapidi e precisi infilò i collant e il suo tailleur blu. Cercò febbrilmente la rossa spilletta quadrata della Shin-Ra tra i tanti gingilli che aveva collezionato, appuntandola al bavero.

Si pettinò velocemente e raccolse i capelli nell’infantile fermaglio con i pon-pon che qualcuno le aveva regalato tanto tempo prima. Forse Will. Forse Theo. Forse Lala. Forse - addirittura - suo fratello.

Afferrò senza indugiare la borsa di pelle nera, PHS e portafogli ricolmo di tesserine fatti cadere con un tonfo sordo al suo interno, e la assicurò alla spalla.

Percorse a larghe falcate il corridoio, fermandosi sull'ingresso e gettando un’occhiata a quelle stanze accatastate ai margini di Edge. Strinse le labbra, soffiando con il naso per poi tornare a fronteggiare la porta.

Infilò le scarpe basse dai tacchi consumati e mise la mano sul pomello: solo in quel momento il suo cervello tornò a tradurre in pensieri coerenti le sue azioni, mentre spingeva la maniglia verso il basso e l’aria fresca del mattino le riempiva i polmoni.

Cat Empitsu, 22 anni e parecchi mesi, ex-segretaria di qualsiasi Dipartimento A Caso dell’esimia Shin-Ra Company, con precedenti non ben specificati in quel degli Slums, stava scappando. Di nuovo.

Perché, in un angolo del suo cuore, non voleva avere risposta alla sua domanda.

In fondo, lei era proprio come la Fortunata Serie Fortune-Teller Cait Sith. Una codarda. Una spia. Una bugiarda.

“…Costa del Sol” sussurrò, incamminandosi e scomparendo tra i vicoli di Edge, senza voltarsi indietro. “Mi doveva una vacanza, signor Tuesti”.
Spoiler
E siamo giunti alla conclusione della lacrimevole (?) e malamente (non) corrisposta storia "Cat Empitsu MEETS Reeve Tuesti". Perché appunto, c'è un motivo se è andata a farsi una vacanza totalmente arrandom in quel di Costa del Sol.
Scheda personaggio Garden Club - Abi "Hade" De Vultures
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