La ricchezza del semplice
Inviato: 25 dic 2010, 01:48
Mentre le coscienze ormai ricolme di strenne natalizie e cibarie si apprestano a defilarsi verso adeguato ristoro, vi propongo queste pillole di meditazione sul primissimo Final Fantasy.
Di recente ho avuto occasione di riesumare nelle più disparate forme proprio questo primitivo capostipite, mosso peraltro da desiderio di accurata documentazione.
Subito mi è sovvenuta alla mente, come un'epifania novecentesca, l'incredibile ricchezza che gelosamente e genuinamente si trova racchiusa nella semplicità di questo titolo, spesso trascurata con la tipica alterigia del campo anche dagli appassionati che vogliano dirsi più coriacei.
È un peccato.
Perché Final Fantasy è un gioco senz'altro arduo, sprezzante, schietto, monocorde, perentorio, flemmatico, non levigato, non edulcorato, scevro di indulgenze e assolutamente ingeneroso.
Ma Final Fantasy è anche quel tipo di gioco che non lesina affatto in restrizioni tenaci, atte a dissuadere da qualsiasi feticcio megalomane e, non me ne voglia Rinoa, onanistico.
È quel tipo di gioco affetto alla base da sperequazioni ed asperità tecniche che talora rientrano tra le più bizzarre, tali a volte da arginare sul nascere qualsiasi avventato pronostico che valichi la soglia di un'ubiqua umiltà.
Ma è anche quel tipo di gioco che, in più passaggi, si rende *molto* più cursorio laddove l'inventiva del giocatore trascenda le prescrizioni (pur rigorose e mai labili o anarchiche) del cammino eroico intentato dai Nostri.
È anche quel tipo di gioco in cui il Boss finale è, per giusta logica interna, la fiera più temibile ed aggressiva, che atterrisce tutti i suoi oppositori per fattuale supremazia di competenze.
È quel tipo di gioco mai effettivamente iniquo se affrontato nella debita ottica, ed anzi foriero di vitali spunti per una ripresa ciclica sempre molto duttile e varia.
È quel tipo di gioco che, nella sua sobrietà che nessuno può certamente eccepire, nella sua eclatante e sconfinata distanza dall'idolatria dello sfarzo e dell'odierna dispersione, e soprattutto nella sincerità del proprio statuto e della propria misura, brilla di una luce abbacinante che conquista e rinfranca anche i veterani più disincantati.
In molti contestavano la presunta inanità della trama. Ma davvero, il finale è tutto.
Perché davvero, è incredibile come in un titolo che non fa vergogna della sua parvenza spoglia e della sua stretta focalizzazione possa affiorare un monito così verace, sensibile e profondo.
Poteri buoni, poteri malvagi, sono tutte analoghe ricadute di una stessa potenzialità neutra.
Nella potenza, nella libertà, nell'azione del singolo si inoculi dunque anche la responsabilità, intrinseca in ogni gesto.
Che è praticamente il miglior auspicio di sempre, da quando esiste l'umano.
Tutto questo in 257 miseri kB.
Final Fantasy è questo tipo di gioco dunque. Parca sostanza pulsante, da cui poste tali premesse confesso di scoprirmi oggi sempre più avvinto e conquistato.
Di recente ho avuto occasione di riesumare nelle più disparate forme proprio questo primitivo capostipite, mosso peraltro da desiderio di accurata documentazione.
Subito mi è sovvenuta alla mente, come un'epifania novecentesca, l'incredibile ricchezza che gelosamente e genuinamente si trova racchiusa nella semplicità di questo titolo, spesso trascurata con la tipica alterigia del campo anche dagli appassionati che vogliano dirsi più coriacei.
È un peccato.
Perché Final Fantasy è un gioco senz'altro arduo, sprezzante, schietto, monocorde, perentorio, flemmatico, non levigato, non edulcorato, scevro di indulgenze e assolutamente ingeneroso.
Ma Final Fantasy è anche quel tipo di gioco che non lesina affatto in restrizioni tenaci, atte a dissuadere da qualsiasi feticcio megalomane e, non me ne voglia Rinoa, onanistico.
È quel tipo di gioco affetto alla base da sperequazioni ed asperità tecniche che talora rientrano tra le più bizzarre, tali a volte da arginare sul nascere qualsiasi avventato pronostico che valichi la soglia di un'ubiqua umiltà.
Ma è anche quel tipo di gioco che, in più passaggi, si rende *molto* più cursorio laddove l'inventiva del giocatore trascenda le prescrizioni (pur rigorose e mai labili o anarchiche) del cammino eroico intentato dai Nostri.
È anche quel tipo di gioco in cui il Boss finale è, per giusta logica interna, la fiera più temibile ed aggressiva, che atterrisce tutti i suoi oppositori per fattuale supremazia di competenze.
È quel tipo di gioco mai effettivamente iniquo se affrontato nella debita ottica, ed anzi foriero di vitali spunti per una ripresa ciclica sempre molto duttile e varia.
È quel tipo di gioco che, nella sua sobrietà che nessuno può certamente eccepire, nella sua eclatante e sconfinata distanza dall'idolatria dello sfarzo e dell'odierna dispersione, e soprattutto nella sincerità del proprio statuto e della propria misura, brilla di una luce abbacinante che conquista e rinfranca anche i veterani più disincantati.
In molti contestavano la presunta inanità della trama. Ma davvero, il finale è tutto.
Perché davvero, è incredibile come in un titolo che non fa vergogna della sua parvenza spoglia e della sua stretta focalizzazione possa affiorare un monito così verace, sensibile e profondo.
Poteri buoni, poteri malvagi, sono tutte analoghe ricadute di una stessa potenzialità neutra.
Nella potenza, nella libertà, nell'azione del singolo si inoculi dunque anche la responsabilità, intrinseca in ogni gesto.
Che è praticamente il miglior auspicio di sempre, da quando esiste l'umano.
Tutto questo in 257 miseri kB.
Final Fantasy è questo tipo di gioco dunque. Parca sostanza pulsante, da cui poste tali premesse confesso di scoprirmi oggi sempre più avvinto e conquistato.