Contest: Sagra della caccia di Lindblum. Edizione speciale

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Pip :>
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Contest: Sagra della caccia di Lindblum. Edizione speciale

Messaggio da Pip :> »

Questa edizione della Sagra è definita speciale, in quanto organizzata dalla pagina Facebook "Garden Club" (qui il link --> https://www.facebook.com/pages/Garden-C ... fref=photo) e aperta a tutti coloro che abbiano messo "Mi Piace" alla pagina. Per maggiori informazioni, trovate l'evento sulla pagina del Garden Club (a questo indirizzo --> https://www.facebook.com/events/1637544253123851/).

Vi aspettiamo! :wink:
Leonheart88
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Incipit

Messaggio da Leonheart88 »

Una sagra diversa


Il guerriero si passò una mano fra i capelli scostando una ciocca ribelle che subito gli ricadde davanti gli occhi; il mago, al suo fianco, strinse le dita attorno al bastone. La tensione nell’aria era una morsa allo stomaco per i più deboli, un brivido lungo le vertebre per coloro che vivevano la vita nella polvere della guerra.
«Benvenuti a Lindblum.»
Cid rimase qualche momento in silenzio per permettere al vociare di spegnersi. L’uomo torreggiava su tutti i partecipanti dall’alto del palco in legno: i capelli e la barba rasa erano fili bianchi ma negli occhi brillava la determinazione nata dalle responsabilità di un popolo nelle proprie mani.
Quando ci fu quiete sorrise nel riprendere a parlare. «Quest’anno la sagra della caccia apre le porte ai guerrieri provenienti da tutti i mondi. Un’edizione che commemora il valore di ognuno di noi e ci ricorda che tutti nel loro piccolo possono essere eroi: non serve essere un principe dalla scintillante armatura per essere grandi. Il coraggio si trova anche nei cuori più deboli, basta sapere dove trovarlo. Lindblum vi chiama a questo. Scoprite il valore che si cela in ognuno di voi e che vinca il migliore.»
Si risedette, poggiando la schiena alla poltroncina, e bastò un cenno del capo perché squillassero le trombe.
Era il segnale.
In lontananza si sentì il rumore metallico delle gabbie che venivano aperte.
La sagra era iniziata.
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Leon Feather
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Aku Lilianne

Messaggio da Leon Feather »

Aku Lilianne
Ricorda: il tuo tempo qui sarà breve. Sfruttalo più che puoi.
Le parole le risuonano nella mente come un presagio o un fastidioso pensiero durante una giornata di festa - ciò che per lei è, effettivamente, quel giorno nelle consunte strade di Lindblum. Ad ogni passo ricordando vecchie battaglie, la trepidazione della gara e della lotta continua sulla pelle, imminente; corre spedita, capelli lunghi e scarmigliati al vento, semplicemente godendosi quel tripudio di sentori addosso.
Balza afferrando la più vicina insegna di una delle tante locande barricate e chiuse in occasione della Sagra; grazie allo slancio rotea sull'asta di ferro e lasciandola all'ultimo momento vi atterra in equilibrio, quel tanto che basti a darsi lo slancio di nuovo verso un cornicione più in alto, con un salto meno acrobatico e spettacoloso; e così ancora, fino ad atterrare su uno dei tetti di tegole della vecchia città. Sorride ancora una volta, qualche ciocca nera che appena nasconde il viso ma non la vista offerta da quella pur leggera altitudine: non più ostruito dalla selva di piccoli edifici in muratura segnati dal tempo e innumerevoli storie, lo sguardo si posa sui sobborghi più bassi ove la Sagra prende posto, nel Distretto Commerciale; su tutto torreggia sempiterno l'orologio del Quarto Distretto, tanto grande da potersi lievemente udire gli immensi ingranaggi che in lontananza girano, persino con quel fragore scatenato tutto attorno. Il vento montano fresco sul viso, il suono familiare di decine di aeronavi sopra l'imponente capitale in continuo movimento – gioia.

Quasi non ci credo di essere qui.

Lo sguardo si fa più attento, si focalizza su quelle strade e bestie numerose sfidate da altrettanti novelli cacciatori di gloria e fama; ma pure attardandosi fino a rasentare l’imprudenza.. Nulla.
Non ne trova neppure uno: come poco prima, quando il ritorno ben presto si era rivelato dolceamaro.

"Cosa? Davvero la Guenda è andata distrutta?"
"Certo: la notizia ha fatto piuttosto scalpore. Dopotutto, se ci sono meno strutture è più difficile avere l’aiuto dei SeeD.."


La verità era che da una parte cominciava a pentirsi di avere accettato quell'offerta nella speranza di trovarli nuovamente, di vedere di nuovo quella che aveva lasciato da lungo tempo e ancora serbava dentro come casa.

"Sai.. Forse potresti tornare." Aveva sgranato gli occhi a quell'affermazione dell'unica persona in grado di riportarla in quel mondo infinitamente distante nel tempo e nello spazio. Non le interessava niente di come o per quanto, voleva solamente avere una occasione di ritrovare tutti, di sapere come stavano; se effettivamente erano ancora lì, sperando con tutto il cuore che le sue aspettative sarebbero state soddisfatte. L'universo è troppo grande per riuscire a trovare una singola persona o poche di più, per ricongiungersi a ciò che è un proprio pezzo mancante.
Senza scomporsi se non aggrottando lievemente le sopracciglia, la ragazza dagli occhi smeraldini continua a osservare in una ricerca quasi disperata; ormai senza alcuna precauzione, gambe ciondoloni dal comignolo spento sul quale è seduta, picchiettando sul manico di una delle due spade. Non si accorge che l'aria attorno a lei si scalda leggermente – abitualmente troppo calda di suo, come se sempre avesse la febbre. Così, assorta nel suo personale, piccolo dramma, finisce per cadere preda dell'inevitabile - un agguato.

bwoohm

La deflagrazione è potente: fuoco e fiamme che non possono ferirla ne arderne le vesti, ignifughe, ma sicuramente abbastanza forti da scaraventare via quel suo corpo tanto minuto e leggero - colta alla sprovvista, riesce a intravedere per pochi attimi una figura fluttuante, forse un Grenade. Poi, la caduta libera a quasi una decina di metri più in basso.
Scappa un gridolino istintivo, il panico che ha preso per un attimo il sopravvento, poi lasciando posto a quel minimo spirito di sopravvivenza, reazione: porta le braccia in avanti mentre s'avvolgono di un alone fiammeggiante, uscendone ruvide, coperte di grosse e dure scaglie rossastre e nere. L'impatto è forte, ma artigli e ossa robuste riescono ad ammortizzare l'urto, rimanendo appena confitti nella pietra: trema ancora, improvviso fiatone e tachicardia, oltre un leggero giramento di testa dato dallo sforzo improvviso e la botta potente, pur avendola lasciata indenne. Poggia finalmente i piedi a terra pochi istanti dopo, facendo forza con le spalle per liberare le mani ora più simili a zampe animalesche; flette le dita ritmicamente per assicurarsi di stare bene, smaltire la tensione, mentre, infine, si lascia andare ad un grosso sospiro, le gambe che si fanno molli per qualche attimo. La mancanza avuta è imperdonabile, sapendo comunque quanto sia tipico di sé lasciarsi andare all'emozione e perdere di vista la priorità. Meglio mantenere la guardia alzata d'ora in poi; devo almeno godermi la Sagra, non restarci secca..

Un suono leggero e sibilante, quello che fa la pietra quando striscia su altra pietra, coglie la sua attenzione in una nuova impennata adrenalinica - gira di scatto alla propria destra, là dove il sole ora proietta l'ombra delle palazzine e nasconde quanto basta il bersaglio a chi sia disattento. E per un attimo effettivamente non le sembra ci sia nulla nei paraggi a rappresentare una minaccia, lasciandola confusamente in posizione di lotta, pronta ad attaccare un nemico inesistente.. O forse no.
Di nuovo sibilare - occhi vuoti la fissano, mentre ciò che dovrebbe essere una statua inanimata avanza verso di lei; aggrotta le sopracciglia ricordando di quale creatura si tratti, una delle più peculiari della Sagra. In grado di pietrificare, era necessario abbatterla immediatamente se ce la si trovava davanti; e perlomeno con quegli artigli possenti non sarebbe stato difficile infliggere seri danni perfino alla pietra che era la sua carne. Scatta senza attendere oltre, il rischio di rimanere come belle statuine è troppo grande; scarta lateralmente per evitare lo sguardo da cui si dipartirebbero altrimenti i temibili raggi pietrificanti, facendo perno per attaccare mirando alla testa del mostro; e intanto si spalanca come un forziere l'epitaffio stesso. Prima di potere raggiungere con tutta la forza di quel destro la creatura immobile, il colpo viene intercettato dalla violenta sferzata di una spada curiosamente familiare.
Rantolando sorpresa e smossa di forza da quel colpo improvviso, perdendo l'equilibrio si butta in avanti in una capriola un po' arrangiata spostata sul fianco sinistro; un istante dopo il suo passaggio, il suono di un proiettile rimbalzato al terreno riecheggia nella strada. Facendo leva sulle gambe e scattando brevemente in avanti, si rivolta a vedere chi possa essere intervenuto. - Giusto, non era anche capace di creare delle copie? O qualcosa del tipo..
Iridi verdi si specchiano però in iridi altrettanto verdi, seppur molto più irate di una furia che conosce bene. Capelli scarmigliati e neri, solo più corti, incorniciano un viso dai tratti giovanili di chi sta ancora attraversando l'adolescenza; in una mano una spada doppia quasi troppo grande, nell'altra una pistola semiauto che ancor fumava per lo sparo. Indosso, la fin troppo familiare divisa del Garden, che non aveva mai fatto distinzione fra gradi.
C'è qualche secondo di immobilità mentre con tanto d'occhi e confusione crescente, la ragazza fissa la se stessa più giovane appena clonata dalla sua mente, percepita dai sensi soprannaturali del mostro statuario. - « Ok.. E questo che mi significa!? » - Non si aspetta in realtà una risposta; si tratta di un clone. Tuttavia..
« Sai dov'è Sara? »
Un po' a bocca aperta, inarca le sopracciglia, rimanendo comunque in guardia. - « Cosa? »
« Anche Teoskaven va bene. Dimmi dove sono. » - Serissima, la ragazzina si avvicina di un passo, le spade saldamente in pugno, senza mai distogliere lo sguardo. - « Dimmelo e non ti farò del male. »
« Non so che dirti. Non lo- AAAAHH » - Un rumore acuto pervade la strada di ciottoli e pietra attorno, mentre una sensazione di pesantezza si fa strada nella ragazza dai lunghi capelli neri; avendo a che fare col proprio clone, completamente dimentica dell'Epitaph, aveva lasciato che la colpisse a tradimento con uno dei suoi raggi pietrificanti, che le aveva ora tramutato in roccia metà braccio destro. Merda!
Lo sguardo già serio del clone si anima di disprezzo, rancore. - « Te le cerchi, così. » - Poi scatta all’attacco; spada che ora si divide a due, sceglie un colpo a tenaglia manovrando le lame a convergere, sgualembro dritto e ridoppio roverso con in mezzo la preda; la grande non rinuncia per ora alle scaglie mutate, alzando le braccia a proteggersi ai lati. Le lame cozzano sonoramente, già iniziando a scivolare fra le scaglie per animarsi nella prossima mossa, ma portando avanti il piede destro in velocità, le pianta direttamente una testata in mezzo agli occhi: la ragazza più giovane emette un suono strozzato di dolore, anche se non sanguina - probabilmente non può nemmeno farlo - mentre barcolla all'indietro, stordita per qualche secondo prezioso. Ancora la pietra sibila, provocando l’ira della cacciatrice.
« ..FIRAGA! » - Il calore è tale da far sciogliere in parte la roccia del mostro mentre esso arretra pateticamente, ferito gravemente. Ma è chiaro come un altro avversario ora abbia la priorità e su di lei un grosso vantaggio - arretra, mentre il braccio buono torna normale, come se le scaglie scomparissero sotto la pelle, gli artigli si prosciugassero. Se uso il braccio pietrificato come uno scudo posso ancora combatterla.
Un attacco semplice dall'alto con entrambe le lame; si scontrano con il braccio di pietra alzato a incontrarle, lasciando scivolare le armi lungo il profilo dell'arto. Approfitta dell'istante di ripresa per sfoderare la spada destra con la mano sinistra, cercando di passare sotto la guardia del clone con un semplicissimo tondo dritto; il colpo viene intercettato all'ultimo momento dalle due spade che scivolate giù cozzano di violenza sulla punta della lama, lasciando che il colpo si defletta da solo nel suo squilibrio. E ancora un colpo e un altro poi, in un duello a ritmo serrato: si morde il labbro, cercando di starle dietro pur avendo quel braccio che l’appesantisce. - Se l'Epitaph crea una copia di ciò a cui si tiene di più.. Perché dovrebbe copiare me stessa?

Non riesce a capire che significato debba avere quell'apparizione, sebbene una parte di lei sospetti sia molto meglio non chiederselo, poiché è ciò che il mostro stesso vuole. Difficile però, difficilissimo, smettere di pensarci, mentre continuava ad attentarle alla vita e non smetteva più di chiederle, ancora chiederle.
« Rispondimi! Dimmi dove sono! »
Diavolo, qualcosa deve voler dire se questa mi chiede di loro… Ma... sbaglio o sta colpendo il braccio pietrificato di proposito?
Che continui a dirigere colpi su quell’arto ingrigito era evidente, lasciando in parte scoperta la guardia pur di colpire, offrendole molteplici aperture – uno, due piccoli squarci di spada si aprono sulla pelle del clone, su braccio e gamba destra, abbastanza profondi da debilitarne in parte il movimento. Sembrava stare riuscendo a soverchiarla; se solo avesse potuto colpire più a fondo la gamba e impedirle di muoversi agevolmente, l’avrebbe avuta in pugno in breve, mentre ancora si accaniva sul braccio di pietra.

crick

Il suono è quasi impercettibile, ma la sensazione di mollezza si fa strada fin nel cervello, inquietante e innaturale pur non provocando dolore. Una occhiata veloce..
Sul braccio si stavano aprendo numerose crepe.
Una vampata di sudore a dir poco gelido serpeggia addosso, mentre istintivamente ora porta a distanza dalle lame clonate l’arto pietrificato; e c’era da avere seri dubbi avrebbe potuto riattaccarlo o guarirlo, nell’eventualità si distruggesse. A malapena ammortizzando l’ultimo assalto ricevuto, si slancia indietro per portarsi a debita distanza, conscia di dovere finire in fretta per cercare cure. Devo nascondermi, devo nascondermi.. diavolo, una siepe non basta certo.. Ehi!
Colpo di genio, in un attimo si avvicina allo stesso mostro di pietra; scarta lateralmente evitando un altro pericoloso raggio pietrificante, portandosi dietro la creatura stessa. E’ un modo di impedirle di prendere a sparare nella sua direzione, o avrebbe potuto ferire lo stesso mostro che l’aveva generata e probabilmente la teneva in vita: le basta quella manciata di secondi per accumulare energia, un colpo piccolo e veloce per prendere il clone in contropiede e creare l’apertura necessaria a colpire. Un secondo, du- eccola, già in procinto di roteare le due spade congiunte in una spazzata. - « Fire! »
Il clone arretra di nuovo, stordito e barcollando, non riuscendo a reprimere un grido di dolore e portando una mano al volto - ma ha la prontezza di sgattaiolare via; la insegue senza indugio, girando attorno il mostro di roccia per non incontrarne l’infido sguardo. Incespica per un attimo nel passo, e la ferita alla coscia pare essersi allargata, come se si stia pian piano lacerando alla mò di un foglio di carta, qualcosa di estremamente fragile. Si gira, continuando a indietreggiare, chiaramente in panico, di nuovo guardando la sua originale. Aah! Non ora che le cose si mettono bene!
« Non voglio combattere! Dimmi solo dove posso trovarli! »
Lei schiocca appena la lingua con impazienza. - « Ti ho detto che non lo so! E smettila di chiedermelo, era troppo tempo … » - … fa.
Non si accorge di essersi ora completamente fermata, senza più correrle dietro; il colpo di spada preparato ridotto a un sol braccio piegato distrattamente, mentre gli occhi un po’ si fanno vacui. No, piuttosto delusi, disgustati.

Tempo fa. Diavolo, è i miei ricordi. Quel clone è i miei ricordi. Sono ciò che ho di più prezioso.

Quei ricordi che fino a pochi minuti prima, che anche in quel momento la chiamavano, l’imploravano di ritrovarli e a loro l’attraevano, ciò che non aveva e al tempo stesso le dicevano chi era: risate e tempi bui, incomprensioni, ma soprattutto legami, un posto nel cuore altrui. Ciò che sa più di casa – la catena che si trascina perché altrimenti, non avrebbe più alcun riferimento.
Immobilità che si prolunga nel tempo, la sé più giovane zoppicando tenta d’avvicinarsi, quell’unico occhio smeraldino che la scruta; speranzoso, impaurito. Pare così reale da far salire nausea.
« Dammi una mano.. »
Riscossa dai suoi pensieri, pupilla che ora si focalizza su quell’avversario tanto psicologico quanto fisico, indietreggia, lo sgomento chiaro in viso, un senso crescente di inquietudine, di paura.
« Per gli dei, non osare toccarmi. »
« Ma io.. »
« NO! »

Il sibilare più vicino di pietra su pietra la mette in allerta – ecco cos’era quell’atteggiamento innocuo e spaventato: una distrazione. E ben riuscita, tanto da lasciarla confusa e spaesata, vincendo il disprezzo e la quieta ira crescente soltanto per istinto di sopravvivenza; scansa con forza il clone facendolo barcollare sull’unica gamba buona che gli resta e si porta a distanza, ancora evitando di restare troppo vicina al raggio d’azione dello sguardo di pietra.
La reazione se l’aspettava: la ragazzina si scrolla e torna a caricare, cercando di colpire il braccio pietrificato, protetto dall’unica spada rimasta ad attaccare e far da guardia. E’ un fantoccio comandato a distanza dal suo padrone statuario per intrattenere l’avversario e lasciare che si tradisca con la disattenzione del proprio turbamento.
Non le sta quasi dietro, così impacciata da un braccio monco; e portando a distanza l’unica lama che le resta, il clone colpisce con l’altra spada, sgraziando la guancia di un lungo sfregio - evita il peggio solamente per prontezza di riflessi.
« Aiutami e tutto questo finirà! » E’ vicina, vicinissima, e la sua spada già abbassata; saetta verso il fianco in un tondo roverso.
« Non posso aiutarti, » - Sibila fra i denti, mentre la lama squarcia di netto il ventre, trancia il busto dalle gambe di quell’ologramma proprio di massa. - « perché tu non esisti! »

Tu non esisti più.

In una frazione di secondo, svanisce in una nube luminosa, eterea. La ragazza si lascia sfuggire un sospiro tremante, lieve, prima di udire ancora una volta pietra su pietra, e capire che non ha tempo da perdere.
Ah, non ne fai un altro adesso.. - Mascella serrata ed aere che si surriscalda, fiamme che già crepitano lungo la mano mentre si volta-

crash

Molte cose accadono assieme: un tonfo immane scuote la strada deserta ove aveva avuto luogo la lotta, e con la semplice forza del peso un dragone rossastro attirato dalle ruggenti fiamme di prima schiacciava distruggendo l’odiata statua, ora un ammasso di pezzi di pietra inanimati; il braccio destro fino ad un attimo prima pietrificato, nell’istante in cui l’Epitaph viene distrutto si libera dalla prigionia di quella maledizione, pur essendo coperto di tagli e dolendo, traccia dei colpi sofferti.
Privata del nemico ma con uno più grosso ed agguerrito a prenderne il posto, Asten alza lo sguardo smeraldino a incrociare gli occhi d’ambra che la fissano animati di una luce crudele, intelligente e curiosa, mentre le fiamme che lei stava per evocare poco prima ancora non sbocciavano: “Fallo, tanto sarà inutile con me”. Nonostante tutto lei ride, di una risata amara che mostra i denti.
« Mi porti via la vendetta e ti fai persino beffe.. Ma non ti biasimo, non hai scelto l’avversario più adatto. Stiamo al tuo gioco, vediamo chi è la bestia più furiosa qua dentro.. »
Calore l’avvolge in una veste di fiamme; poco dopo, fin da lontano si possono udire i ruggiti iracondi delle bestie, due dragoni che si danno ferocemente battaglia – solo uno ne uscirà sopravvissuto e vincitore, memore di altre innumerevoli battaglie con dragoni ancor più grandi, una sfida che non teme.
Ma nella lotta più importante, quel giorno aveva ricevuto soltanto sconfitte.
Can you feel my, can you feel my, can you feel my tears?
They won't dry
Can you feel my tear drops of the loneliest girl?
The loneliest girl


Scheda Garden
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Leon Feather
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Alberto C.

Messaggio da Leon Feather »

Alberto C.
L'atmosfera di Lindblum si animava sempre più ad ogni istante che scorreva.
Le guardie sollecitavano gli abitanti a evacuare la città, assicurandosi che le strade dei borghi fossero sgombere. Non mancava molto all'apertura delle gabbie, e chiunque non fosse riuscito a lasciare i quartieri bassi della città avrebbe preso parte a quell'evento, tanto cruento e atteso dalla folla. Nel borgo teatrale la piccola Estele, col fiatone in corpo, correva verso la funivia.
Il mezzo avrebbe compiuto la sua ultima corsa, senza far ritorno prima della conclusione della sagra. Le tozze e minute mani stringevano la piccola tracolla, mentre con gran fatica cercava di tenere il passo di chi la precedeva. La distanza che la separava dal gruppo aumentava sempre più.
Avrebbe voluto urlare per chiedere aiuto, ma priva della parola, era possibile udire solo i suoi affanni. Oramai quasi tutti avevano preso posto, solo pochi metri la separavano dall'arrivo.
Un sonoro tonfo alle gradinate e la piccola Estele si ritrovò sul freddo pavimento
Le porte della funivia si chiusero lasciando il borgo e l'infante alle spalle. I grandi occhi color ambra cominciarono a divenire lucidi, mentre le candide goti si arrossarono cominciando a inumidirsi delle lacrime. Destandosi da terra sfregò le mani sul semplice vestito bianco, oramai imbrattato dalla polvere, sistemandosi poi i rossi capelli disordinati dalla caduta. Accompagnata dai continui singhiozzi uscì dalla stazione. Forse poteva ancora fare in tempo a trovare un riparo negli edifici del borgo. Asciugandosi le lacrime cominciò nuovamente a correre, nel disperato tentativo di trovare un luogo sicuro che la ospitasse fino al termine della sagra. Lungo il tragitto vanamente provò a cercare di aprire le porte delle abitazioni. Chiuse e con esse anche le finestre. Poi il possente suono di un corno risuonò per tutta la città, annunciando così l'inizio della caccia. Seguì uno stridere di catene assieme al rumore metallico delle gabbie. Un fascio di luce luminosa avvolse gli edifici della città, oramai divenuti inaccessibili per chiunque. I primi ruggiti non tardarono a farsi sentire alimentando la paura della piccola Estele, che subito sfrecciò nel vicolo più stretto nelle vicinanze. Accucciandosi nell'ombra portò le mani alle orecchie, impaurita dai continui versi disumani delle belve, che sembravano andavano ad aumentare e sembravano sempre più vicine. Il battito del suo cuore impazziva ad ogni secondo che trascorreva, tanto da farle male il petto. Il fiato era sempre più corto e pesante, e in tutto questo le sue lacrime non smettevano di rigarle il tenero volto. Le dita dei piedi, oramai divenute nere, si stringevano graffiando il terriccio in continuazione. Sibili di frecce e strepiti di lame si univano alle urla dei mostri, generando confusione nella mente della piccola elfa, che non voleva altro in quel momento che la fine di quel supplizio fosse vicina. Fino ad ora sembrava che il nascondiglio funzionasse, ma il termine era ben lontano e chissà per quanto ancora avrebbe potuto eludere le minacce. Stringendo le braccia attorno alle ginocchia continuava a rimanere vigile. Poi di improvviso un'ombra si faceva sempre più grande al di fuori di quel vicolo. Il modo in cui avanzava appariva molto goffo e bizzarro, producendo un suono molto strano e unico nel suo genere. Estele aderì la schiena alla parete del muro e con il cuore in gola osservò l'avanzata dell'essere. L'area dell'ombra accresceva con l'avvicinarsi del mostro.
L'elfa deglutì strizzando gli occhi oramai rassegnata, ma non appena quello strano suono si interruppe li dischiuse leggermente, permettendogli di capire cosa fosse successo. Di fronte a lei un piccolo esserino color azzurro dalla forma umanoide, con occhi a spirale e un codino con un lume alla sua estremità. Non sembrava dare alcuna attenzione alla piccola elfa, trovando più interessante la tracolla che si trascinava dietro. Camminava tutt'intorno allungando le minuscole braccia verso essa, per cercare di tastarne il contenuto. A poco a poco la paura che stava dominando Estele si attenuò vista l'aspetto in apparenza innocuo del mostro. Allontanò quindi la sacca dal mostriciattolo, avvolgendola nelle sue braccia per proteggerla. L'esserino sobbalzò di risposta alzando poi lo sguardo sull'infante. Voleva solo che se ne andasse, non conosceva le reali intenzioni di quell'essere, e se quel suo aspetto tanto innocente e vulnerabile nascondesse i veri pericoli con i quali avrebbe aggredito le sue vittime?. Rimase quindi immobile nella speranza che fosse lui stesso a prendere le distanze. Contrariamente ai suoi propositi continuava a rimanere vigile avanti a lei. La sagoma del suo corpicino cominciò a risplendere e a dorarsi. Animati da una magia sconosciuta due pietre dalla forma sferica si sospesero in aria. Al tempo stesso dai fiori nelle vicinanze uno prese a staccarsi dallo stelo cominciando a volteggiare roteando circolarmente vicino ad una delle pietre. Gli occhi della bambina ammiravano lo strano fenomeno osservando con attenzione. Facendo ondeggiare le braccine azzurre il fiore prese ad allontanarsi dalla pietra cominciando ad avvicinarsi sempre più all'altra fino a poggiarsi completamente sulla superficie. Divertita dallo spettacolo ad Estele sfuggì una piccolo sorriso di stupore, poi con un ultimo movimento delle manine dal fiore si separarono i petali sparpagliandosi ovunque, ma prima che potessero toccarne il terreno svanirono nel nulla. Gli strani occhi a spirale guardavano la prima pietra dalla quale si era distaccato il fiore, tendendo le mani in avanti quasi per abbracciarlo. Il messaggio anche se confusionario arrivò alla mente sveglia dell'elfa, mutando di conseguenza il suo sorriso in un broncio di tristezza.
La sagra nel frattempo procedeva, i mostri come i loro cadaveri brulicavano per le strade occupati nei combattimenti con i valorosi guerrieri. Infondo al vicolo di improvviso apparve un grenade.
Era stato colpito da un fendete di uno dei partecipanti, sbalzandolo all'indietro. L'enorme palla fluttuante cominciò ad agitarsi iniziando a vibrare sempre più, mentre dalla sua estremità rilasciava caldo vapore e dai grandi occhi si poteva scorgere la sua ira crescere. La massa sferica diventava sempre più grande inghiottendo nella propria ombra l'avversario, il quale intimorito lasciò cadere l'arma al suolo. Non vi fu scampo per il malcapitato che dopo poco stramazzò a terra privo di sensi bruciato da un potente fire del mostro. Tutto ciò accadde sotto gli occhi della bambina che inerme non poteva far nulla per quell'uomo....Ma in pericolo al momento era la sua vita, non rimaneva altro che pregare che lo sguardo del mostro non incrociasse l'elfa. L'esserino azzurro continuava a rimanere al suo fianco quasi non gli importasse di ciò che era accaduto. Si limitò ad osservare la bimba impaurita inclinando il volto di lato con fare interrogativo. Un solo sbuffo e gli occhi pazzi del grenade puntarono la sua preda. Una profonda risata gutturale e con uno scatto il mostro si voltò verso il vicolo accorgendosi di Estele. La bambina si appiattì contro il freddo muro di pietra graffiandolo con le unghie con il panico e il terrore in corpo. Il suo viso disperatamente si voltava freneticamente da ogni lato in cerca di una via di salvezza, ma quella trappola non sembrava consentirne in alcun modo. La sola fortuna era la stretta via che separava il mostro dalla piccola elfa, le dimensioni del mostro non gli consentivano di poterla raggiungere, ma questo di certo non costituiva per lui un problema potendo usufruire della magia. Non attardò quindi a far nuovamente uso del suo Fire. Una piccola area sotto i piedi dell'elfa cominciava a scaldarsi, acquistando un colorito rossastro. Prontamente Estele afferrando il piccolo mostriciattolo azzurro fra le mani balzò in avanti, schivando le fiamme che si innalzarono qualche secondo dopo. In preda alla collera il Grenade prendendo una lieve rincorsa tentò di oltrepassare l'ostacolo delle due pareti, rimbalzando di conseguenza gonfiandosi per la seconda volta. Al momento del rimbalzo le corte gambe della bimba scalpiratono sul terriccio, sollevando piccole nubi di sabbia, fino ad uscire dal vicolo continuando a correre a più non posso con il novizio amico fra le braccia. Dietro di lei il grenade borbottando la inseguiva castando di continuo la sua magia preferita, avvicinandosi sempre di più al bersaglio. Le scarse falcate non bastarono per seminare l'aggressivo mostro che con la sua ultima magia riuscì ad ustionare il ginocchio di Estele, facendola ruzzolare a terra. Arrancava dalla disperazione con le lacrime agli occhi e ancora nelle proprie mani quel piccolo mostriciattolo, che come meglio poteva cercava di proteggere.
Di nuovo quella grassa risata gutturale che preannunciava la vittoria del grenade sulla strana coppia di amici. Gli occhi a spirale della minuta creatura si chiusero cominciando a far risplendere il suo lumino sollevando diverse pietre dal terreno per poi scagliarle contro la bestia.
La grande sfera non poté sfuggire a nessuno di essi venendo colpita ripetutamente da quella mitragliata di pietra. L'armatura che la ricopriva si fece incandescente mentre la massa aumentava ed aumentava insieme alle urla del mostro. Estele destandosi da terra zoppicando iniziò a prendere le distanze dal mostro, tenendo una delle mani sul ginocchio e i denti stretti dal dolore. Ne seguì una potente esplosione che sbalzò via la piccola pochi metri in avanti. Il corpo ricoperto di tagli e graffi e il vestito candido e bianco oramai lacero e sporco del suo stesso sangue. Poco distante da lei più vicino al luogo dell'esplosione giaceva a terra anche il piccolo mostro anch'egli logorato, sebbene in modo più superficiale. Dietro di loro una grande nube di polvere oscurava le strade del borgo che li precedevano. Il primo a dar segni di vita fu l'azzurro essere che si issò goffamente da terra, seguito dopo poco da Estele, barcollante dalle ferite.
L'elfa tirò un sospiro di sollievo nel sapere che il suo amico stesse bene, rivolgendoli uno smagliante sorriso, riconoscente nei suoi confronti per aver abbattuto quel mostro.
La vittoria per i due fu troppo breve.
Due luci cremisi risplendevano dietro la nube mentre ai lati oscillavano due lunghi baffi. Una nuova belva stava per avvicinarsi, mentre questa ruggiva mostrando a poco a poco le sue fattezze feline. Con un balzo uno Iaguaro, attirato dalla precedente esplosione si avventò sul tenero e piccolo essere, che fu vittima dei suoi artigli affilati. La bestia si divertiva a torturare il suo giocattolo, scaraventandolo via con la sua ultima zampata. Estele voleva aiutare il suo amico ma cosa poteva fare una bambina della sua età a sfidare un mostro del genere, per lo più ferita. Il suo sguardo era torturato da quella visione tanto cruda e triste. Oramai il piccolo esserino era in fin di vita e ben presto lo Iaguaro avrebbe deciso la sua sentenza. I baffi oscillando velocemente si illuminarono alle estremità di una luce violacea, pronto a lanciare il suo anatema. Un bagliore accecante del medesimo colore avvolse lo Iaguaro e il minuscolo mostro, costringendolo a proteggere i suoi occhi dalla fastidiosa luce. Un sibilo di una freccia un urlo straziante e il suono di un tonfo, queste furono gli unici suoni che si poterono udire. Non appena quell'improvviso lampo si attenuò a terra vi era lo Iaguaro vinto con una freccia che ne trapassava il cranio. Probabilmente fu uno dei cacciatori della sagra che reclamò la sua vita scoccando quella freccia, dileguandosi subito dopo.
Gli occhi del mostriciattolo si aprirono trovando di fronte a se la piccola Estele. Il volto della bambina sorrideva dolcemente mentre fissava l'esserino.
I suoi piedini erano diventati di fredda pietra e la piaga a poco a poco stava espandendosi lungo tutto il suo corpo. Lo Iaguaro era riuscito comunque a lanciare il suo ultimo attacco prima di spirare, ed Estele con le sue ultime forze aveva fatto da scudo per il suo amico. Nonostante la consapevolezza del suo destino continuava a sorridere mutando ad ogni secondo che passava. Oramai quasi metà del suo delicato viso era divenuto di pietra. Prima che fosse troppo tardi frugò nella sacca, che fino a quel momento si era trascinata dietro, estraendone una boccetta in vetro contenente un liquido cristallino e splendente. Un elisir...un ultimo dono con il quale il piccolo essere avrebbe potuto curarsi delle sue ferite.
L'anatema si concluse mutando la povera Estele in una statua di pietra, mentre le manine stringevano il suo dono. L'umanoide azzurro alzò lo sguardo verso l'ultimo sorriso, oramai indelebile della piccola, contemplandolo per diversi minuti. Allungò il codino in avanti cominciando a far brillare la sua estremità. Quella luce avvolse il suo corpo ed assieme ad esso la boccetta di elisir, brillando sempre più.
Come per miracolo gli occhi della piccola Estele si riaprirono, sbattendo le palpebre di continuo per l'incredulità. Il suo corpo non era più pietra ma era tornato alla normalità, scalpitando dalla gioia. Il suo sguardo cominciò a cercare avidamente l'amico, senza però trovarlo da alcuna parte.
Nella sua mano stringeva ancora la boccetta... vuota.
Chinandosi a terra portò il contenitore di vetro al petto stringendolo... intanto il terreno si bagnava delle sue lacrime...
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Come un gioiello splendente, Lindblum si parò davanti ai miei occhi piena di vita e di colori. Aeronavi fluttuavano eleganti attorno al molo in lontananza mentre la mastodontica porta del drago terrestre si ergeva dinanzi a me. La sagra della caccia mi attendeva, la mia occasione per dimostrare il valore del mio lavoro di una vita. Per dimostrare all’ateneo di Holy See of Ishgard di che cosa fosse capace la mia arte. Alzai lo sguardo al cielo ed andai incontro al mio destino.

"Mi stai dicendo che la tua arte è migliore della nostra? Il lavoro di secoli e secoli di eccellenti studiosi sarebbe nulla di fronte a ciò che tu oggi ci proponi?” Quei vecchi elezen dell’Athenaeum Astrologicum, fossilizzati da troppo tempo sulle loro preziose tradizioni, mi guardavano dall’alto in basso. Come fare per convincerli? “Non sto dicendo affatto che sia migliore… Chiedo solo la possibilità di poterla insegnare. La possibilità di diffondere quest’arte. La possibilità che venga usata per guarire, per proteggere, per guidare!”

Il granduca Cid stava terminando il suo discorso di apertura, la sala d’attesa era gremita di avventurieri. Persone di ogni dove attendevano trepidanti di combattere, ognuno per le proprie ragioni. Un paio di Hyur mi guardavano incuriositi mentre agitavo a destra e a sinistra la coda per l’ansia mentre un gruppetto dietro di me chiacchierava allegramente. Qualcun altro di loro affilava la propria arma in silenzio mentre uno strano tizio dai capelli verdi mandava una maledizione ad un certo Yevon per aver fatto cadere la birra che stava bevendo. Ognuno si preparava per la sagra a modo suo… ma tutti erano determinati a vincere. “Scoprite il valore che si cela in ognuno di voi e che vinca il migliore.” Disse il granduca, seguito da uno squillo di trombe: la sagra era cominciata. Presi un respiro profondo, quindi afferrai l’astrolabio. I settori di cui era composto iniziarono a roteare separatamente sulla mia mano, seguiti dalle 13 carte preparate per l’occasione.

“Quindi ammetti che la tua arte è inferiore! Cosa se ne dovrebbe fare Ishgard degli scarabocchi di un moccioso?” disse l’anziano prorompendo in una supponente risata. “Non sono gli scarabocchi di un moccioso! Datemi un’occasione. Una soltanto! E ve lo dimostrerò.” Per un istante, l’aria di sufficienza del concilio mi schiacciò a terra. I loro sguardi di derisione, di superiorità… di disprezzo. Ma non avrei permesso loro di distruggermi. Risposi al loro sguardo con il mio. Uno per uno.

Dove andare, dove andare… Le destinazioni erano tante e gli Aircap partivano a ripetizione per tutti i borghi di Lindblum, smaltendo lentamente la folla di combattenti. Ero giunto fin lì per dimostrare il valore della magia tramandata da generazioni nella mia famiglia. E quella era la prima occasione per farlo.
Primo passo: sintonizzare l’energia eterica con le costellazioni.
Secondo passo: trasferire l’energia nell’astrolabio.
Terzo passo: pescare una carta. Il destino mi avrebbe guidato alla mia meta.

Il mio sguardo incontrò per ultimo quello dell’anziano Jannequinard. A lui dovevo un’enorme favore… se avevo potuto parlare in quella sala era solo merito suo. Conosceva mio padre, conosceva la mia magia, sapeva di cosa fosse capace. Anche se non poteva ammetterlo apertamente, era dalla mia parte. “L’astrologia di Sharlayan ha la stessa dignità di quella di Coerthas. Con le nostre carte divinatorie possiamo leggere il destino… e piegarlo al nostro volere. Curare malattie, chiudere le ferite, difendere dagli attacchi e contrattaccare... Datemi un’occasione, ve ne prego!” E fu proprio Jannequinard a parlare. “Un’occasione, chiedi? Potrei avere quello che fa per te.” Disse sorridendo.

Con l'astrolabio individuai la posizione della costellazione, Virgo mi avrebbe indicato la via. Presi l’Aircap e, in meno di un minuto, arrivai dove la battaglia per il mio futuro sarebbe cominciata. Il borgo teatrale mi accolse a braccia aperte e… beh, non proprio. Appena il tempo di scendere dal bus che uno Iaguaro mi si parò davanti. Mi impietrii alla vista del nemico pronto a farmi fuori e per un attimo tutte le mie certezze crollarono. Sarei riuscito veramente a raggiungere il mio obiettivo? E se quello che avevo studiato tanto a lungo non si fosse rivelato esatto? Se quelli dell’ateneo avessero avuto ragione? Mi ero preparato fino alla nausea per quel momento… eppure quando era arrivato il momento di mettere in pratica… Lo Iaguaro mi si avvicinò con passo felpato mentre sui baffi si condensava energia. Dovevo evitare quell’attacco Blaster ma le gambe si erano pietrificate. L’attacco della creatura andò ad infrangersi sulla barriera appena generata all’ultimo momento, lasciandomi intorpidito. “Dannazione, veleno!”

“Eeeeeeh? Cosa? Come…” Di che stava parlando quel pazzo? Altri mondi? “Andrai su Gaia, dove parteciperai ad un torneo. Visto che la tua astrologia è avanzata come quella di Ishgard, non avrai problemi ad adattarla ad un cielo diverso.” Maledetto Jannequinard… Mi aveva dato ciò che volevo, a modo suo, ma questo era… troppo! Andare a combattere in terre sconosciute sotto cieli sconosciuti, questa era la mia prova. Nonostante le paure, non potevo tirarmi indietro. Risposi titubante con un cenno di assenso, al che l’anziano riprese parola. “Verrai mandato su Gaia qualche giorno prima della gara, il dottor Totto, un esimio collega, ti ospiterà fino all’inizio del combattimento. Buona fortuna.” disse sogghignando.

Lo scudo lunare si dissolse, lasciandomi faccia a faccia al con il mio nemico. Non potevo più esitare, dovevo agire. Tutte le lezioni erano lì, stampate nella mia mente. Sintonizzarsi al flusso celeste, incanalare la magia nell’astrolabio, plagiare il fato a mio desiderio. E il fato non mi avrebbe condotto alla mia fine così presto…“Opposizione celeste!” L'energia eterica condensata nell'arma esplose. Lo Iaguaro rimase paralizzato mentre finalmente fui libero dalla paura. Il mio destino me lo costruivo da me. Mi misi in assetto diurno, avrebbe aumentato leggermente la mia velocità, e pescai la mia carta: Capricornus, segno cardinale di terra, primo e ultimo segno dell'anno, l'inizio e la fine, il rinnovo del ciclo. “Iniziare dall’inizio, ottimo consiglio” farfugliai sprigionando la magia elementale contenuta nella carta. Il terreno sotto il nemico si aprì facendo emergere numerosi stalagmiti che lo trafissero da parte a parte, lasciandolo scomparire in una nube di lunoli.

Eorzea era lontana, la protezione dei suoi cieli non mi raggiungeva fin lì… Ma potevo appellarmi a quel nuovo cielo che avevo imparato a conoscere. Tera, come Dalamud, era ormai sparito dai cieli di Gaia, ma la sua assenza continuava a dominare il destino di quelle terre. Le due lune di Gaia -una in origine apparteneva a Tera- ed i 12 stellazio mandavano i loro influssi verso la terra ed infine l’Ofiuco, la costellazione segreta, che regnava su tutto. 13 costellazioni, 2 lune, 1 sole, 1 vuoto. La mia astrologia sarebbe riuscita a plasmare il fato che questi astri avevano in serbo per me, lo sapevo. In fondo… potevo vederlo.

Sagittarius, mobile di fuoco. Capace di ribaltare il destino e con le proprietà curative del fuoco. Perfetto per eliminare il veleno ed andare avanti con la sagra. Scesi le prime scalette del borgo trovandomi nell'ampio spazio davanti al teatro. Un avventuriero volò da parte a parte della piazza, andando a sbattere contro la parete del teatro. Un Barbatos stava richiudendo i suo ventre dopo aver usato il suttle viscerale sul povero malcapitato mentre due Elementi gialli gli giravano attorno. Usai immediatamente un Helios per curare il giovane, che riuscì appena ad alzarsi, mentre gli urlavo di correre via.
Senza esitazioni estrassi la prima carta Gemini, segno mobile d'aria. Protezione dalle alterazioni di status o un silence su un nemico? Evitai con uno scatto una saetta di un Elementale giallo e la risposta mi fu lampante. La magia del suo collega mostro fu interrotta, permettendomi di contrattaccare con un Malefic, attacco non elementale che non ebbe grande effetto. Il Barbatos si avvicinò minaccioso, alzando una delle braccia armate pronto a colpire, ma la barriera lunare si frappose tra me ed il suo attacco. Afferrai una delle 13 carte che roteavano attorno all'astrolabio: Leo, fisso di fuoco. Non molto utile contro gli Elementi di fulmine, lanciai una fiammata contro il mostro corazzato, costretto a ritirarsi. Un lampo di un Elemento giallo mi colpì il braccio destro, lasciandomi una leggera ustione, mentre il secondo mostro elementale guarito dallo status mutismo si preparava ad attaccare. Mi serviva una carta d'acqua, e mi serviva subito. Sollevai il braccio dolorante e pescai. Libra, segno cardinale d'aria. "Non va bene dannazione... non va bene!" Pensai mentre i tre nemici stavano per colpirmi contemporaneamente. Liberai il Reflex contenuto nella carta, riflettendo le saette agli Elementi e preparandomi all'impatto con il colpo del Barbatos. ...che non arrivò. Riaprii gli occhi solo per vedere lo Hyur di prima che aveva bloccato il colpo con uno scudo, mentre con una spada nell'altra mano allontanò il Barbatos.
"Hey, ciao! Clive, piacere." Si presentò. "Non ho mai visto uno come te... la coda, le orecchie..." disse mentre con un Malefic scacciavo gli Elementi. "Non hai mai visto un Miqo'te? E comunque non mi sembra il momento migliore per le presentazioni..."
Il Barbatos iniziò una nuova carica mentre il ragazzo acconsentì a rimandare le presentazioni. Pescai una carta, Scorpio, fisso d'acqua. Finalmente. Lanciai uno sguardo complice a Clive mentre caricavo la magia d'acqua. "Un astrologo degno di questo nome deve essere capace di controllare il destino, di manipolarne l'influenza nello spazio e nel tempo... Dilatation!" dissi sdoppiando la magia e scagliando due sfere d'acqua verso gli Elementi. La prima colpì il bersaglio, spegnendolo in una nuvoletta di fumo e lunoli, mentre la seconda lo mancò, infrangendosi sul pavimento poco oltre ed esplodendo in una pioggia di gocce e schegge in tutte le direzioni. L'Elemento fu danneggiato dall'attacco e sembrò esitare un attimo... il tempo di utilizzare l'Helios per rimettere a posto il braccio. Clive intanto stava tenendo a bada il Barbatos a furia di fendenti e affondi e, senza gli Elementi attorno, non sembrava in difficoltà. Pescai una nuova carta, Capricorno, ancora. Questa volta sfruttai il potere difensivo della carta, ottenendo uno Shell per me ed il mio alleato. L'Elemento si fermò per un istante, iniziando a roteare all'impazzata. Quando si fermò, una serie di fulmini iniziò a piombare sul campo di battaglia, impegnando sia me che Clive sulla difensiva, aiutati dalla magia di protezione appena utilizzata. Il Barbatos, vedendoci in difficoltà, non si fece sfuggire l'occasione attaccando con il suo suttle viscerale.
Dovevo agire. E dovevo farlo in fretta.
"Stelle, datemi tutto il vostro potere. Shuffle, Draw!" Dissi pescando una carta. Ophiuchus. La più importante delle costellazioni, la costellazione in cui si trovava il sole, in cui si sarebbe trovato Tera. Un connubio di allineamenti di stelle, pianeti ed energia eterica... nella mia mano. Un brivido di emozione mi travolse la schiena. "Vediamo che sai fare... Gravity!" Dissi liberando la magia della carta che, come un improvviso aumento locale della forza di gravità schiacciò il mostro a terra, bloccando il suo attacco sotto il suo stesso peso e facendoglielo esplodere in faccia. Il Barbatos esplose in una marea di lunoli, lasciando solo un grande silenzio al suo posto. Ma la battaglia non era finita. L'Elemento giallo alle nostre spalle... si stava preparabdo alla fuga. Clive lo intercettò con una spada idro, un attacco carico dell'elemento acqua, spedendo al creatore il mostro ferito e celebrando la piccola vittoria.
"Ma la caccia ancora non è finita!" gli dissi interrompendo i festeggiamenti.
"Già..." rispose con un sorriso. "Che ne dici di fare squadra ancora per un po'?"
Lo guardai pensieroso. Dove mi avrebbe condotto ora il mio destino? Sicuramente verso grandi cose.
Sorrisi. "D'accordo... ah, io sono Egil." dissi mentre assieme ci incamminammo verso il prossimo combattimento.
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Cadde a terra rovinosamente. L'urto lo aveva intontito, ma non così tanto da non vedere quella cosa avvicinarsi.
Tentò di fare forza sulle braccia per rialzarsi, ma l'attacco che l'aveva atterrato era stato troppo violento e il suo corpo ancora non rispondeva ai suoi comandi come avrebbe voluto.
Provò allora ad allungare il braccio sano ad afferrare la sua salvezza, ma la creatura fu più veloce.

Urlò. Con tutto il fiato che aveva in corpo.


- Buona sagra!
"vaffxxxxx", pensò Jude, scattando a tutta velocità in direzione di quel vicolo idiota in quel quartiere idiota.
Non doveva nemmeno essere lì, lui. Non voleva nemmeno essere lì.
Tutti a costringerlo a partecipare, a dirgli che poteva farcela, che ne aveva le capacità. E che soprattutto doveva iscriversi per una ragione ben specifica.
LA ragione.
Identificabile come "boccetta sperimentale", nome più vago non poteva esserci, che il suo caro capo aveva fatto sottrarre a un certo importante laboratorio chimico. Non voleva sapere cosa contenesse.
Ma visto che le cose più semplici non vanno mai nel modo in cui uno se l'aspetta,figuriamoci se un piano elaborato potesse procedere senza intoppi. Sia mai!
E fu così che durante una rocambolesca fuga e un disastroso inseguimento, il prezioso carico sfuggì alle salde mani del più inutile umano da riporto che avesse mai messo piede sulla faccia della terra.
Certo che Jude ricordava il suo nome.
No, non aveva la minima voglia di riconoscerlo come persona invece che come emerito imbecille. Lo stesso emerito imbecille che durante una rocambolesca fuga era riuscito a impantanarsi in un vicolo cieco e arrampicarsi maldestramente verso la propria libertà, tutto fiero di sé stesso.
Peccato per un piccolo particolare: le tasche bucate del suddetto imbecille.
La parte migliore di tutta questa farsa?
Che subito dopo i quartieri erano stati svuotati e chiusi al pubblico per l'allestimento della sagra di caccia.
E così, dopo una sfuriata eterna e l'appendere il malcapitato di turno al soffitto per i pollici, l'annoso ruolo di recuperare la suddetta sostanza era capitato proprio a lui.
Lui, che non era nemmeno membro fisso della banda di contrabbandieri.
Lui, che vendeva solamente il ricavato delle sue ruberie e truffe a Perual, il capo, per ricavarci da vivere.
Lui, che detestava combattere. A morte.
Jude odiava la sagra di Lindblum.

Ma aveva bisogno di soldi, e l'avrebbero pagato bene.

Ecco perché ora fuggiva a gambe levate da una coppia di Iaguari cui aveva pestato la coda, letteralmente, dopo aver scartato un getto di lava rivoltogli contro da un drago troppo cresciuto e troppo pericoloso, perfino per gli standard degli organizzatori di quel circo cittadino.
Saltò giù da un parapetto, e, per ammortizzare la caduta, mirando a quella sorta di ciambella rosso fluo che galleggiava a mezz'aria, l'ennesima trovata pubblicitaria delle case del viante di Rin, senza dubbio, che da poco aveva esteso i suoi affari su Gaia.
Gli prese quasi un mezzo infarto quando un umanoide cui mezza faccia era occupata da un inquietantissimo sorriso plastico, si inchinò a lui urlando un "RISPOSTA ESATTA" prima di sparire in uno sbuffo di fumo, lui e il cerchio rosso.
Jude scosse la testa con forza per riprendersi dall'imbambolamento: non era il momento di porsi domande più che legittime sulla propria sanità mentale. Ci avrebbe pensato poi. Con qualche alcolico a portata di mano, possibilmente.

La sua ricerca proseguì con una calma e una tranquillità fin troppo belle per essere durevoli. Ad ogni passo sentiva l'ansia di un improvviso agguato serrarsi sempre più alla gola, arrivando quasi a livelli di paranoia.
La sua sete di catastrofi venne accontentata proprio all'imboccatura della famosa via in cui avrebbe dovuto trovare l'oggetto delle sue ricerche.
E nel modo peggiore, ovviamente.
Perché scoprire che una semplice ampolla di vetro fosse a terra, durante un combattimento... Non era affatto rassicurante.
Ma non poteva nemmeno intervenire: i due avversari erano entrambi umani, e seppure uno di loro avrebbe potuto benissimo essere un mostro o un'illusione... Non aveva modo di capire chi.
L'unica sarebbe stata sgusciare alle spalle dei due contendenti e strisciare verso il suo obiettivo. Ma aveva il sospetto sarebbe stato inutile, vista la penuria di qualsivoglia pertugio o nicchia in cui nascondersi.
Poi, d'un tratto uno dei due venne respinto quasi fino al suo livello, e Jude poté osservarlo per bene: un guerriero alto, decisamente più di lui, biondo e dai tratti decisi. Un uomo sicuramente bello, nei cui occhi del color del cielo poteva leggere la furia della guerra.
Rimase immobile, la spada e lo scudo stretti in mano ma costretti a un riposo decisamente forzato a giudicare dal digrignare astioso dei suoi denti. Intravide un baluginare di simboli sconosciuti sul suo petto; che fossero proprio quelli a costringerlo in ginocchio... non gli interessava minimamente.
Era vicino alla fine di quella agonia, una volta recuperata lo stupido giocattolo di Perual, avrebbe anche potuto arrendersi e uscire dall'arena.
L'altro duellante era una donna: decisamente bella pure lei, dai capelli scuri e gli occhi chiari, una figura longilinea ed elegante che indossava una divisa conosciuta e brandiva una spada a due mani. Aveva distolto l'attenzione dal suo avversario, almeno dall'unico noto a Jude, e ora si era rivolta verso una sorta di sarcofago, una bruttura in pietra nascosta dalla penombra del vicolo.
Con un solo attacco ben piazzato affondò la lama avvolta in fiamme e fulmini nella dura superficie del disagiante pezzo d'antiquariato, che con gran sorpresa di Jude, traballò agonizzante e si sgretolò subito dopo, seguito in contemporanea dall'uomo di cui prima, tornato alla sua vera forma di polvere e sabbia.
La ragazza rinfoderò la spada, visibilmente provata sia fisicamente che mentalmente. Poi sembrò notare qualcosa a terra.
Lo raccolse.
- Aspetta!
Lei estrasse un pugnale da dietro la schiena con una velocità impressionante, puntandolo in direzione di Jude, che prima ancora di attivare il cervello era scattato in avanti, in barba perfino al suo piuttosto elevato istinto di auto-conservazione.
Rilassò il braccio, appena visto di chi si trattava, ma non ripose l'arma. Gli chiese cosa voleva.
- Quella boccetta che hai appena raccolto.
- ...
- Dai, che voglio andarmene da qui!
Il massimo esponente della diplomazia e del dialogo: Jude Daryl. La cui lingua tagliente gli aveva provocato più di una grana.
Ma questa volta... questa volta non ci furono conseguenze negative. Grazie a chissà quale miracolo, o disinteresse della stessa, la donna gli lanciò l'oggetto senza proferire parola, prima di dileguarsi sulla strada principale. Non seppe mai che in realtà il suo tono arrogante aveva dato enormemente sui nervi alla giovane, alla quale però stava ancor più sulle scatole l'esser stata obbligata a partecipare come rappresentante del dipartimento di sicurezza del Garden di Rinoa. Quindi poteva benissimo capire il desiderio del volersene andare da quella bolgia.

Ma importava solo una cosa: l'obiettivo era stato raggiunto. Tutto ciò che rimaneva da fare era darsi per moribondo e farsi recuperare da qualcuno.
Col cavolo che avrebbe ripercorso di nuovo tutto quel tragitto infernale rischiando di rompere ciò che aveva appena recuperato.
Cercò un angolo riparato da cui chiamare i soccorsi e attenderli. Spalle al muro, sensi tesi a percepire qualsiasi rumore, odore, ombra.
Doveva resistere ancora poco.

Poi... Un baluginare azzurrino.
Un rumore secco e un artigliata alle spalle. Il muro dietro di sé si era animato nelle sembianze di una sorta di enorme fossile, ferendolo duramente.
Cadde a terra rovinosamente. L'urto lo aveva intontito, ma non così tanto da non vedere quella cosa avvicinarsi.
Tentò di fare forza sulle braccia per rialzarsi, ma l'attacco che l'aveva atterrato era stato troppo violento e il suo corpo ancora non rispondeva ai suoi comandi come avrebbe voluto.
Provò allora ad allungare il braccio sano ad afferrare la sua salvezza, l'ampolla di liquido sperimentale - magari era un veleno - ma la creatura fu più veloce.

Urlò. Con tutto il fiato che aveva in corpo.

Ma.
Niente accadde.
Il barlume azzurrino intravisto prima intervenne, scacciando quello che Jude non sapeva essere un Demomonolix.
La creaturina si avvicinò, gli posò una... mano? sulla testa e, con immenso orrore di Jude, prese la bottiglietta.
Una vocina come uno squittio modulò parole incomprensibili.
Poi la creaturina bevve il contenuto dell'ampolla.

Urlò. Stavolta parole chiare e comprensibili a parecchie centinaia di metri di distanza.

E in contemporanea considerò seriamente l'idea di arruolarsi al Garden per sparire dalla circolazione. Che era meglio.
Ultima modifica di Leon Feather il 24 ago 2015, 23:47, modificato 3 volte in totale.
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GUARNIGIONE DELLA GUARDIA DI LINDBLUM – UFFICIO DEL COMANDANTE - -15’ ALL’INIZIO
“Tutto pronto per iniziare signore, ecco l’elenco dei partecipanti e il dislocamento nei vari borghi della città!”
“Bene soldato, fammi leggere”
Il comandante scorse velocemente l’elenco mentre il soldato aspettava sull’attenti il via libera del suo superiore per andare sulle mura a godersi lo spettacolo, ormai mancavano pochi minuti all’inizio della sagra, il Granduca aveva già terminato il suo discorso e i partecipanti aspettavano solo che i mostri venissero liberati per salire sull’Aircap e iniziare ad abbatterli.
“Vai pure soldato, anzi no, aspetta un attimo!”
“Sì signore!”
“Il partecipante 33, si è firmato come Nessuno, chi è questo tizio?”
“Un ragazzo strano, abbastanza alto e con un mantello scuro che gli copre parte del volto, quando gli abbiamo chiesto cosa desiderasse in caso di vittoria ha chiesto che il Granduca lo aiutasse a trovare il suo nome…”
“Il suo nome?” Chiese l’ufficiale stupito
“Sì esatto, il suo nome” Ribadì il soldato “Dice che senza non potrà tornare a casa…”
“Ogni anno le richieste sono sempre più strane… bei tempi quando i partecipanti chiedevano solo accessori e guil…”
“…E carte!” Aggiunse il soldato, irrigidendosi immediatamente nel timore di aver commesso un’insubordinazione nei confronti del suo comandante.
“E carte vero, il piccolo Vivi” guardò l’orologio sulla sua scrivania “Mancano solo cinque minuti, corri soldato, vai a prendere il tuo posto al borgo teatrale!”
“Sissignore, volo signore!” Il soldato salutò l’ufficiale con il saluto militare e uscì dalla porta tirando un sospiro di sollievo, il comandante era di buon umore oggi!
BORGO TEATRALE -2’ ALL’INIZIO
Il ragazzo avvolto nel mantello scese dall’aircap e guardò l’orologio della stazione
“Un minuto…” pensò.
Estrasse da una tasca della sua sneakin’ suit una foto di una ragazza, quanto tempo era passato da quando l’aveva vista per l’ultima volta, mesi? O forse più di un anno? Da quando era stato esiliato in quel mondo che non aveva mai conosciuto, eppure esplorandolo da subito gli era sembrato così familiare…
Non sarebbe potuto tornare fin quando non avesse ritrovato il suo nome e i suoi ricordi, l’unica cosa che ricordava era lei, quel volto stupendo e quei capelli rossi che lo incorniciavano e che evidenziavano i suoi occhi, azzurri come il cielo… “Quando potrò rivederti? Mi manchi così tanto…”
Udì il tuono di un cannone, il segnale, la caccia ha inizio!
Uscì di corsa dalla stazione, di fronte a lui una larga piazza, si guardò intorno in cerca dei mostri
“Quest’anno non hanno preso i soliti mostri della nebbia che vivono nei dintorni…” Prese dalla tasca il libricino con i disegni dei mostri e le descrizioni, stava per sfogliarlo per l’ennesima volta quando un movimento catturò la sua attenzione, vicino all’ingresso sigillato della bottega del pittore notò due grossi felini, dalla testa mostruosa, simile a un calamaro, con due tentacoli lunghi circa un metro e mezzo che gli spuntavano da sotto gli occhi rossi.
Scostò il mantello ed estrasse la sua katana nera a lama dritta, con un piccolo cristallo azzurro incastonato nella lama, subito sotto la guardia e gli si avvicinò lentamente, costeggiando il muro per non essere notato.
Quando il primo si accorse di lui, era già troppo tardi, un unico fendente rapidissimo gli aveva tranciato di netto il collo, il secondo si voltò immediatamente udendo il ruggito strozzato del suo compagno morente e fece per attaccare ma prima che potesse lanciare il suo attacco psichico la lama gli aveva già trapassato la testa uccidendolo all’istante.
PRIMO POSTO PER NESSUNO CON 36 PUNTI!
“Ho cominciato alla grande, vediamo cosa c’è di là”
Nessuno scese giù per la rampa alla sinistra della stazione e subito dopo la curva si trovò davanti al covo dei Tantarus. Per un istante si fermò a osservare la struttura chiusa, era stata ristrutturata completamente e ormai non vi era più traccia dell’attacco dei maghi neri di Brahne.
Nella sua mente gli sembrò di vedere le scene della battaglia con i maghi… E poi l’arrivo di Atomos… Ma com’era possibile? Non le aveva mai vissute, eppure gli sembravano così familiari…
A strapparlo dalle sue riflessioni un grido improvviso! “Ma dove… La scala! Viene da sotto!”
Si volse e corse giù dalla scala, di fronte a lui una scena a dir poco comica… un esserino verde, alto si e no un metro, in una tunica e con in mano una lanterna e un coltello da cucina minacciava un omone alto e pesante almeno un quintale con in mano un’ascia bipenne che avrebbe potuto buttare giù un muro se usata da quell’armadio.
L’uomo indietreggiava terrorizzato davanti alla creatura che si muoveva lentamente verso di lui, sempre con la lanterna e il coltello “minacciosamente” puntati verso l’uomo.
Al ragazzo scappò una risata, poi vide l’uomo inciampare e perdere la sua ascia “ma dai su… sei quattro volte tanto…” Poi ricordò la grande regola (che domina in tutti i mondi Final Fantasy e non solo) “mai giudicare dalle apparenze” e decise di correre giù in aiuto dell’omone.
“BASTA! MI ARRENDO! MI RITIRO! GUARDIE! SICUREZZA!” l’uomo era ormai con le spalle al muro, terrorizzato, Nessuno resistette alla tentazione di scoppiare a ridere e corse in suo aiuto impugnando la spada con entrambe e le mani e colpendo il Tomberry “Ecco come si chiamava quel coso” in pieno petto con un fendente potentissimo che lo fece volare contro il muro, senza però tagliare in profondità la carne del mostriciattolo, che, nonostante la botta, si rimise prontamente in piedi e puntò il coltello verso il nuovo avversario, avanzando verso di lui, lentissimo come sempre.
“Ehi tutto a posto? Non è che…” L’omone aveva agilmente scavalcato il cancello che chiudeva l’ingresso del teatro da cui era uscito il famoso Rouel e stava scappando via a gambe levate, mentre le guardie cercavano di calmarlo e di comunicargli che era stato squalificato “…mi daresti una mano. Va beh mi sa che dovrò cavarmela da solo!”
Il tomberry intanto si era avvicinato a circa un metro da lui e si preparava ad attaccare.
Nessuno si mise in posizione di guardia, con entrambe le mani a reggere la spada, pronto a colpirlo nuovamente o a parare un eventuale attacco “Non spererai mica di colpirmi col miracle blade, vero coso?”
Il tomberry lanciò un rapidissimo affondo verso il basso ventre, incredibile, contando che ci aveva messo un minuto a percorrere una decina di metri con quelle sue gambine corte.
Il ragazzo si spostò verso destra e riuscì a malapena a schivare il colpo che lacerò solo il suo mantello, ripreso l’equilibrio calò un fendente dall’alto sulla testa del tomberry che cadde al suolo, ma riportando a malapena un graffietto da cui uscì un rivoletto di sangue color viola scuro.
“Ma di che diavolo è fatto? Di ferro? Quel colpo avrebbe dovuto aprirgli la testa a metà come un melone!”
Il ragazzo senza nome fece per colpirlo nuovamente ma il mostriciattolo rotolò rapidamente verso destra schivando l’attacco e si alzò prontamente in piedi.
“Con la spada sembra che non gli faccia nulla, proviamo con quella magia che ho imparato prima di visitare il Vulcano Gulgu” Si mosse rapidamente all’indietro, portandosi a qualche metro dall’avversario e rinfoderò la lama, muovendo lentamente le mani e unendole, portando i palmi a contatto come in una preghiera e mormorando nel frattempo la formula dell’incantesimo:
“…Con la forza del ghiaccio eterno che l’invincibile scorrere del tempo immobilizza … BLIZZAGA!!!”
Il terreno sotto il tomberry iniziò a brillare e una colonna di ghiaccio alta almeno cinque metri lo avvolse completamente, congelandolo e uccidendolo.
NESSUNO GUADAGNA 35 PUNTI, TOTALE 71, SECONDA POSIZIONE DIETRO A SIR FLATREY CON 72 PUNTI!
“Uff è stata dura stavolta, meno male che non sapeva attaccare a distanza!”
“Sapeva farlo, ma l’ascia di quell’uomo l’aveva già indebolito parecchio!”
Nessuno si voltò verso la voce, ma dovette coprirsi gli occhi, l’uomo aveva il sole alle spalle e non riusciva a distinguerne la figura, notò solo una lunga lancia che emanava un’immensa forza distruttiva.
“Chi sei?” gli domandò
“Sono uno come te, anche io un tempo non ricordavo il mio nome e la mia casa”
“Come fai a…”
“Conosco la tua storia, se dovessi vincere chiederò al Granduca di aiutarti, ma per adesso siamo avversari, quindi fatti onore ragazzo!” detto questo si voltò, spiccò un salto incredibile e scomparve nella luce accecante del sole.
“Ma chi è quel tizio… sembrava fortissimo”
SIR FLATREY INCREMENTA IL SUO PUNTEGGIO, ADESSO è A QUOTA 110 PUNTI!
“Devo muovermi!”
Si voltò di scatto e si trovò di fronte un altro Iaguaro che lo attaccò immediatamente con il suo attacco frusta mentale.
Rimase immobile, con gli occhi spalancati e lo sguardo rivolto al mostro, ma la sua mente era altrove, sconvolta, travolta urla, suoni e immagini, in un istante si trovò immerso in un liquido rossastro, con la corrente che lo trascinava senza che riuscisse a opporvisi si sentì risucchiare verso il fondo, nel buio, ma si fece forza e lottò per risalire in superficie verso la luce e si ritrovò nuovamente nella piazzetta del teatro, steso per terra e con il mostro sopra di lui, pronto a divorarlo.
Strinse la spada nella mano destra e la piantò con forza nel fianco del mostro che in preda al dolore si spostò quel tanto che bastava per permettere al ragazzo di rotolare via estraendo la spada dal corpo del nemico e poi attaccare nuovamente trafiggendolo dall’alto e spezzandogli l’osso del collo, uccidendolo.
Il ragazzo fissò il cadavere del mostro e ripensò all’attacco che aveva subito, controllò quindi di non avere ferite, ma incredibilmente non aveva un nemmeno graffio e persino l’attacco psichico sembrava non aver avuto effetti, non avvertiva neppure la stanchezza dello scontro con il tomberry!
NESSUNO GUADAGNA ALTRI 18 PUNTI E SALE A QUOTA 89, SIR FLATREY INVECE AUMENTA IL VANTAGGIO ED ORA è A QUOTA 128 PUNTI!
“Devo cambiare zona, proverò ad andare al borgo commerciale!”
Corse a perdifiato verso la stazione e salì velocemente sull’Aircap e in un attimo si trovò al borgo commerciale”
Percorse di corsa la via disseminata di cadaveri di mostri e di partecipanti esausti e si diresse verso la piazza dove si trovavano la bottega, l’armeria e l’officina.
Intorno a lui altri cacciatori stavano cercando di accumulare punti per cercare di rimontare Sir Flatrey “Non sarà mica mica il famoso draghiere di cui ho sentito parlare in giro per il mondo? Eppure lo credevano tutti morto… Se davvero è lui sarà dura batterlo!”
Arrivato nella piazza si trovò di fronte una scena surreale, una specie di topo vestito da clown che danzava allegramente a ritmo di una musichetta che udiva solo lui.
Il ragazzo estrasse la spada e si preparò ad attaccarlo ma il “topo” invece di difendersi o attaccare a sua volta gli fece una domanda, continuando a danzare “Si può sconfiggere me, il Ragtime Rat?”
“Eh?” rispose incredulo il ragazzo
“Rispondi, Sì o No?”
“Ehm… sì?”
Il topo controllò la carta che aveva in mano ed esclamò “Risposta esatta!!!” Ma prima che potesse aggiungere altro un enorme drago rosso lo schiacciò sotto una zampa, non lasciandogli scampo.
Nessuno istintivamente saltò all’indietro colto di sorpresa, come aveva fatto un drago a piombare lì senza che nessuno se ne accorgesse?
NESSUNO GUADAGNA 60 PUNTI E SALE A QUOTA 149, SUPERANDO SIR FLATREY FERMO A 128!
Il drago intanto si avvicinò, la mole e quella cresta nera sulla testa contribuivano a dargli un’aria spaventosamente pericolosa.
Si alzò sulle zampe posteriori e lanciò un ruggito che fece tremare i muri per poi sputare un getto di fiamme in direzione di Nessuno che si gettò di lato per schivarlo, ma dietro di lui si scatenò l’inferno, alcuni dei cacciatori, che si erano avvicinati nascondendosi dietro la bancarella nella speranza di riuscire ad abbattere il mostro mentre era distratto, erano stati investiti in pieno dalle fiamme.
Nonostante le loro urla il ragazzo cercò di concentrarsi sull’avversario e, mentre il drago ammirava la sua opera di distruzione, riuscì a nascondersi dietro la fontana preparandosi a lanciare il suo Blizzaga “è un drago di fuoco, dovrebbe funzionare”.
Si concentrò e radunò le sue energie per eseguire l’incantesimo, ma il mostro girò verso di lui e alzò il muso verso l’alto con un ruggito a malapena udibile.
Di fronte a lui l’aria sembrò assumere una forma solida e al ragazzo sembrò quasi di vedersi riflesso, come se davanti al drago ci fosse un vetro o uno specchio, ma qualunque cosa avesse fatto era tardi, Blizzaga era pronta e l’aveva caricata alla massima potenza, probabilmente avrebbe congelato mezza piazza insieme al drago, ma sapeva di non potersi trattenere, se non l’avesse abbattuto subito sarebbe stato bruciato vivo.
“Ci siamo! BLIZ…”
“Fermo non farlo!!!” Riconobbe la voce dell’uomo che aveva incontrato prima “Ha usato Reflex, se gli lanci una magia verrà riflessa su di te!”
“Maledizione!” Il tempo di lanciare un’imprecazione e il ragazzo dovette subito lanciarsi al riparo dietro la fontana per evitare di essere investito dal getto di fiamme del drago.
L’uomo lo attaccò rapidamente con la sua lancia ferendolo a un fianco e saltando via agilmente per schivare la zampata del drago che sicuramente l’avrebbe ucciso, raggiunse poi Nessuno al riparo dietro la fontana.
“È un Rub-Rum Dragon un mostro intelligente e pericoloso, non bisogna mai sottovalutarlo!”
Nessuno notò i lineamenti tipici del popolo di Burmesia e la lunga lancia da draghiere “Tu devi essere il famoso Flatrey, il grande guerriero di Burmesia, ho sentito parlare molto di te”
In quel momento il drago di alzò in volo “Facciamo dopo le presentazioni, sta per attaccarci!”
I due si lanciarono nelle direzioni opposte mentre la fiammata del drago colpì la fontana, facendo evaporare rapidamente l’acqua e creando una nuvola di vapore dietro cui i due cacciatori riuscirono a nascondersi momentaneamente.
“Io cerco di attaccarlo dall’alto tu tieniti pronto a colpirlo appena scende a terra!”
Senza aspettare la risposta spiccò un salto incredibile e riuscì a colpire il drago alla testa, stordendolo e costringendolo a scendere a terra.
Prima che potesse riprendersi Nessuno lo attaccò con la sua spada trafiggendone il petto poco sotto il collo.
Il mostrò ruggì per il dolore e reagì con una violenta zampata colpendo in pieno il ragazzo e mandandolo a sbattere contro il muro.
Nonostante la resistenza della sua sneaking suit Nessuno sentì che era stato ferito seriamente, alcune costole erano sicuramente rotte e il braccio sinistro gli faceva un male cane.
Ma il drago era deciso a uccidere il suo feritore e si preparò a lanciare una delle sue fiammate ma prima che ci riuscisse Flatrey lo attaccò nuovamente dall’alto.
Furioso, il drago non si accorse di non essere più protetto da Reflex, ma il particolare non sfuggì a Flatrey “USA BLIZZAGA! PRESTO!”
“Sì” Nessuno mormorò velocemente la formula dell’incantesimo “…Con la forza del ghiaccio eterno che l’invincibile scorrere del tempo immobilizza… BLIZZAGA!!!”
In un attimo il ghiaccio avvolse il drago e tutto ciò che lo circondava nel raggio di diversi metri, Flatrey stesso riuscì a malapena a sottrarsi alla morsa del gelo balzando sul tetto dell’armeria di Dragoo, Nessuno ce l’aveva fatta!
Il ragazzo scivolò a terra esausto, ma un tremito scosse il ghiaccio.
Con un ruggito il drago si stava già liberando e lui era ormai senza forze, le guardie non avrebbero fatto in tempo intervenire e a portarlo via, prima che il drago lo uccidesse.
Un altro ruggito, il drago era già riuscito a liberare la testa e stava già sciogliendo con le sue fiamme il ghiaccio che lo teneva prigioniero, ma Flatrey, conscio del pericolo lo colpì in fronte, penetrando a fondo nel cranio del mostro, che crollò esanime a terra spezzando il ghiaccio, ormai quasi del tutto sciolto, con il suo peso enorme.
SIR FLATREY ABBATTE IL GRANDE DRAGO E GUADAGNA 100 PUNTI TORNANDO IN TESTA CON L’INCREDIBILE PUNTEGGIO DI 228 PUNTI!
“Scusa ragazzo, volevo lasciare a te il colpo di grazia ma non c’era più tempo” disse avvicinandosi a Nessuno.
“Hai fatto bene, non riesco… quasi a muovermi… non ce l’avrei fatta a… schivare” rispose il ragazzo con una smorfia.
“Prendi questo Elisir, a me non serve più tanto, mancano ancora un paio di minuti alla fine della sagra, magari riesci a fare ancora qualche punto!” disse porgendogli una boccetta di colore verde “Ti rimetterà a nuovo vedrai!”
Il ragazzo ne bevve un sorso e si sentì subito meglio “Grazie ma non penso che riuscirò a combattere ancora, me ne starò qui buono ad aspettare la fine della sagra, ormai ho dato tutto”.
Flatrey sorrise “Sei in gamba, sei stato un valido avversario!” Si girò allontanandosi “Addio!” e Spiccò un balzo, scomparendo tra i tetti.
Nessuno bevve un altro sorso di elisir e fece per alzarsi quando notò una piccola creatura blu che lo guardava.
“Se vuoi attaccarmi lascia perdere, non ho più voglia di combattere per oggi, ne ho prese abbastanza!”
“Mi daresti un elisir?”
“Come? Tu parli?... No non parli … Telepatia?” disse toccandosi istintivamente la testa.
“Mi daresti un Elisir? Non voglio attaccarti”
Il ragazzo guardò la bottiglietta “Beh tanto ormai va meglio e posso aspettare i medici dell’esercito, tieni, tutta tua!” e la lancio alla creatura che bevve ingordamente.
“Vacci piano che ti strozzi!”
“Grazie, Virgil!”
“Come mi hai chiamato? Tu…” non fece in tempo a parlare che venne travolto da innumerevoli ricordi, volti, voci… tutta la sua memoria stava tornando e con essa anche il suo nome che da tanto tempo cercava, Virgil!
“È ora Virgil, vai dal Granduca Cid, ti farà tornare a casa!”
Virgil si voltò verso la creatura ma non lo vide più, scomparso nel nulla, proprio come dal nulla era apparso.
E IL VINCITORE DELLA SAGRA è NESSUNO, CON 299 PUNTI, DOPO AVER SCONFITTO KOYOKOYO!
Dalle mura si alzò un boato, la folla celebrava il vincitore della sagra, Virgil alzò la spada al cielo in segno di vittoria.
Sorrise “… Torno a casa, torno da te, finalmente…”.


FINE
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Davide D.

Messaggio da Leon Feather »

Davide D.
La mano sinistra non brandisce né una spada, né un bastone. Quella destra non impugna uno scudo. I pantaloncini e la maglietta che indosso non offrono nessuna protezione. Disperato, controllo le tasche e scopro che le mie uniche armi sono un foglio di carta ripiegato più volte su sé stesso e una penna.

Da piccolo, sognavo di partecipare alla Sagra nelle vesti di un guerriero corazzato o un mago formidabile. Certamente, non mi sono mai sognato di partecipare alla gara in queste condizioni.

“Sei spacciato. Morirai qui.”

“Magari questo è un sogno”, penso. Eppure, è tutto così reale. Il vento mi scompiglia i capelli. Sento le urla dei guerrieri, il tifo degli spettatori. Tocco un muro di mattoni, calpesto il pietrisco di un viale. A giudicare dalle forti vibrazioni del suolo, un Archeosaurus sta correndo verso la prima preda. Rabbrividisco: non avrei mai voluto combattere un dinosauro. Non così, almeno.
Chiudo gli occhi, mi pizzico il braccio e poi li riapro.

“No, sei ancora a Lindlbum, rassegnati. Tu stai partecipando alla Sagra, è tutto vero. Cosa intendi fare, ora? Vorresti forse combattere da solo? Cerca qualcuno con cui collaborare, stupido!”

* * * * *

Sono accasciato contro una fontana. Lo Iaguaro invece si è appena accucciato al centro della piazza. Con totale noncuranza dei due nemici al suo cospetto, si lecca le zampe sporche del loro sangue.

Recks è in piedi, tra me e lo Iaguaro, fermo, con la divisa in brandelli. Sembra sotto l’effetto di un sortilegio: non parla, non si sposta. Accenna solamente qualche gesto, come sbattere le palpebre, senza però cambiare la sua posizione. Lo Iaguaro lo fissa con curiosità e stupore. D’altronde, è la prima volta che vede un umano di fronte a lui non compiere nessuna azione per ucciderlo.

“Recks, perché non ti muovi? Perché non mi aiuti?”

“Approfitta della distrazione della bestia. Alzati e scappa. F*****o Recks, lui nemmeno esiste realmente” suggerisce la parte calcolatrice del mio subconscio. “Tu invece esisti per davvero”, insiste. La parte altruista invece mi esorta ad alzarmi per soccorrere Recks.

Sicuramente, su una cosa il mio cervello sabotatore è d’accordo: devo alzarmi.

Poggio una mano, quella illesa, sul pietrisco, cercando di tirarmi su. Inevitabilmente, sposto lo sguardo verso il basso. Vedo sangue ovunque: ne esce ancora dalla ferita profonda alla mano. A stento riesco a trattenere i conati di vomito. Ogni speranza di alzarsi viene rapidamente disillusa.

“E’ finita.”

Oggi morirò. So che esistono degli incantesimi che proteggono i partecipanti della Sagra dalla morte. Tuttavia, questo avviene normalmente. Quello che sta succedendo oggi invece è fuori da ogni logica. Cosa mi vieta dunque di morire? E’ solo una questione di tempo. Prendo il foglio che ho in tasca e lo poggio sulle gambe. Per non gettare nuovamente lo sguardo sul sangue intorno a me, mi concentro il più possibile sulle frasi da scrivere.

Mentre scrivo, sento Recks parlare.
" A chi troverà questa lettera,"
Avevo sentito bene? Che fosse un’allucinazione?
" Prego di informare i miei genitori della mia scomparsa."

Lo vedo chiaramente muovere le labbra. Sta ripetendo le parole che ho appena scritto.
Improvvisamente, capisco perché Recks non si fosse mai mosso finora. Tento la fortuna e scrivo un'altra riga.
Nonostante le ferite riportate su tutto il corpo, il mago indietreggiò.
Il SeeD si muove come indicato sul foglio. Sul mio viso compare finalmente un sorriso.

”Si muove! Si muove! Come avevo fatto a non pensarci prima? Sono sempre stato io a controllare Recks. Oggi non si è mai spostato dalla piazza perché non l'ho mai “ruolato”!

Riacquisto fiducia. La sopravvivenza non è più un miraggio: sarebbe bastato utilizzare Recks, come avevo sempre fatto ad ogni sagra. La pagina torna subito a riempirsi di inchiostro; la penna scorre in fretta sul foglio, man mano che lo scontro prosegue.
”Passiamo alle maniere forti" pensò Recks, mentre gettava il bastone accanto alla fontana. La spada uscì dal fodero con un sibilo: da quel momento in poi, sarebbe rimasta stretta nelle mani del SeeD.

L’offensiva ebbe inizio e Recks avanzò velocemente verso la bestia. Una saetta lanciata dal mostro tentò di frenarlo. Tutto inutile. I suoi riflessi erano migliorati grazie ad un Haste lanciato poco prima.

Il felino evitò facilmente il primo affondo con un balzo. Per mantenere le distanze, lo Iaguaro lanciò un Blizzara: una scheggia di ghiaccio sfrecciò verso la testa di Recks. La punta di quell’arma letale avrebbe raggiunto l'occhio del soldato se non fosse stato per la lama della spada che, potenziata col Profuoco, aveva intercettato la scheggia, sciogliendola in due parti. I due frammenti seguirono traiettorie diverse, mancando totalmente il target.

Recks riprese la sua corsa. Nuovamente, una scheggia si materializzò dal nulla. La punta stavolta non mirava alla sua testa. Non era rivolta nemmeno al suo cuore o alle gambe. A dire il vero, non mirava assolutamente il SeeD. Il target era
Il flusso di parole si ferma all’improvviso. Guardo l'estremità della scheggia, puntata verso di me. Sono io il target. Recks è troppo lontano da me per potermi difendere. Devo affidarmi alle poche energie rimaste in me. Utilizzando il braccio sano, mi trascino dietro la fontana e riesco a schivare miracolosamente quel Blizzara. Traggo un sospiro di sollievo, per poi riprendere la scrittura.
" Non mi devo arrendere" ripeté un paio di volte il SeeD.

Prima di ripartire all'attacco, pensò, era meglio proteggere il suo alleato. Dopo aver gridato, "Shell", uno scudo si materializzò davanti al ragazzo vicino alla fontana.
Mi aspettavo che uno scudo mi proteggesse dai futuri incantesimi del felino. Invece, ero rimasto a bocca asciutta. Eppure, avevo scritto il racconto in modo chiaro. Cosa poteva essere mai andato storto?
Alzo lo sguardo e osservo Recks avvicinarsi a me. Lo vedo lanciarmi inaspettatamente una sfera di fuoco. La spalla, a contatto con quella sfera rovente, si riempie di bolle. Il mio primo pensiero è quello di raffreddare la ferita con l’acqua della fontana. Reprimo rapidamente l’idea. Mi conviene piuttosto capire subito cosa sia successo a Recks. Magari, scrivendo altre istruzioni per il SeeD, lui stavolta le avrebbe seguite.
Recks scagliò un fulmine contro la bestia.
Il SeeD lanciò un Haste sul suo alleato.
La bestia cadde rovinosamente a terra in seguito ad un Quake.
Niente. Ciò che scrivo non viene ripetuto dal mago. Seagull non risponde più ai miei comandi; sembra sia qualcun altro a pilotarlo.

"Merda". Recks sta correndo verso di me, con la spada tra le mani. Recupero il bastone che Seagull aveva gettato poco prima e paro il fendente del SeeD, frapponendo l'arma tra me e la lama della sua spada. Il mago non demorde e non molla la presa: anziché allontanarsi, esercita maggior pressione sul bastone, sperando di farmi cedere.

" Chi diamine sei tu?"
" Non uccidermi, ti prego!"
"Rispondi alla domanda! Chi c***o sei?"

La conversazione viene bruscamente interrotta da un Blizzara dello Iaguaro. Per evitare l’attacco, tutti e due ci allontaniamo. Improvvisamente, Recks scompare con un Vanish. Sono costretto a cercare tracce del suo passaggio guardando il suolo. Intorno a me non c'è alcun segno della sua presenza: né un sassolino che si sposta, né un’orma di sangue che si dipinge sul terreno. La cosa, paradossalmente, mi preoccupa. "E se avesse castato Levita su sé stesso? Non lascerebbe nessuna traccia!", pensai.

Un lamento disperato dello Iaguaro, mi fa voltare rapidamente. Il sangue - il suo, finalmente - zampilla dal cranio. A giudicare dalla ferita, la spada di Recks aveva fatto il suo dovere. In pochi secondi, il felino sarebbe morto dissanguato e sarebbe finalmente scomparso con una nuvola di lunioli.

Prima di poter tirare un respiro di sollievo, una lama si materializza in prossimità della mia gola. Una mano tira i miei capelli. Conosco il suo personaggio meglio di tutti gli altri al Garden e so che Recks non si sarebbe mai comportato così.

"Bailamme. Ci avrei dovuto pensare prima."
" Cosa stai farneticando?"
"Recks, riprenditi, te ne prego. Torna in te!"
" Come fai a sapere il mio nome? Chi sei tu?"
"Ti prego, non uccidermi! Non sono un nemico."
"Yevon solo sa che mostri siano stati piazzati qui. Tu sei un Mutaforma."

Sento la fredda lama della spada premere con forza contro il pomo d'Adamo.

"No, sono un umano. Devi credermi!"
" Non mi hai ancora risposto. Chi sei tu?"
"Mi chiamo Davide. Vengo da un pianeta di nome..."

Prima che io possa dire "Terra", Recks recide la giugulare. Un fiume rosso sgorga copiosamente dalla ferita. In un istante perdo i sensi e crollo a terra.

"Dio, fa che questo sia solo un incubo".
Ultima modifica di Leon Feather il 24 ago 2015, 23:49, modificato 1 volta in totale.
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Federica D.

Messaggio da Leon Feather »

Federica D.
‘Non c’è nulla di reale, nulla’ pensò, gli occhi rivolti a un cielo che pareva fatto di ardesia grigia, il sole era solo un'indefinita macchia livida oltre le nubi. Aveva smesso di piovere da diverso tempo, ma era ancora tutto bagnato; sentiva i vestiti gravare sul corpo e perfino quel peso leggero sembrò piombo sul petto. Inspirò a fatica, l’aria era piena degli odori della foresta che circondava Lindblum; il sentore di terra e foglie si mescolava al profumo della pietra con cui era stata scolpita la cittadina. L'odore soffocante di umidità si annodava in gola; asfissiante, l'aria scivolava calda nei polmoni. La schiena indolenzita lungo la colonna e un bruciore intenso sul fianco: quand’era caduta? 
Si puntellò su un gomito per rialzarsi, ma il dolore le risalì lungo la pelle, strisciò in gola e le rubò un mugugno soffocato. Portò la mano libera sulla spalla e si stupì nel ritrarla piena di sangue.
Digrignò i denti, forzando il corpo a obbedirle. Saggiò le ferite, la pelle era una mappa di lividi, graffi e sangue rappreso; storse la bocca in un gemito di dolore quando passò due dita sul petto, costole incrinate – Lucille non glielo avrebbe perdonato, le aveva promesso niente brandelli da ricucire. 
Sæm rimase immobile, i muscoli tesi e in fondo allo stomaco la sensazione che ci fosse qualcosa di profondamente sbagliato nel modo in cui il mondo le rotolava davanti lo sguardo: il silenzio che accarezzava le orecchie era tanto pesante da far male, non c'era il sole a rischiarare il giorno, le finestre dei palazzi sembravano occhi che la fissavano immobili e cupi. Lupi pronti a sbranarla, mostri nascosti negli angoli bui, ombre che la seguivano nei vicoli. 
'Non c'è nulla di reale' ripeté a se stessa, mentre avanzava d'un passo lungo la piazzetta del borgo commerciale, tuttavia un brivido le scivolò lungo le vertebre, sentì il freddo addentare le ossa e trascinarla nel terrore: le gambe si mossero ancor prima che i pensieri riuscissero a divenire un filo coerente, perché nessuna creatura poteva spaventarla quanto il buio che riempiva la sua anima. 
Si fermò solo quando sentì i polmoni scoppiarle nel petto e le gambe intorpidite dal freddo, con le mani sulle ginocchia cercò di riprendere il controllo di sé. Ricordò che non era più la bambina indifesa di un tempo: 'lei è morta, non scordarlo.'
Lo pensò, ma non ne fu affatto sicura. Poteva farlo credere agli altri: a Jo aveva detto di non amarlo, quando non c'era altro pensiero che le invadesse la mente, alla piccola Kat aveva regalato ogni suo ricordo – una vita intera racchiusa in uno scatolone e in poche concise righe – per non dover far i conti con il proprio passato, a Cluster non aveva lasciato altro che una notte. Aveva chiuso tutte le porte e il dolore l'aveva soffocata, quasi uccisa, ma non lo aveva detto. Glielo aveva impedito l'orgoglio, o forse, un malessere ancora più profondo – un grumo nero, sporco che non vomitava altro che odio, sofferenza e lacrime che mai erano scivolate sulle sue guance. 
'Non esiste più. Non sei più lei.' 
'Menti a te stessa, ora?' rispose una risata cigolante dalle profondità delle sue memorie.
Sæm deglutì a vuoto. 
Poi la vide: il legno chiaro e incrinato negli angoli, dove la terra l'aveva rosicchiata pezzo a pezzo, il bordo basso e frastagliato che lasciava intravedere il tessuto nero. Rabbrividì, ma non poté far a meno di raggiungere la bara di corsa. 
C'era una donna al suo interno: la pelle, pallida e tesa sulla fronte, ricadeva in brandelli sugli zigomi, là dove si era artigliata il volto, lasciando scoperte le ossa; il ventre era deformato da un gonfiore innaturale, eredità di giorni passati immersa nell'acqua, un sorriso fissato sulle labbra. 
«Mamma» il mugolio le si strozzò in gola, indietreggiò fino a scontrarsi con il muro, gli occhi incollati al bordo del feretro. Non poteva essere vero. 
'Non è reale, non è reale.'
Strinse le dita in pugni serrati e si morse l'interno della guancia fino a sentire il sangue invaderle la bocca.

Ninna nanna, ninna oh. 
Questa bimba a chi la dò?


Il cadavere si sollevò con uno scatto, la voce era un soffio accennato, un fruscio rauco. La donna tremò, le sue labbra tremarono, quando la madre si voltò a guardarla. 

La darò al lupo nero 
che la tiene un anno intero.


Ridacchiò, una risata infantile e leggera, buttando la testa all'indietro e lasciando scoperto il lungo taglio che dall'angolo della bocca apriva la guancia. 

Seguimi bambina mia. 
Ti porterò dai mostri che infestano i tuoi sogni. 


Sæm scosse la testa e si ritrasse di più quando la donna, sua madre, scivolò fuori dalla tomba e strisciò verso di lei. 
Quante volte avrebbe voluto rivederla?
Quante sognato la sua voce?
Quante desiderato l'abbracciasse prima di dormire? 
Quante -censura- volte si era chiesta come sarebbe stato 'se'?
Se fosse ancora viva? 
Se non fosse dovuta crescere troppo in fretta?
Se i bivi fossero state strade certe?
Se, se, se.
Ringhiò di frustrazione, perché era consapevole che nella sua storia non si era mai potuta concedere ripensamenti, passi indietro. Era andata avanti a testa bassa e cancellato ogni ipotesi e ogni possessivo.
Non si era concessa più nulla, così da non aver nulla da perdere ancora, niente da lasciare indietro.

La salma si puntellò sui gomiti e strisciò fino a sfiorarle la punta dello stivale, quando sollevò lo sguardo per cercare le iridi della figlia, le trovò piene di terrore. 

Nulla è reale. Niente è come sembra mormorò la ragazza, serrò gli occhi provando a scacciare gli incubi, ma nel riaprirli vide ancora il grigio di quella che era stata sua madre. 
Allungò una mano, allora, perché in fondo al cuore non desiderava altro che un affetto che le aveva negato presto - troppo in fretta. La sfiorò con l'indice, risalendo lungo una cicatrice esangue. 

Un abbraccio per i tuoi pensieri 

Sfiatò la madre, posando la mano su quella di Sæm per incoraggiarla.

«Mi dispiace» balbettò, si lasciò guidare sulla pelle gelida di morte, ne percorse a memoria i tratti e pregò di trovare il perdono, un giorno, per sua madre e per sé. Scivolò lungo il collo e serrò la presa, stringendo appena. Premette sulla laringe, sentì le dita affondare nella carne viscida e trovare con facilità la parte fragile delle vertebre. 

«Esci» digrignò fra i denti mentre la visione svaniva fra le sue braccia. «Esci fuori.»

L'ombra si scostò dal suo nascondiglio: una ragazzina, vent'anni appena, gli occhi castani spenti, nessuna espressione a colorarle il volto. 

«Ti sei divertita?»

Scrollò le spalle, nessuna risposta. 

«È colpa tua» gridò, rialzandosi da terra.

La figura rimase immobile, rigida in una postura retta e le dita serrate attorno al cuoio dell'elsa. Non sembrò scalfita dalle accuse che le piombarono addosso.

«Non l'hai protetta» la donna barcollò sui propri passi, avanzando con l'indice puntato contro la ragazzina.
Questa inarcò un sopracciglio senza mutare l'inespressività del volto. 

«Non c'eri quando... Non aspettava che te.» fu un singhiozzo quella nuova colpa.

La donna mosse una mano in aria «Ognuno fa le proprie scelte, quella donna ha deciso di morire, piuttosto che lottare. La colpa ricade solo su di lei.» 

«Stronzate» sputò Sæm con uno schiocco della lingua. «Non sei riuscita a vedere e ora giustifichi te stessa.»

La creatura battè un paio di volte le palpebre, incuriosita dalla raucedine in fondo le parole della donna davanti a sé. «Stai per piangere?»

«-censura-» rispose lei, strofinandosi gli occhi con la sottotunica che s' intravedeva sotto il cuoio degli avambracci. 

«Sei così scontata. Non vincerai neanche così.» mormorò la ragazzina, scostando una ciocca castana dietro l'orecchio. 

Sæm si portò una mano alla spalla, in un gesto automatico. «Tu» la parola le uscì come una bestemmia poi, dopo secondi di silenzio, scoppiò a ridere. «Sconfitta dalla mia stessa spada?»

Gli occhi dell'Epitaph scintillarono nel buio, un luccichio dorato dietro l'angolo. 

«Non vincerai»

Avanzò rapidamente e quando fu abbastanza vicina, la donna sgusciò di lato. La copia roteò su se stessa facendo perno sulla caviglia, la spada scattò in avanti ma fu semplice pararla con il piatto della lama; Sæm andò al contrattacco facendo scattare la propria arma, il metallo stridette contro il metallo. La punta scivolò sulla protezione del braccio, scavando un solco nel mithril. 
L'avversaria grugnì. Partì in una pesante carica, puntando contro le giunture deboli dell'armatura: il terreno tremò quando Mond si abbattè sulla pietra. Sæm approfittò dello sbilanciamento per vibrare un colpo alla schiena, la copia di sé rotolò a sinistra, proseguì il movimento per tornare in piedi e mulinare un fendente. Mancò il bersaglio. 
Colpo alto, parato. 
Finta sul fianco, deviato.
Fendente dall'alto, scivolò sull'accordo. 
Il suo piano era sfiancare la creatura, farla cedere, ma a ogni attacco vi era il contrattacco: come si può sconfiggere se stessi?
Sæm falciava il vuoto, mentre la donna la impegnava in un continuo gioco di assalti: arretrava e tornava all'attacco con più furia.
Si piegò per evitare che Mond le spiccasse la testa, si spinse in avanti per agganciare le caviglie del mostro ma fu rapido a indietreggiare, la donna sollevò lo sguardo nel suo. Non c'era altro che un vetro su cui scivolare nelle sue iridi. Scure come il petrolio, due pozzi profondi e insondabili.
Riprese a respirare con più calma cercando di controllare i battiti del cuore, nonostante sentisse la rabbia montare dentro sé, una furia cieca nata dall'odio che provava per la sua stessa vita.
C'era una solo cosa che poteva distinguerla dalla sua perfetta copia: lei aveva un obiettivo. Uno scopo. Voleva vendetta, ma era troppo vigliacca per togliersi la vita con le proprie mani, troppo debole per morire e ottenere sollievo. La copia, invece, lei poteva soccombere. Sæm era decisa a farla a pezzi.
Si lasciò invadere dalla rabbia, dalla frustrazione e dall'odio.
Si rialzò con uno scatto, caricò dritto contro la punta della spada, la quale cozzò sul pettorale con un clangore orribile di acciaio contro acciaio. 
Lei aveva uno scopo ed era disposta a ogni sacrificio per raggiungerlo. 
D'un tratto fu alla giusta distanza per colpire: evitò il primo colpo, intercettò il secondo con l'avambraccio. Mond cozzò con una tale forza da spaccare le orecchie, la copia fu costretta ad arretrare, ma Sæm non era disposta a cedere. 

«È» si chinò sulle ginocchia «colpa» balzò in avanti, ringhiando «tua» la spada falciò il terreno.

Digrignò i denti e sollevò ancora la spada fra le mani. Avanzò e assaltò. Ancora e ancora, finché l'avversaria non fu con le spalle al muro.
Sæm la trattenne alla parete con un ginocchio piantato nell'addome, le mani posate ai due lati della sua testa, si piegò su di lei con un sorriso. I suoi occhi erano già gonfi di vittoria, quando sentì bruciare la gola. Nessun dolore, solo il sangue ribollì nella trachea quando provò a parlare, le invase la bocca e i polmoni spinsero per un respiro in più, ma fu solo un rantolo soffocato. 
Strinse fra le dita il pomolo del pugnale che le spuntava dalla laringe. 
Indietreggiò, perché ci fu tempo per la consapevolezza di raggiungere gli occhi e per il corpo di lottare contro la verità, ma cadde a terra. L'ultima cosa che vide fu la sua copia scagliarsi contro l'Epitaph e frantumarne la pietra. 
Quando tornò a fissare lei, gli ultimi spasmi stavano abbandonando un corpo fatto di legami magici, memorie e paure.
Non era mai esistita, la sua vita era stata un pugno di minuti confusi - ricordò la spada della vera Sæm penetrarle la spalla e il mondo divenire un'ombra in preda al caos.
Allungò le dita verso la donna che l'aveva raggiunta e si era accucciata al suo fianco: le avrebbe voluto dire che non c'era nulla di male nell'essere una bambina spaventata, poteva permetterselo. Nessuno l'avrebbe ferita ancora, ma l'unico suono fu un verso gutturale e pieno di terrore.
Sæm afferrò il pugnale e nell'unico atto di pietà lo conficcò più in profondità, spaccando le vertebre del collo per donarle la pace che a lei ancora non era concessa.

«Addio, Sæm.» salutò quell'ultimo sprazzo d' umanità che ancora le era rimasto.
Ultima modifica di Leon Feather il 25 ago 2015, 00:19, modificato 1 volta in totale.
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Federico G.
Quoe:”… Deve riportarli a me tutto interi. Capito?”
???:”Ricevuto (Quanto odio il suo linguaggio sgrammaticato)”
La preparazione nella cucina del cliente, Quoe “Bastonich” Quan, fu veramente una seccatura. Le pistole, modificate dal mercenario stesso, giacevano unite come Yin e Yang sul tavolo, di fronte ad alcuni caricatori colmi di proiettili speciali. Azotati, infiammanti… Tutto l’occorrente per una caccia. Dall’altro lato del tavolo delle mappe approntate precedentemente, dato che non era più totalmente informato su Gaia e su Lindblum, il luogo della missione. Un fucile di precisione pesante divideva in due il tavolo, appena montato per verificarne condizioni e affidabilità, anch’esso avente caricatori di munizioni vibranti adagiate a fianco.
Quoe:”Se possibile, sono dieci mila…”
Lo sguardo nell’ombra si irrigidì all’improvviso. Il mercenario fece tintinnare sonoramente due lunghe lame che pendevano dalla cintura, nascoste nella cappa.
Quoe:”Venti mila guil per i loro coltelli.”
???:”Così va meglio. Certamente.”
Quoe:”Bene. Sono andato ad iscriverti a Sagra. Vedo che hai già pronte caricatori con munizioni identificative e già modifi…”
???:”Sì.”
L’individuo si alzò, prese mappe, equipaggiamento ed armi e si voltò verso la porta della cucina.
???:”Impari a parlare meglio. Per favore.”
Da dietro il folto gruppo di partecipanti, un uomo avvolto da una lunga mantella sdrucita osserva il re, gli occhi oscurati dalla lunga falda del cappello. I suoi occhi indugiarono sui partecipanti, sui mercenari in divisa che ben conosceva e sulle principesse, Hilda e Garnet.
Re Cid:”... Che la Sagra di Caccia… ABBIA INIZIO!”
L’uomo era già via, a gran velocità.
“Ma guarda tu se devo fare la spesa per un cuoco”. Il cacciatore, nascosto sotto la mantella a mimetica ottica, aveva approntato il suo fucile da cecchino. Arma pesante, non da caccia, ma da distruzione. Calibrato per la massima precisione e letalità. Potevi individuare l’arma dallo scintillio della bocca di fuoco, impercettibile, ma presente, sul ponticello assolato al primo piano della taverna nel borgo industriale. Vide passare molti cacciatori. Specie gli stessi mercenari di cui ricordava bene la divisa. “Pagliacci casinisti… mi rovineranno la festa”, pensò, lasciandosi sfuggire un lievissimo grugnito. Cercò di ricordare la “lista della spesa”, dato che non poteva muoversi ne fumare in appostamento. Coda e coltelli di Tomberry, Ali e coda di Rub Rum Dragon. Sapeva già come muoversi, i compiti a casa li aveva fatti.
Nel mirino appare una testa verde con dei tondeggianti occhi gialli. Il pupazzo camminava lentamente, avvolto nella pesante tunica, sfoggiando lanterna e coltello. Non era solo. Nei quadranti della croce ne comparvero altri tre. Ovviamente spaesati per essere stati portati fuori dalle loro comode e confortevoli grotte, non riuscivano a gestire la grande luce del sole, rimanendone storditi.
Uno alza la testa. Gli altri lo seguono. Nella piazzetta che stava tenendo d’occhio dal fucile, quattro cacciatori si avvicinano, armi bianche alla mano. Dei partecipanti. Il gruppo aveva già ingaggiato una tremenda schermaglia contro i buffi monaci, ma stavano avendo la peggio, nonostante potessero sfruttare la grande statua di Cid VIII come copertura. “Bene, li hanno sfiancati. I pivelli sono stati utili”. Un colpo, due colpi, tre colpi, quattro colpi. Le lanterne volano insieme a pezzi delle estremità che le tenevano. Le lanterne emisero un tetro bagliore oscuro, mentre il lamento dei piccoli nanetti strideva nel vento. I Tomberry vincitori si voltarono seguendo il suono dell’esplosioni, ma il luccichio fu l’ultimo bagliore che i loro occhi poterono apprezzare.
“Grazie per i punti”. Mormorò, sollevandosi, ricaricando il fucile con un sonoro clangore e rimettendo l’equipaggiamento in spalla. Fortunatamente, lo staff addetto ai mostri si occupava di ritirare le prede interamente per i partecipanti. Ossia nulla sarebbe andato perso. Mentre si accendeva l’ennesima sigaretta, si avvicinò all’Aircap, oltrepassando i cadaveri e recuperando i coltelli, per chiedere un passaggio verso il distretto teatrale. Essendo il quartiere ancora più in alto, poteva vedere la piazza del borgo commerciale. Il ruggito di qualcosa interruppe i suoi pensieri, ma non vedendo il bersaglio dalla stazione dell’Aircap, la preoccupazione passò in secondo piano. “Peccato per la barriera su edifici e servizi di Lindblum. Un combattimento aereo sarebbe stato divertente”. Probabilmente un Rub Rum Dragon aveva osservato la scena dall’alto, nell’attesa di una situazione favorevole per un delizioso spuntino a base di cacciatori. Appena arrivati, l’uomo buttò la sigaretta ormai finita. Il secondo ruggito, dall’alto, confermò il fatto di essere diventato preda: sopra ad un atelier, un grosso drago, rosso fuoco, dalle grandi corna nere apriva le sue fauci inspirando sottili guizzi di fiamme. Sì voltò verso le scale che portavano al luogo d’appostamento. Pullulavano di Elementi di Ghiaccio, d’Acqua e Granate. “Ora ci divertiamo”. Prese una fiaschetta, bevendone il dorato contenuto in velocità. “Fretta”. Il drago aveva caricato una palla di fuoco. Il mecenario aveva estratto le due pistole repentinamente. La palla di fuoco esplose al terreno. Il mantello e il cappello volarono via bruciacchiati, mentre il mercenario correva a velocità sovrannaturale verso il teatro. Il Rub Rum si gettò all’inseguimento, calando in picchiata per usare gli artigli. Xed, questo era il suo nome, zigzagava tra elementi e Granate, scansando strali e pilastri di ghiaccio, fiammate e getti d’acqua a pressione, che colpivano in maniera indistinta l’accozzaglia di mostri, compresa la preda, diventata in quel momento cacciatore. Appena superato l’ultimo Granada, si voltò saltando. “Boom baby”. Una pioggia di proiettili gonfiò un paio di Granate lì vicino che detonarono scatenando una reazione a catena e un’ancora più violenta esplosione. Gli elementi reagirono in punto di morte congiurando spuntoni di ghiaccio e bombe d’acqua, ma il danno era fatto. Il drago, scalfito dal trucco inaspettato, sputò palle di fuoco nella nube di fumo, cercando di disperderla e colpire il delizioso stuzzichino. Ma non vide nulla.
“Per il mantello me la paghi lucertolone”. Due colpi di fucile vibrarono sfiorando gli occhi del Rub Rum, ancora in bassa quota. “Dai cieli non fai niente bello”. Le grandi ali cartilaginee si dibatterono per mantenere quota, ma il corpo si abbassò, quasi schiantandosi al suolo. I proiettili vibranti, anche solo sfiorando gli occhi, li avevano danneggiati pesantemente per attrito col proiettile. Grande calibro, grandi danni. Sempre. Buttò il fucile nell’ingresso del teatro dietro di sé, estrasse le pistole, ricaricate a colpi d’azoto e fece continuamente fuoco sul muso e sull’attaccatura delle ali. Ripose le pistole e combinò il suo vanto, la bilama. Due lame unibili, con un sistema di flusso energetico per formare lame più grandi, oltre a quella standard. Sapeva che il ghiaccio sarebbe durato poco e l’effetto della pozione Haste era finito da un pezzo. Corse verso la preda, che lanciò una zampata preventiva, evitata da un balzo del cacciatore. Percepito il salto, la lucertola ignea sferzò verticalmente con la coda, schivando il bersaglio che adesso era sul suo dorso.
“Cosa diavolo è questo calore?!” Il mercenario scattò via dalla schiena del drago imprecando. I suoi stivali si erano leggermente sciolti per il calore emanato dalle scaglie della bestia. L’obiettivo si voltò, percependo con gli altri sensi rimasti buoni l’avversario e sventolò di nuovo la coda per tentare di colpirlo senza voltarsi troppo. Un'altra sequenza di salti scongiurarono il pericolo. Il mercenario provò a colpire la coda, ma il solo acciaio non bastava a scalfire le scaglie dure e incandescenti. “Diamine!”. L’uomo si era accorto della grandezza dell’arena, insufficiente per attivare le lame energetiche supplementari, mentre cercava di evitare in ogni modo qualsiasi colpo: ogni singolo danno contro una bestia del genere si sarebbe potuto rivelare fatale e stava leggermente accusando la fatica dei continui movimenti. Cercava di respirare a pieni polmoni, ma il fumo delle fiamme e i continui movimenti interrompevano l’avida ricerca di ossigeno. Ora che il bersaglio aveva ripreso le forze, aveva incominciato anche ad usare le ali e le corna. Soprattutto quelle. “Cos…?!” fece in tempo a voltarsi e a bloccare le zanne della bestia con entrambe le lame che il lucertolone aveva caricato una testata. Uno sguardo sotto di sé e Xed provò una scivolata di potenza, cercando di fare una prova di limbo per sfuggire alla bestia, scongiurando il pericolo di un letterale testa a testa. “Non posso toccarlo né colpirlo con efficacia” pensò. Gli sfuggì uno sbadiglio, nel momento più sbagliato, segno di necessità di un recupero d’ossigeno sufficiente. “!”.
Si volta alla ricerca disperata del fucile ancora carico, riposto all’entrata del teatro. Il Rub Rum Dragon si volta anche lui, pronto per carbonizzare il suo arrosto. Xed si lancia e afferra il fucile, piantonandosi contro la colonna. Il drago spalanca le fauci, inalando flutti di fiamme per ruggire una palla di fuoco enorme. Un respiro, l’occhio premuto contro il mirino, al centro della croce la gola della bestia. Tre esplosioni squarciarono l’aria.
“Dannazione, che male alla spalla…”. Si tirò su a forza, usando il fucile come bastone. La spalla destra era diventata completamente rossa, con alcuni tratti neri. Dei suoi abiti, molti lembi erano stati bruciacchiati. Gli stivali erano praticamente da buttare. “E io che mi preoccupavo della lavanderia…”, anche se le preoccupazioni corsero alle ferite riportate in battaglia.
“Missione compiuta”
Il mercenario buttò con noncuranza sul tavolo tutta la spesa, chiusa in un sacco, con molta noncuranza.
Quoè:”Perfetto! Perfetto! Tutto perfetto! Tutti ben conservati, tagliati a dovere e non riportano alcuno danno… E questi coltelli sembrano nuovi di miglior officina!”
Il Qu osservava ogni pezzo della lista, saggiandolo con mani e occhi avidamente.
Quoè:”Davvero ottimo lavoro. Questo spetta a te”
Indicò la borsa che giaceva sul tavolo. Dopo un rapido conto, si accorse che mancava qualcosa. Un tonfo secco chiuse gli occhi del grasso cliente.
“E con questi mi ripago tutto con gli interessi”. Il l’uomo si avviò verso la piazza, con la borsa e le armi. Un mercenario è così. O paghi, o ti prendono il pagamento. Almeno lui era uno di quelli che non ti prendeva la vita. Ripensò al coltello da Tomberry preso al suo cliente. “Mi sembra che alla cuoca della taverna nel borgo industriale servisse un nuovo coltello… Quasi quasi glielo regalo…”. Xed sorrise, si accese la sigaretta e proseguì verso la piazza, in attesa del verdetto sulla Sagra.
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Francesca F.
Nella vita, bisogna decidere se essere prede o cacciatori. Oggi sarà cacciatrice, domani sarà preda; tuttavia, l’inerme burattino continua a chiedersi cos’è che giace nel profondo del suo cuore… Se solo ne avesse uno.

Dopo il discorso di Cid, tutti i concorrenti vengono dislocati nei borghi. Io vengo mandata nel borgo teatrale: a quanto pare, il lavoro qui non sarà molto lungo. Mi guardo intorno: vedo qualche Elemento, un KoyoKoyo e un Tonberry. Decido di lasciare da parte per il momento il Tonberry, cominciando dal KoyoKoyo. I KoyoKoyo sono pacifici, perciò basterà lasciargli un Elisir per farlo andare via. Come previsto, alla vista della boccetta il mostriciattolo blu mi guardò con due occhioni dolci per poi scomparire. Sfortunatamente, non mi ero resa conto che il piccolo era stato usato come esca dagli Elementi per chiudermi in trappola. Quattro colori diversi. Ognuno aveva una debolezza e, di conseguenza, una resistenza diversa. Se non avessi fatto attenzione, sarebbe stato facile per loro interferire con i miei attacchi per trarne vantaggio. Sospiro; non dovrebbe essere troppo difficile. Li attaccherò nell’ordine rosso, giallo, bianco e blu: in questo modo, una volta eliminata una parte della coppia, per l’altro sarà impossibile interferire con gli attacchi senza subire danni. Il mio corpo si illumina: con le illusioni cercherò di dividerli, così sarà molto più semplice attaccare. Mi concentro sul rosso; una volta isolato, basta un Blizzard per farlo scomparire in una nube di lunioli. Sto per passare al giallo, quando qualcosa mi passa vicino correndo. Non riesco ad identificare chi o cosa sia, ma decido di rimanere focalizzata sugli obiettivi.

Non ci è voluto molto per sconfiggere anche gli altri Elementi, nonostante un paio di volte gli attacchi siano andati a vuoto. Ora manca solo il Tonberry. Il mostro attende la mia mossa. Lo schema di attacco del Tonberry è attesa, astio, attesa e coltellata fatale. Userò il primo momento di attesa per potenziare i miei attacchi, astio non avrà efficacia perché non avrò ancora sferrato attacchi, nella seconda pausa attaccherò con i pugnali, poi schiverò la coltellata e nella terza pausa dovrei riuscire ad abbatterlo. Comincio a mettere in atto il mio piano: nella prima attesa uso Focus e Audacia per potenziare la mira del lancio e la forza d’impatto. Secondo tempo, non succede nulla.
Sta andando tutto come previsto.
Comincio a lanciare le Butterfly Wing, ma qualcosa non quadra. Il Tonberry non è più davanti a me.
“Dov’è finito? Lo schema d’attacco non doveva essere questo…”. Mi guardo intorno alla ricerca del mostro, ma non riesco a vederlo da nessuna parte. All’improvviso, sento come un’onda maligna che mi investe: il Tonberry ha usato Astio Generale. Gli effetti delle magie di supporto sono completamente scomparsi. Perché il Tonberry ha cambiato schema?
Non è possibile! Perché è uscito dai binari? Ho forse calcolato male i tempi?
L’indebolimento prosegue, il mio corpo sta barcollando: la coltellata, nelle condizioni in cui sono, segnerebbe la fine della corsa. Non ho intenzione di far finire così la battaglia. Materializzo una Butterfly Wing nella mia mano, per poi graffiarmi la carne con la lama. Il dolore si fa sentire, ma stingo i denti. Alla vista del sangue, una pulsazione alla testa mi fa capire che le mie chance di vittoria sono salite al massimo.

Mi sento benissimo. È il momento di salutare quella lucertola verde. L’Angel Feather, leggera come una piuma, brilla sotto la luce del sole. Non sento più il dolore nel punto in cui mi sono ferita. È perfetto. Così perfetto che mi viene da ridere. Un ghigno sul volto. Per la burattinaia è arrivato il momento di giocare con una nuova marionetta.
Passo, passo, scarto a sinistra per evitare una coltellata. Fendo l’aria per colpire il Tonberry, che ora si trova nel mio raggio d’azione. Una lanterna si frantuma, parando il colpo. Una nube nera si spande nell’aria. I miei occhi si tingono di scarlatto mentre con Aero dissipo l’astio rilasciato dall’impatto. Sono seccata. Molto seccata. Non solo non hai seguito il tuo schema, ora pretendi anche di provare a salvarti. Povera piccola marionetta ingenua. Ognuno deve seguire i propri fili. E chi è che guida i fili? Chi, se non un burattinaio? Ho deciso di riportarti sulla retta via, burattino. Puppetmaster oggi è proprio clemente. Attivo la Tempting Manipulation, anche se la fatica si fa sentire. Secondo le mie volontà, il Tonberry è immobile. Prima che l’effetto svanisca, corro a recidere il braccio del mostro che tiene stretto il coltello. Del sangue di un colore immondo schizza nell’aria, mentre la lucertola emana un acuto verso di dolore. Pochi istanti dopo, del Tonberry non c’è più traccia.
“Questa è stata dura, eh… Non mi divertivo così da un sacco, avevo proprio i nervi a fior di pelle!” grido emozionata, per poi scoppiare a ridere. Qualche istante dopo sono finalmente tornata in me; vedo la pozza di sangue e capisco che LEI deve aver preso il sopravvento e ucciso il povero Tonberry in chissà che modo crudele. Un tintinnio cattura la mia attenzione: dopo essermi girata, vedo un mostro umanoide rosa che saltella.
Salve viandante, io son Ragtime Rat! Maru e Batsu son miei compari;
se alla mia domanda risponderai, un indizio sulla caccia avrai!”
Un indizio sulla caccia? Potrebbe tornarmi utile, ho perso fin troppo tempo con i primi mostri. Se si tratta di domande di logica non dovrei avere alcun problema a rispondere correttamente. Ragtime tira fuori una carta con su scritta la domanda per me.
La domanda è questa, orsù ascolta: vediamo un po’ quanto sei colta!
Delle opere di Ipsen ve n’è una che come quella al mondo non ve n’è nessuna.
Il suo titolo è “Sarò il tuo passerotto”. Vero o falso?
Se della tua risposta ti senti certa scegli O o X, ma stai attenta!
“Ipsen… No, non è Ipsen lo scrittore di “Sarò il tuo passerotto”. Quella è un’opera di Eiborn. Perciò la mia risposta è falso” dico lanciando un pugnale verso Batsu.
Risposta esatta, complimenti! Non avresti potuto fare altrimenti.
L’indizio che volevi ti andrò a svelare, però rifletti su ciò che vuoi fare.
La nebbia del cuore in cui sei smarrita può esser toccata con punta di dita;
il mostro di pietra ti potrà dire, ahimè, che cos’è che è importante per te.
In questo modo la nebbia andrà via, ma ti potrebbe mostrar la follia!
Marionetta, burattino, che cosa t’importa; non è meglio esser viva che morta?
Così com’è arrivato, Ragtime Rat sparisce. Il mostro di pietra potrà dirmi cos’è importante per me? Il mostro che intende è Epitaph? Non sono sicura di voler sapere cos’è che conta per me nella vita. Allo stesso modo, sono preoccupata all’idea di diradare quella nebbia che io stessa ho imposto al mio cuore. Guardo Uta, stretta fra le mie braccia, come se cercassi una risposta da quella bambola di pezza. Forse è arrivato il momento di affrontare le mie debolezze per diventare finalmente una vera burattinaia. Con sguardo fiero comincio la vera caccia, distruggendo ogni mostro che si trova sulla mia strada.

Mi ero spinta fino al borgo commerciale nella furia del combattimento, ma non avrei mai immaginato di trovarmi davanti quel mostro senza nemmeno cercarlo volontariamente.
Epitaph. Il mostro capace di scrutare nei cuori delle persone. Non esiste segreto che non possa essere svelato da quegli occhi di pietra. Nel momento in cui il cuore di una persona entra nel suo mirino, nulla può essere nascosto. Anche le trame più fitte costruite dalla mente umana vengono meno, tutti i fili vengono recisi per far sì che i burattini danzino di vita propria. E io… cosa sarei diventata se quei fili fossero stati recisi? Mi ero sempre vista come una burattinaia. Sono io che guido i fili del destino. Bugie. Mi sono sempre sbagliata. Ho sempre mentito a me stessa. La verità è che io, per paura, mi sono sempre nascosta dietro la facciata della burattinaia solo perché non sopportavo di essere un burattino. Ho tentato in tutti i modi di eliminare me stessa, ciò che ero, perché avevo paura.
Incrociai gli occhi di quel tiranno di pietra. L’epitaffio si sta schiudendo, proprio come una farfalla che attende solo di uscire dal proprio bozzolo per mostrarsi in tutta la sua magnificenza. Una tiepida luce mi avvolge.
Ho paura.
Cosa uscirà mai da quella luce?
Ho paura.
Chi è la persona che mi sta più a cuore? Me stessa? Qualcun altro? Non lo so. Manca sempre quel tassello del puzzle. Ma l’ho perso, perso per sempre, e non so dove ritrovarlo. Ormai, l’immagine non sarà più completa. C’è un vuoto. Quel vuoto mi ha distrutto il cuore e mi ha spinta a diventare quello che sono.

Per la prima volta da quando sono diventata Puppetmaster, le mie gambe hanno tremato. Guardo senza fiato la sagoma che ho davanti. Non ci riesco, non riesco a vedere. Chi sei? CHI SEI? Voglio una risposta. ESIGO UNA RISPOSTA! Ma i miei occhi non vedono. Tu, chiunque tu sia, sei una nube di fumo, qualcosa di talmente effimero che non riuscirei a catturarti nemmeno nei miei sogni. Indietreggio; il cuore vacilla. Alzo ancora una volta lo sguardo. Non vedo nulla. Solo fumo. Voglio dissipare quella nebbia che si annida nel mio cuore, lo desidero con tutta me stessa. Sento una fitta al petto; le gambe tremano ancora di più. Cosa sono tutte queste sensazioni? Sento un vortice dentro di me, qualcosa che mi sta risucchiando. È paura? Curiosità? Desiderio, terrore, vacillamento? È inutile, un burattino come me non potrà mai capire ciò che prova un umano. Le gambe finalmente cedono; i miei occhi, spalancati, non fanno altro che brancolare nella nebbia. Voglio vedere. Voglio ricordare.
Tu… chi sei?
Qualcosa si smuove dentro di me. Il ricordo di un’ombra, davanti al mio corpo di bambina, che spalanca le braccia mentre mi si para davanti. Uno sparo. Qualcosa di rosso e caldo schizza sul mio volto. La persona che ho davanti, poco prima di accasciarsi a terra, mi rivolge lo sguardo e, sorridendo, mi dice tre parole. “xx xxx, xxxxxxxx”. Sento un tonfo sordo, gli occhi sono gonfi di lacrime. Mentre corro via, tutto ciò che riesco a fare è continuare a piangere e gridare dal dolore. Di nuovo nella realtà, alzo per l’ultima volta lo sguardo. Vedo tutto sfocato, qualcosa di freddo mi bagna il viso mentre osservo senza fiato il mondo attorno a me: sto forse piangendo? Il mondo non conosce la mia sofferenza. Io stessa non la conoscevo. Non ero in grado di ricordare perché avevo fatto di tutto pur di dimenticarla. Quella nebbia che ha infestato i miei sfocati ricordi d’infanzia ora ha un volto. Un volto così familiare. Un volto che sembra lo specchio del mio. Un volto che non avrei mai pensato di dimenticare. I Minor Arcana si librano nell’aria, le mie pupille diventano rosse. Una danza di pugnali, cullati dalla melodia del vento. Il fantasma di fronte a me non c’è più. Qualcosa mi sfiora le spalle. Una mano grande, calda, ma gelida di morte. Un sussurro mi fa fermare, una parola mi trafigge l’anima.
“Sorellina”.
Le lame cadono a terra inermi. Tutto si offusca. Bugie, bugie, SONO SOLO BUGIE! Lui è morto. È morto a causa mia. Se non mi avesse protetta, se non l’avesse fatto…
“Smettila, smettila… Ridammi mio fratello…”.
Premo con le mani sulle orecchie, non voglio più sentire nulla. Il mio sguardo è perso nel vuoto, la mia anima è in frantumi.
È colpa mia.
Perché ti sei fatto uccidere pur di salvarmi?
È colpa mia.
Perché l’hai fatto… Ningen?
“Ti amo, sorellina”.
Un urlo fende l’aria, violento, colmo di un turbine di sentimenti di disperazione. XXII - The Fool splende e diventa la spada che cancellerà quel ricordo così doloroso. La verità è che lui non è più qui. Ormai, mio fratello non può più proteggermi. L’altra parte di me non c’è più.
Ho lasciato che uccidessero il mio gemello. L’unica persona al mondo di cui mi sia mai importato qualcosa.
Con gli occhi ancora pieni di lacrime mi lancio all’attacco. Ma lui, lui non vuole muoversi. Non importa, lo eliminerò anche se non vuole opporre resistenza. So che non è Ningen. Ningen Kuroyuki non c’è più. Quello è solo uno stupido fantasma. Spezzo con l’Angel Feather quella nube di ricordi. Quella proiezione, prima di sparire, sembra quasi sorridermi. Improvvisamente, la spada mi sembra pesante. La trascino a fatica sul terreno, dirigendomi decisa verso Epitaph. Lancio verso di lui un Ago Dorato: una polvere di pietra viene spazzata via dalla dolce brezza. Guardo le mie mani: per un attimo, ho creduto di vederle coperte di sangue, lo stesso sangue che quel giorno di dieci anni fa scorreva dal corpo di mio fratello.

Sento uno squillo di trombe: è tutto finito. Questa sagra… è stata solo una competizione, oppure è stata una lotta contro me stessa? Sono ancora la Ningyou che voleva catturare i fili delle persone per comandarle a suo piacimento? La Ningyou apatica che non sorride mai e che risponde con freddezza? La Ningyou bipolare che quando vede il sangue diventa una sadica e spietata assassina? In quel momento, mi sentivo una persona diversa. Forse avevo ritrovato quel candore che avevo quando ero una bambina. Ma sicuramente, ciò che avevo ritrovato era una ragione per vivere. Quella ragione era portare in me il ricordo di mio fratello. Se non lo avessi ricordato io, Ningen Kuroyuki sarebbe stato per sempre un nome privo di significato cancellato dal mondo. Guardai Uta, gettata a terra fra la polvere mentre combattevo con me stessa. Quando la raccolsi, un ultimo ricordo mi attraversò la mente.

Una mano gentile, un volto sorridente, una bellissima bambola che mi somiglia.

“Buon compleanno, Ningyou!”.

Lei, a differenza delle altre marionette, quel cuore lo possiede. L’ha ricevuto in dono dalla persona che l’ha salvata.
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Giulia T.

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Giulia T.
INDIANA JINN E I PREDATORI DELL'ELISIR PERDUTO (CIRCA)
Il trillo del telefono spezzò il silenzio dell'infermeria. Una mano apparve dalle ombre, raggiunse la cornetta e la sollevò, portandola all'orecchio. “Pronto?”
A parlare fu una voce maschile. “Sto parlando con Indiana Jinn, la famosa dottoressa archeologa?”
Alla domanda seguì un attimo di quiete intervallato dal suono della Chocola che viene versata in un calice. “Sì.”
Un sospiro. “Allora i miei collaboratori ce l'hanno fatta alla fine. Mi ascolti. Io sono il Collezionista. Devo incontrarla, con la massima urgenza.”
La donna annuì. “Molto bene.”
La voce dell'uomo si fece eccitata. “Bene! L'appuntamento è al numero 1138 di Magic Urn Avenue.”
“Ricevuto.”
Era tempo di tornare in azione. Indiana Jinn aprì un cassetto della sua scrivania, il cui contenuto era una fedora marrone e una frusta di pelle arrotolata.


Lindblum by night.

Le strade del Borgo Teatrale erano avvolte da una nebbia che regnava assieme alle tenebre, portatrici di un silenzio così profondo da instillare paura anche nella luna e nelle stelle che non avevano il coraggio di sporgersi oltre l'orlo della notte. Niente e nessuno osava addentrarsi in quell'aura così funesta... Tranne Indiana Jinn, che con la sicurezza di un predatore nel suo territorio di caccia avanzava nella bruma incurante del pericolo.

Ci fu lungo ronzio fastidioso, poi i battenti del cancello si dischiusero; Indiana Jinn percorse il lungo viale sulla sua fidata motocicletta con sidecar. Qualche minuto dopo era nella lussuosa hall della villa del Collezionista, e già da lì potè intuire l'eccentrico gusto per l'arredamento del suo committente. “Da questa parte, kupò.”, disse il maggiordono che fluttuando verso una stanza prima bussò poi la annunciò. Una voce trafelata dall'interno diede il permesso di entrare. Quando la porta si spalancò, i pensieri della donna vennero confermati.

Nella mano destra teneva una mappa dall'aria consunta, mentre le dita della mano sinistra tamburellavano ritmicamente sulla pelle della frusta attaccata alla cintura. “Il posto è questo.” proferì fermandosi in mezzo alla piazza; quando alzò il capo, da sotto la tesa della fedora balenarono due occhi smeraldo, e un sorriso beffardo le incurvò gli angoli della bocca. Quella sarebbe stata una caccia veramente eccitante.

Il locale era molto ampio, e il soffitto molto alto era a malapena illuminato dai barocchi candelieri. Tutto intorno c'erano espositori di varie dimensioni che ospitavano una grande varietà di cimeli, alcuni addirittura risalenti all'anno precedente. Indiana Jinn notò particolarmente la rarissima carta Tetra Master del Behemoth ubriaco e una copia a tiratura limitata de “La mia vicina” versione Molboro. “Benvenuta!” la accolse il Collezionista, un'ometto in accappatoio col riporto. “Lei mi deve aiutare, il mio tesoro più prezioso mi è stato portato via da barbari senza onore!” Indiana Jinn lo guardò da sotto la falda della fedora. “Adesso si calmi e mi dica cosa le è stato rubato.”

Che belli i flashback! Peccato che mentre la nostra avventuriera ne stava avendo uno venne catturata da qualche oscura creatura che colse l'occasione vedendola così assorta. Senza che lei se ne rendesse minimanente conto si ritrovò legata, tramortita e inbavagliata.
Quando si risvegliò non si rese nemmeno subito conto di quanto era successo, anche grazie ad un mal di testa post tramortimento e una luce puntata verso di lei. Realizzando di esser stata catturata e di non aver la minima idea di come, quando e dove fosse successo, Indiana Jinn si rese conto che avrebbe dovuto scegliere più saggiamente il momento in cui avere dei flashback. Contorcendosi nelle corde per tentare di liberarsi, si rese conto di essere osservata. La stanza era buia ma poteva chiaramente percepire su di sè un sacco di occhi che la guardavano malefici. “Fatevi avanti e mostrate il vostro volto!” gridò la donna con tutto il fiato che aveva in corpo. Delle agghiaccianti risatine acute riverberarono nella stanza, facendole venire i brividi da tanto erano stridenti. Ne seguì un rumore di passi leggeri che si avvicinavano. Quando la creatura fu avvolta dalla luce, l'avventuriera si accigliò.

Una piccola sagoma azzurra con un'antenna in testa, avvolta in una giacca che riportava una svastica su una fascia rossa applicata al braccio. “Allora il Collezionista aveva ragione... Degli Alienazisti!” sibilò la donna, e l'Alienazista rise sadico. Con le sue piccole mani afferrò le corde che la avvolgevano e la tirò a sè con fare minaccioso.
“Non credere di spaventarmi...” si interruppe un attimo per vedere i gradi. “Koyonnello.”
Versetti acuti e senza apparente senso uscirono dalla bocca dell'alieno.
“Allora lo sapevate...”
Altri suoni incomprensibili. Come faceva Indiana Jinn a capirli? Perchè è poliglotta, chiaramente. Che razza di domande sono?
“Maledetti ladri...”
Ridendo di nuovo, il Koyonnello fece un movimento con la mano ai suoi sottoposti. Qualche secondo dopo un Koyonente gli porse una sontuosa boccetta azzurra.
“L'elisir! Voi non capite! Non è quello che sembra!”
Ma naturalmente fu ignorata: gli Alienazisti erano stati colti da un delirio di onnipotenza, per cui ricominciarono a ridere, e le loro risate furono talmente acute e persistenti he disturbarono persino le leggi della fisica: le corde che tenevano legata l'avventuriera si spezzarono. Un silenzio imbarazzante calò nella sala. Nello stupore generale la donna si alzò in piedi e nonostante i timpani semi perforati da quelle risatine prese per il collo il Koyonente e gli menò un cazzotto poderoso in faccia; a quel punto il Koyonnello strinse quanto più forte poteva la boccetta e se la diede a gambe.

“Torna qui!” gridò Indiana Jinn, ma prima che potesse muoversi si trovò un sacco di Alienazisti addosso che la fecero finire di nuovo a terra. Maledizione, non aveva nè la frusta nè il revolver! La cosa si sarebbe dovuta risolvere alla vecchia maniera. Scalciando e menando pugni come se non ci fosse un domani ingaggiò un combattimento corpo a corpo con i suoi aguzzini, i quali risposero con testate e altri pugni. Fortunatamente essendo così piccoli non facevano granchè male, però erano in tanti e tanti colpi assieme stavano iniziando a debilitarla. “Non... Cederò!” si disse afferrando le divise degli Alienazisti per strapparseli di dosso e buttarli via, rialzarsi con uno sforzo titanico e cozzare contro una parete per schiacciarli. Stordite, la maggior parte delle creaturine cadde a terra, ormai fuori gioco, mentre gli altri si accanirono ancora di più. Senza che se ne rendesse conto il Koyonnello era arrivato ad una leva dall'altra parte della stanza (sì, la stanza era grande e lui ha le gambe corte, per questo ci ha messo molto tempo) e con l'ennesima risata irritante la tirò giù... O meglio ci provò. Arrabbiato per quel fallimento così eclatante l'Alienazista premette un bottone vicino alla leva che la abbassò, poi scappò a gambe levate. Tutto iniziò a tremare mentre una botola sul soffitto iniziò a spalancarsi: Indiana Jinn e gli Alienazisti rimasti si guardarono e scelsero di fuggire, piuttosto che affrontare il masso a forma di Pyros che cadde giù dal portello. “Ma che diav...” la pietra si accese di un rosso fuoco intenso ed iniziò a rotolare verso di lei! Meglio darsela a gambe! Girando i tacchi Indiana Jinn iniziò a correre a perdifiato nel dedalo di corridoio, chiedendosi secondo quale legge della fisica il masso continuasse a seguirla nonostante le svolte. “Dannazione!” pensò mentre scavalcava della travi cadute a terra a causa delle violente vibrazioni, poi salì le scale verso il piano superiore credendo di mettersi in salvo... Ma non funzionò, il masso che pareva infuocato continuava a seguirla, del tutto incurante della logica.

“Un macigno ad inseguimento termico?!” urlò l'avventuriera intravedendo un corridoio stretto e buttandocisi dentro: a forza di correre il fiato stava esaurendosi, non sapeva quanto a lungo sarebbe potuta andare avanti... Infilarsi in quell'andito era la sua ultima speranza. Voltandosi trionfante per vedere il masso bloccato dalle pareti, realizzò che le cose stavano andando molto diversamente da come credeva. Quello stupido affare stava ancora avanzando verso di lei nonostante le pareti fossero palesemente troppo strette. “Non ha senso!” gridò la donna, e come ultimo disperato tentativo (quella di prima era l'ultima speranza, è diverso) sfondò la porta dell'ultima stanza e ci si tuffò dentro, rotolando a terra con poca eleganza. Stavolta il piano funzionò: il masso era stato colto alla sprovvista e finì contro il muro, sfondandolo ed iniziando a rovinare a terra.

Il Koyonnello, fuori, si stava già pregustando la tragica morte della nostra eroina, ma fu colto dal disappunto quando la vide affacciarsi trionfante dal buco nella parete: non solo si era salvata ma aveva ritrovato anche il suo revolver e la sua frusta! Infuriato iniziò a fare gestacci e a mandarle ingiurie su ingiurie.
“Tua madre!” fu la risposta della donna, ma lo scambio di cortesie durò poco. Il masso, continuando a rotolare imperterrito aveva finito per pestare la zampa di un Archeosauro che “innocentemente” camminava per la strada alla ricerca di carne fresca. La bestia lanciò un ruggito di dolore talmente forte che per poco non scoperchiò le case dell'intera città. Infuriato diede una codata al macigno, spedendolo in orbita, poi si rese conto della presenza degli Alienazisti ai suoi piedi e ruggì anche a loro, avanzando per tentare di mangiarli. Gridando di terrore gli alieni iniziarono a correre via, il Koyonnello in testa. Indiana Jinn pensò di sfruttare la cosa a suo vantaggio. Inumidendosi il dito indice con la saliva per calcolare l'esatta direzione del vento, rotazione del pianeta, temperatura, tasso di umidità, di cambio e di interesse e altre cose complicatissime -e inutili probabilmente- , trovò il momento esatto in cui saltare in groppa all'Archeosauro. Srotolando la frusta per appigliarsi, si ritrovò appesa al collo del mostro che per poco non cappottò. Per stabilizzarsi infilò la punta degli stivali fra una scaglia e l'altra, e issandosi su con la frusta alla fine riuscì a scalare fino alla salvezza. Naturalmente l'Archeosauro si infuriò ulteriormente ad essere cavalcato e perse totalmente la testa: ruggendo e contorcendosi nel tentativo di disarcionare il cavaliere indesiderato finì per calpestare quasi tutti gli Alienazisti. Indiana Jinn dovette compiere degli sforzi disumani per non cadere a terra: meno male che la sua fidata frusta era abbastanza dura da reggere. “Caricaaa!” gridò aggrappata alle scaglie del mostro mentre faceva strage di alieni. Stava per raggiungere il Koyonello, ma il bastardo sembrava avere sempre una marcia in più. Tuffandosi in avanti finì per infilarsi in un pozzetto aperto. “Ma brutto figli di...”

Adesso l'avventuriera si trovava alle prese con un mostro impazzito e a combattere contro l'impellente voglia di flashback; non vedendo più gli Alienazisti l'Archeosauro iniziò a scuotersi violentemente, visto che non poteva raggiungere il cavaliere appeso dietro di lui. Indiana Jinn si ritrovò a dover scalare fin sulla testa e appendersi alle escrescenze sopra gli occhi per non fracassarsi al suolo. Coi ruggiti che ancora sconquassavano l'aria, il dinosauro iniziò a sbattere contro un edificio lì vicino in un disperato tentativo di liberarsene: la donna scivolò ritrovandosi appesa al muso del mostro che trionfante iniziò a far schioccare le fauci per destabilizzarla ulteriormente. Poteva sentire il fiato caldo e puzzolente riempirle le narici che la nauseò terribilmente. In un ultimo folle tentativo di liberarsi dell'Archeosauro prese la frusta e con un movimento secco del polso la avvolse intorno al suo brutto ceffo per far in modo che almeno per un attimo tenesse chiusa la bocca, e quando si abbassò per tentare di raggiungere il muso con le corte zampe anteriori Indiana Jinn si fece cadere a sua volta nel pozzetto, sperando che ci fosse almeno un po' d'acqua ad attutire la caduta.

Il Koyonnello era sopravvissuto all'impatto e alla massima velocità che gli consentivano le sue gambette correva via tenendo fra le mani il prezioso elisir. Già pregustava la sua raffinatezza, ma dalle ombre apparve improvvisamente un suo simile che indossava il teschio cornuto di qualche bestia e una collana d'ossa. Dapprima nessuno dei due si mosse, evidentemente sorpresi l'uno della presenza dell'altro, ma poi il nuovo arrivato prese l'iniziativa afferrando la boccetta ed iniziando a strattonarla per appropriarsene. Il Koyonello lanciò un grido acuto e iniziò a fare altrettanto. La forza che impiegarono in quella colluttazione fu tale che finirono prima contro le pareti, poi a terra... Ma uno di loro aveva una marcia in più. Alzò la mano al cielo e...

Indiana Jinn ebbe fortuna: l'acqua per esserci c'era, peccato che fosse finita nelle fogne. La caduta le tolse comunque il respiro, tanto da farla rimanere inerme a terra; qualche secondo dopo la frusta le cadde dolorosamente sulla faccia. “... Ahi.” disse mentre sopra sentì i passi dell'Archeosauro che si allontanavano. Ansimando, l'avventurierà riuscì a rimettersi in piedi, traballando e combattendo per rimanere in equilibrio. D'un tratto un urlo familiare attirò la sua attenzione. “Ti ho trovato!” esclamò iniziando a correre velocemente nella direzione da cui proveniva la voce del Koyonnello... O almeno così credeva. La scena che si ritrovò davanti aveva dell'incredibile: il fuggitivo giaceva a terra morto mentre un altro alieno teneva la boccetta in una mano e quello che sembrava un piccolo cuore nell'altra, gridando “KALI MA SHAKTI DE!” con una vocina talmente stridula da minacciare di perforarle i timpani. “Cultisti di Koyolì... Anche voi siete qui per l'elisir perduto!” gridò Indiana Jinn stringendo la presa sull'impugnatura della frusta. Il Cultista la guardò beffardo e con un grido richiamò i suoi seguaci armati di sciabola, i quali senza esitare la attaccarono intonando canti di guerra.

L'avventuriera flettè le ginocchia e con un movimento del polso mosse la frusta in modo che si avvolgesse intorno alla lama del primo alieno che stava caricando: con un altra mossa rilaciò la presa sull'elsa e la impugnò prendendola al volo. Ingaggiò così un combattimento con i seguaci del Cultista; purtroppo Indiana Jinn non era molto brava con le lame e fu disarmata in poco tempo. “Dannazione.” imprecò mentre ricominciava a menare la frusta. Riuscì a colpire un alieno, ma altri evitarono agilmente il colpo saltando e le furono addosso. Con la mano libera ne prese uno per l'antenna e lo usò a mo' di martello per colpire gli altri che intanto le avevano ferito braccia e busto, dopodichè lo lanciò in aria prendendolo al volo con la frusta ed iniziò a farlo vorticare verso i suoi compagni come se fosse un mazzafrusto. Un altro si stava avvicinando a lei con l'intento di prenderla dal lato, ma lei tirò fuori la pistola e lo gelò di revolverate. “Arrendetevi e restituite l'elisir!” disse Indiana Jinn al Cultista che, in disappunto, si scagliò su di lei.

I due finirono a rotolare per terra in un ammasso confuso di pugni e calci mentre delle torce infuocate illuminavano il loro scontro. La donna menò un gancio sinistro al Cultista facendolo finire a terra, ma lui si rialzò immediatamente e partì all'attacco a mano tesa. Indiana Jinn portò la gamba destra indietro puntando bene per terra la sinistra e menò una frustata che però l'alieno evitò mentre era in volo. La sua mano era sempre più vicina...

SCENA BONUS!

“Heylà salve!” esordì uno strano ratto vestito in modo eccentrico apparso dal nulla.
“Aaah! E tu chi sei?”
“Ragtime Rat al tuo servizio tesoro!” rispose. Si muoveva in modo ipnotico, e sembrava incapace di star fermo. Irritante...
“Non vedi che siamo nel bel mezzo di una scena d'azione al rallentatore? Cosa vuoi?”
“Susu non scaldiamoci. Se rispondi alla mia domanda ti do una dritta.”
“Ma che...”
“Di che colore ho le mutande?”
La donna rimase basita.
“Perchè, le porti?”
Attimo di suspance. Il ratto sventolò la carta che aveva in mano, e... “Risposta esatta!” all'esclamazione seguì una cascata di coriandoli multicolor. “Adesso torniamo pure alla scena.”


“COPRITI IL CUORE INDIANA JINN!”
Bene, quel topastro aveva mantenuto la sua parola. L'avventuriera torse il busto e il braccio che teneva la frusta per fare in modo che il Cultista non le arrivasse al cuore e lo scaraventò a terra; lui cercò di sfruttare l'occasione per afferrare l'elisir e scappare, ma con una scivolata la donna coprì la distanza che la separava dalla boccetta e la afferrò per prima. “Preso! Arrenditi se non vuoi un Kali Ma a modo mio!” disse minacciando il Cultista con il revolver, il quale si bloccò all'istante. “Voi stupidi alieni appena sentite dire elisir uscite di testa, ma questo NON è quello che intendete voi. Guarda il mio flashback”

“Mi hanno portato via la cosa più preziosa che ho... L'elisir perdu, le parfum de Kupò, edizione art decò a tiratura limitata! Ne esistono solo altre dieci in tutto il multiverso!” piagnucolò il Collezionista. “Sono stati quegli alieni, me lo sento!”
“Capisco... Di sicuro saranno ancora nei paraggi. Non si preoccupi, riavrà il suo tesoro.”


“Ecco. Visto? Questo è un profumo che si chiama elisir ma non è un elisir.”
Il piccolo alieno la guardò esterrefatto. Come poteva essersi fatto fregare a quel modo? La vergogna era troppa, e l'onta del disonore gli fece praticare la sua tecnica strappa cuore su se stesso. Vedendo quella scena Indiana Jinn scosse la testa. Avrebbe dovuto farsi un bagno e l'antirabbica visto che era finita nelle fogne, ma ancora una volta il suo lavoro era stato svolto egregiamente.
“Kali Ma, amico.” disse sistemandosi la fedora e sparendo nelle ombre.
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Giuseppe B.

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Giuseppe B.
Incontri sbagliati
Incontri sbagliati
Il piccolo borgo si presentava deserto alle prime luci dell’alba, i negozi ancora chiusi quel giorno non avrebbero animato le vie dei quartieri, traslucide barriere magiche erano già state alzate a protezione di edifici e strade aperte al pubblico, tutto era pronto per l’evento che gli abitanti di Lindblum attendevano con ansia, la sagra della caccia.
L’uomo indossava un lungo mantello nero, la brezza mattutina con la sua umidità portata da una leggera nebbia non riusciva ad insinuarsi tra le trame dello spesso tessuto, un tessuto che lasciava liberi i movimenti, ma che dall’esterno aveva la funzione di una discreta armatura, ma c’era qualcos’altro che la brezza non riusciva a fare, col cappuccio calato sul volto l’uomo tastava l’aria intorno a lui e qualcosa non tornava, qualcosa non era come doveva essere, quella leggera brezza non portava gli aromi che lo avevano indotto ad iscriversi a quella sagra.
- Comincia il quiz! Non è timidezza che ti fa nascondere il volto, vero o falso?
- Levati di torno, non è te che cerco e poi la sagra non è ancora iniziata!
Lo strano personaggio, quello danzante dal ridicolo costume non quello vestito di nero, sembrò un po’ irritarsi, fece per andarsene così come era apparso, ma accelerando la sua danza decise di fermarsi in movimento per divertirsi un po’.
- Ti sbagli! La sagra comincia con l’alba, ufficialmente almeno, poi i mostri vengono liberati più tardi, mica vorrai combattere contro un’orda di sonnambuli, ma noi non si dorme mai e nel noi ci sei anche tu, entrambi siamo alla ricerca di qualcosa, io so cosa cerco, cerco risposte, ma forse anche tu cerchi delle risposte, vero o falso?
- Servono domande per cercare risposte, al momento ho altre priorità!
- Vero o falso!!! Ma è così difficile????? Riproviamo… chi non ha domande non è detto abbia già tutte le risposte, vero o falso?
- Non puoi essere sconfitto, eppure partecipi ad una sagra di caccia, sei qua per divertirti, fai domande a cui hai già risposte, con chi sbaglia te ne vai, per chi soddisfa la tua non curiosità regali punti per la sagra, resta solo una domanda a cui non trovo risposta, tutto cambia, si trasforma, tutto è in perenne movimento, ma nulla è eterno.
- La domanda??? Dov’è la domanda???? Vero o falso???
L’uomo, che fino ad allora aveva dato le spalle al Ragtime, scomparve per un attimo alla vista dello strano essere, un leggero fruscio, un breve spostamento d’aria e tutto parve farsi veloce, troppo veloce, la vita gli scorreva davanti agli occhi come una lama che attraversa rapida il torace per poi bloccarsi all’improvviso impietrita dallo stop magico che avvolgeva il corpo del mostro, la sua mente continuava a saltellare, ma il suo corpo non reagiva, fermo come un orologio rotto.
- Nulla è eterno, se non forse lo scorrere del tempo, ma se questo si ferma quali domande possono avere risposte?
Il Ragtime si frantumò in mille pezzi lasciando la domanda in sospeso.
L’uomo spezzò l’incantesimo, la spada tornò veloce a celarsi dietro il mantello, l’uso della magia ha sempre delle conseguenze, soprattutto in una zona di caccia, avrebbe dovuto informarsi meglio sui mostri che potevano essere ingaggiati, ma problemi di rete gli avevano impedito una ricerca più minuziosa ed ormai era chiaro che ciò che cercava non l’avrebbe trovato, il rumore alle sue spalle segnò l’arrivo del nuovo avversario, un rumore di pietre, poi un urlo soffocato, il vano tentativo di forzare portali che non trovano il perno su cui ruotare i cardini, poi più nulla, solo rocce sgretolate sul selciato della via.
- Un Epitaph! È dura trovare qualcosa che non c’è, questo vale sia per gli affetti che per una colazione decente!
Ultima modifica di Leon Feather il 27 ago 2015, 00:05, modificato 1 volta in totale.
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Khadim N.

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Holden
La Mangia-ricordi
Mi rannicchiai sulla dura pietra con le braccia incrociate sulle gambe premute contro il petto. La gola mi doleva mentre inghiottivo saliva, sangue, polvere, orgoglio ed impotenza.
Non ero io, ma era come se lo fossi. Per quell'istante non ero più me stessa, non ero più solo me stessa. Ero anche quell'uomo che, vinto, spezzato ed umiliato pregava solo di poter diventare uno con il suolo. Il dolore delle sue ferite fu mio, le sue ossa rotte furono le mie, mia la sconfitta, mio il travaglio.
Rialzai la testa e staccai la mano dal selciato, interrogandomi sull'identità di quell'uomo che avevo visto, nei cui panni ero stata senza volerlo. Chi era? Cosa lo aveva portato a Lindblum? Non ne avevo idea, non sapevo nemmeno quando fosse successo. Sapevo solo ciò che gli oggetti e gli elementi attorno a me mi raccontavano.

E Lindblum è una città che ha molto da raccontare a chi me come ne sa leggere le pagine.
Sa cosa significhi la perdita, conosce il peso della sconfitta, ha assaggiato il sapore del dubbio. Su una stadera ha misurato il valore di innumerevoli vite, le ha viste rincorrersi lungo le sue strade, incrociarsi, scontrarsi. Si ricorda, mi ricordo.
Un leggero graffio nella pietra del selciato, quasi cancellato dagli anni. Macchie invisibili che un tempo erano sangue fresco. Un Grendell. Lindblum se lo ricorda, io lo ricordo avanzare cautamente, gli occhi fissi su due che ancora non sembrano averlo notato. Stanno combattendo, ed è qualcosa di più di un duello. La fiera non conosce il motivo di quello scontro, e ne fosse in grado direbbe che non gli interessa. Tutto ciò che vede sono due avversari già feriti, distratti, che potrebbero rivelarsi prede facili. Il Grendell non sa nemmeno perché si trovi a Lindblum, perché quegli uomini lo abbiano catturato e portato in un ambiente a lui così estraneo. Ha paura, è confuso, arrabbiato, e non ultimo, ha fame. Se sapesse ciò che adesso so anch'io, probabilmente tornerebbe sui propri passi.
Non fa in tempo a pentirsi di non averlo fatto, nemmeno quando i due si girano, finalmente consci della sua presenza. Sono a terra, feriti, stanchi, insanguinati, ma non c'è rancore, non c'è rabbia tra di loro. Quello che c'era è passato ed è sparito, forse rifugiatosi in un angolo del cuore di lei, forse è rimasto lì, proprio in gola, pronto a strozzarla se gliene darà l'occasione.
Il Grendell muore troppo velocemente per poter realmente provare qualcosa, e la sua morte è un suggello, lasciato a dissanguarsi velocemente sul selciato.

Mentre mi aggiro furtiva nella città svuotata di normalità faccio uno sforzo sovrumano per tenere chiusi il cuore e la mente al richiamo continuo che come un ospite sgradito continua a bussare alla soglia dei miei sensi. Non voglio sentire nulla, non voglio ricordare vite non mie. Ma Lindblum è una città antica, che troppo ha visto, troppo ha sentito. Ha trovato qualcuna che la ascolti e vuole condividere il carico di memorie che pesa sulle sue spalle.
Ricordi sfocati di essere sola nel buio e di star sognando. O no? Eppure la lanterna ed il coltello erano lì per terra, accanto a me quando mi rialzai. Il ricordo che mi arriva è troppo fievole, troppo confuso. Sola si impone l'immagine di mia sorella che muore, muore, muore. Più e più volte. Una bambola di pezza seviziata da forze che non voglio conoscere.
Ma io non ho mai avuto sorelle. Scrollo la testa e si ristabilisce la naturale cesura tra me ed il ragazzo di cui ho spiato un frammento di vita. Sento ciononostante un groppo nella gola, un singulto improvviso. Chi eri? Perché hai dovuto vivere ciò?

Ricordi e memorie mi assalgono da ogni direzione, si intrufolano in me, si impongono alla mia attenzione. E' con sollievo che accolgo in essi rari frammenti di tenerezza, momenti di levità, sollievo dal puzzo di sangue e morte di cui Lindblum è intrisa sino al midollo.
La gioia infantile di un Yan. Il sollievo di un padre mentre spicca il volo verso il luogo dove sabbia e orizzonte si confondono, dove lo aspettano figli che non sperava più di veder crescere. Le lezioni apprese.

Mi ricordo tutto, come se fossi stata presente lì quel giorno. E' quello il mio “potere”. La capacità di leggere in ciò che mi circonda le tracce lasciate da esseri ed eventi che ivi sono transitati.
La pietra ha memoria, il vento ricorda, il sole rimembra. Gli stessi alberi si scambiano sommessamente racconti di storie passate, protetti dal fruscio delle foglie che li rende inintelligibili.
Io percepisco questi frammenti del passato; Le assorbo dalla dura roccia, mi entrano nelle orecchie assieme alla musica del vento, invisibili tracce nel mondo mi appaiono come parole stampate di un libro indiscreto.
Questo è il mio dono, la mia maledizione. Le memorie di intere generazioni diventano mie, si affollano alle mie, si confondono ad esse, finché il mio essere implode come dopo un pasto troppo ricco, tramortito da un numero di impulsi troppo alto, diventando nello spazio di un secondo dieci, cento, mille.

Ma questo il Tomberry non lo capisce, e forse non gli interessa. Lo incontro quasi casualmente in un vicolo deserto del Distretto Teatrale di Lindblum ed egli percepisce immediatamente le memorie di cui mi sono involontariamente nutrita mentre prima di capitargli di fronte vagavo per la cittadina. Ha annusato o letto in me il carico di odio, violenza, sangue, morte che ho raccolto per strada, ed ha identificato in me l'oggetto della sua vendetta. La sua lanterna dalla luce flebile ma sinistra ha avuto un breve bagliore, ed ho potuto quasi vedere il moto odioso ed instancabile delle anime irrequiete in essa rinchiuse, tese verso di me “E' stata lei, è stata lei!”
Un'immagine vivida, cruda; Puzza di sangue, di carne viva e di cervella cotte dal sole, rumore di ossa craniche che si sfracellano accompagnato da un suono ancora più disgustoso. Il ritmico battere di un bastone contro qualcosa di innominabile, gemiti e pianti di figli che stanno vedendo il proprio padre straziato mentre il carnefice con sorriso vacuo prosegue imperterrito, negli occhi un baluginare di follia che non era loro naturale. Erano Iaguari, ma non perciò era meno opprimente nel mio animo il ricordo di quella tragedia consumatasi anni prima, per mano di qualcuno che nemmeno conoscevo. Ricordo che adesso era mio, e di cui mi si chiede adesso conto.
Gli stessi muri che ho attorno mi raccontano di una ragazza che essi videro ad un passo dal perdere la vita lì, in mezzo al loro sguardo indifferente. Vedo la presa ferma ma sudata sull'elsa della spada, i passi che lentamente indietreggiano con la dolorosa consapevolezza che alle sue spalle non si trova la salvezza ma solamente un vicolo cieco, un ostacolo inamovibile che la obbligherà a fronteggiare ciò da cui sta cercando di distanziarsi. Vedo l'abominio mezzo leone mezza lucertola che implacabile ne segue ogni movimento, percepisco il sottile gioco del gatto e del topo che si sta svolgendo. Assisto agli scambi disperati, alla subitanea esplosione di violenza ed energia, sono in prima fila quando la bestia ferita preferisce togliersi la vita con i suoi stessi artigli invece di concedere la sconfitta. E per un attimo sono sia lei che lo Shumelke. Delusione per la preda che si sottrae mista a sollievo, confuso ribollire di rancore, rabbia, determinazione in una mente quasi aliena.
“Non sono loro!”
Il mio grido è egualmente di rabbia e disperazione ma il Tomberry non lo sente nemmeno. Inesorabile continua ad avanzare, il coltellaccio nella sua mano sinistra è allo stesso tempo minaccia e promessa di liberazione.
La mia mente corre per un futile istante all'arma che mi porto al fianco, ma il senso di ineluttabilità e la paura prevalgono, ed è quasi con sollievo che scappo, inseguito dal vociare rabbioso di anime che vogliono riparazione.
Esse mi rimproverano l'estasi che provai quando vidi zampillare lo sangue della mia preda in fiotti vivaci, mi rinfacciano l'umiliazione della paura che provai quando ad assalire le mie narici frementi fu il puzzo del mio sangue. Acciaio tagliente nella mia stessa carne, dolore e frustrazione, nebbia rossa. Sono sulle soglie della morte, e sento la mia umanità scivolare via, un vestito troppo stretto per contenere... qualcosa... Sto bruciando vivo e la mia stessa pelle è un manto di fuoco nel quale sono intrappolato. Sono guerriero sono Behemoth, sono vivo sono morto sto bruciando sto incendiando rido l'umore vitreo dei miei occhi esplode come una pustola odio odio odio odio odio odio.

Chi sono?

Sono di nuovo me stessa mentre corro a perdifiato per le strade di Lindblum. Uno sguardo alle mie spalle non mi rivela nessuna traccia del mio inseguitore, ma il mio cervello non si fa ingannare. Mi sta seguendo, vuole il suo tributo.
Passo di corsa accanto ad cumulo di vecchie casse, quasi scivolo sul selciato ma riesco a raddrizzarmi in tempo. Mi fermo, esausta, ho bisogno di riprendere il fiato. Mi accovaccio riparata dietro al legno, sulla mia pelle la carezza del sole, e tiro un respiro profondo.
Sto per morire, lo sento. Non c'è via di scampo. Lui sta per morire, lo sente, non c'è via scampo.
Il dolore alla gamba è quasi un monotono sottofondo, che pure potrebbe costargli tutto. Cosa significa morire? La linea sottile che sta per tagliare in due la sua esistenza. Non ha paura di ciò che c'è oltre, ma di perdere tutto ciò che ha alle spalle, che ha fatto, visto, coloro che ha incontrato. Che valore avrà un nome quando la persona ad esso associato non sarà più lì per rispondervi? Non vuole diventare un racconto che volerà di bocca in bocca, bocche piegate da un ghigno di scherno o adombrate dal utto. Qualcuno dovrà scrivere quella storia, e chi può farlo meglio di colui che ne sarà protagonista? Ticchettio ferale di zoccoli contro la pietra, promessa di annientamento, di cesura. Ma lui non è pronto ad arrendersi.
Strisciare di stoffa, stridio intermittente di acciaio contro la pietra, promessa di vendetta. Ma io non sono pronta ad arrendermi. Sfodero la spada, la sollevo con entrambi le mani, dritta davanti al corpo, in attesa. Svuoto i polmoni con foga, sento la mia testa schiarirsi. Ho smesso di scappare.
Gli occhi del Tomberry sono gialli quanto la luce della sua lanterna. Lo sguardo è atono, privo di movimento e di vita. Non trasmettono sentimenti, e nemmeno reale volontà.
Con un'agilità di cui lo credevo incapace scatta in avanti, il braccio armato proteso, la punta del coltello diretta verso di me come un mortale pungiglione. Riesco a scansarmi di lato più per fortuna che per reale abilità, e sento distintamente lo spostamento dell'aria contro la mia pelle. La mia spada cala a sua volta, senza grazia ma con forza, cercando il collo del mio nemico. Ma il Tomberry cade lungo disteso, sbilanciato dal suo scatto andato a vuoto e la mia lama gli passa sopra la testa di pochi centimetri. Goffo ma veloce si gira verso di me da terra dove è lungo disteso ed agita nella mia direzione la sua lanterna. Le anime che la abitano sembrano prendere improvvisamente vita e come un torrente in piena si precipitano verso di me. Non faccio in tempo ad evitare l'impatto ed urlo di terrore mentre ne vengo investita in pieno e scaraventata per terra.

Provo solo rimpianto per quella vita che non potrò più assaporare, per quegli istanti che non potrò più vivere. Sulla soglia della morte, mi rendo conto che ho passato più tempo a ricordare le vite altrui che a costruire la mia.
E' quasi con timidezza che apro gli occhi, rendendomi conto di non essere morta, di essere anzi quasi illesa.
Mentre mi rialzo incolume sotto lo sguardo indifferente del Tonberry, sento il cuore balzare per l'euforia. Naturalmente il suo attacco karmico non poteva farmi danni. La sua vendetta stava cercando di colpire il bersaglio sbagliato.
“Te l'avevo detto che non ero stata io”.
E scoppio a ridere, ubriaca di sollievo, di fatica mentale, di gioia di essere viva.
“Sono viva!”
Il corpo estraneo nel mio ventre è inizialmente quasi impercettibile, un leggero graffio, un bacio da labbra gelide. Abbasso lo sguardo e vedo l'impugnatura del grosso coltello da cucina premere contro il mio stomaco, al centro di un fiore scarlatto. Espiro ed una goccia solitaria di sangue mi esce dalla bocca, cola giù dalle labbra, mi solletica la punta del mento. Le mie gambe perdono ogni forza, cado in ginocchio, indifferente all'urto violento della pietra. Il Tonberry indietreggia di un passo, noncurante del coltello che ha lasciato infilzato nella mia carne. Non ho la forza di sollevare lo sguardo, ma so che non vi troverei odio e nemmeno risentimento. Forse nemmeno la scintilla del dovere compiuto.

Perché?
Perché devo morire io?
Non sono stata io a dare sfogo alla Bestia, a liberarla dal suo guinzaglio ed a lasciare che si inebriasse di sangue. Ho annusato quel sangue, l'ho bevuto e poi sono tornato nel giardino. Ma non ero io.
Non sono stata io a trasformare quella creatura in pietra. Ricordo di averlo fatto, ma non fui io a farlo. Come ricordo quel breve istante in cui fui conscio di ciò che mi stava succedendo. Il terrore folle mentre il mio sangue smetteva di scorrere e le vene esplodevano. Ricordo il secondo trascorso tra la realizzazione ed il momento in cui il mio cuore divenne pietra, e fu il più lungo della mia vita. Ma non ero io.
Non sono stata io a far calare la cortina della follia sulla mente del Sahagin. Ricordo la violenza dell'urto, il rumore sordo della carne che si lacera e delle ossa che si frantumano, la facilità con cui le lame affilate morsero. Ricordo anche il momento in cui rivolse l'arma contro sé stesso. Ma non ero io.
Non sono stata io a colpirlo con il tridente. Ricordo nebbia, buio, confusione. Non emise suono quando gli tolsi la vita, e forse quella nel suo sguardo era più un'interrogazione che un rimprovero. Un interrogativo al quale non potei mai rispondere. Morì prima che potessi spiegargli che era colpa sua, della donna, che non avevo voluto uccidere l'unico fratello che avevo. Cos'altro potevo fare a quel punto, se non rivoltare la stessa arma contro me stesso? Ma non ero io.

Una goccia, due gocce, tre gocce... Il mio sangue finalmente tocca terra, e so di aver già vissuto questo istante. Acciaio gelido nelle mie carni, sapore di sangue nella bocca, stanchezza e paura infantile.

Non voglio morire. Non voglio morire per colpa di ciò che non sono.
Ma forse per la prima ed ultima volta nella mia vita, sono da sola con i miei pensieri e con me stessa. E di ciò sono grata alla morte.
Non è un prezzo che sarei disposta a pagare, ma la scelta non è più mia.

Anni affollati per fortuna siete già passati
Ultima modifica di Leon Feather il 25 ago 2015, 01:48, modificato 1 volta in totale.
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June C.

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June C.
La donna si era guardata intorno con calma, mani in tasca e schiena rilassata, e quando si era mossa era stato un passo fluido il suo, deciso; poco femminile, forse, ma lo stesso maledettamente intrigante.
Piuttosto alta, esile, sotto l’impermeabile lasciato aperto si erano intravisti un paio di pantaloni cargo e un dolcevita nero che sebbene non dicessero granché sulla sua fisionomia, potevano fare ben sperare.
O così aveva pensato il giovane ora davanti a lei, intimorito dallo sguardo freddo e aggrottato che lo squadrava con blando interesse. «Chi è questo mentecatto?» domandò infine la sconosciuta al proprio compagno di squadra, diventato rosso come la cresta di un gallo nel tentativo di trattenere le risate.
«Che classe, capo!» esplose alla fine, incapace di contenersi oltre. «Ora vi presento: lui è Richard, il rimpiazzo mandato dal Comando. Richard, ecco June Cardinale, capo supremo della Tau Draconis.»
Il soldato impiegò qualche secondo a registrare l’informazione e quando lo fece, il sorriso da rubacuori con cui aveva tentato di avvicinare “quella brunetta dalle labbra imbronciate” si pietrificò lentamente.
«Ca-Cardinale?» sfiatò, confuso e attonito mentre l’altra ancora lo radiografava dalla testa ai piedi.
«Il rimpiazzo, eh? Quei disgraziati del Comando! Da dove ti hanno ripescato? No, non voglio sapere» lo interruppe prima che aprisse bocca, fissando poi di sbieco il compagno quando tentò di ammansirla ammettendo la propria colpa in quel piccolo incidente. «Ho immaginato fosse una tua idea del cxxxo» aggiunse acida nel sedersi al tavolo della locanda, subito imitata «altrimenti questo qui starebbe già spazzando il pavimento con i denti. Tu» si rivolse alla recluta. «Seduto. Ti si è ibernato il neurone?»
«Che ti è successo, capo?» s’intromise garrulo l’uomo al suo fianco. «Crisi con qualche alto papavero del Comando oppure è un po' che non... pattugli, sì, torniamo alle vecchie abitudini che non fa male.»
La donna gli scoccò un’occhiata eloquente nel versarsi un abbondante bicchiere del liquore che la cameriera aveva portato loro; uno di quegli sguardi che minacciano un ordigno infilato su per il culo.
«Sei davvero divertente Stefan. Mi sto sbellicando, anche se non sembra. Dunque rimpiazzo» bevve in un unico sorso, come se fosse stato acqua, poi tornò a prestare attenzione al giovane seduto e ancora piuttosto incapace di proferire verbo «cosa ne dici di ripescare la lingua e dirmi almeno il tuo nome?»
«DU’ SARTIMBOCCA, PASTA ALLO ZACMAL E ‘N PANINO CÒ LA MORTAZZA! DAJE!»
L’urlo, che colse di sorpresa l’inquieto soldato facendolo trasalire, scaturì dalla cucina e accompagnata dal cozzare di stoviglie e padelle varie, una bizzarra creatura fece capolino sulla soglia brandendo un mestolo di legno quasi fosse una mannaia: alta un metro e un anacardio, larga altrettanto, fece saettare i suoi occhietti a rombo lungo tutta la stanza fino a individuare il tavolo del trio. Si avvicinò a passetti rapidi per afferrare la mano di Cardinale nella propria grassoccia, scuotendola poi con estremo vigore.
«Bella de zia! ‘Na cliente diversa!» Il vocione possente somigliava a quello di un bulldog infuriato e a nulla servì l’occhiata gelida che la donna gli rivolse, il metro sferico dello strano essere non fu scalfito.
Stefan mascherò una risata nasale dietro un colpo di tosse, subito ripagato da un calcio negli stinchi.
«Anvedi te sto gruppo de scarcinati. M’ha inviato ‘na lettera d’aiuto pe’ daje ‘na mano co’ sta bettola il giorno de la Sagra e battono la fiacca! Avete fame, vero?» chiese intanto la creatura, prendendo la matita appuntata alla toque da chef. «Allora, direttamente dalla Scola de li Qu pe’ imparà l’arte der magnà oggi avemo spaghetti ar ragù de Zacmal, er classico panino co’ la mortadella da’ Porta Sudde, bistecca de Phang ai feri...»
«Solo qualcosa di alcolico e forte» la congedò Cardinale. «Meglio doppio, per il nostro ragazzetto qui.»
«Come...? Cosa...?» balbettò interdetto lui, poi un guizzo d’intelletto tornò a infiammargli le meningi e si schiarì la gola. «Ah, sì, certo. Richard Tyler, caporale della squadra Polaris. Io vorrei scusarmi...»
«Sì, sì» la donna mosse la mano infastidita. «Conosco Stefan.» Il diretto interessato le sorrise serafico mentre lei si sporgeva verso la recluta, che deglutì. «Avevo chiesto un rimpiazzo serio e di nuovo mi hanno spedito un pivellino ma non importa, andrò a ringraziare dopo il Comando. Ora sei qui e servi per la prossima missione, perciò apri i padiglioni auricolari e ascolta perché non ripeterò, hai capito?»
«Paganini non ripete» fischiettò Stefan sorseggiando birra e Cardinale si girò verso di lui, esasperata.
«Non interrompere, ammasso di ormoni ambulante. Neppure sai chi era, Paganini» disse e ignorando le sue proteste puntò gli occhi scuri su Richard. «Prima cosa: la squadra è composta da me, il tattico Woulfe nella persona del deficiente qui accanto, il programmatore Bryce e il logistico Edelberg, perciò tu dovresti avere il compito di tecnico delle comunicazioni. Tra noi, però, tutti devono saper fare tutto. Io coordino voi altri e la mia parola è legge: ciò significa che tu fai quello che ti dico quando te lo dico, fosse anche correre nudo in pubblica piazza. Hai capito il punto, figliolo, o devo farti un disegnino?»
«La mia parola è legge...» la scimmiottò Stefan. «Stai diventando un po' troppo megalomane, capo.»
Cardinale ringhiò qualcosa e si voltò di nuovo verso di lui ma un sorriso represso tremava sulle labbra.
«Senti, vuoi chiudere quella fogna e lasciarmi fare il mio lavoro in pace, grazie?» Il compagno rispose con pacifica serenità al suo sguardo finché lei tornò a Richard, sospirando. «È importante tu sia svelto di mente e soprattutto devi fidarti di me, delle mie scelte, non importa quanto ti sembrino eccentriche.»
«Sì» disse semplicemente lui tranquillizzato e la donna gli rivolse un impercettibile cenno soddisfatto.
«Adesso vi parlerò della missione, e Stefan, se ti becco a tirar fuori qualcuno dei tuoi porno giornaletti olografici o fare segnali di fumo alle ragazze presenti, ti sospendo dal servizio per il prossimo secolo.»
«Lo so che mi vuoi per te, non serve ammetterlo con tale franchezza» rispose in tono leggero, mettendo tuttavia in tasca il piccolo aggeggio con il quale stava segretamente giocherellando e facendosi attento.
«Allora, Richard: come sai, il Comando collabora con diversi enti governativi, tra cui quello di ricerca, e da un po' sta tenendo d’occhio questo pianeta. Alcune squadre sono state designate per il recupero di campioni di flora e fauna, la nostra in particolare è coinvolta nella Sagra che si terrà di qui a poco per via dei tanti, singolari, difficilmente rintracciabili esemplari messi in libertà durante la giornata.»
Lo sguardo che gli lanciò avrebbe fatto annuire il caporale anche se non avesse avuto affatto idea di quanto stesse dicendo; per fortuna, comunque, Richard conosceva la questione del reparto scientifico.
«Il tuo compito sarà aggiornarmi su qualsiasi informazione reperirai per evitarmi una morte che non ti perdonerò» aggiunse tra il serio e il faceto. «Stefan controllerà. Lavora bene e forse sarai dei nostri.»
«Tranquillo, ormai dovresti aver capito che non morde» lo rassicurò il compagno, salottiero. «Non in presenza di testimoni, almeno» aggiunse, prima di gettare qualche guil sul tavolo e alzarsi per uscire.

____________________________________

Un treno merci con tutti i vagoni al completo investì in pieno Cardinale sulla guancia destra, sollevandola da terra per farla rovinare metri più in là sul lastricato del Borgo Commerciale.
Era successo tutto troppo in fretta: un attimo prima stava fissando uno strano monolite, poi...
«... e la sua principale forza sta nel ricreare un’esatta copia di quanto più caro al mondo ci sia per chiunque lo affronti» stava finendo di snocciolare il rimpiazzo nell’auricolare, mentre la donna scuoteva frastornata la testa. «Quello non è il Generale Novak?» ansimò spiazzato.
«Sì ma non farti venire un orgasmo, ragazzino» lo raggelò lei, massaggiando lo zigomo ora insensibile e ritraendo la mano insanguinata. «Tolta l’uniforme, è un borioso nevrastenico.»
«Ahi ahi, è livore quello che sento, capo?» s’intromise Stefan con suo enorme fastidio, prima di sentirsi in dovere d’illustrare al novellino. «I due non sono proprio culo e camicia, ecco.»
«Oh... Come mai?» sfuggì al giovane, che troppo tardi comprese sarebbe stato meglio tacere.
«Tanto tempo fa, in una terra lontana, erano coinvolti in un love affaire che è naufragato per, come l’avete chiamata? Incompatibilità di carattere? Tradotto, se le davano ogni santo giorno.»
«Tu fatti gli affari tuoi» berciò Cardinale spazientita, alzando gli occhi in tempo per vedere lo stivale dell’uomo calare con forza sulla sua faccia; parò il colpo afferrandolo con entrambe le mani e spingendo mandò il proprietario a gambe all’aria, poi si rialzò a fatica, lo sguardo annebbiato dalle lacrime. «Se solo lontanamente mi fregasse qualcosa di lui, spererei stesse schiattando sotto una pila delle scartoffie che ama così tanto, il signor Generale sul pisello.»
Un secondo pugno, fulmineo quanto il precedente, la centrò sulla guancia opposta facendole sputare un fiotto di saliva misto a sangue, tuttavia riuscì a rimanere in piedi e ricambiare la cortesia, rompendo alla copia il setto nasale; senza fare una piega, l’uomo l'aggredì ancora portando a segno colpi precisi, micidiali, ai fianchi, al viso, allo stomaco, finché uno piuttosto violento all’orecchio non le sparò un sibilo acutissimo e fastidioso direttamente nel cervello.
Adesso mi hai proprio rotto le palle» mormorò, appena appena alterata, riuscendo a farlo indietreggiare di un metro buono con una testata al plesso solare, cui seguì una ginocchiata.
Novak, l’Epitaph, scoprì i denti, la bocca distorta in una piega violenta, e subì il suo affondo prima di artigliarle i capelli in una morsa implacabile per scaraventarla contro la vetrina del vicino edificio; la barriera protettiva le impedì di attraversarlo in tutta la sua lunghezza ma l’impatto non fu comunque piacevole e la lasciò boccheggiante per alcuni secondi di troppo.
Quando si rese conto di avere la gola chiusa in una stretta senza respiro, la stava già tenendo sollevata qualche centimetro dal suolo. Cardinale tese le dita più che poté fino a sfiorare il calcio della pistola, estrarla e attivare spasmodica con il pollice la modalità di fuoco secondario.
La spinse contro il costato dell’uomo. «Salutami la tua burocrazia del cxxxo, Generale» sibilò e trovò solo il tempo di pregare che le migliorie di Edelberg funzionassero, poi l’esplosione inaspettata la scagliò lontana, ancora sul selciato, facendole picchiare malamente la tempia.
Sdraiata a terra, braccia e gambe divaricate, maledisse nella propria confusione il logistico e le sua mania per le catarsi al Napalm mentre ogni centimetro del corpo gridava dal dolore.
«Capo, che fai steso così?» chiese Stefan scuotendola dal torpore. «Sembri una pelle d’orso.»
«Volevo vedere il mondo da una prospettiva diversa» buttò lì noncurante, sollevandosi su un gomito e poi in piedi con un certo sforzo. Spostò il peso sulla sinistra e una costola emise un suono poco rassicurante: si sentiva da schifo, valutò nel cercare in una tasca la siringa di policarbonato per iniettarsi il contenuto e sentire il crack dell’osso che ritornava al suo posto.
Inspirò a fondo, inghiottendo un’imprecazione, poi si guardò attorno. Novak era sparito, al suo posto vide il monolite riverso e immobile, le lastre incise spalancate a mostrare il vuoto.
Con la coda dell’occhio notò qualcosa vicino alla creatura e si chinò: era un frammento del corpo, realizzò, rigirandolo fra le dita per poi confrontarlo con le ammaccature sulla pietra.
Il reparto scientifico se lo sarebbe fatto bastare. Lo mise al sicuro assieme al resto dei prelievi.
Non riuscì nemmeno a rallegrarsi con se stessa per il buon proseguimento dell’operazione che li udì sopraggiungere alle sue spalle. Passi pesanti, mastodontici. Un’ombra la sovrastò.
«Oh, ‘-censura-!» masticò fra i denti la donna quando si voltò. Nel suo orecchio, il balbettio del novellino le rese intanto noto che un Barbatos stava torreggiando ingrugnito sopra di lei.
«Ricorda, Richard. Sul vituperio il capitano Cardinale potrebbe fare un’intera tesi di laurea.»
«Sentilo, il gentleman» l’apostrofò quest’ultima evitando l’offensiva del mostro con un balzo indietro che ne mandò l’arto corazzato a schiantarsi sul terreno. «Se ti do una martellata sul dito, vediamo chi è più vicino alla laurea di noi due. Tu guadagneresti persino un dottorato.»
Detto quello liberò un lungo, profondo respiro e, vincendo la tentazione di indietreggiare, sganciò il fucile a ripetizione dal supporto sulla schiena per mettersi in posizione d’attacco.
Dubitava che fra le sue cartucce potesse esserci qualcosa in grado di scalfire la creatura ma solo stringere l’arma fra le mani le dava un senso di sicurezza. Avrebbe vinto, ne era sicura.
La tattica del mostro si dimostrò fin da subito aggressiva. Cardinale lo aspettò, lievemente china in avanti, sguardo fisso sul gigante che si avventò su di lei con bovina determinazione.
Schivò senza problemi il secondo, pauroso pestone ma nell’istante in cui fece fuoco verso il suo muso, il Barbatos reagì con una rapidità impensabile e si riparò dietro le sue propaggini, che vanificarono l’impatto del proiettile assieme all’elettricità indotta. Neppure una scossa.
Rapida, la donna lo aggirò ma lui lasciò oscillare con violenza un arto mentre si voltava per seguirla, obbligandola a tuffarsi al suolo così da non farsi spiccare di netto la testa dal collo.
Il colpo successivo la mancò abbondantemente. Cardinale prese a girargli attorno, scartando con relativa semplicità i suoi assalti pur consapevole di non potere continuare in quel modo all’infinito, presto o tardi si sarebbe stancata laddove il mostro non conosceva alcuna tregua.
Studiò la situazione. Schivare e sparare, per quanto inutile fosse. Schivare e sparare erano le sue priorità nonostante il nemico non fosse turbato dagli attacchi; quella piccola guerriglia si protrasse a lungo ma lui aggrediva con una forza titanica e avvicinarglisi era impossibile.
Schivare e sparare. Schivare e sparare.
Cardinale sentì il respiro farsi più pesante e il sudore imperlarle la fronte.
Schivare e sparare. Schivare e sparare.
I suoi movimenti si fecero più lenti, affaticati, i riflessi molto meno pronti.
Schivare e sparare. Schivare e... e... Con orrore, comprese di essere stanca.
Vacillò all’ennesima elusione, perdendo l’attimo: la corazza si schiantò sul braccio disarmato e lo spezzò in almeno due punti. Il sangue schizzò il selciato quando un frammento bucò la pelle, biancheggiando alla luce del sole mentre la donna gridava piegandosi sulle ginocchia.
Rotolò via dallo schianto che l’avrebbe resa una poltiglia di carne ma quando cercò di alzarsi incespicò e ricadde indietro; si trascinò facendo leva sul braccio sano, imprecando fra i denti.
Aveva ancora una siringa con sé. Accarezzò per un attimo l’ipotesi di usarla, poi scosse il capo frustrata: in un lasso di tempo così breve, l’organismo non avrebbe sopportato lo shock.
Il ruggito del Barbatos la riportò al suo problema più urgente. Sollevato lo sguardo, rimase a bocca aperta nel vedere il petto del mostro aprirsi e... caricarsi di energia? Non voleva crederci.
«Usa quel fucile, capitano» disse il rimpiazzo nell’orecchio, mortalmente serio. «Fallo o di te non riusciremo neppure a raschiare qualcosa dai muri. Adesso! Prima che sia troppo tardi!»
Lei reagì di riflesso alzandolo col braccio tremante, poi svuotò l’intero caricatore sul mostro.
Le tre ultime capsule affondarono nel torace esposto in un risucchio soffocato e l’eco di quel suono persisteva ancora nell’aria, quando scattò la trappola mortale: non una delle lame che componevano la spessa rosa di ghiaccio formatasi al contatto risparmiò la creatura e appena la violenza dell’esplosione la distrusse, i frammenti affilati schizzarono all’interno del corpo.
Cardinale si protesse come meglio poté dal resto ma un ringhio agonico annunciò che la sua unica strategia si era rivelata efficace. Il Barbatos crollò con un tonfo da far tremare il terreno.
«Capo, capo» la riprese Stefan schioccando la lingua. «Devi imparare a contenere almeno un pochino la tua aggressività. Potresti anche scusarti per averlo fatto saltare dall’interno, no?»
Lei lo ignorò con sublime indifferenza, si rialzò, barcollò prudente verso la creatura inerte e piantò la siringa nel primo centimetro di pelle libera. Con quello facevano cinque campioni.
Era stata rincorsa da un dinosauro che l’aveva tallonata insistente quanto una zecca isterica, i suoi rapporti sociali a breve termine potevano dirsi morti dopo l’incontro con elementali del fuoco da cui era uscita puzzolente di zolfo e infine aveva dato persa la sua sanità mentale nel trovarsi a trattare con un piccolo alieno che pareva uno di quei peluche di puro sintetico.
Se dal Comando volevano di più, avrebbero dovuto scollare le loro rispettabilissime natiche.
«Ho bisogno di sbronzarmi» annunciò un’ora più tardi, poggiandosi con l’avambraccio al cancello oltre il quale l’aspettavano i compagni. «E molto. Ho bisogno di prendere la sbronza più colossale della mia vita e credo mi ci vorranno una o due guardie del corpo, perché ho intenzione di stordirmi fino all’incoscienza e non so affatto cosa sarei capace di fare, dopo.»
«Dose massiccia di alcol in arrivo» le assicurò il tattico con un sorriso sornione. «Non vorrei mi finissi in arresto cardiaco... o magari ti sei finalmente avvelenata mordendoti la lingua?»
Cardinale gli rivolse il primo vero sorriso della giornata. Assieme al suo migliore dito medio.
Can you feel my, can you feel my, can you feel my tears?
They won't dry
Can you feel my tear drops of the loneliest girl?
The loneliest girl


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