Concordo su Hope *-*
Cooomunque, ecco pronto un nuovo lavoro (ancora?!): inizialmente doveva essere una Fan Fiction per il Garden, infatti l'avevo postata in quel Topic, poi però mi è venuta voglia di proseguire fino a farla diventare una mini-storia. Per non occupare inutilmente spazio all'interno del suddetto Topic, la posto qui a capitoli XD.
Momentaneamente i personaggi sono solo cinque, ma c'è la possibilità di aggiungerne altri man mano che si va avanti
; pur essendo parzialmente idiota, cercherò di tenere i caratteri dei personaggi il più coerenti possibile con gli originali
PARTE 1 : SOGNI E LEGGENDE
Avevo bisogno di qualcuno cui chiedere… ma difficilmente uno dei miei compagni avrebbe saputo aiutarmi.
Salvo che…
Non c’era scelta. Sapevo di rischiare molto ma era il mio unico appiglio.
Anche se forse cadere nel baratro non sarebbe stata una cattiva opzione.
Arrivata davanti alla porta, pigiai il pulsante accanto ad essa: un suono semplice, troppo semplice, scaturì al contatto.
Il campanello non fa suoni o musichette strane… Da lui proprio non me l’aspettavo… Non sarà mica diventato normale? pensai scettica.
Un’esplosione di là dell’ingresso mi portò a ricredermi.
Cosa diavolo aveva combinato quella volta?
Abbassai la maniglia ed entrai di corsa: sommersa da un piccolo mucchio di macerie stava la persona che dovevo incontrare, con gli abiti piuttosto a brandelli.
«Stai bene? Sei ferito?» chiesi, accovacciandomi accanto a lui.
«Solo nell’orgoglio» mi rispose, massaggiandosi la testa, il ragazzo dai capelli argentei. «Lenne! Che piacere rivederti, piuttosto e anzichenò!» esclamò poi, riconoscendomi. «Ma non stare qui, accomodati!» proseguì, rassettandosi gli abiti e facendomi passare in una stanza adiacente.
«Grazie Night… Ma cosa stavi facendo? Perché quell’esplosione?».
«Una sciocchezzuola: stavo lavorando su un neutralizzatore di bombe al neutrone».
«Capisco…» dissi, interrompendomi subito dopo e guardando sbalordita la stanza in cui mi trovavo.
«Ciò è sconcertante, piuttosto, anzichenò» stava continuando lui.
«S-sconcertante è la parola giusta!».
«Nevvero? Anzi, direi di più: incredibile! Come hai fatto, mi chiedo, a rintracciarmi in questa mia segreta, anzichenò, magione?».
«A parte che è una semplice, forse, stanza… io veramente intendevo questi… cosi!» gli feci notare, indicando la miriade di giocattoli, Mudkip e Kyactus in prevalenza, che vagava da una parte all’altra dell’ambiente.
«Oh, divertenti, vero? Li
costruisco di quando in quando, alleviano la mia solitudine a volte piuttosto gravosa».
«Ma… sono vivi!».
«Quanto un burocrate, ma meno dannosi» ribattè, prendendo una tazza di the dal vassoio che un Kyactus gli aveva appena portato.
«Ho incontrato una delle tue… invenzioni lungo il tragitto e mi ha condotto qui».
«Disdicevole. Se è alle mie dipendenze, la licenzierò. Se non lo è, l’assumerò, mi sembra un tipo efficiente. Comunque il “do not disturb” sulla porta vale soprattutto per quella noiosa di Elisabeth: continua a chiedermi consigli su come diventare regina!».
«Prego?».
«Gliel’ho detto mille volte che la è già, ma penso che intenda al posto della signora Thatcher…». Sorvolai sulle ultime due frasi e aspettai che continuasse. «Bah, veniamo a noi, cara Lenne, anzichenò. Quali nuove sul fronte del Garden?».
«Nulla che possa destare la tua attenzione. Piuttosto, sono venuta per chiederti alcune cose, confidando che tu possa risparmiarmi delle lunghe ricerche, poiché sai
tutto…».
«Oh via, non esagerare!» rispose il giovane con un amabile cenno della mano. «La mia cultura, non lo nego, è piuttosto vasta, ma anch’io ho i miei limiti! Per esempio, ho solo un’infarinatura di filosofia Mudkipica, e conosco anche poco di ittologia dei Magikarp… Inoltre, delle donne so soltanto che sono pericolose… Senza offesa anzichenò».
Il mio pensiero corse a Nataa e mi venne da sorridere.
«Ma io celio, mentre dal tuo sembiante si direbbe che tu sia piuttosto angustiata, anzichenò…».
«Night… chi è
Uskebasi?» domandai, centrando uno dei punti cruciali della mia visita.
«Oh, un personaggio leggendario di un’antica religione… ma sono ansioso di sapere il quesito tanto difficile che vuoi pormi!».
«Veramente, era questo».
«Davvero?». Sembrava notevolmente sorpreso. «Ma allora qualsiasi rozzo Cadetto avrebbe potuto risponderti! Trovo che mi sprechi un po’, Lenne, ma transeat. Dunque, Uskebasi, altrimenti detto
il Signore del Silenzio… Sì, cominciamo dall’inizio…»
Presi posto su una sedia e ascoltai con attenzione.
«Orbene, secoli or sono il sovrano Salomone – non starò a dilungarmi su chi sia – evidentemente non aveva problemi tipo pagare il mutuo della casa, perché passava il suo tempo a scervellarsi sul senso della vita. Sai, domande come: chi è l’uomo? Perché nasce? Perché soffre? E altre banalità di questo genere… Per tale motivo chiese a Uskebasi, il più grande filosofo del tempo, di trovargli una risposta. E Uskebasi, che come si evince dal suo appellativo non era un chiacchierone, ci pensò sopra in silenzio per trent’anni dopodiché, vuole la leggenda, si presentò al cospetto del re e gli consegnò un poderoso tomo da leggere. Lui lo passò ai suoi saggi consiglieri, perché ne prendessero visione e gli relazionassero…».
«Ohè, Night!» una voce brusca interruppe la spiegazione del ragazzo e da una porta, non vista, alla mia destra sbucò una donna. Indossava un lungo vestito, legato in vita da un cintura, mostrante una generosa scollatura. «Va ancora avanti molto la tiritera?» aggiunse, poggiandosi una mano sul fianco e l’altra allo stipite della porta con fare evidentemente seccato.
«E’ anche quella un automa?» chiesi con un sorrisetto, osservando il giovane.
«Oh, no… Ehm… Trattasi di fanciulla indigente, a cui do lezioni di semiotica… un caso umano, sai? Vengo subito, mia cara» disse poi rivolto alla sconosciuta. «Intanto ripassate la lezione da sola, d’accordo?».
«Seeee, sarà meglio!» esclamò lei di rimando, rientrando e chiudendosi la porta alle spalle.
Lanciai un’occhiata eloquente a Night.
«Ah-ehm… Tornando anzichenò a noi, dicevo che i saggi lessero appunto quel libro, che conteneva la
verità…» tossicchiò lui, come se niente fosse successo. «Ma questa era talmente crudele, talmente atroce, che i consiglieri non la ressero, e a uno a uno si
suicidarono… E Salomone, piuttosto giudiziosamente, pensò che in fondo poteva farne benissimo a meno, della verità. Non lesse mai il libro, e anzi mise al bando il povero Uskebasi, che fuggì a cavallo di una lepre».
«Lepre?» ripetei aggrottando la fronte.
«Già, un animale-simbolo piuttosto comune nella mitologia orientale: sta ad indicare la luna, e quindi la notte, ma anche la fecondità e la rigenerazione, perfino l’immortalità… per certe culture è l’equivalente dell’agnello sacrificale, per altre è una “bestia” e addirittura compagna della dea infernale Ecate, che inventò la stregoneria e…».
«Right, right» lo fermai, prima che andasse avanti all’infinito. «Direi che sei stato piuttosto esauriente e ti ringrazio. Se non ti dispiace, vorrei chiederti un’altra cosa…».
«A tua disposizione, ma spostiamoci altrove anzichenò. Qui comincia a essere troppo affollato» rispose il Cadetto, scostando un Mudkip dalla propria spalla e invitandomi in un’ennesima stanza.
«Ma un tempo non c’era un unico dormitorio per l’Accademia?» domandai seguendolo lungo un piccolo corridoio.
«E’ così, infatti».
«E allora che ci fai in questa specie di casa tutta per te?».
«Mi sembra ovvio», rispose lui sistemandosi con l’indice destro gli occhiali sul naso, «io certe cose posso permettermele, a differenza di quei cadettucoli là fuori».
«Sarà» mi limitai a dire, scrollando le spalle. «Piuttosto, sai una cosa? Credevo, anzi conoscendoti
speravo, che venisse ad aprirmi qualche tua strana invenzione. E invece…».
«… E invece è proprio così, mia giovane amica» replicò con un sorriso sornione, mentre una sua precisa copia al centro della stanza annuiva enfaticamente affermando: «Piuttosto e anzichenò».
«Santo Yevon!» esclamai guardando attonita un altro clone chiudere la porta alle mie spalle e un terzo farmi un cenno amichevole da una delle poltrone presenti.
«Tranquillizzati anzichenò sulla tua sanità mentale…» mi rassicurò mentre si accomodava a sua volta. «Quelli che vedi sono i miei
Audioanimatroni. Poiché la sola persona con cui vado veramente d’accordo sono
io, ho pensato di costruirmi qualche
amico…».
Ti pareva che non ne tirava fuori qualcun’altra delle sue… pensai alzando gli occhi al cielo mentre il ragazzo proseguiva: «… E, oltre a essere creati a mia immagine e somiglianza, i miei simpatici replicanti possiedono il mio stesso corredo intellettivo e mnemonico. Piuttosto geniale, non trovi?» concluse, picchiettandosi un dito sulla tempia con espressione soddisfatta. «Oh, ma che maleducato sono… Non ti ho nemmeno chiesto se volevi una mèla!».
«Non star lì a preoccuparti» risposi subito, accantonando l’offerta con un gesto della mano. «Ma tu… sei il
vero Night?».
«
Suppongo, anzichenò… A volte è facile confondersi, tra tanti se stessi, tutti ugualmente geniali e tutti con lo stesso Mudkip personale… un po’ come scambiare i sogni con la realtà».
«Ecco… è proprio per parlare di
sogni, che sono venuta da te…».
«Sogni?» ripetè lui, recuperando una pipa da chissà dove e mettendosela fra le labbra con fare pensieroso. «Beh… argomento così trito da risultare noioso… Ma io ti conosco, Lenne, sei una persona originale… di certo non vorrai pormi le solite, ovvie domande, tipo
se i sogni possono materializzarsi…».
«Ehm… veramente volevo chiederti proprio quello, Night…» risposi un po’ incerta, sedendomi sul divano di fronte.
«Ah! Ciò è sconcertante, piuttosto! Così sprechi il mio genio!» esclamò questi, colto alla sprovvista. «Comunque», riprese, mentre due sue copie davano inizio a un’avvincente partita di morra cinese e una terza si preparava a guardare un documentario sui castori polari del Monte Gagazet, «tu mi chiedi se le chimere possono prendere vita… e la mia risposta è semplice quanto inequivocabile anzichenò…».
S’interruppe, facendo una pausa significativa.
Attimi di silenzio. La tensione che piano piano saliva.
Occhi negli occhi.
«Night, prima della prossima glaciazione, per cortesia» sospirai.
«Sì» disse semplicemente lui sfoggiando un sorriso a trentadue denti. «I sogni qualche volta diventano realtà… E anche gli incubi, purtroppo. Hai visto la meravigliosa serie dei film “Mudkip 13 – Weekend di terrore”? E’ ispirata ad un fatto realmente accaduto…». Ignorò la mia espressione stupefatta e aggiunse: «… di cui ovviamente sono a conoscenza solo pochi eletti, tra cui ho l’onore di annoverarmi».
«Ma… com’è possibile?».
«Non vorrei fartelo pesare, ma sono un’immodesta
mente superiore, anzichenò. Per me, la comunità scientifica non ha segreti».
«Sì, sì, questo lo so…» lo interruppi sbrigativamente, prima che iniziasse qualche sproloquio sui suoi allevamenti, più o meno legali, di Mudkip. «Ma io volevo dire com’è possibile che i sogni si
materializzino…».
«Beh… sono stati fatti vari studi dai più eminenti scienziati mondiali, che dopo lunghe consultazioni si sono espressi tutte nello stesso modo…» ribattè il Cadetto, massaggiandosi con fare pensieroso il mento.
«Sarebbe a dire?». Perché dovevo cavargli fuori ogni parola col punteruolo?
Lui mi fissò a lungo… pareva quasi che rivelare la risposta gli costasse molto. Lo vidi mordersi nervosamente il labbro inferiore, persino i suoi cloni avevano interrotto le loro attività.
«Boh?».
Se non le avessi avute incrociate dietro la testa, mi sarebbero cascate malamente le braccia.
«Come “boh”?».
«E’ piuttosto seccante, anzichenò, ammettere di avere una tale onta nella mia vasta classe di conoscenze ma purtroppo è così: nessuno è ancora riuscito a capire il perché i sogni si materializzino. Io, tuttavia, non mi arrendo e proseguo con le mie elucubrazioni in proposito».
Quindi nemmeno Night era in grado di aiutarmi; avvertendo un pizzico di sconforto, ringraziai il giovane e uscii dalla stanza. Ci doveva essere un dannatissimo modo per capire quella situazione.
Tornai al Garden e mi chiusi in camera mia, sdraiandomi sul letto per riflettere un po’; senza accorgermene mi addormentai e fu solo qualche ora dopo, verso il tramonto, che un bussare insistente mi riscosse.
Ma chi diavolo…
«Buonasera, Lenne. Disturbo anzichenò?».
«Night?!» esclamai, oltremodo stupita di trovarmelo davanti. «L’Accademia è partita nel pomeriggio, come fai a…» poi mi ricordai con chi stavo parlando. «Lascia perdere… Piuttosto, no, nessun disturbo. Entra, prego…».
«Oh, non occorre che mi preghi. Quella di entrare era proprio la mia intenzione» disse il Cadetto, facendo tranquillamente finta di non notare la mia espressione. «Noto con piacere l’assenza del tuo assurdo fidanzato. L’hai licenziato dal suo ruolo, finalmente?».
«Tidus non è il mio fidanzato… e comunque no, ci vado sempre d’accordo».
«Peccato. Già cominciavo a sperare, ma transeat. Coooomunque sono venuto a dirti che ho capito come fanno i sogni a materializzarsi, anzichenò!».
«C-come?». Non credevo alle mie orecchie.
«Noto incredulità nella tua voce… Dubitavi forse che il mio genio non ne venisse a
capo? Anzi, dato che sono democratico, a semplice subalterno?».
Ma perché ho chiesto aiuto a un tipo come lui? Quanto ero disperata in quei momenti?
«Comunque non è il caso che ti sorprenda più di tanto, amica mia. A dire il vero, la soluzione è molto semplice… basta considerare il sogno come una vera e propria
dimensione… un universo parallelo al nostro nel quale si possono aprire dei varchi. Com’è in tutti gli altri universi paralleli, d’altronde… E allora esseri di sogno… o di
incubo come i buoni vecchi Mudkip, possono finire nella realtà».
Ascoltai in silenzio, appoggiandomi alla parete con le braccia conserte.
«O viceversa», continuò Night, «esseri reali possono oltrepassare i confini del sogno anche da svegli, senza accorgersi di aver superato il varco… e magari “viaggiare” nel tempo e nello spazio, che nei sogni non hanno limiti, e ritrovarsi nel futuro… o nel passato».
«V-viaggiare nel tempo? Io… forse comincio a capire… anche se a essere sincera la tua teoria mi sembra un po’
folle…».
Il giovane sorrise. «Oh no, la follia è una dote dei grandissimi uomini. Da semplice grand’uomo che sono, direi piuttosto
geniale, anzichenò!».