Macha era intenta a controllare i dati che i cavi e le macchine collegate al paziente svenuto le trasmettevano. Aggrottò la fronte, perplessa dai risultati ottenuti. I parametri vitali erano nella norma, sembrava che nulla indicasse le gravi condizioni in cui lo sconosciuto versava quando era stato trasportato a bordo, e già questo di per sé costituiva un'anomalia. Inoltre, nel giro dell'ultima mezz'ora il ragazzo steso sul letto di fronte a lei aveva dato segni di netto miglioramento, quasi a livello esponenziale, avrebbe osato dire: le ustioni che ricoprivano il suo corpo stavano sparendo a vista d'occhio, ritirandosi come acqua esposta al sole del deserto, lasciando come uniche tracce del loro passaggio delle chiazze di pelle arrossata. Gli incantesimi curativi che l'infermiera aveva applicato stavano facendo effetto, ma era pronta a giurare che ci fosse altro all'opera, di cui non riusciva a capire l'origine. Ad ogni modo, sembrava che la situazione stesse volgendo al meglio, e questo la tranquillizzò.
Fece per tornare verso la sua scrivania, in modo da analizzare meglio i dati e confrontarli con quelli precedenti, ma il suono squillante delle macchine collegate al corpo del ragazzo la fece tornare indietro. Contrasse i muscoli a causa della crescente tensione che si stava impadronendo di lei: i battiti del cuore stavano salendo velocemente, incontrollabili come cavalli al galoppo, la fronte del paziente era madida di sudore. E, a meno che non si sbagliasse di grosso, alla ragazza pareva di percepire un aumento della temperatura dell'aria presente all'interno dell'infermeria. Gli pose una mano sulla fronte: dire che scottava rappresentava un leggero eufemismo. Non riuscì a trattenere un urlo quando una presa di ferro le afferrò il polso, facendole male. Abbassò lo sguardo e si ritrovò a fissare un paio di occhi neri come la notte. La sorpresa per un risveglio così improvviso fu tale che non riuscì a profferire nulla.
« Acqua. »
La voce che pronunciò quella parola era impercettibile, riarsa, in qualche modo.
Macha si affrettò a riempire un bicchiere di acqua e a porgerglielo. Il paziente lo trangugiò in due rapide sorsate, per poi ridistendersi sul letto con un sospiro di sollievo.
« Dove mi trovo? »
La ragazza si prese del tempo per osservarlo, sempre più stupita, poi rispose: « Nell'infermeria dell'Accademia, all'interno di un'aeronave volante. Sei stato condotto qui in seguito alla tua aggressione, ricordi? »
Se avesse capito o meno, il ragazzo non diede segno di aver sentito alcunché. Rimase a fissarla con sguardo assorto, senza dire nulla.
Macha si allontanò di pochi metri, ed utilizzò il codec.
Codec:
Preside? Qui parla Macha. Il paziente si è svegliato. Perfetto. Va bene. |
Trascorsero due minuti in perfetto silenzio, interrotti soltanto dal rumore delle sonde e delle macchine dell'infermeria. Fu solo quando il ragazzo provò ad alzarsi dal letto all'improvviso che Macha si allarmò.
« Dove credi di andare? » lo apostrofò spazientita.
« Fuori di qui, ovviamente. Devo fuggire » fu tutto ciò che ottenne come risposta. Nathan fu in grado di muovere soltanto due passi, prima che un capogiro gli facesse perdere l'equilibrio, facendolo crollare addosso ai delicati strumenti medici.
« Sei pazzo, non hai la forza di poterti muovere, sei ancora troppo debole. Vieni, ti aiuto a tornare a letto. » Macha allungò un braccio verso di lui, che venne bruscamente scostato.
« Togliti. Non ho tempo da perdere, non hai la minima idea del pericolo che sto correndo al momento. Sto bene, fammi passare. »
Fece per alzarsi di nuovo, ma il suo tentativo venne interrotto da una voce ferma, che lo bloccò sul posto.
« Non sei nelle condizioni adatte per poter fare alcunché, ora come ora, quindi non essere irragionevole e stenditi di nuovo. Ed inoltre, penso che ottenere delle spiegazioni per gli eventi accaduti nelle ultime ore sia il minimo che possiamo chiederti. »
A parlare era stata una donna, accompagnata da altre due persone, un uomo dall'espressione seria e, se la memoria non gli giocava brutti scherzi, il ragazzo che lo aveva salvato, trasportandolo al sicuro. Nathan si prese del tempo per riflettere: l'intervento di così tante persone complicava enormemente le sue prospettive di fuga, già scarse in partenza; non riteneva di avere abbastanza forze per aprirsi una via di fuga in mezzo a loro, pur usando il fuoco, e non voleva nemmeno provarci, ad essere onesti: era ancora troppo debole e debilitato per ricorrere ad un potere del genere, e facendolo avrebbe potuto rischiare la vita. Impassibile, senza distogliere lo sguardo dai tre individui che lo fronteggiavano, tornò a stendersi a letto.
« Così va meglio, dico davvero. » A parlare era stata di nuovo la donna, e nel farlo gli aveva rivolto un sorriso così sincero e aperto che il ragazzo restò spiazzato per un momento, incapace di trovare parole. Rialzò le sue difese dopo pochi istanti, tuttavia: non poteva fidarsi di nessuno.
« Nessuno vi ha chiesto di intervenire, e non vedo per quale motivo dovrei fornirvi spiegazioni. » Aveva parlato duramente, sputando una sentenza. Stava perdendo tempo, era sicuro che i nemici stessero già cercandolo.
L'uomo sembrò interpretare correttamente i suoi pensieri.
« Al momento non corri alcun pericolo, quindi puoi stare tranquillo. Ti trovi all'interno di un'aeronave appartenente all'ordine dei Garden. Sai di cosa sto parlando? »
Nathan annuì con un cenno della testa, cercando di riportare alla mente le scarse nozioni che possedeva al riguardo: sapeva che l'ordine agiva da struttura militare indipendente, non soggetta ai comandi o alle volontà di nessuno, e che il suo potere era decentrato in diverse sedi, chiamate appunto Garden. Suo padre una volta gli aveva detto che alcuni dei migliori combattenti del mondo provenivano da lì, e che i Garden erano gestiti da gruppi di persone giuste e con uno spiccato senso del dovere: aveva anche pensato di chiedere il loro aiuto, in modo da ricevere protezione incondizionata, ma gli eventi avevano preso una piega diversa, il destino non aveva aspettato, ed era stato troppo tardi. Il pensiero gli provocò una fitta di dolore acuto e rimpianto allo stomaco.
Si rilassò un poco, pensando che almeno per il momento non correva pericoli immediati.
« Cosa volete da me? » riuscì a chiedere.
La donna si mise a sedere su di una sedia di fronte a lui, mentre l'uomo rimase in piedi. Nathan vide l'infermiera prendere altre due sedie, porgerne una al ragazzo che gli aveva salvato la vita e accomodarsi sull'altra, in attesa.
Fu la donna a parlare di nuovo.
« Mi chiamo Otta, sono la preside dell'accademia. Lui » disse indicando l'uomo alle sue spalle, « si chiama Holden, ed il mio vice, mentre l'altro, colui che ti ha soccorso e portato qui da noi, è Lonelywolf. E penso che tu conoscerai già Macha, è l'infermiera che ti ha curato. »
Nathan guardò la ragazza con un misto di colpevolezza e disagio.
« Si, la conosco. Anzi...scusa per...la brusca reazione di prima...io... »
Lei lo tranquillizzò con un sorriso.
« Non preoccuparti, davvero, è normale che tu fossi agitato e spaventato dopo un risveglio così brusco e tutte le vicende che hai passato. »
« Quello che vorremmo sapere » continuò Otta, « è cosa è successo esattamente in quel bosco, e chi sono gli individui che sembravano così decisi a darti la caccia. E soprattutto, chi sei tu, per rappresentare un qualcosa di così importante per loro? »
Nathan rimase in silenzio, non sapendo cosa dire. Il suo istinto di sopravvivenza, affinato in tanti anni di continue fughe, continuava a sussurrargli che non doveva fidarsi, ma un'altra parte di lui, quella ancora memore delle parole del padre riguardo l'ordine dei Garden, lo invitava ad aprirsi. Combattuto, scelse un compromesso. Mezze verità.
« Mi chiamo Nathan Blake. Le persone che mi davano, o meglio, che mi danno la caccia, sono rappresentanti di un'organizzazione governativa segreta, denominata “La Piramide”. Scopo di quest'ultima è lo studio di soggetti considerati, come dire, “particolari”. »
Lonelywolf lo guardò di traverso.
« Immagino che la definizione sia particolarmente adatta al tuo caso, allora. »
Nathan percepì il tono di accusa nelle parole dell'altro: evidentemente ciò che era accaduto in quel bosco, soprattutto agli uomini contro i quali avevano combattuto, doveva essere rimasto impresso nella mente del ragazzo.
Evocò una piccola palla di fuoco nel palmo della mano. Tutti si avvicinarono per guardarla, stupiti.
« Non è un Fire, così come non è nessuna magia a voi nota. Se notate, la fiamma non resta staccata dalla mia mano, come sospesa a mezz'aria, ma è una sorte di mia estensione naturale. Non attinge alle mie energie, anzi, si rafforza con l'utilizzo. E' una caratteristica con la quale sono nato, un qualcosa che mi rende diverso da qualunque altra persona. Riesco a controllare il fuoco con la mente. O meglio, ci riesco solo in alcuni casi, come tu hai ben potuto osservare », precisò fissando Lonelywolf.
« La chiamano pirocinesi. »
Un silenzio attonito seguì quelle parole. Fu Otta a riprendere la parola.
« E rappresenta un pericolo, questo tuo potere? »
Nathan le rivolse una risata ironica.
« Non hai visto quello che è successo alle persone che hanno cercato di catturarmi? Immagino di si, in quanto preside sarai scesa a controllare la scena del combattimento. Quei corpi carbonizzati, quelle caricature di morte, sono opera mia. »
« Cosa vogliono da te? »
A parlare questa volta era stato Holden, che lo fissava con uno sguardo imperscrutabile.
« Ricondurmi alla loro base. Sono riuscito ad evadere, è normale che rivogliano indietro uno dei loro gioielli. »
« E per quale motivo sei così importante per loro? Voglio dire, hai detto tu stesso che studiano persone dotate di capacità che non rientrano nella convenzionale definizione di norma, ma perché continuano a perseguitarti? »
Nathan si prese un attimo per pensare. Doveva giocare di astuzia, cercando di portare l'interrogatorio sui binari da lui desiderati.
« Suppongo che per loro rappresentassi un pezzo raro, da ciò che avevo capito ero l'unico pirocinetico nel quale si fossero mai imbattutti. »
« E non c'è altro? »
Holden lasciò la domanda sospesa a mezz'aria, in attesa di risposta.
Nathan sentiva una coltre di sudore freddo bagnargli la schiena: non doveva tradire in nessun caso il suo nervosismo, o si sarebbe ritrovato nei guai.
« No, » rispose infine, « nient'altro. Vi ho detto tutto quello che so. »
Otta e gli altri tre si guardano con cautela, evitando di parlare. Il silenzio venne interrotto bruscamente quando un ragazzo entrò di corsa all'interno dell'infermeria, apparentemente in allarme.
« Preside, i nostri radar hanno individuato una piccola corvetta da guerra in rapido avvicinamento. Si sta dirigendo verso di noi. »
Nathan avvertì un brivido percorrerlo da capo a piedi.
« Sono loro. »
Fece per alzarsi, ma venne fatto distendere di nuovo da Macha.
Otta si alzò in piedi e si avviò verso la porta, seguita da Holden e Lonelywolf.
« Macha, resta con lui e prenditene cura, è ancora debole. Se ci sarà bisogno vi manderò a chiamare e potrete salire sul ponte. Quanto a noi » disse guardando i compagni, « dovremmo salire e sentire cosa queste persone vogliono da noi. »
Con ciò abbandonò la stanza, seguita a ruota dagli altri.
« Sta mentendo » le sibilò Holden all'orecchio, « o quantomeno nasconde una parte di verità, la sua versione dei fatti, oltre ad essere molto breve e sommaria, presentava delle incongruenze e delle lacune. »
« L'ho avvertito pure io, è meglio non fidarsi troppo ancora » aggiunse Lonelywolf.
Otta li guardò preoccupata, corrugando la fronte, ed insieme i tre si avviarono verso il ponte dell'aeronave. Gli eventi avevano preso il loro corso.