Un fendente della sua spada tagliò di netto la testa del robot alla sua sinistra, che rotolò ai suoi piedi. Il resto del corpo si spense, rovinando a terra. Una magia thunder ben assestata bastò a friggere i circuiti di quello che le veniva incontro alla sua sinistra. Si accasciò al suolo in un borbottio irriconoscibile, prima di spegnersi. Un altro la attaccò da dietro, la lei evitò il colpo abbassandosi di scatto. Si voltò velocemente e lo colpì con un fendente al petto, tagliando ferrò e circuiti. Un calcio lo mandò a terra dove esalò il suo ultimo "respiro cibernetico".
Rimise la spada nel fodero dietro la schena e il pubblico che fino a quel momento era stato in silenzio esplose in un fragoroso applauso.
"Incredibile... Incredibile! Facciamo un applauso Elza del Garden di Rinoa, che ha abbattuto da sola un intero squadrone di macchine Albhed!"
"Grazie, grazie" fece un paio di inchini e si diresse fuori dall'arena, attraverso il pubblico, dove Paine la aspettava.
"Non ti sembra di esagerare?" le chiese. "È tutta la mattina che affronti orde di mostri e macchine".
"Cuccioli troppo cresciuti e ammassi di ferraglia, vorrai dire" disse, il fiato corto. "Niente di davvero pericoloso, se non consideriamo l'olio motore che ormai mi è arrivato fin in mezzo alle chiappe".
"Ah sì?" ribattè la dottoressa. "Quell'ultimo lì ti ha rifatto l'acconciatura" le mise di fronte al viso uno di quegli specchietti che si usa per sistemarsi il trucco.
"Agh!" Elza si mise le mani sopra la testa. "Mi ha tagliato quasi un ciuffo intero!" spostò i capelli per sistemarli in modo che si coprisse.
"Che piano malvagio hai in mente?" chiese Paine incrociando le braccia.
"Piano malvagio? Pei, così mi offendi!"
Incrociò le braccia offesa e la dottoressa le restituì uno sguardo a metà tra il severo e il divertito.
"Vedi, è molto più semplice (e innocente! e legale!) di così. Mi sto mettendo in mostra!" nel dirlo allargò le braccia con fare teatrale. "Quando gli altri Garden vedranno quanto bella e brava sono mi vorranno tutta per loro, e a quel punto... Pip sarà costretto ad aumentarmi lo stipendio se vuole tenermi!"
Nella sua mente, il Preside la implorava ai suoi piedi di restare, promettendole cifre impossibili e accettando persino di cederle il suo ufficio.
Un colpetto con il pugno sulla fronte risvegliò Elza dal suo delirio.
"Questo a me sembra proprio un piano malvagio" disse. "La definizione di piano malvagio".
"Chiamalo come vuoi" ribattè Elza sbuffando.
Garden
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Re: Garden
Can you feel my, can you feel my, can you feel my tears?
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Can you feel my tear drops of the loneliest girl?
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Re: Garden
"Commander Rayearth ancora un ultima domanda" la voce del Generale, ex Tenente, Harnett, si diffuse melliflua nell'aria proprio nell istante in cui Leon provava ad alzarsi dalla sedia dove era stato portato per *alcune semplici domande di routine*
-Dell'anima de li mortacci tuoi- Pensò Leon senza, miracolosamente, dire nulla. "Si?"
"Voi siete state le ultime persone, ad eccezione del personale autorizzato ad entrare nell'edificio...."
"Sta forse suggerendo che c'entriamo qualcosa?
"Nono, assolutamente... però è curioso, il famoso Garden di Rinoa arriva e subito accade un furto. Non trova che è quantomeno singolare?"
"Singolare come il fatto che nessuna donna sopporti di stare con lei" rispose sottovoce il Commander, tra sè e sè.
"Come scusi?"
Forse non così troppo silenziosamente.
Per prima cosa controllarono tutti i registri annotanti le entrate e le uscite dalla cittadina, per fortuna le misure di sicurezza erano state enormemente alzate rispetto al solito, tutti i trasporti erano soggetti a controlli sul carico.
"Quindi il materiale è ancora in città" fece Egil, preoccupato soprattutto di non poter sfoggiare al pubblico la sua ultima invenzione.
"Rubare in una città stracolma di Seed, sono proprio degli imbecilli" commentò Xander
"O sono molto in gamba" concluse Sky
"Vorrei propormi come caposquadra per recuperare la refurtiva" propose Leon. fino a dodici ore prima il suo pensiero vagava solo tra cadette, cibo e birre. E ora era pure costretto a lavorare!
"Va bene" assentì Philip "dirigiti vers.."
"Un momento" Harnett si dirise impettito verso il Preside del Garden di Rinoa "sebbene nutra soltanto stima per i suoi uomini, con i loro pregi caratteristici, sarei più tranquillo se a comandare la squadra ci fosse un mio uomo" la sua voce si fece tagliente "solo per evitare malignità sul fatto che le ultime persone a entrare nel magazzino siano quelle che cercano la refurtiva"
Pip portò la mano alla fronte "E chi proporresti come candidato?"
"Lui" ed indicò un ragazzetto che immediatamente si fece avanti.
Zlatan Kinneas.
Diciannove anni.
Seed del Garden di Galbadia, vice comandante delle operazioni d'assalto, sicuramenteNON perchè figlio di Irvine. O forse si.
Camicia a collo alto, occhiali da sole alle sette di mattina. Colonia da quattro guil.
Un tamaretto raccomandato. Dalle voci che circolavano tra i Garden, il carattere e l'arroganza erano ancora peggio dell'aspetto.
"Ah, quindi voi sareste il mio aiuto? Vediamo che sapete fare voi del Rinoa..."
La domanda che Leon si pose non era tanto se fossero riusciti a catturare i ladri.
Nè se qualcuno del Rinoa rischiasse di malmenare il proprio caposquadra.
La domanda era Chi.
-Dell'anima de li mortacci tuoi- Pensò Leon senza, miracolosamente, dire nulla. "Si?"
"Voi siete state le ultime persone, ad eccezione del personale autorizzato ad entrare nell'edificio...."
"Sta forse suggerendo che c'entriamo qualcosa?
"Nono, assolutamente... però è curioso, il famoso Garden di Rinoa arriva e subito accade un furto. Non trova che è quantomeno singolare?"
"Singolare come il fatto che nessuna donna sopporti di stare con lei" rispose sottovoce il Commander, tra sè e sè.
"Come scusi?"
Forse non così troppo silenziosamente.
Per prima cosa controllarono tutti i registri annotanti le entrate e le uscite dalla cittadina, per fortuna le misure di sicurezza erano state enormemente alzate rispetto al solito, tutti i trasporti erano soggetti a controlli sul carico.
"Quindi il materiale è ancora in città" fece Egil, preoccupato soprattutto di non poter sfoggiare al pubblico la sua ultima invenzione.
"Rubare in una città stracolma di Seed, sono proprio degli imbecilli" commentò Xander
"O sono molto in gamba" concluse Sky
"Vorrei propormi come caposquadra per recuperare la refurtiva" propose Leon. fino a dodici ore prima il suo pensiero vagava solo tra cadette, cibo e birre. E ora era pure costretto a lavorare!
"Va bene" assentì Philip "dirigiti vers.."
"Un momento" Harnett si dirise impettito verso il Preside del Garden di Rinoa "sebbene nutra soltanto stima per i suoi uomini, con i loro pregi caratteristici, sarei più tranquillo se a comandare la squadra ci fosse un mio uomo" la sua voce si fece tagliente "solo per evitare malignità sul fatto che le ultime persone a entrare nel magazzino siano quelle che cercano la refurtiva"
Pip portò la mano alla fronte "E chi proporresti come candidato?"
"Lui" ed indicò un ragazzetto che immediatamente si fece avanti.
Zlatan Kinneas.
Diciannove anni.
Seed del Garden di Galbadia, vice comandante delle operazioni d'assalto, sicuramente
Camicia a collo alto, occhiali da sole alle sette di mattina. Colonia da quattro guil.
Un tamaretto raccomandato. Dalle voci che circolavano tra i Garden, il carattere e l'arroganza erano ancora peggio dell'aspetto.
"Ah, quindi voi sareste il mio aiuto? Vediamo che sapete fare voi del Rinoa..."
La domanda che Leon si pose non era tanto se fossero riusciti a catturare i ladri.
Nè se qualcuno del Rinoa rischiasse di malmenare il proprio caposquadra.
La domanda era Chi.
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Miglior Cadetto alla 5° Sagra di Lindblum...
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Miglior Squadra alla 8° Sagra di Linblum
4° Classificato alla 10° Sagra di Lindblum
2° Classificato alla 15° Sagra di Lindblum
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Spesso perdiamo solo il senso della realtà.
Ma quando ce ne accorgiamo, tremiamo di paura anche noi come tutti quanti."
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Re: Garden
Camminare di notte era ben più rassicurante rispetto al giorno.
C’era comunque folla, ma molto meno rispetto al giorno. La maggior parte delle persone era ormai rientrata, dopo una giornata di festa e di divertimento. Anche lui si era divertito molto, soprattutto con alcune prove di combattimento, ma la sua incapacità a parlare con gli estranei gli impediva di godersi al meglio l’occasione che questa fiera gli donava. E inoltre, avrebbe potuto anche capire che senso avesse questa fiera. Aveva visto molta gente in divisa, delle strane divise che non riconosceva, e si combatteva molto per le strade, quindi aveva pensato a qualche sorta di fiera militare. Ma perché la gente doveva festeggiare una cosa del genere? Che avesse qualcosa a che fare con la milizia? No, secondo il Maestro la milizia era stata sciolta dopo la sconfitta di Sin.
Kirik si grattò la testa, confuso. Pensare troppo con così poche informazioni gli faceva girare la testa e gli faceva brontolare lo stomaco. Annusò l’aria, percependo odore di carne nei paraggi: poteva usare il piccolo gruzzoletto guadagnato in giornata per mangiare qualcosa. Ma questo significava parlare con degli umani… gli si rizzò il pelo per l’ansia.
Vagò ancora per un po’, cercando di decidersi di entrare in una locanda quando dei rumori attirarono la sua attenzione. Con un salto balzò sul tetto più vicino e si mise, immobile, ad osservare la scena: sei figure stavano attraversando le stradine anonime di questa zona di Luka. C’erano due umani e quattro esseri cigolanti… macchine? Non emanavano un odore particolare, o almeno così sembrava, e producevano uno strano suono muovendosi. Kirik ne aveva solo sentito parlare dal Maestro, non ne aveva mai vista una con i suoi occhi. Le “macchine” trasportavano qualcosa dall’aspetto pesante e i due umani si muovevano in modo strano, quasi a cercare di assicurarsi di non essere visti.
“Kirik nei guai… Kirik sa che, quando pensa troppo, si mette sempre nei guai. Kirik deve fuggire”
Con estrema cautela, il Ronso, si spostò sul tetto per allontanarsi dalla scena, ma il fato volle che quel tetto avesse qualche tegola sconnessa che, nel momento in cui poggiò la zampa, scivolò. Kirik fu rapido a riprendere l’equilibrio ma, la sua copertura ormai saltata, fece un salto e iniziò a correre per le vie di Luka per mettere quanta più distanza possibile tra sé e i loschi figuri.
Uno scricchiolio, una tegola scivolò dal tetto e si frantumò sul marciapiede. L’uomo fece appena in tempo a vedere una figura umanoide saltare via e a puntare la pistola, ma l’obiettivo era fuori dalla sua vista. Erano stati visti? C’era poca luce, quindi l’individuo potrebbe non aver visto il suo volto, e comunque quello era un quartiere commerciale, la notte si svuotava sempre, quindi che ci faceva qualcuno lì. – Cos’è stato, capo?
– Qui ci penso io. Tu prova a vedere se riesci a inseguire il tizio che è appena scappato. Non dovrebbe essere troppo lontano. Cerca di capire chi sia e assicurati che non vada ad allertare i SeeD.
Kirik su fermò solo quanto il suo istinto smise di urlare al pericolo. Era quasi tornato al centro del paese. La gente aveva abbandonato le strade, quindi doveva essere piuttosto tardi. Il che significava cucine chiuse in tutte le locande. Un nuovo brontolio gli ricordò che non mangiava da diverse ore. Decise di trovarsi un luogo dove passare la notte e avrebbe cercato di fare colazione la mattina. Convenientemente, l’insegna di una locanda era a pochi metri a sud. Fu in quel momento che incrociò per la prima volta i SeeD del Rinoa.
Quel coso era troppo grosso per essere un cane, tantomeno un umano che corre a quattro zampe. L’uomo deglutì, pensando a come il suo lavoro fosse diventato immediatamente più difficile del previsto. Avrebbe dovuto seguire quella cosa per assicurarsi non fosse un pericolo per il loro piano, o quantomeno tenerla d’occhio finché il capo non gli avrebbe detto che potevano finalmente filarsela. Il coso aveva ormai raggiunto via Yunalesca, una delle vene commerciali di Luka; lo vide alzarsi sulle zampe posteriori e, alla luce dei lampioni, riconobbe un Ronso: rimane immobile una manciata di secondi, e poi avanza lentamente. Lo vede girare a sinistra e, all’improvviso, ecco comparire un gruppo in uniforme: dei SeeD! Se quel Ronso li avesse davvero visti e li avrebbe fermati per raccontargli tutti, sarebbero stati guai seri. Dopotutto, la bestia li aveva avvistati poco vicino al punto di consegna.
- Capo! – bisbigliò il tizio al telefono – ho sott’occhio il tizio, è un Ronso, e ci sono un casino di SeeD nei paraggi…
C’era comunque folla, ma molto meno rispetto al giorno. La maggior parte delle persone era ormai rientrata, dopo una giornata di festa e di divertimento. Anche lui si era divertito molto, soprattutto con alcune prove di combattimento, ma la sua incapacità a parlare con gli estranei gli impediva di godersi al meglio l’occasione che questa fiera gli donava. E inoltre, avrebbe potuto anche capire che senso avesse questa fiera. Aveva visto molta gente in divisa, delle strane divise che non riconosceva, e si combatteva molto per le strade, quindi aveva pensato a qualche sorta di fiera militare. Ma perché la gente doveva festeggiare una cosa del genere? Che avesse qualcosa a che fare con la milizia? No, secondo il Maestro la milizia era stata sciolta dopo la sconfitta di Sin.
Kirik si grattò la testa, confuso. Pensare troppo con così poche informazioni gli faceva girare la testa e gli faceva brontolare lo stomaco. Annusò l’aria, percependo odore di carne nei paraggi: poteva usare il piccolo gruzzoletto guadagnato in giornata per mangiare qualcosa. Ma questo significava parlare con degli umani… gli si rizzò il pelo per l’ansia.
Vagò ancora per un po’, cercando di decidersi di entrare in una locanda quando dei rumori attirarono la sua attenzione. Con un salto balzò sul tetto più vicino e si mise, immobile, ad osservare la scena: sei figure stavano attraversando le stradine anonime di questa zona di Luka. C’erano due umani e quattro esseri cigolanti… macchine? Non emanavano un odore particolare, o almeno così sembrava, e producevano uno strano suono muovendosi. Kirik ne aveva solo sentito parlare dal Maestro, non ne aveva mai vista una con i suoi occhi. Le “macchine” trasportavano qualcosa dall’aspetto pesante e i due umani si muovevano in modo strano, quasi a cercare di assicurarsi di non essere visti.
“Kirik nei guai… Kirik sa che, quando pensa troppo, si mette sempre nei guai. Kirik deve fuggire”
Con estrema cautela, il Ronso, si spostò sul tetto per allontanarsi dalla scena, ma il fato volle che quel tetto avesse qualche tegola sconnessa che, nel momento in cui poggiò la zampa, scivolò. Kirik fu rapido a riprendere l’equilibrio ma, la sua copertura ormai saltata, fece un salto e iniziò a correre per le vie di Luka per mettere quanta più distanza possibile tra sé e i loschi figuri.
Uno scricchiolio, una tegola scivolò dal tetto e si frantumò sul marciapiede. L’uomo fece appena in tempo a vedere una figura umanoide saltare via e a puntare la pistola, ma l’obiettivo era fuori dalla sua vista. Erano stati visti? C’era poca luce, quindi l’individuo potrebbe non aver visto il suo volto, e comunque quello era un quartiere commerciale, la notte si svuotava sempre, quindi che ci faceva qualcuno lì. – Cos’è stato, capo?
– Qui ci penso io. Tu prova a vedere se riesci a inseguire il tizio che è appena scappato. Non dovrebbe essere troppo lontano. Cerca di capire chi sia e assicurati che non vada ad allertare i SeeD.
Kirik su fermò solo quanto il suo istinto smise di urlare al pericolo. Era quasi tornato al centro del paese. La gente aveva abbandonato le strade, quindi doveva essere piuttosto tardi. Il che significava cucine chiuse in tutte le locande. Un nuovo brontolio gli ricordò che non mangiava da diverse ore. Decise di trovarsi un luogo dove passare la notte e avrebbe cercato di fare colazione la mattina. Convenientemente, l’insegna di una locanda era a pochi metri a sud. Fu in quel momento che incrociò per la prima volta i SeeD del Rinoa.
Quel coso era troppo grosso per essere un cane, tantomeno un umano che corre a quattro zampe. L’uomo deglutì, pensando a come il suo lavoro fosse diventato immediatamente più difficile del previsto. Avrebbe dovuto seguire quella cosa per assicurarsi non fosse un pericolo per il loro piano, o quantomeno tenerla d’occhio finché il capo non gli avrebbe detto che potevano finalmente filarsela. Il coso aveva ormai raggiunto via Yunalesca, una delle vene commerciali di Luka; lo vide alzarsi sulle zampe posteriori e, alla luce dei lampioni, riconobbe un Ronso: rimane immobile una manciata di secondi, e poi avanza lentamente. Lo vede girare a sinistra e, all’improvviso, ecco comparire un gruppo in uniforme: dei SeeD! Se quel Ronso li avesse davvero visti e li avrebbe fermati per raccontargli tutti, sarebbero stati guai seri. Dopotutto, la bestia li aveva avvistati poco vicino al punto di consegna.
- Capo! – bisbigliò il tizio al telefono – ho sott’occhio il tizio, è un Ronso, e ci sono un casino di SeeD nei paraggi…
Spoiler
TADAAAN! Nuovo PG, poiché Rina comincia a perdere il fascino che mi ispirava quando l'ho creata. Ho già aggiornato la scheda PG. Trattatemi bene <3
- Pip :>
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Re: Garden
Un Ronso spaventato in mezzo a Luka nel cuore della notte.Kirik su fermò solo quanto il suo istinto smise di urlare al pericolo. Era quasi tornato al centro del paese. La gente aveva abbandonato le strade, quindi doveva essere piuttosto tardi. Il che significava cucine chiuse in tutte le locande. Un nuovo brontolio gli ricordò che non mangiava da diverse ore. Decise di trovarsi un luogo dove passare la notte e avrebbe cercato di fare colazione la mattina. Convenientemente, l’insegna di una locanda era a pochi metri a sud. Fu in quel momento che incrociò per la prima volta i SeeD del Rinoa.
Non una scena che si vede ogni giorno.
Pip e altri SeeD del Rinoa si trovavano fuori a chiacchierare dopo la festa, in buone per quanto non perfette condizioni psico-fisiche.
Sarebbero rientrati a breve per riposare prima di un'altra giornata all'insegna degli impegni al Festival dei SeeD, e che impegni: il giorno dopo ci sarebbe stata l'ufficiale parata dei Garden del Multiverso che, da scaletta, aprivano il torneo di combattimento tra SeeD che si sarebbe tenuto il giorno ancora successivo.
Il primo giorno le bevute in compagnie erano state parecchie e ben tollerate, ma d'ora in avanti avrebbero dovuto tutti tenere un comportamento ben più consono (si, certo, credici).
Pip: ehi, amico, hai bisogno di una mano?
Il Preside fece per avvicinarsi al Ronso, che si ritrasse d'istinto per tornare sui suoi passi, quando qualcosa gli fece cambiare nuovamente idea.
Guardò Pip e, dietro di lui, si vide per un attimo un luccichio.
Pip scattò senza neanche pensarci; spostò il Ronso con una spinta del braccio sinistro e bloccò con l'altro braccio il colpo sferrato con un pugnale da uno sconosciuto che era giunto alle sue spalle, afferrandogli l'avambraccio e torcendoglielo fino a che l'assassino non lasciò cadere l'arma a terra.
Il Ronso, nel frattempo, era caduto per terra con un urlo.
Lo sconosciuto cercò di sferrare un pugno a Pip, che lo deviò con facilità, ma dietro di lui si accese un fascio di luce che momentaneamente accecò il Preside, permettendo all'assassino di fuggire.
Tsk. Sto invecchiando.
Pip: tutto bene? Chi erano quelle persone?
Il Ronso distolse lo sguardò, forse imbarazzato, forse ansioso.
???: Grazie. Ora devo andare.
Pip: Aspetta, spiegami!
***
Il Giorno dopo, una squadra era partita per una missione improvvisa, capitanata dal figlio di Irvine.
Gli eventi che avrebbero dovuto fronteggiare dovevano per forza essere collegati a quelli riferiti dal giovane Ronso di nome Kirik.
Ovviamente, dell'accaduto erano stati informati gli organizzatori e le autorità di Luka.
Tutto ciò non cambiò i programmi del Festival dei SeeD e nemmeno i preparativi del Garden di Rinoa.
Pip: A tutti i SeeD! Oggi indosseremo l'alta uniforme per la parata. Seguiamo il programma stabilito che già abbiamo avuto modo di provare in questi giorni e faremo sicuramente una buona figura. Ah, dimenticavo: ho bisogno di tre volontari che abbiano voglia di mettersi in mostra nel torneo di domani. Buona giornata a tutti!
-
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Grazioso dono della sbornia.
Nanashi si svegliò col mal di testa e una nausea atroce, e vomitò sulla bacinella posta di fianco al letto. Non si ricordava chi l’aveva lasciata lì, ma era stato di certo molto genti…
Era stato lui stesso a lasciarla lì, ora ricordava.
Provò un moto di tristezza alla cosa, mentre poggiava i piedi sullo scendiletto macchiato da delle goccioline di bile mista ajrag misto grappa di molboro misto chissà cos’altro.
La luce lo infastidiva. Prese la katana e il roningasa, e uscì a farsi un giro.
Quantomeno a riempirsi la lagenaria.
Quanto tempo era che stava lì al garden? Troppo.
Quante memorie si era fatto? Troppo poche.
Aveva recuperato le vecchie? No.
Aveva dato un senso alla sua vita facendo l’ubriacone? No.
Gli sarebbe venuto da piangere, fosse stato ancora in grado di farlo.
Appena aprì la porta, il rumore lo colpì come una mazzata, provocandogli una fitta di mal di testa atroce. E in essa, una parola baluginò nella mente, subito dimenticata e soffocata nel dolore.
Provò voglia di farsi un panino con della carne di behemot. Magari sarebbe passato dal Macellaio del garden…
Bestemmiò tra i denti e non seppe il perché. Forse perché non c’era un macellaio al Garden di Rinoa.
Uscì per le strade di Luka, muovendosi tra la gente in borghese, gli abiti lerci di polvere e tristezza che portavano la gente ad evitarlo. Rina avrebbe preferito sventrarsi piuttosto che stare per un solo istante in sua presenza: era troppo pure per la fashionista.
Era troppo pure per quello pseudo psicologo barbuto… come si chiamava? Xander? Marx?
Non si fidava di lui. Sentiva l’odore di Rum Rub Dragon accompagnarlo mentre andava in mensa, finito il suo turno con quel disagiato di Reks. Aveva fiuto per l’alcol.
Ma del resto, c’era qualcuno di cui si fidava, lì dentro?
S’accorse che non aveva soldi. Che li aveva spesi tutti in alcolici da discount.
Magari poteva aprire una distilleria nel Garden di Rinoa. Se non altro per soddisfare il suo vizio. Ne avrebbe parlato con Pip, se il mal di testa glielo concedeva.
-0-
Si mosse verso il Chocobo Barcollante, quando accidentalmente urtò qualcuno con un boccale di birra in mano. Un cadetto che cercava di fare colpo su una ragazza. In maniera assai molesta, a giudicare da come la ragazza si stava ritirando alla ricerca di una via di fuga.
“Ehi!” Urlò il cadetto, afferrando Nanashi per la protesi, e subito ritraendo la mano: s’era tagliato sul caricatore di shuriken.
“Cosa vuoi?” Replicò il ninja, annoiato.
“Cosa voglio?! Hai rovinato le mie chance con quella tettona!” Imprecò il cadetto, leggermente alticcio.
“Quale tettona?” Chiese Nanashi. Il cadetto si voltò, e la sua espressione mutò in una smorfia d’ira quando si accorse che la ragazza s’era defilata.
“Io ti ammazzo. Zoolab. Io e te.” Ringhiò il cadetto.
Nanashi sorrise.
“Facciamo così: se vinci tu, mi lascerò pestare fuori dallo zoolab. Se vinco io, mi comprerai da bere.” Rispose il ninja.
“Perfetto… Hai già un budget in mente?”
Domande da codardo. O da persona umile quanto basta da ammettere la propria fallibilità.
Forse non era solo un giovinastro mosso dalla libido che contava sul fascino di un’uniforme lercia di birra.
“Sei o sette volte il tuo stipendio.”
“Porc’Odino, che hai da bere così tanto?” Chiese il cadetto, preoccupato.
“Voglio dimenticare.”
“Cosa?”
“Che non ho nulla da dimenticare. Ora spicciati. Zoolab. Io e te. Hai venti minuti per prepararti. E se non ti presenti, ti verrò a cercare per estorcerti i soldi, spazzaponte del Garden di Trabia.” Disse Nanashi, indicando col pollice uno stand dedito alla riparazione delle armi.
-0-
Un duello privato, al Garden di Rinoa, nascosto agli occhi dei più. Qualcuno s’era fermato a osservare, cadetti, per lo più, ma anche SeeD, un Commander, e qualche civile che esplorava il Rinoa’s e si era stancato della calma che aleggiava nell’aria e desiderava delle emozioni di seconda mano.
“Di’, come ti chiami?” Chiese il cadetto. Maneggiava un nuovo modello di gunblade, completamente diverso da quelli a lama vibrante tramite scariche di mystes concentrato.
“Non ho nome. Tu?” Rispose Nanashi.
“Perché dovrei darlo ad un edgelord di ‘sto cxxxo?” Rise il cadetto, puntandogli il gunblade contro.
Premette il grilletto, e subito partì una scarica di piombo.
Un gunblade più letterale degli altri, pensò Nanashi, schivando la tempesta di proiettili. Doveva colmare subito la distanza, motivo per cui liberò il rampino, facendolo schioccare come una frusta prima di tracciare un semicerchio all’altezza delle ginocchia con esso. Il cadetto subito balzò sopra il cavo di mythril, motivo per cui Nanashi aprì il rampino così che si conficcasse nel terreno, e attivò la spola, trainandosi a tutta velocità con una mano mentre con l’altra mise mano alla Kodoku.
Il gunbreaker atterrò sul cavo e attese il ninja al varco. Nanashi ghignò sotto il suo roningasa.
“Idiota.”
Richiuse il rampino, e subito questo scivolò per terra, sotto il piede del cadetto, il quale perse per un attimo l’equilibrio, mentre Nanashi continuò il suo scatto imperterrito, e, quando fu a gittata, esibì la sua abilità nello iaijutsu.
Il gunbreaker parò il fendente all’ultimo, e venne ribaltato, atterrò per terra di schiena e sfruttò l’impeto per esibirsi in una capriola all’indietro prima di essere impalato dalla Kodoku.
Non ebbe neanche il tempo di rialzarsi che Nanashi incalzò di nuovo, proseguendo l’assalto, in una tempesta di fendenti tanto rapidi quanto precisi e controllati. Più da samurai che da ninja, osservò il Commander dagli spalti. Non un micromovimento di troppo.
Poi si udì un click, e una wakizashi arrugginita con un manico di corda schizzò fuori dalla protesi, e subito cominciò ad incalzare con ferocia, liberando una nube di gas verde-acqua con ogni fendente, che danzava intorno al suo evocatore e si scatenava contro il gunbreaker, soffocandolo e riempiendo i suoi polmoni di miasma tossico.
Non ne avrebbe avuto ancora per molto. Motivo per cui era giunto il momento di scoprire il suo asso nella manica, la base di tutta la sua scherma.
“TERMINUS EST!” Gridò il cadetto, tracciando una croce infuocata col gunblade, la quale restò sospesa in aria per un secondo prima di piroettargli attorno, formando un cerchio di fiamme attorno a lui e spargendo via la nube di veleno.
Di Nanashi, però, non c’era più traccia nel suo campo visivo. Solo una leggera brezza invernale che spirava verso il suo viso. Si girò d’istinto verso le sue spalle, e parò all’ultimo il fendente del ninja, e si ritrovarono a lame incrociate.
“Si può sapere chi ti credi d’essere?!” Urlò il gunbreaker.
“La voglia di cavarti i denti.” Replicò Nanashi.
Un altro click.
“Uno alla volta.” Proseguì il ninja, prima di sparare un getto di fiamme azzurre contro il suo avversario, dritto agli occhi. Lo avrebbe accecato permanentemente, non fosse stato per uno shell castato all’ultimo istante.
“Tutta questa brutalità, per dell’alcol?!”
“Fatti i tuoi, moccioso!” Ringhiò Nanashi, su di giri. L’odore della sua paura lo stava eccitando.
Anche più di quello dell’alcol.
Gli concesse il tempo di rialzarsi. Di rimettersi in guardia. E si concesse il piacere di vederlo trattenere il terrore sotto una ferrea disciplina.
Il commander fischiò sommessamente. Sapeva come creare pathos, quel Mumei.
Sapeva fare la figura dell’heel senza problemi.
E aveva il physique du role, tra l’altro.
Partirono.
Il gunbreaker tracciò ancora la croce del Terminus Est, la quale partì in avanti, lasciandosi dietro una scia infuocata che arse il terreno e che avrebbe arso vivo Nanashi se questi non si fosse tuffato di lato. Il giovane cadetto continuò ad alternare una tempesta di piombo dal suo gunblade ai terminus est, cercando di mantenere la distanza e di impedire a Nanashi di raggiungere la sua distanza preferita.
Il ninja rise sguaiato, mentre continuava a correre in cerchio intorno alla sua preda, sete di sangue nello sguardo.
Per un attimo si chiese quanto di quello che stesse facendo fosse guerriglia psicologica e quanto fosse verità.
Poco importava. Si era stancato di quella farsa, e corse di fianco ad un terminus est, dritto verso la sua preda, una pallottola che gli sfiorò la tempia, lasciandosi dietro un rivolo di sangue che andava a intrecciarsi ai capelli.
Il cadetto caricò di mystes il gunblade, e subito scatenò, mediante quelle dannatissime croci di energia, un uragano di fiamme che si espandeva a macchia d’olio, e prometteva di ingoiare e manducare Nanashi. Il gunbreaker lo vide venire colpito, e stavolta sentì la brezza invernale soffiargli verso il viso, quindi si voltò ancora verso le sue spalle, ma non c’era nessuno.
Poi sentì un dolore atroce alla schiena, e cadde a carponi, la spina dorsale quasi recisa dallo iai di Nanashi.
“Non m’aspettavo ti voltassi, ti dico la verità.” Disse il ninja, schiacciando il tacco dello stivale sulla ferita.
“Ma del resto, dovresti saperlo che nessuno ripete mai lo stesso trucco. Ora pagami da bere.”
-0-
S’era appena fatto una doccia quando giunse alla gala in uniforme, katana al fianco stretta al fodero col cosiddetto nodo della pace, quando gli si accostò Pip accompagnato dal cadetto che aveva sconfitto in precedenza.
“Leon e Joshua mi hanno raccontato come te la sei cavata allo zoolab.” Cominciò il commander.
“Quando c’è l’alcol di mezzo…” Cominciò Nanashi, prendendo un sorso del suo punch, e subito storse il volto in una smorfia. Troppo fruttato, troppo leggero.
“A proposito, questo qui- Joshua, giusto?- mi deve dei soldi! O può pagarmi in grappa, come vuole.” Finì il ninja.
“Ti pagherà, sì, ma metà dello stabilito. L’altra metà andrà nelle tasche del Garden per pagarti i contributi.” Disse Pip.
“Ma se non c’arriverò, alla pensione!” Rise Nanashi, amaramente.
“Pianifichi di morire prima?” Chiese Pip, sguardo gelido.
“La mia morte è affar mio.” Rispose Nanashi, improvvisamente algido.
“Tornando su argomenti più allegri, vorrei che tu partecipassi al torneo di domani.” Disse il commander.
“Facciamo così. Se vinco il torneo, tu mi sganci i soldi che mi avresti decurtato, se perdo ci fai quel che vuoi.” Disse Nanashi, poggiando il punch e porgendogli la mano.
“Affare fatto.” Rispose il commander, stringendogliela.
Era stato lui stesso a lasciarla lì, ora ricordava.
Provò un moto di tristezza alla cosa, mentre poggiava i piedi sullo scendiletto macchiato da delle goccioline di bile mista ajrag misto grappa di molboro misto chissà cos’altro.
La luce lo infastidiva. Prese la katana e il roningasa, e uscì a farsi un giro.
Quantomeno a riempirsi la lagenaria.
Quanto tempo era che stava lì al garden? Troppo.
Quante memorie si era fatto? Troppo poche.
Aveva recuperato le vecchie? No.
Aveva dato un senso alla sua vita facendo l’ubriacone? No.
Gli sarebbe venuto da piangere, fosse stato ancora in grado di farlo.
Appena aprì la porta, il rumore lo colpì come una mazzata, provocandogli una fitta di mal di testa atroce. E in essa, una parola baluginò nella mente, subito dimenticata e soffocata nel dolore.
Provò voglia di farsi un panino con della carne di behemot. Magari sarebbe passato dal Macellaio del garden…
Bestemmiò tra i denti e non seppe il perché. Forse perché non c’era un macellaio al Garden di Rinoa.
Uscì per le strade di Luka, muovendosi tra la gente in borghese, gli abiti lerci di polvere e tristezza che portavano la gente ad evitarlo. Rina avrebbe preferito sventrarsi piuttosto che stare per un solo istante in sua presenza: era troppo pure per la fashionista.
Era troppo pure per quello pseudo psicologo barbuto… come si chiamava? Xander? Marx?
Non si fidava di lui. Sentiva l’odore di Rum Rub Dragon accompagnarlo mentre andava in mensa, finito il suo turno con quel disagiato di Reks. Aveva fiuto per l’alcol.
Ma del resto, c’era qualcuno di cui si fidava, lì dentro?
S’accorse che non aveva soldi. Che li aveva spesi tutti in alcolici da discount.
Magari poteva aprire una distilleria nel Garden di Rinoa. Se non altro per soddisfare il suo vizio. Ne avrebbe parlato con Pip, se il mal di testa glielo concedeva.
-0-
Si mosse verso il Chocobo Barcollante, quando accidentalmente urtò qualcuno con un boccale di birra in mano. Un cadetto che cercava di fare colpo su una ragazza. In maniera assai molesta, a giudicare da come la ragazza si stava ritirando alla ricerca di una via di fuga.
“Ehi!” Urlò il cadetto, afferrando Nanashi per la protesi, e subito ritraendo la mano: s’era tagliato sul caricatore di shuriken.
“Cosa vuoi?” Replicò il ninja, annoiato.
“Cosa voglio?! Hai rovinato le mie chance con quella tettona!” Imprecò il cadetto, leggermente alticcio.
“Quale tettona?” Chiese Nanashi. Il cadetto si voltò, e la sua espressione mutò in una smorfia d’ira quando si accorse che la ragazza s’era defilata.
“Io ti ammazzo. Zoolab. Io e te.” Ringhiò il cadetto.
Nanashi sorrise.
“Facciamo così: se vinci tu, mi lascerò pestare fuori dallo zoolab. Se vinco io, mi comprerai da bere.” Rispose il ninja.
“Perfetto… Hai già un budget in mente?”
Domande da codardo. O da persona umile quanto basta da ammettere la propria fallibilità.
Forse non era solo un giovinastro mosso dalla libido che contava sul fascino di un’uniforme lercia di birra.
“Sei o sette volte il tuo stipendio.”
“Porc’Odino, che hai da bere così tanto?” Chiese il cadetto, preoccupato.
“Voglio dimenticare.”
“Cosa?”
“Che non ho nulla da dimenticare. Ora spicciati. Zoolab. Io e te. Hai venti minuti per prepararti. E se non ti presenti, ti verrò a cercare per estorcerti i soldi, spazzaponte del Garden di Trabia.” Disse Nanashi, indicando col pollice uno stand dedito alla riparazione delle armi.
-0-
Un duello privato, al Garden di Rinoa, nascosto agli occhi dei più. Qualcuno s’era fermato a osservare, cadetti, per lo più, ma anche SeeD, un Commander, e qualche civile che esplorava il Rinoa’s e si era stancato della calma che aleggiava nell’aria e desiderava delle emozioni di seconda mano.
“Di’, come ti chiami?” Chiese il cadetto. Maneggiava un nuovo modello di gunblade, completamente diverso da quelli a lama vibrante tramite scariche di mystes concentrato.
“Non ho nome. Tu?” Rispose Nanashi.
“Perché dovrei darlo ad un edgelord di ‘sto cxxxo?” Rise il cadetto, puntandogli il gunblade contro.
Premette il grilletto, e subito partì una scarica di piombo.
Un gunblade più letterale degli altri, pensò Nanashi, schivando la tempesta di proiettili. Doveva colmare subito la distanza, motivo per cui liberò il rampino, facendolo schioccare come una frusta prima di tracciare un semicerchio all’altezza delle ginocchia con esso. Il cadetto subito balzò sopra il cavo di mythril, motivo per cui Nanashi aprì il rampino così che si conficcasse nel terreno, e attivò la spola, trainandosi a tutta velocità con una mano mentre con l’altra mise mano alla Kodoku.
Il gunbreaker atterrò sul cavo e attese il ninja al varco. Nanashi ghignò sotto il suo roningasa.
“Idiota.”
Richiuse il rampino, e subito questo scivolò per terra, sotto il piede del cadetto, il quale perse per un attimo l’equilibrio, mentre Nanashi continuò il suo scatto imperterrito, e, quando fu a gittata, esibì la sua abilità nello iaijutsu.
Il gunbreaker parò il fendente all’ultimo, e venne ribaltato, atterrò per terra di schiena e sfruttò l’impeto per esibirsi in una capriola all’indietro prima di essere impalato dalla Kodoku.
Non ebbe neanche il tempo di rialzarsi che Nanashi incalzò di nuovo, proseguendo l’assalto, in una tempesta di fendenti tanto rapidi quanto precisi e controllati. Più da samurai che da ninja, osservò il Commander dagli spalti. Non un micromovimento di troppo.
Poi si udì un click, e una wakizashi arrugginita con un manico di corda schizzò fuori dalla protesi, e subito cominciò ad incalzare con ferocia, liberando una nube di gas verde-acqua con ogni fendente, che danzava intorno al suo evocatore e si scatenava contro il gunbreaker, soffocandolo e riempiendo i suoi polmoni di miasma tossico.
Non ne avrebbe avuto ancora per molto. Motivo per cui era giunto il momento di scoprire il suo asso nella manica, la base di tutta la sua scherma.
“TERMINUS EST!” Gridò il cadetto, tracciando una croce infuocata col gunblade, la quale restò sospesa in aria per un secondo prima di piroettargli attorno, formando un cerchio di fiamme attorno a lui e spargendo via la nube di veleno.
Di Nanashi, però, non c’era più traccia nel suo campo visivo. Solo una leggera brezza invernale che spirava verso il suo viso. Si girò d’istinto verso le sue spalle, e parò all’ultimo il fendente del ninja, e si ritrovarono a lame incrociate.
“Si può sapere chi ti credi d’essere?!” Urlò il gunbreaker.
“La voglia di cavarti i denti.” Replicò Nanashi.
Un altro click.
“Uno alla volta.” Proseguì il ninja, prima di sparare un getto di fiamme azzurre contro il suo avversario, dritto agli occhi. Lo avrebbe accecato permanentemente, non fosse stato per uno shell castato all’ultimo istante.
“Tutta questa brutalità, per dell’alcol?!”
“Fatti i tuoi, moccioso!” Ringhiò Nanashi, su di giri. L’odore della sua paura lo stava eccitando.
Anche più di quello dell’alcol.
Gli concesse il tempo di rialzarsi. Di rimettersi in guardia. E si concesse il piacere di vederlo trattenere il terrore sotto una ferrea disciplina.
Il commander fischiò sommessamente. Sapeva come creare pathos, quel Mumei.
Sapeva fare la figura dell’heel senza problemi.
E aveva il physique du role, tra l’altro.
Partirono.
Il gunbreaker tracciò ancora la croce del Terminus Est, la quale partì in avanti, lasciandosi dietro una scia infuocata che arse il terreno e che avrebbe arso vivo Nanashi se questi non si fosse tuffato di lato. Il giovane cadetto continuò ad alternare una tempesta di piombo dal suo gunblade ai terminus est, cercando di mantenere la distanza e di impedire a Nanashi di raggiungere la sua distanza preferita.
Il ninja rise sguaiato, mentre continuava a correre in cerchio intorno alla sua preda, sete di sangue nello sguardo.
Per un attimo si chiese quanto di quello che stesse facendo fosse guerriglia psicologica e quanto fosse verità.
Poco importava. Si era stancato di quella farsa, e corse di fianco ad un terminus est, dritto verso la sua preda, una pallottola che gli sfiorò la tempia, lasciandosi dietro un rivolo di sangue che andava a intrecciarsi ai capelli.
Il cadetto caricò di mystes il gunblade, e subito scatenò, mediante quelle dannatissime croci di energia, un uragano di fiamme che si espandeva a macchia d’olio, e prometteva di ingoiare e manducare Nanashi. Il gunbreaker lo vide venire colpito, e stavolta sentì la brezza invernale soffiargli verso il viso, quindi si voltò ancora verso le sue spalle, ma non c’era nessuno.
Poi sentì un dolore atroce alla schiena, e cadde a carponi, la spina dorsale quasi recisa dallo iai di Nanashi.
“Non m’aspettavo ti voltassi, ti dico la verità.” Disse il ninja, schiacciando il tacco dello stivale sulla ferita.
“Ma del resto, dovresti saperlo che nessuno ripete mai lo stesso trucco. Ora pagami da bere.”
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S’era appena fatto una doccia quando giunse alla gala in uniforme, katana al fianco stretta al fodero col cosiddetto nodo della pace, quando gli si accostò Pip accompagnato dal cadetto che aveva sconfitto in precedenza.
“Leon e Joshua mi hanno raccontato come te la sei cavata allo zoolab.” Cominciò il commander.
“Quando c’è l’alcol di mezzo…” Cominciò Nanashi, prendendo un sorso del suo punch, e subito storse il volto in una smorfia. Troppo fruttato, troppo leggero.
“A proposito, questo qui- Joshua, giusto?- mi deve dei soldi! O può pagarmi in grappa, come vuole.” Finì il ninja.
“Ti pagherà, sì, ma metà dello stabilito. L’altra metà andrà nelle tasche del Garden per pagarti i contributi.” Disse Pip.
“Ma se non c’arriverò, alla pensione!” Rise Nanashi, amaramente.
“Pianifichi di morire prima?” Chiese Pip, sguardo gelido.
“La mia morte è affar mio.” Rispose Nanashi, improvvisamente algido.
“Tornando su argomenti più allegri, vorrei che tu partecipassi al torneo di domani.” Disse il commander.
“Facciamo così. Se vinco il torneo, tu mi sganci i soldi che mi avresti decurtato, se perdo ci fai quel che vuoi.” Disse Nanashi, poggiando il punch e porgendogli la mano.
“Affare fatto.” Rispose il commander, stringendogliela.
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- Iscritto il: 13 nov 2007, 06:11
- Sesso: M
Re: Garden
M tentò un altro morso allo zucchero filato; si sciolse in bocca all'istante, un misero pugnetto troppo dolce che lasciava lo stomaco vuoto. Una rappresentazione perfetta dell'intera città, che ti illudeva con suoni, colori e profumi invitanti, ma offriva ben poco in realtà, e quel poco era già nauseante. Gli mancavano i bassifondi di Rabanastre, il costante abbiare dei carni randagi, la sabbia marrone del deserto di Dalmasca che ricopriva ogni cosa quando soffiava il vento, l'odore di fogna nelle giornate di pioggia, le persone vere che non coprivano la loro realtà con costumi sgargianti e montagne di zucchero.
Una bambina lo stava fissando da qualche minuto ormai, e finalmente trovò il coraggio di allungare la mano. M buttò nel cestino lo zucchero filato e sciolse con una mano il nodo che legava il palloncino al polso.
«Ecco a te» le disse, sorridendo a lei e al papà che la teneva in braccio. «Me l'ha dato un Moguri qualche via più in là, se ne vuoi un altro.»
Si alzò dalla panchina, stirò le pieghe dei pantaloni con le mani e si avviò verso la parata dei Garden.
«M!»
Pip lo chiamò con un cenno della mano.
«Hai pensato di iscriverti al torneo di domani?»
In realtà ci aveva pensato e non faceva proprio per lui. Combattere per intrattenimento era una perdita di tempo, nemmeno da bambino gli era mai piaciuto far finta di lottare. Ma ora era un Cadetto del Garden di Rinoa e i Cadetti partecipavano ai tornei. Sarebbe stata un'occasione per conoscere meglio i suoi colleghi, perlomeno. Era stufo di camminare per le strade di Luka e non capiva nulla dei vari convegni e incontri con cui erano occupati tutti. Combattere non gli piaceva, ma se ne intedeva.
«Va bene.»
«Considerala la tua prima missione con noi.»
Una bambina lo stava fissando da qualche minuto ormai, e finalmente trovò il coraggio di allungare la mano. M buttò nel cestino lo zucchero filato e sciolse con una mano il nodo che legava il palloncino al polso.
«Ecco a te» le disse, sorridendo a lei e al papà che la teneva in braccio. «Me l'ha dato un Moguri qualche via più in là, se ne vuoi un altro.»
Si alzò dalla panchina, stirò le pieghe dei pantaloni con le mani e si avviò verso la parata dei Garden.
«M!»
Pip lo chiamò con un cenno della mano.
«Hai pensato di iscriverti al torneo di domani?»
In realtà ci aveva pensato e non faceva proprio per lui. Combattere per intrattenimento era una perdita di tempo, nemmeno da bambino gli era mai piaciuto far finta di lottare. Ma ora era un Cadetto del Garden di Rinoa e i Cadetti partecipavano ai tornei. Sarebbe stata un'occasione per conoscere meglio i suoi colleghi, perlomeno. Era stufo di camminare per le strade di Luka e non capiva nulla dei vari convegni e incontri con cui erano occupati tutti. Combattere non gli piaceva, ma se ne intedeva.
«Va bene.»
«Considerala la tua prima missione con noi.»
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Juuchi Akafuyu
L'aria esplose, e urlò, e sanguinò. I nervi gli cantavano il requiem, mentre tutto il mondo intorno a lui si sfaldava insieme al suo stesso corpo, alla sua stessa psiche, alla sua stessa anima. La vista era insopportabile: sembrava di venire ficcati a forza dentro un ventre. Tutto era sventrato, tutto collassava. Chiuse gli occhi, e vide l'interno delle sue palpebre bruciare. Non c'era alcun suono, solo l'assordante strillo del silenzio.
Quando li riaprì, c'era solo il crepitio delle fiamme, e la sensazione pruriginosa di essere lerci di sangue altrui.
Sentiva le sue labbra piegate in un sorriso.
Non aveva ancora finito. Non avrebbe mai finito. Nemmeno con la morte sarebbe finita, questa pantomima.
Non sapeva nemmeno più se ne traesse gioia o meno, o cosa desiderasse davvero. Ne gli importava. C'era solo il massacro. La mattanza. L'inverno cremisi, dove tutto è silente se non per il crepitio delle case in fiamme.
Nanashi si svegliò di soprassalto, occhi spalancati sul soffitto e resto del corpo rigido e madido di sudore. Vomitò in una bacinella posta di fianco alla branda, e si rialzò dal suo giaciglio. Voleva che fosse l'alcol la causa di quel malessere, di quell'incubo. Guardò l'ora: erano le tre del mattino.
Si passò una mano sul volto, si vestì, prese la sua katana e si allontanò dai dormitori, diretto allo zoolab.
Non aveva più nulla da bere, se non il gel disinfettante per le mani, e personalmente ci teneva a morire in modi un tantinello meno stupidi.
Passò il codec sullo schermo davanti alla porta, atto identificativo dovuto, e si aprì subito un cassetto contenente i vari bracciali salvavita.
Ne indossò uno sul braccio sano, e, una volta effettuate le impostazioni di rito, si mosse dentro l'arena. Selezione casuale del bioma, nemico casuale, perché non voleva la preparazione, voleva la realtà, la sorpresa, lo sfinimento e il sonno senza sogni che ne conseguiva.
I piedi affondarono nella melma, fino alle caviglie. Alberi in vario stato di fioritura e decomposizione svettavano nella bayou, alcuni anche in orizzontale, galleggiando sul fango. Era solo una ricreazione semi-virtuale, realtà aumentata col magitek e un pizzico di distorsione cronospaziale, e il fango era un pelo troppo denso per essere vero. Nonché, fortunatamente, incapace di aggrapparsi ai vestiti.
Lo stelo di un molboro faceva capolino dal fango, il suo occhio che lo fissava, lo invitava ad avvicinarsi.
Nanashi sorrise, e caricò lo shuriken, solo che un dardo di balestra vi rimbalzò contro mentre lo teneva tra le dita prostetiche.
Evidentemente non aveva specificato non solo il tipo di nemico, ma anche il numero.
Non stette nemmeno a girarsi; lanciò il rampino e balzò fuori dalla melma, sugli alberi, nel fogliame, dov'era malamente celato dalla luce del plenilunio e dalla vista.
Abbassò un attimo lo sguardo, e vide altri di quegli steli. Molti altri. Almeno una sessantina di molboro nascosti nel fango.
"Mer-" Un dardo volò dritto in fronte a lui, e subito lo deviò col piatto della Kodoku.
Il cecchino era furbo.
Lui di più.
Scagliò una shuriken contro uno degli steli di molboro, e questi balzò fuori in un geyser di fango e putridume, gas fetido, marcio e maledetto che fuoriusciva dalle sue fauci. Nel mentre, Nanashi balzò via col rampino su un altro albero, alla ricerca del cacciatore, col chiaro intento di renderlo preda, di vittimizzarlo.
Non appena atterrò su un ramo, sentì le foglie muoversi dov'era partito. Non c'era vento in quella simulazione, dunque era stato un altro dardo. Il suo diversivo aveva funzionato, pensò con un ghigno. Scagliò il rampino dove sospettava si celasse la futura preda, e balzò, e immediatamente dovette deviare un dardo che altrimenti l'avrebbe preso alla gola. Ma il dardo era partito, ancora una volta, in fronte a lui. C'aveva azzeccato.
Atterrò, e il ramo si spezzò in due. Per un attimo, vide il cecchino: maschera di ceramica con un sorriso sornione in bassorilievo, abiti verde scuro, stivali, balestra, machete estratto, lama sporca di resina.
Bastardo. Ritrasse il rampino nel braccio e lo scagliò contro il ginocchio del cacciatore, gambizzandolo e arrestando la sua caduta a pochi metri da terra. Per un istante solo, che poi finì nel fango e dovette balzare via dal cecchino cadente, trascinato giù dal peso di Nanashi. Era atterrato di faccia, che lo shinobi non ebbe modo di vedere, visto che si dissolse in pixel insieme al resto del cacciatore.
Ritrasse il rampino, giusto l'istante prima che un molboro sbucasse dal fango e lo divorasse insieme ai resti del fu cacciatore. Rimase in apnea e saltò lontano, proprio mentre il vegetale killer rilasciava il suo alito fetido. Ottima idea. Atterrò su un tronco galleggiante, e immediatamente fece la rassegna dei suoi strumenti: non aveva niente di valido con cui affrontarlo.
Anzi, affrontarli, perché il molboro che aveva usato prima come diversivo stava venendo a riscuotere il debito karmico di Nanashi.
E stava giungendo in compagnia, capitanando una spedizione punitiva particolarmente puzzolente.
Considerò di usare il rampino, ma si accorse che avrebbe dovuto passare attraverso una coltre di nebbia tossica sparata dall'ultimo molboro apparso verso l'alto.
Erano furbi.
E lui era stanco di gente furba, e scattò contro il molboro, testa ancora sollevata, e tagliò con la sua katana, tranciando via tentacoli e spaccando denti marci.
Si tuffò di lato, evitando un tentacolo seguito dall'ondata di gas tossico, e subito balzò via quando un secondo molboro decise di frustarlo coi tentacoli e di vomitare altro di quel gas. Lo stavano chiudendo all'angolo. Gli serviva del fuoco. Erano piante, bruciavano, no?
Forse. Il nocciolo non bruciava bene, del resto.
Scagliò il rampino su, centrò un ramo e si issò su per l'albero, quando il ramo cedette. Nanashi piantò la Kodoku nella pianta, arrestando la caduta, e alzando lo sguardo vide la lama di un'accetta brillare sotto la luce lunare. Il secondo bastardo non voleva faticare, a quanto pareva.
Scagliò il rampino una seconda volta, estrasse la spada e diede massima potenza alla spola in fase di traino, così da catapultarlo dritto verso la cima dell'albero. Tranciò in volo i rami con la katana, e atterrò dietro il secondo cacciatore, che subito si girò e colpì, dando a Nanashi a stento il tempo di parare. Lo shinobi deviò il colpo e rispose con una gomitata nei denti, spaccandogli gli incisivi e facendolo barcollare all'indietro. Ma solo per un istante, che subito si riprese e colpì ancora, e ancora una volta il suo colpo venne deviato. Col taglio della spada.
Sulle dita. L'accetta cadde di sotto, e nel mentre che il guerriero l'osservava cadere e rimbalzare sulla testa di un molboro, Nanashi gli affondò la Kodoku nella trachea e la spinse fino all'elsa, sfondando le vertebre cervicali nel mentre.
L'uomo si agitò, si dimenò debolmente per riflesso, ma lo shinobi gli impedì di cadere, ed esaminò per bene la sua vittima: era coperto di pellicce, guanti spessi, volto squadrato, irsuto, rozzo e occhi vitrei. E una bandoliera piena di granate.
Ne innescò una, sempre tenendola appesa alla bandoliera, e calciò il cadavere giù dall'albero.
Esplose non appena il fu proprietario toccò la melma, in una reazione a catena spettacolare che annientò i molboro in una nube di schegge metalliche.
Delle piante killer, o almeno della loro spedizione punitiva, non rimase che una groviera di materia vegetale e neurotossine all'aura sparse.
Nanashi ansimava per l'adrenalina, ma non era ancora esausto come voleva.
Poi la palude svanì, così i molboro. Si ritrovò in uno spiazzo sterrato, e davanti a lui stava Lenne, in divisa e con indosso un bracciale salvavita. In una mano teneva Celebros, nell'altra un telecomando.
"Si può sapere perché mi fai lavorare alle quattro e mezza del mattino?" Chiese la donna, seccata, ficcandosi in tasca il telecomando.
"Insonnia." Rispose Nanashi.
Lenne grugnì in risposta, incamminandosi verso gli spalti, dove poggiò codec, telecomando e chiavi, per poi ritornare da Nanashi, spadone in spalla.
"Vuoi dare lavoro ai medici alle quattro e mezza del mattino?" Chiese lo shinobi.
"Solo se tu lo vuoi." Disse lei, scrocchiandosi il collo e lanciandogli una bottiglia di elisir.
Nanashi la tracannò in un istante, e si mise in guardia.
"Come vuoi." Rise Lenne Silveross, rilassata.
E per un attimo, lo shinobi sentì qualcosa ribollirgli in vena, urlargli di ucciderla, di uccidere tutti, di dare fuoco al Garden e a tutto quanto.
Scosse la testa, cacciando via tale pensiero, proprio quando Lenne lo stava caricando.
Bloccò l'affondo col piede, deviandolo verso il suolo e convertendo Celebros in una rampa da cui balzare e sferrare un devastante calcio al muso della guerriera, che lo deviò con un manrovescio, costringendo Nanashi a piroettare a mezz'aria e a sferrare un calcio del mulo volante, il quale andò a segno e respinse indietro Lenne, la quale ritornò subito alla carica, senza quasi concedere al ninja il tempo di atterrare e di ritornare in guardia.
Lo shinobi indietreggiò, schivando il primo fendente, e deviò con la Kodoku il secondo e il terzo, cercando, con un lavoro di tutto il corpo, di sbilanciare l'avversaria.
Non funzionò. Lenne sembrava un Rub Rum Dragon alla carica: inarrestabile, feroce, brutale.
Si stava creando l'apertura nella solida guardia di Nanashi, un fendente alla volta. Probabilmente perché se ne voleva tornare a letto il più in fretta possibile, dopo aver pestato a sangue chi l'aveva svegliata.
Decise di cambiare tattica e di indietreggiare, scagliando una sventagliata di shuriken contro la guerriera, che si riparò con il suo spadone mentre continuava la sua avanzata.
Piroettò di lato, schivando il colpo di Lenne, mentre la Sabimaru usciva dall'avambraccio e si apprestava a colpire e ad avvelenare la sua preda sia coi gas rilasciati dalla lama che con la ruggine bluastra che la patinava.
Lenne deviò il primo colpo della kodachi, poi il secondo, il terzo, il quarto della katana, poi si ruppe le scatole ed entrò di peso e violenza, dritta nella nube di gas tossico, con un maestoso montante dello spadone.
Per un istante solo, parve scoperta. Istante in cui Nanashi liberò il bocchettone nella sua protesi e sparò le fiamme sacre, ma Lenne abbassò lo spadone, riparandosi dietro di esso e indietreggiando fuori portata del fuoco blu e del veleno.
Nessuno dei due sembrava aver avuto effetto su di lei.
Lo shinobi intrise la Kodoku col fuoco sacro e caricò il suo avversario, ma riuscì solo ad incrociare le lame: Lenne sfruttava il vantaggio delle dimensioni e della massa della lama per impedire a Nanashi di avvicinarsi, di agire, di fare qualsiasi cosa che non fosse abbandonare la guardia, scoprire il fianco, servirle la vittoria su un piatto d'argento. Solo che Nanashi voleva rompere quello stallo, indi per cui estrasse le fiamme sacre in una tempesta purpurea che bruciò tutto quello che aveva davanti a sé, riducendo Lenne ad un'ombra nera che si avvicinava attraverso il fuoco, caricò Nanashi e lo placcò al suolo, mano sulla gola e ginocchia sulle braccia.
"Scacco matto." Disse lei.
"No, al re." Rispose lui, che si liberò scagliandole una shuriken alla tempia con un rapido colpo di polso, distraendola quanto bastava da divincolarsi con un colpo di reni, sbalzandola in avanti. Solo che lei, con riflessi felini, usò lo spadone per rialzarsi rapidamente e portarsi fuori gittata dal colpo di Nanashi, il quale si aspettava un combattimento a terra e ora era in una posizione di svantaggio. Precisamente, a gittata di un montante che lo prese alla spalla, ribaltandolo e rompendogliela.
Non gridò, ne gemette, soffiò solo quando Lenne poggiò il tacco sulla ferita e la punta di Celebros tra gli occhi.
"Avevi ragione, ma di solito lo scacco al re precede sempre lo scacco matto, sai?" Disse lei, tranquilla.
E in quell'istante, Nanashi avrebbe voluto infuriarsi, urlare, ucciderla. Ma non se la sentiva affatto. Non provava niente.
Lenne infoderò la spada e rimosse il suo peso dalla ferita, prima di tendere la mano allo shinobi.
"Dai, ti accompagno in infermeria." Disse solo.
Nanashi rimase a fissare la mano per un istante, prima di accettare l'offerta.
EDIT BY LENNE:
Nanashi accetta la sua mano tesa, una stretta forte, salda, che molto racconta del suo spirito combattivo a dispetto di un'espressione vacua - una di quelle che Lenne conosce bene. Di nuovo in piedi, la segue senza dire una parola, nell'aria immobile solo il rumore appena percettibile dei loro passi. Lei non sente il bisogno di rompere il silenzio, d'altro canto lo shinobi sembra perso in riflessioni tutte sue; si morde il labbro inferiore di quando in quando e, allo stesso modo, le dita della mano sana hanno degli spasmi incontrollati che non le sfuggono. Non sono però espressioni di dolore per la spalla rotta, è come se di quello non gliene importasse nulla. Ancora una volta, Nanashi Mumei le si presenta per quello che è: una personalità sfuggente, inquieta, una mina impazzita sul quale percepisce un odore acre - sangue e cenere e metallo. Sospira, passandosi la mano sugli occhi stanchi: i morti non dormono mai, mh? , ironizzava Mita le volte in cui sceglieva di farle compagnia nella sua veglia tormentata, rannicchiata sulla poltrona con un romanzo tra le mani e una tazza di tè sempre accanto. Era una premura strana, la sua, che passava per i piccoli gesti senza mai imporglieli: la sua compagnia nel quieto fruscio delle pagine, una bevanda calda, la sua stessa assenza a volte era un segno di come rispettasse i suoi spazi. Forse è per questo che, nel passare di fianco a un distributore, Lenne si ferma e prende una bottiglietta d'acqua fresca per Nanashi: non è una persona sensibile, non è neppure buona o attenta ai bisogni degli altri, ma riconosce nello shinobi un tormento che, per ragioni diverse, è anche suo. Una morsa costante nel cuore e nella mente, che divora instancabile perché non sai - non vuoi - condividerla.
«Bevi.» gli suggerisce aprendola. «Resta in infermeria, stanotte.» aggiunge mentre Nanashi tracanna l'acqua a grossi sorsi ed è la cosa più vicina alla gentilezza che riesca a dirgli.
«L'odore di medicinali mi fa vomitare.» ribatte lui laconico, quieto.
«Anche l'alcol.» replica, rivolgendogli un'occhiata in tralice.
Lui scivola con gli occhi lungo le celle del soffitto, la bottiglietta appoggiata alle labbra. «Quello mi rincoglionisce abbastanza da non pensare.»
«Se ti senti di nuovo male...»
«Lo so, lo so; mi lascerai sbavare sul pavimento dello Zoolab, poi me lo farai ripulire con la lingua.»
Lenne si ferma davanti all'ingresso dell'infermeria, inclina appena il mento nella sua direzione. «C'è il divano nel mio ufficio. Ormai sono sveglia e devo finire di catalogare alcune cose.»
Nanashi tace, sembra riflettere sulla proposta. I suoi occhi sono cerchiati di scuro e adesso, nella luce del corridoio, si nota meglio il colorito malsano del viso. Lenne percepisce quell'odore, di nuovo, più intenso, al punto da incollarsi sulla lingua nel gusto aspro della follia. Senza aspettare la sua risposta, torna sui suoi passi e verso lo Zoolab.
Quando li riaprì, c'era solo il crepitio delle fiamme, e la sensazione pruriginosa di essere lerci di sangue altrui.
Sentiva le sue labbra piegate in un sorriso.
Non aveva ancora finito. Non avrebbe mai finito. Nemmeno con la morte sarebbe finita, questa pantomima.
Non sapeva nemmeno più se ne traesse gioia o meno, o cosa desiderasse davvero. Ne gli importava. C'era solo il massacro. La mattanza. L'inverno cremisi, dove tutto è silente se non per il crepitio delle case in fiamme.
Nanashi si svegliò di soprassalto, occhi spalancati sul soffitto e resto del corpo rigido e madido di sudore. Vomitò in una bacinella posta di fianco alla branda, e si rialzò dal suo giaciglio. Voleva che fosse l'alcol la causa di quel malessere, di quell'incubo. Guardò l'ora: erano le tre del mattino.
Si passò una mano sul volto, si vestì, prese la sua katana e si allontanò dai dormitori, diretto allo zoolab.
Non aveva più nulla da bere, se non il gel disinfettante per le mani, e personalmente ci teneva a morire in modi un tantinello meno stupidi.
Passò il codec sullo schermo davanti alla porta, atto identificativo dovuto, e si aprì subito un cassetto contenente i vari bracciali salvavita.
Ne indossò uno sul braccio sano, e, una volta effettuate le impostazioni di rito, si mosse dentro l'arena. Selezione casuale del bioma, nemico casuale, perché non voleva la preparazione, voleva la realtà, la sorpresa, lo sfinimento e il sonno senza sogni che ne conseguiva.
I piedi affondarono nella melma, fino alle caviglie. Alberi in vario stato di fioritura e decomposizione svettavano nella bayou, alcuni anche in orizzontale, galleggiando sul fango. Era solo una ricreazione semi-virtuale, realtà aumentata col magitek e un pizzico di distorsione cronospaziale, e il fango era un pelo troppo denso per essere vero. Nonché, fortunatamente, incapace di aggrapparsi ai vestiti.
Lo stelo di un molboro faceva capolino dal fango, il suo occhio che lo fissava, lo invitava ad avvicinarsi.
Nanashi sorrise, e caricò lo shuriken, solo che un dardo di balestra vi rimbalzò contro mentre lo teneva tra le dita prostetiche.
Evidentemente non aveva specificato non solo il tipo di nemico, ma anche il numero.
Non stette nemmeno a girarsi; lanciò il rampino e balzò fuori dalla melma, sugli alberi, nel fogliame, dov'era malamente celato dalla luce del plenilunio e dalla vista.
Abbassò un attimo lo sguardo, e vide altri di quegli steli. Molti altri. Almeno una sessantina di molboro nascosti nel fango.
"Mer-" Un dardo volò dritto in fronte a lui, e subito lo deviò col piatto della Kodoku.
Il cecchino era furbo.
Lui di più.
Scagliò una shuriken contro uno degli steli di molboro, e questi balzò fuori in un geyser di fango e putridume, gas fetido, marcio e maledetto che fuoriusciva dalle sue fauci. Nel mentre, Nanashi balzò via col rampino su un altro albero, alla ricerca del cacciatore, col chiaro intento di renderlo preda, di vittimizzarlo.
Non appena atterrò su un ramo, sentì le foglie muoversi dov'era partito. Non c'era vento in quella simulazione, dunque era stato un altro dardo. Il suo diversivo aveva funzionato, pensò con un ghigno. Scagliò il rampino dove sospettava si celasse la futura preda, e balzò, e immediatamente dovette deviare un dardo che altrimenti l'avrebbe preso alla gola. Ma il dardo era partito, ancora una volta, in fronte a lui. C'aveva azzeccato.
Atterrò, e il ramo si spezzò in due. Per un attimo, vide il cecchino: maschera di ceramica con un sorriso sornione in bassorilievo, abiti verde scuro, stivali, balestra, machete estratto, lama sporca di resina.
Bastardo. Ritrasse il rampino nel braccio e lo scagliò contro il ginocchio del cacciatore, gambizzandolo e arrestando la sua caduta a pochi metri da terra. Per un istante solo, che poi finì nel fango e dovette balzare via dal cecchino cadente, trascinato giù dal peso di Nanashi. Era atterrato di faccia, che lo shinobi non ebbe modo di vedere, visto che si dissolse in pixel insieme al resto del cacciatore.
Ritrasse il rampino, giusto l'istante prima che un molboro sbucasse dal fango e lo divorasse insieme ai resti del fu cacciatore. Rimase in apnea e saltò lontano, proprio mentre il vegetale killer rilasciava il suo alito fetido. Ottima idea. Atterrò su un tronco galleggiante, e immediatamente fece la rassegna dei suoi strumenti: non aveva niente di valido con cui affrontarlo.
Anzi, affrontarli, perché il molboro che aveva usato prima come diversivo stava venendo a riscuotere il debito karmico di Nanashi.
E stava giungendo in compagnia, capitanando una spedizione punitiva particolarmente puzzolente.
Considerò di usare il rampino, ma si accorse che avrebbe dovuto passare attraverso una coltre di nebbia tossica sparata dall'ultimo molboro apparso verso l'alto.
Erano furbi.
E lui era stanco di gente furba, e scattò contro il molboro, testa ancora sollevata, e tagliò con la sua katana, tranciando via tentacoli e spaccando denti marci.
Si tuffò di lato, evitando un tentacolo seguito dall'ondata di gas tossico, e subito balzò via quando un secondo molboro decise di frustarlo coi tentacoli e di vomitare altro di quel gas. Lo stavano chiudendo all'angolo. Gli serviva del fuoco. Erano piante, bruciavano, no?
Forse. Il nocciolo non bruciava bene, del resto.
Scagliò il rampino su, centrò un ramo e si issò su per l'albero, quando il ramo cedette. Nanashi piantò la Kodoku nella pianta, arrestando la caduta, e alzando lo sguardo vide la lama di un'accetta brillare sotto la luce lunare. Il secondo bastardo non voleva faticare, a quanto pareva.
Scagliò il rampino una seconda volta, estrasse la spada e diede massima potenza alla spola in fase di traino, così da catapultarlo dritto verso la cima dell'albero. Tranciò in volo i rami con la katana, e atterrò dietro il secondo cacciatore, che subito si girò e colpì, dando a Nanashi a stento il tempo di parare. Lo shinobi deviò il colpo e rispose con una gomitata nei denti, spaccandogli gli incisivi e facendolo barcollare all'indietro. Ma solo per un istante, che subito si riprese e colpì ancora, e ancora una volta il suo colpo venne deviato. Col taglio della spada.
Sulle dita. L'accetta cadde di sotto, e nel mentre che il guerriero l'osservava cadere e rimbalzare sulla testa di un molboro, Nanashi gli affondò la Kodoku nella trachea e la spinse fino all'elsa, sfondando le vertebre cervicali nel mentre.
L'uomo si agitò, si dimenò debolmente per riflesso, ma lo shinobi gli impedì di cadere, ed esaminò per bene la sua vittima: era coperto di pellicce, guanti spessi, volto squadrato, irsuto, rozzo e occhi vitrei. E una bandoliera piena di granate.
Ne innescò una, sempre tenendola appesa alla bandoliera, e calciò il cadavere giù dall'albero.
Esplose non appena il fu proprietario toccò la melma, in una reazione a catena spettacolare che annientò i molboro in una nube di schegge metalliche.
Delle piante killer, o almeno della loro spedizione punitiva, non rimase che una groviera di materia vegetale e neurotossine all'aura sparse.
Nanashi ansimava per l'adrenalina, ma non era ancora esausto come voleva.
Poi la palude svanì, così i molboro. Si ritrovò in uno spiazzo sterrato, e davanti a lui stava Lenne, in divisa e con indosso un bracciale salvavita. In una mano teneva Celebros, nell'altra un telecomando.
"Si può sapere perché mi fai lavorare alle quattro e mezza del mattino?" Chiese la donna, seccata, ficcandosi in tasca il telecomando.
"Insonnia." Rispose Nanashi.
Lenne grugnì in risposta, incamminandosi verso gli spalti, dove poggiò codec, telecomando e chiavi, per poi ritornare da Nanashi, spadone in spalla.
"Vuoi dare lavoro ai medici alle quattro e mezza del mattino?" Chiese lo shinobi.
"Solo se tu lo vuoi." Disse lei, scrocchiandosi il collo e lanciandogli una bottiglia di elisir.
Nanashi la tracannò in un istante, e si mise in guardia.
"Come vuoi." Rise Lenne Silveross, rilassata.
E per un attimo, lo shinobi sentì qualcosa ribollirgli in vena, urlargli di ucciderla, di uccidere tutti, di dare fuoco al Garden e a tutto quanto.
Scosse la testa, cacciando via tale pensiero, proprio quando Lenne lo stava caricando.
Bloccò l'affondo col piede, deviandolo verso il suolo e convertendo Celebros in una rampa da cui balzare e sferrare un devastante calcio al muso della guerriera, che lo deviò con un manrovescio, costringendo Nanashi a piroettare a mezz'aria e a sferrare un calcio del mulo volante, il quale andò a segno e respinse indietro Lenne, la quale ritornò subito alla carica, senza quasi concedere al ninja il tempo di atterrare e di ritornare in guardia.
Lo shinobi indietreggiò, schivando il primo fendente, e deviò con la Kodoku il secondo e il terzo, cercando, con un lavoro di tutto il corpo, di sbilanciare l'avversaria.
Non funzionò. Lenne sembrava un Rub Rum Dragon alla carica: inarrestabile, feroce, brutale.
Si stava creando l'apertura nella solida guardia di Nanashi, un fendente alla volta. Probabilmente perché se ne voleva tornare a letto il più in fretta possibile, dopo aver pestato a sangue chi l'aveva svegliata.
Decise di cambiare tattica e di indietreggiare, scagliando una sventagliata di shuriken contro la guerriera, che si riparò con il suo spadone mentre continuava la sua avanzata.
Piroettò di lato, schivando il colpo di Lenne, mentre la Sabimaru usciva dall'avambraccio e si apprestava a colpire e ad avvelenare la sua preda sia coi gas rilasciati dalla lama che con la ruggine bluastra che la patinava.
Lenne deviò il primo colpo della kodachi, poi il secondo, il terzo, il quarto della katana, poi si ruppe le scatole ed entrò di peso e violenza, dritta nella nube di gas tossico, con un maestoso montante dello spadone.
Per un istante solo, parve scoperta. Istante in cui Nanashi liberò il bocchettone nella sua protesi e sparò le fiamme sacre, ma Lenne abbassò lo spadone, riparandosi dietro di esso e indietreggiando fuori portata del fuoco blu e del veleno.
Nessuno dei due sembrava aver avuto effetto su di lei.
Lo shinobi intrise la Kodoku col fuoco sacro e caricò il suo avversario, ma riuscì solo ad incrociare le lame: Lenne sfruttava il vantaggio delle dimensioni e della massa della lama per impedire a Nanashi di avvicinarsi, di agire, di fare qualsiasi cosa che non fosse abbandonare la guardia, scoprire il fianco, servirle la vittoria su un piatto d'argento. Solo che Nanashi voleva rompere quello stallo, indi per cui estrasse le fiamme sacre in una tempesta purpurea che bruciò tutto quello che aveva davanti a sé, riducendo Lenne ad un'ombra nera che si avvicinava attraverso il fuoco, caricò Nanashi e lo placcò al suolo, mano sulla gola e ginocchia sulle braccia.
"Scacco matto." Disse lei.
"No, al re." Rispose lui, che si liberò scagliandole una shuriken alla tempia con un rapido colpo di polso, distraendola quanto bastava da divincolarsi con un colpo di reni, sbalzandola in avanti. Solo che lei, con riflessi felini, usò lo spadone per rialzarsi rapidamente e portarsi fuori gittata dal colpo di Nanashi, il quale si aspettava un combattimento a terra e ora era in una posizione di svantaggio. Precisamente, a gittata di un montante che lo prese alla spalla, ribaltandolo e rompendogliela.
Non gridò, ne gemette, soffiò solo quando Lenne poggiò il tacco sulla ferita e la punta di Celebros tra gli occhi.
"Avevi ragione, ma di solito lo scacco al re precede sempre lo scacco matto, sai?" Disse lei, tranquilla.
E in quell'istante, Nanashi avrebbe voluto infuriarsi, urlare, ucciderla. Ma non se la sentiva affatto. Non provava niente.
Lenne infoderò la spada e rimosse il suo peso dalla ferita, prima di tendere la mano allo shinobi.
"Dai, ti accompagno in infermeria." Disse solo.
Nanashi rimase a fissare la mano per un istante, prima di accettare l'offerta.
EDIT BY LENNE:
Nanashi accetta la sua mano tesa, una stretta forte, salda, che molto racconta del suo spirito combattivo a dispetto di un'espressione vacua - una di quelle che Lenne conosce bene. Di nuovo in piedi, la segue senza dire una parola, nell'aria immobile solo il rumore appena percettibile dei loro passi. Lei non sente il bisogno di rompere il silenzio, d'altro canto lo shinobi sembra perso in riflessioni tutte sue; si morde il labbro inferiore di quando in quando e, allo stesso modo, le dita della mano sana hanno degli spasmi incontrollati che non le sfuggono. Non sono però espressioni di dolore per la spalla rotta, è come se di quello non gliene importasse nulla. Ancora una volta, Nanashi Mumei le si presenta per quello che è: una personalità sfuggente, inquieta, una mina impazzita sul quale percepisce un odore acre - sangue e cenere e metallo. Sospira, passandosi la mano sugli occhi stanchi: i morti non dormono mai, mh? , ironizzava Mita le volte in cui sceglieva di farle compagnia nella sua veglia tormentata, rannicchiata sulla poltrona con un romanzo tra le mani e una tazza di tè sempre accanto. Era una premura strana, la sua, che passava per i piccoli gesti senza mai imporglieli: la sua compagnia nel quieto fruscio delle pagine, una bevanda calda, la sua stessa assenza a volte era un segno di come rispettasse i suoi spazi. Forse è per questo che, nel passare di fianco a un distributore, Lenne si ferma e prende una bottiglietta d'acqua fresca per Nanashi: non è una persona sensibile, non è neppure buona o attenta ai bisogni degli altri, ma riconosce nello shinobi un tormento che, per ragioni diverse, è anche suo. Una morsa costante nel cuore e nella mente, che divora instancabile perché non sai - non vuoi - condividerla.
«Bevi.» gli suggerisce aprendola. «Resta in infermeria, stanotte.» aggiunge mentre Nanashi tracanna l'acqua a grossi sorsi ed è la cosa più vicina alla gentilezza che riesca a dirgli.
«L'odore di medicinali mi fa vomitare.» ribatte lui laconico, quieto.
«Anche l'alcol.» replica, rivolgendogli un'occhiata in tralice.
Lui scivola con gli occhi lungo le celle del soffitto, la bottiglietta appoggiata alle labbra. «Quello mi rincoglionisce abbastanza da non pensare.»
«Se ti senti di nuovo male...»
«Lo so, lo so; mi lascerai sbavare sul pavimento dello Zoolab, poi me lo farai ripulire con la lingua.»
Lenne si ferma davanti all'ingresso dell'infermeria, inclina appena il mento nella sua direzione. «C'è il divano nel mio ufficio. Ormai sono sveglia e devo finire di catalogare alcune cose.»
Nanashi tace, sembra riflettere sulla proposta. I suoi occhi sono cerchiati di scuro e adesso, nella luce del corridoio, si nota meglio il colorito malsano del viso. Lenne percepisce quell'odore, di nuovo, più intenso, al punto da incollarsi sulla lingua nel gusto aspro della follia. Senza aspettare la sua risposta, torna sui suoi passi e verso lo Zoolab.