Nathan era seduto accanto a Lonelywolf in una piccola rientranza scavata nella roccia, intento a osservare i quattro capi degli indigeni. Otta e Holden, in qualità di cariche più alte dell'Accademia, si sarebbero occupati del baratto, con l'aiuto di chiunque avesse potuto dare una mano. Il popolo nel quale si erano imbattuti e che aveva offerto loro accoglienza non sembrava costituire una vera e propria minaccia: fino ad allora non vi erano stati gesti ostili nei confronti dei nuovi arrivati, e tutto lasciava ben sperare che le cose potessero volgere al meglio.
Ciò non si poteva dire per i pensieri che attraversavano la mente di Nathan. Si sentiva perso, spaesato: una bussola senza il suo ago. Gli eventi degli ultimi giorni si erano susseguiti ad una velocità tale che aveva a malapena avuto il tempo di riprendere fiato, lasciando dietro di loro, come unica eredità, dubbi ed interrogativi. Si chiedeva spesso cosa avrebbe fatto se e quando (perchè non era un'ipotesi del tutto certa) avessero fatto ritorno nel loro mondo. Il suo futuro era una zona d'ombra, al momento impossibile da rischiarare. Era perfettamente conscio che La Piramide fosse ancora sulle sue tracce: conosceva fin troppo bene Helena e gli altri, e soprattutto chi li comandava, per farsi futili illusioni su una possibile rinuncia alla caccia da parte loro. Ed era consapevole della possibilità che l'Accademia, il Garden o l'Ordine avrebbero potuto decidere di non offrirgli aiuto, in quell'impresa. Lui stesso si sentiva a disagio: aveva abusato della protezione che gli avevano offerto, si era aggrappato al loro aiuto come un naufrago si aggrappa a tutte le sue forza ad un pezzo di relitto durante una tempesta, ricambiandoli con mezze verità.
Ma lui era un naufrago, dopo tutto. La sua vita era stata un continuo susseguirsi di privazioni e momenti bui, di perdite e di rinunce: aveva perso le sue radici (se mai le aveva avute) e la sua strada; le scelte che aveva compiuto non appartevano a lui, ma erano state dettate dalla sua volontà, ma da quella di altri. Un fantoccio. Né più, né meno.
Ed ora tutto questo rischiava di ripetersi. L'ignoto lo terrorizzava più di ogni altra cosa, proprio perchè temeva di soffrire di nuovo. Continuava a chiedersi cosa sarebbe successo quando tutto questo fosse finito. Che La Piramide potesse ritrovarlo era chiaro quanto il sole, avevano già dimostrato la potenza della loro organizzazione e la facilità con cui potevano mettersi sulle loro tracce. Che l'Ordine o l'Accademia decidessero di aiutarlo, invece, era una questione di più difficile interpretazione.
Sospirò. Odiava sentirsi così.
« Ti si riempe la fronte di rughe, quando pensi troppo. »
Nathan trasalì. Si era completamente estraniato dagli altri, dimenticandosi di seguire le trattative.
Morgana lo fissava da un punto poco distante dal suo e di Lonelywolf. Aveva pronunciato quelle parole come un piccolo automa, meccanicamente e senza particolare traccia di emozione. Quella ragazza lo metteva a disagio: sembrava quasi inumana, sprofondata in un mondo tutto suo, immune agli sconvolgimenti di quello reale.
« E tu non sorridi mai? » le domandò a sua volta.
Lei lo fissò per un attimo.
« Non vedo perchè dovrei, non ho motivi validi per farlo. Dovresti pensare a trovare una qualche sorta di vestito, comunque » proseguì, lanciando un eloquente sguardo alla figura coperta solo da un paio di boxer a pochi metri da lei, « tra poco arriverà la notte e farà freddo. »
I suoi occhi brillarono al buio, due piccole capocchie di spillo in un lago di oscurità. A Nathan venne la pelle d'oca a quella vista: si passò automaticamente le mani sulle braccia, frizionandole, cercando di controllare i brividi.
La scena non sfuggì a Night e a Macha.
« Un accendino scosso da brividi di freddo? Il mondo va veramente al rovescio » sghignazzò il primo.
« Magari vuol far colpo sulle indigene locali mettendo in mostra la "mercanzia", che ne sai? Non smontare subito i suoi eroici piani di gloria » aggiunse l'infermiera.
Tutti risero. Nonostante l'imbarazzo, Nathan si rallegrò di ciò: qualunque tentativo per smorzare la tensione era ben accetto, da troppo tempo tutti avevano i nervi costantemente a fior di pelle.
Rosso in viso, Nathan scoccò un'occhiataccia a Macha e le disse: « Sbaglio o sei tu quella che mi ha tolto i vestiti una volta arrivato a bordo dell'aeronave? »
Per tutta risposta, lei gli rivolse uno sguardo completamente smaliziato. « Beh, i vestiti erano di impiccio nelle tue condizioni, sai com'è, se si fossero attaccati completamente al tuo corpo, viste le ustioni, avresti potuto perdere qualcosa di prezioso, o no? » rispose, lanciando un'occhiata di traverso ai boxer di Nathan.
La piccola caverna rimbombò di nuovo delle risate dei cadetti, che vennero interrotte dall'arrivo di un gruppo di donne, portanti dei vassoi in mano, carichi di quello che, a prima vista, sembrava...
« CibooooooH
»
Otta non riuscì a trattenere l'entusiasmo alla vista di tutto quel ben di Dio, il suo stomaco mandava lamenti degni di un brontosauro intento a russare.
« Preside, cerca di darti un pò di contegno, quel cibo probabilmente ci viene offerto come segno di amicizia prima di iniziare le trattative » le sibilò Holden all'orecchio, a metà tra l'irritato e il divertito.
« Holdy, come posso contenermi? E inoltre, sono più che lieta di fare amicizia con questi tipi, se trattano così bene gli ospiti
Sogno o son desta? Per caso quello è un cosciOttoH?
» domandò rivolta a tutti e nessuno, con gli occhi grandi come due piattini da té.
Holden si battè una mano sulla fronte, conscio di star combattendo una battaglia ormai persa, mentre gli indigeni ridevano: avevano compreso dai gesti e dai comportamenti cosa era successo, e parevano aver apprezzato il siparietto. Dopo che il comandante dell'Accademia e il suo Vice si furono serviti (Otta aveva ammucchiato una pila di viveri così alta che sfidava le leggi della gravità), le donne con i vassoi vennero verso i cadetti, porgendo loro il contenuto. Tutti si servirono, tranne Macha che fece per prendere qualcosa in modo da portarlo ai feriti rimasti nell'altra grotta, ma venne fermata da una delle indigene, che le rivolse un sorriso: evidentemente aveva capito le sue intenzioni, e a giudicare dai gesti che rivolgeva all'infermiera, aveva già provveduto personalmente a portare da mangiare anche agli altri.
Per alcuni minuti, l'unico suono che interruppe il silenzio fu quello di numerose paia di mandibole e mascelle intente a masticare. Nathan capì, ancora una volta, quanto il cibo potesse far bene all'umore.
La sua attenzione venne richiamata da una piccola bambina, che si teneva attaccava alla gamba di una delle donne che avevano offerto loro da mangiare: piangeva a dirotto, e la madre cercava inutilmente di calmarla, ma senza risultati evidenti. Il ragazzo si alzò automaticamente, mosso da istinti dettati dalle eco del passato che gli attraversavano la testa in quel momento. Rivolse un sorriso incoraggiante alla madre della piccola, stringendole un braccio per farle capire che non aveva nulla da temere, poi si chinò, finchè i suoi occhi non arrivarono a livello di quelli della bambina. Lei lo fissò trattenendo il respiro, indecisa sul da farsi: dopotutto era la prima volta che si trovava di fronte quegli stranieri così diversi dal suo popolo, e ne aveva paura. Nathan le sorrise, poi raccolse tre sassolini da terra ed iniziò a lanciarli in aria, facendoli ruotare e passare da una mano all'altra più velocemente che poteva: in breve tempo, la bambina seguiva ammaliata i giochi di prestigio di quel ragazzo così alto e dagli occhi neri come la notte, e rideva ad ogni presa particolarmente difficile o ad ogni sasso che cadeva a terra. Quando la piccola si fu calmata e si accorse che gli occhi le risplendevano di gioia, Nathan tornò al suo posto in mezzo agli altri.
« Però, ci sai fare con i bambini eh? » gli chiese Lonelywolf.
Nathan non rispose subito, i ricordi degli anni passati e del prezzo che avevano comportato ben presenti nella mente. Un « già» sussurrato a mezza voce fu tutto quello che riuscì a dire. Nessuno aggiunse altro, evidentemente l'ombra di tristezza che aveva velato gli occhi del pirocinetico non era passata inosservata. L'atmosfera si fece pesante, nessuno sapeva come stemperare quel momento di imbarazzo.
« Quando ero prigioniero nei laboratori della Piramide molto spesso mi occupavo dei bambini. Non ero l'unico su cui compivano esperimenti, diciamo. Il punto è che non potevo sopportare di sentirli piangere continuamente, quindi facevo tutto ciò che era in mia potere per farli star meglio: li consolavo, li facevo ridere, li aiutavo a mangiare quando non volevano ingerire boccone. Voi non avete idea, credo che nessuno possa farsela se non prova il tutto sulla sua pelle. Era qualcosa di così...aberrante, potrei dire...non mi vengono altre parole in mente per descriverlo. Li avevano strappati dalle loro famiglie, privati della loro vita, compivano su di loro cose che...io... »
La voce gli morì in gola, e non aggiunse altro. Nessuno osò dire alcunché: la rivelazione aveva sconvolto tanto loro quanto Nathan, che sentiva i ricordi degli orrori che aveva visto e subìto perforarlo come frecce infuocate.
Avvertì una mano sulla spalla, e voltò il capo.
Holden lo guardava dall'alto, in piedi dietro di lui.
« Non credo che ora come ora abbia molto senso pensare al passato. L'unica cosa importante è portare dentro di te gli insegnamenti che esso ti ha trasmesso, per quanto dolorosi e orribili possano essere, e applicarli in modo corretto, rispettando te e gli altri: solo così riuscirai a costruirti un futuro adatto a te. E » aggiunse, fissandolo negli occhi, « il consiglio vale anche per l'avvenire. Non puoi permetterti di stare ad angustiarti su ciò che potrà accadere o meno, nessuno ha mai il pieno controllo sugli eventi. E, per quello che può valere, non ti lasceremo solo. A buon intenditor, poche parole. »
Il vicecomandante si allontanò di nuovo, tornando al tavolo delle trattative, che stavano per iniziare.
Nathan lo seguì con lo sguardo, un tumulto di pensieri in testa. Venne distratto da un rumore di passi. La madre della bambina che il ragazzo aveva aiutato si diresse verso di lui, tenendo in mano un sacco, che gli porse con un sorriso caldo e rassicurante. Nathan lo aprì e ne rivelò il contenuto: vestiti in tutto e per tutto uguali a quelli indossati dagli altri indigeni. Evidentemente la donna voleva aiutarlo a risolvere il problema della sua "nudità".
« Augh, piccolo accendino pellerossa » lo schernì Night con un mezzo ghigno.
Il ragazzo indossò gli indumenti, e si mise di nuovo a sedere accanto agli altri, osservando le trattative per i baratti prendere il via. L'ombra di tristezza che poco tempo prima gli aveva coperto gli occhi era scomparsa.
La tenda che copriva l'interno della grotta venne scostata all'improvviso. Teo entrò, un'espressione preoccupata sul volto, e si incamminò direttamente verso Macha.
« Credo che Oushi non stia affatto bene » le disse. « Non vuole darlo a vedere, ma è completamente coperta da sudore e ogni tanto si piega in due tenendosi la pancia, come se avesse delle fitte pazzesche. Ho pensato fosse il caso di avvertirti. »
L'infermiera si alzò silenziosamente ed uscì, diretta verso la cadetta, mentre le trattative iniziavano.