Edith si schiarì la voce per annunciare la sua presenza e quando Aura si voltò c’era un vago sorriso sulle labbra.
«Mi spiace disturbarla in questo momento.» disse a mezza bocca.
La Commander scosse la testa, invitandola a sedersi nella prima poltroncina libera: non se lo fece ripetere la donna e si accomodò.
«Cosa posso fare per te?»
«Ho alcune informazioni che potrebbero esserle utili durante la missione.» Frugò nel tascapane tirandone fuori dei fogli volanti «Mappe e annotazioni sulle varie parti del castello» spiegò «È meglio averle a disposizione: sembra che la sfuriata di Beleren fosse un’abile messinscena, non aspettava altro che un passo falso da parte di Agrabah per poterle dichiarare guerra e togliere vantaggio a Hesperia.»
Aura sollevò un sopracciglio, scettica. «Perché avrebbe dovuto farlo? È il Comandante della Guardia.»
Edith si passò una mano fra i capelli e sospirò affranta. «Ha stretto un patto con i predatori, a quanto pare» non era certa di potersi fidare del capovillaggio, ma le aveva rivelato il luogo dov’era sua figlia in cambio di quelle informazioni, forse era stata onesta «Selina sarà sua promessa sposa e potrà governare su Hesperia come legittimo Re se vincessero.»
«Una questione di potere, quindi?»
La donna annuì. «Senza l’appoggio di Agrabah la cittadella è perduta, soprattutto se vi sono alcuni traditori all’interno. Non credo che il Consiglio sia favorevole a una simile situazione ma non ho idea del perché non sia intervenuto. La situazione all’interno delle mura potrebbe essere molto caotica.»
La Commander si massaggiò la radice del naso: era spossata, si vedeva, ma anche pronta a reagire. «Ti ringrazio Edith.»
Mosse la mano in aria in un gesto di noncuranza. «È la mia casa. Mi… mi dispiace per la vostra perdita.» Aggiunse prima di alzarsi in piedi e portare il pugno al petto in segno di commiato.
Tutti lo sanno, mai, mai, offrire da bere a un gruppo di soldati che hanno appena perso il loro Capo. Anzi. Mai offrire da bere a dei soldati. Nessuno rifiuterà e il conto in banca sarà prosciugato nel primo giro di alcolici; se poi nel manipolo vi sono spugne del calibro di Egil Snow e Matt Winchester, allora il conto – sempre che esista – non verrà più rianimato.
«Vuoi una birra?» sorrise il cameriere «È offerta!»
Edith scosse la testa, gli occhi fissi sulla ragazza seduta al bancone: aveva bevuto, trangugiato, due boccali e se ne stava accasciata contro il legno del tavolino, ogni tanto si riscuoteva e brindava a qualcuno. Era completamente andata.
Si mosse sullo sgabello, cercando di scendere, ma quello barcollò pericolosamente e Oushi si trovò culo a terra.
«Ahia» sollevò lo sguardo incontrando quello chiaro di Edith che si piegò sulle ginocchia per raggiungere la sua altezza.
«Sei buffa.» commentò.
«Voglio fare un brindisi, mi passeresti il bicchiere?» le indicò quello che secondo lei era il boccale.
«Dubito sia il caso, sai?»
«Dammi il bicchiere!»
«No.»
«Ti prego» mugolò «Ti prego, Edith»
La donna scosse la testa con una risata.
«Edith» ripetè Oushi con un tono più severo, prima di sciogliersi in un nuovo piagnucolio «per favore.»
«Ti aiuto ad alzarti, se riesci a stare in piedi per più di tre secondi ti farò bere ancora.» Le tese la mano, che Oushi afferrò senza esitazione pronta ad accettare la sfida.
Restò salda sui piedi per ben quattro secondi, li contò, poi crollò fra le braccia di Edith con un: “visto?”
La donna l’afferrò al volo. «Hai vinto tu.» le sussurrò all’orecchio e sorrise nel sentire rabbrividire la cadetta. Senza lasciarla andare, si allungò oltre il bancone e afferrò dell’acqua.
«Non è alcol» Oushi reclinò la testa in modo da poter guardare in viso Edith, che inarcò un sopracciglio.
«Non ho mai detto che ti avrei dato alcolici.»
La ragazza si scostò con la bocca crucciata in broncio, fece un passo avanti e ancora uno, poi oscillò sul posto e ricadde indietro, le spalle trovarono la sicurezza del petto di Edith.
«Non credi di aver esagerato?»
«No.» biascicò.
Edith posò il mento su una spalla della cadetta e le circondò la vita, attirandola a sé. «Che ne pensi di andare in camera, allora?»
«Solo se resti con me.»
Edith inspirò lentamente ed espirò. «Ai suoi ordini, Signore.»
La sollevò in aria e se la caricò in spalla. «È divertente!» ridacchiò Oushi con la testa che penzolava sulla schiena della Comandante.
La donna mugugnò qualcosa di incomprensibile, quando aprì la porta con un calcio e la richiuse con altrettanta grazia. Portò la cadetta verso il letto e la lasciò ricadere con un tonfo sul materasso, veloce le imprigionò i polsi nella sua stretta.
«Vuoi che resti con te, sicura?» bisbigliò nel buio.
In risposta, la donna strinse le ginocchia ai fianchi e il suo corpo si tese alla ricerca di quello di Edith.
La mano libera scivolò sotto la maglia di Oushi, le scostò la biancheria per trovare il seno e lo sfiorò con le unghie. «È quello che vuoi, mh?»
Annuì.
La ragazza batté le palpebre e gemette frustrata nel momento in cui le dita si scostarono.
«Si può sapere cosa ti è successo stasera?» disse, liberandola dalla stretta e rotolando al suo fianco, una mano a sostenere la testa.
Rimase in silenzio a lungo, a fissare le figure che le danzavano davanti agli occhi, senza rispondere alla domanda.
«Sai» fu Edith a interrompere il suo vagare «ho perso una persona, non molto tempo fa.» Sentì lo sguardo della donna scivolare su di lei, attenta. «Ero la sua compagna e questo non andava bene.»
«Perché?»
Edith ridacchiò. «Una confessione per uno: cos’è successo stasera?»
Sbuffò contrariata, ma la curiosità e l’alcol l’avevano resa più vulnerabile; ne aveva bisogno, si ritrovò a pensare, aveva bisogno che qualcuno l’ascoltasse senza giudicare, aveva bisogno che qualcuno la vedesse. «Ho fatto una telefonata» esordì con uno schiocco della lingua «e non è andata come desideravo.»
La donna al suo fianco mugugnò un assenso. «Nel nostro mondo non si è liberi di scegliere chi amare: c’è una scala sociale da rispettare. Io mi sono innamorata di una persona sbagliata.»
Oushi snocciolò qualche parola su Vivien, sul loro passato.
«Nèj non avrebbe voluto cedere, ma dopo anni di spietata corte» sogghignò Edith nel ricordare «ci ritrovammo a condividere il letto, finché non mi fece sua.»
«Sua?»
«Un pezzo per uno, ricordi?» l’ammonì.
«Le ho detto di amarla, stasera. Lei ha attaccato il telefono.»
Edith sollevò un sopracciglio e non poté far a meno di pensare un ‘bella stronza’ ma preferì tacere. Afferrò i lembi della propria maglia e la sfilò con un gesto secco: guidò la mano di Oushi a tracciare i contorni di una vecchia cicatrice sulla clavicola. «Appartengo a Nèj, ne è il simbolo.»
«Cosa vuol dire?» corrugò la fronte nel domandarlo.
«Non ha molta importanza. Parliamo di una persona condannata a vagare per Fìorin e morire a causa della nostra unione.» lo disse con un tono più secco di quanto non avrebbe voluto, per questo cinse le spalle della cadetta e la trascinò su di sé. «Non credi sia il caso di riposare, bimba?»
«Ehi» mugolò «Non sono una bimba»
Edith sorrise, si chinò sulle sue labbra e le diede un bacio con una gentilezza che non le apparteneva davvero. «Dormi.» sussurrò quando si scostò.
Scostò il braccio di Edith e fece un balzo lontano.
«Cosa cxxxo è successo?» Urlò e la donna sul letto si svegliò di soprassalto.
«Buongiorno» disse stropicciandosi gli occhi. «Dormito bene?»
«Cosa cxxxo è successo?»
Si passò una mano fra le ciocche scarmigliate poi, con esacerbante calma, si stirò la schiena. «Niente» rispose infine «Niente di che.»
«Sei senza maglia!»
Sollevò un sopracciglio. «Mi sembra normale.»
«Cos’abbiamo fatto?»
Edith sorrise sorniona. «Sai, credo che resterà un mio piacevole segreto.»