Con un rumore distorto, sbagliato, la freccia colpì di striscio il paglione, deviando senza pietà verso la sottile rete metallica di protezione.
Ne afferrò un'altra dalla cesta posta affianco a lui vicino alla linea di distanza; la cocca scattò nervosa, incastrandosi nella corda che venne tesa subito dopo.
Uno
zok suonò più giusto rispetto al cacofonico errore precedente ma al suono non fu conseguente il centro.
Un'altra.
Stesso procedimento così meccanico quanto rituale, eco infinita e indistinta di prove su prove, ripetizioni senza sosta che erano entrate nel sangue e che il corpo aveva imparato a riprodurre d'istinto.
«Non lo centrerai nemmeno questa volta.»
La voce provenne da più vicino di quanto volesse ma Aidan la ignorò volutamente. Almeno, provò a ignorarla.
Incoccò e tirò la corda fino a portarsela al viso, poggiando il pollice allo zigomo destro.
La mano fu però troppo difficile da ignorare: il suo calore penetrò da un guanto senza dita nella sua pelle nuda del gomito. Aidan girò appena lo sguardo, a sufficienza per riconoscere una chioma argentea e un sorriso benevolo.
«Trema troppo» riprese Hjørdis pacata. «Riposati un istante.»
E, per quanto l'adrenalina gridasse il suo prezzo, il braccio cedette a quella richiesta: accompagnata la corda a riposo, Aidan appoggiò Ulyssés al supporto posto accanto a lui.
La donna lo invitò tacitamente a sedersi sulla panca sotto il gazebo. E aspettò.
Aidan fissò vuoto i suoi piedi, le irregolarità del terriccio calpestato, il reticolo dei suoi capelli ancora sudati; poi, le mani. Aperte, quasi troppo grandi per un ragazzo della sua età, rovinate da calli e graffi provocati da anni all'aria aperta e arrampicate su rocce e alberi.
«Ti servono da integre» osservò la donna che, come prevedibile, aveva notato la fasciatura che bendava indice, medio e anulare destri.
Una garza messa su alla bella e meglio che non aveva dato il risultato sperato e si era intrisa del sangue del ragazzo a furia di scorticarsi le dita nel tirare.
Paglia.
L'Ajsynn notò qualcosa di scuro dove Aidan stava tirando. Si alzò e lo raccolse: un pezzetto di cuoio con un taglio a un terzo e un elastico.
«Si è rotta» commentò laconico Aidan «è da buttare.»
Hjørdis lo tenne in mano e tornò a sedersi.
Lui spostò lo sguardo dal terreno agli occhi della donna.
«Ne comprerò una nuova.»
«Cos'è?» chiese lei con sincera curiosità.
Carta.
Sulle prime la domanda lo colse di sorpresa, divertendolo, ma già sapeva che non era un modo per fare conversazione: glielo stava chiedendo seriamente.
«È una patelletta» rispose. «S’infila l'elastico nel medio e serve per proteggere le dita quando si tira. Il taglio serve per la cocca.»
La donna assimilò l'informazione con soddisfazione – evidentemente non ne aveva mai vista una – ma tornò a fissare il ragazzo.
«C'è altro che dovresti buttare via?»
Bersaglio.
Aidan rimase in silenzio con un’eco che gli occupava il cervello: rimbombava come un sasso dentro a un grosso pentolone di latta, senza pace. Si richiuse ancora nel silenzio.
Hjørdis tuttavia non pareva aver fretta alcuna.
«Non…» forzò quelle parole con una fatica spaventosa «… non doveva essere lì.»
Ancora silenzio.
«Non doveva… non in quel momento.»
Quel suono lo tormentò ancora: era lo stesso che fa una manciata di acini d'uva troppo maturi quando viene stritolata tra le dita, quando si pianta un palo nel terriccio secco. Quando un'anima viene toccata dalla morte.
Gli occhi rimasero fissi ancora al suolo. Vuoti. La testa tra le mani.
Una vita.
Ecco cos'era stata buttata.
Una vita.
Aidan, senza nemmeno rendersene conto, iniziò a piangere.
Centro.
I singhiozzi irregolari interrompevano ogni tentativo di riprendere controllo del respiro che gli si negava e dei brividi che continuavano a scuotergli lo stomaco.
L'aveva visto. L'aveva puntato alla spalla in modo da poterlo disarmare, renderlo inutile al combattimento ma poi quello scossone l'aveva sbalzato via e la freccia gli aveva perforato il cranio da parte a parte, come il guscio di un uovo. L'uno e l'altro in uno specchio avevano visto strapparsi a vicenda luce e innocenza.
Aidan aveva già ucciso ma era diverso: erano animali, erano nella foresta ed era a caccia con la sua squadra.
Cosa gli era servito tutto quell'allenamento negli anni passati? Il fine sarebbe stato comunque quello: uno o l'altro, la propria vita o la sua, una sua freccia o un suo proiettile. Ma la guerra l'aveva toccato da lontano, sfiorandolo appena quando era ancora intorpidito nella coscienza.
Era piccolo. Era un bambino.
E adesso si sentiva più debole di prima.
Qualcosa lo portò via da lì, con una delicatezza che ripercorreva i passi dell'infanzia. Hjørdis l'aveva abbracciato e gli teneva la testa fra le mani.
Aidan s’irrigidì ma non la respinse.
Gli risalì in bocca il sapore del vomito che aveva ricacciato giù a forza quando quel soldato era morto.
Non avrei voluto farlo ma è successo.
Aveva continuato a impedire l'avanzata, era rimasto in piedi ed era sopravvissuto a differenza di molti altri, accatastati senza riguardo sul pavimento imbrattato dalle loro stesse viscere.
Qualcuno aveva rigettato nel vedere la morte nei compagni prima che in se stesso ma era una decisione tagliata con la lama.
Uccidere.
Essere uccisi.
Bianco.
Nero.
Centro.
Rete.
«Sei poco più di un bambino» gli sussurrò l'Ajsynn «hai tutta la vita per crescere.»
Aidan si riscosse.
Si liberò da quell'abbraccio materno, respingendolo con garbo. Per tutta risposta, Hjørdis distese un sorriso.
Lui non poté fare altro che ripagarla con un broncio stranamente colorato di gratitudine.
«È stato un inutile massacro e questo non ti farà stare meglio» proseguì lei «e le scaramucce guidate da rabbia e risentimento portano solo un vuoto maggiore. Ma è qui» picchiettò con garbo il centro del petto del ragazzo «che viene fatta la differenza. Non rifuggire la battaglia e sii più forte di lei.»
La donna si alzò.
«Abbiamo un vecchio detto tra gli Ajsynn: tra mente e corpo c'è equilibrio; tra spada e braccio c'è ragione. Ma tra cuore e ragione c'è un abisso. Sta a te sapere come colmarlo.»
Aidan bevve quella consolazione, riprendendo fiato e passandosi il palmo della mano sulla faccia umida, consapevole che la donna aveva compreso il tacito ringraziamento.
«Adesso» riprese lei con tono divertito «fammi vedere come me la cavo con questa vecchio arnese!»
In due passi raggiunse Ulyssés e saggiò la resistenza della corda – abbastanza tosta per lei – incoccò una freccia e tirò.
Un tiro sgraziato, inesperto e goffo specie quando un arco è tarato su un arciere diverso ma ugualmente efficace. Più o meno.
Paglia.
«Oh beh… meglio di quanto credessi» osservò serafica. «Andiamo. Te la ricompro io quella.»
Essendo un dialogo in Giardino, nessuno è a conoscenza di questo lato di Aidan (e nessuno oltre a Hjørdis ha potuto sentirlo
Mi sono concesso la libertà di utilizzare Hjørdis n questo modo perché è l'unica con cui al momento potrebbe avere un qualunque tipo di rapporto. Nel caso non dovesse andare bene, attendo un pm della diretta interessata per correggere :)