Cat Empitsu [BACKstory #2]
The MEATGRINDER in the HEART of the Planet
Theme song: Yoru wa Nemurareru kai? - Flumpool (Aijin)
***
Cat trotterellava lungo la stretta stradina che portava al suo
nuovo appartamento del Settore 8, del tutto identico e della stessa striminzita metratura di quello che aveva perso solo qualche settimana prima nell'esplosione del Settore 7: era addirittura arrugginito, scrostato e di terza mano, a dimostrazione della scarsa considerazione che la Shin-Ra provava nei confronti dei suoi dipendenti da macello.
In una mano reggeva il sacchetto di plastica di una piccola spesa di sopravvivenza, nell’altra la valigetta del lavoro, ogni giorno sempre più malridotta dalle unghie di quel gatto meccanico. Pensò a come avrebbe dovuto ammonire
El Capodipartimento Tuesti di togliere alle sue creaturine la loro fin troppo spiccata vena felina.
Mentre saliva le scalette e ragionava sul modo migliore poter esternare in maniera cortese e rispettosa le sue rimostranze per le unghiate sulla finta pelle, si accorse di una figura appoggiata alla porta d’ingresso. La posa dimessa, la testa infilata nelle spalle e l’ingombrante berretto di triste cotone grigio tirato fino agli occhi, non potevano lasciarle alcun dubbio sulla persona che la sembrava stare aspettando.
“Theo, cosa ci fai qui?”
Theo Hazard non era solito avventurarsi al di fuori del Settore 0, o meglio non aveva il permesso di oltrepassare l’ingresso degli HQ Shin-Ra fino a nuovo ordine da parte del Dottor Hojo, a meno che non volesse diventare il prossimo soggetto di qualche esperimento sulla speranza di vita umana senza stipendio e qualche organo interno in meno. Cat aveva sentito di come tutti gli schiavi alle dipendenze del Dipartimento di Ricerca e Sviluppo si fossero visti recapitare un comunicato in cui gli veniva vietato di lasciare i laboratori del Piano 67 fino a quando l’Avalanche non fosse morta, sepolta e cancellata dalla Storia dell’umanità.
“Il Dottor Hojo ci ha concesso una serata di libera uscita: si sono suicidati cinque colleghi in una settimana. Sai, è un po’ un record, persino rispetto alla SOLDIER”. Rivolse a Cat un sorriso innocente, come se stesse segnando mentalmente le parole:
Dipartimento di Scienza e Ricerca batte SOLDIER nel numero di morti settimanali dei suoi dipendenti!
Nuovo obiettivo raggiunto, livello “Scheletri nell’armadio” sbloccato!
+500 EXP!
“Tu stai bene?” sospirò, avvicinandosi alla porta e fissando preoccupata l’amico, i cui occhi lucidi e cerchiati spiccavano sul colorito pallidissimo. “Dovresti riposare ora che ne hai l’occasione, non vorrei contarti tra i prossimi suicidi della Compagnia…”
Ridacchiò, chinandosi per prendere e mostrarle orgoglioso una scatola di cartone che aveva appoggiato a terra: “I miei genitori mi hanno mandato un pacco dal villaggio. È tantissimo cibo, non riuscirei a mangiarlo tutto e ci sono anche delle cose che non mi piacciono, così ho pensato di dividerlo con te, Cat. A te piace mangiare, o sbaglio?”.
“Ti stai invitando a cena?” commentò divertita, facendo scattare la serratura e accendendo la luce del minuscolo ingresso. “Vediamo cosa c’è che non ti piace e ci organizziamo”.
Theo la seguì in silenzio, togliendo le scarpe dalla punta consunta e accompagnandola nel piccolo cucinino dove Cat iniziò a passare in rassegna le sue scarse provviste e l’insperato regalo che proveniva da un anfratto gentile di quel Pianeta allo scatafascio.
Carne in scatola. Fagioli in scatola. Verdure in scatola. Zuppa in scatola.
“Io non mangio cose che
erano vive”. Theo impilò con cura certosina le scatolette di carne processata in un angolo, fissandole con un’espressione risentita: “Le lascio volentieri a te, a me fanno impressione… Mi ricordano un po’ il lavoro, ecco”.
Cat non commentò, soppesando mentalmente la sua magra dispensa e il tesoretto di barattoli che aveva improvvisamente popolato il suo minuscolo spazio vitale: “Potremmo fare dei fagioli con verdure… Ho anche del riso da mangiarci assieme. E magari della zuppa…?”
Theo annuì, controllando gli ingredienti delle zuppe in scatola e scegliendone una dal poco vitale colore di broccolo bollito: “Questa mi piace” sorrise, giocando con la linguetta. “Di solito tutti odiano i broccoli, ma secondo me sono proprio buoni”.
Non riusciva proprio a immaginare che un esponente dell’altro sesso potesse avere quel genere di gusti da segretaria a dieta: di solito il genere maschile sembrava impazzire per carne al sangue, grigliate e cibi piccanti; o perlomeno quello era l’identikit che aveva accompagnato ogni uomo con cui avesse avuto l’occasione di mangiare assieme.
“Sei mio ospite, vai pure nell’altra stanza se ti va: la televisione è tornata a funzionare se vuoi usarla”.
“Mi piacerebbe aiutarti, non vorrei approfittare troppo” insistette Theo, guardandosi attorno. “Lasciami almeno apparecchiare, ne sarei felice”.
Cat non poteva credere alle sue orecchie, abituata com’era a SOLDIER megalomani e uomini della peggior specie: cercò di non dare troppo a vedere come la proposta fosse per lei pura fantascienza e gli indicò dove trovare tovagliette, ciotole, piattini e posate. In quel momento si vergognò nel profondo di non avere nulla di appaiato o perlomeno che non sembrasse rubato dai ristoranti da quattro Gil dei dintorni, ma Theo sembrò non farci caso.
“La vista fuori dalla tua finestra è proprio bella, lo sai?”
La sua voce alle spalle colse Cat alla sprovvista, mentre aspettava che la cuociriso fischiasse il termine cottura. A quell’osservazione quasi ingenua le sfuggì un risolino, pensando a cosa si vedesse effettivamente dal buco di ragno in cui viveva: i tetti del Settore 8 a perdita d’occhio e sullo sfondo i giganteschi HQ illuminati della luce malata dei reattori Mako.
“Io vivo al Settore 5...
di sotto” commentò Theo, gettandosi un’occhiata alle spalle, come se il paesaggio oltre la finestra fosse il panorama più bello che avesse mai visto in vita sua. “Lì che sia giorno o notte non fa troppa differenza, a volte preferisco restare a dormire al Piano 67: almeno non è sempre così buio”.
“Scusami, non volevo offenderti…”. Cat si morse la lingua. Il fischio della cuociriso fu provvidenziale a risolvere quella situazione, sollevando un curioso gorgoglio dallo stomaco di Theo, non appena lo sbuffo del vapore e il profumo del riso caldo si diffusero nel cucinino.
Quando si sedettero sui bassi cuscini quadrati, l’uno di fronte all’altra ai due lati del tavolino pieghevole, Cat si rese conto come fosse molto tempo che non mangiava in compagnia di qualcuno in quella stanza.
Alle sue spalle, nonostante la finestra chiusa, entravano i rumori della notte di Midgar, lo stridere dei treni sulle rotaie e il soffio continuo dei reattori. I suoni delle persone erano rari, perlopiù risse e grida, clangore di tubi e lame per una rapina andata male o una zuffa sfociata nel sangue davanti a qualche locale di bassa categoria. Eppure tutto il mondo dominato dalla Shin-Ra correva a Midgar, attratta come una mosca verso la luce.
Theo mangiava in silenzio, lentamente; sembrava apprezzare in particolar modo il riso bianco che centellinava come fosse la cosa più preziosa su quel piccolo tavolo.
“Ne ho ancora se vuoi”. Cat indicò la cuociriso che aveva portato con sé e appoggiato al pavimento: “Io sto cercando di tenere una dieta a basso apporto di carboidrati, quindi finisci pure senza fare complimenti”.
“Sei sicura?” gli occhi di Theo avevano luccicato, famelici. Notò come il suo colorito era migliorato dal pallore smunto con cui lo aveva incontrato davanti alla porta. Sentì dentro di lei una strana contentezza, come quella che si provava alla vista di un pulcino di Chocobo spelacchiato.
“Non preoccuparti, mi hai lasciato un sacco di cose buone” lo rassicurò, prendendo la sua ciotola e raschiando il fondo del riso: “Buon appetito”.
Finirono la cena senza ulteriori chiacchiere: Theo non era esattamente un personaggio loquace e Cat poteva ben comprendere la sua stanchezza dopo lunghe settimane di clausura all’interno dei laboratori del Piano 67. Cercò di dissuaderlo dall’aiutarla anche a lavare le stoviglie, ma senza successo, per cui si trovarono fianco a fianco a insaponare e asciugare, in sottofondo la consueta e strozzata melodia dei reattori in lontananza.
“Non togli mai il berretto?”
Cat cercò di spezzare il silenzio, notando solo in quel momento come il suo ospite avesse trascorso tutta la serata con il suo berretto ben calcato.
Theo le rivolse un sorriso imbarazzato, sfilandoselo velocemente: “Scusa, non ricordavo di averlo ancora addosso…” mormorò, stringendolo tra le mani. I suoi capelli biondo scuro erano tutti aggrovigliati, stretti alla meno peggio da una malconcia e corta coda di cavallo. Ciocche riottose gli cadevano ai lati del viso, dandogli un aspetto davvero misero.
Il cuore di Cat si strinse un po’ a quella vista: le ricordava molto se stessa durante i suoi lunghi mesi alle dipendenze di Domino. Pochi soldi, stanchezza e tantissimi straordinari.
A quel pensiero, gli occhi le sfuggirono sulla piccola sveglia che teneva in bilico sul microonde, sincronizzata agli orari dei treni della stazione del Settore 8: “Theo, a te non piace molto il
sotto, giusto?”
Le lanciò uno sguardo interrogativo, volgendo anche lui l’attenzione alle lancette. Cat lo vide impallidire, mentre un rantolo disperato gli usciva dalla gola: “…H-ho perso l’ultimo treno…”. Le sue mani si torsero attorno al berretto: “I-io mi dispiace, non l’ho fatto apposta…” deglutì rumorosamente, “…tornerò al Settore 5 a piedi, non ci sono problemi…”
“Non dire sciocchezze” rise, trattenendolo per l’enorme felpa che avrebbe potuto comodamente contenere due persone. “Puoi stare qui a dormire stanotte. Ho un materasso e delle coperte in più: di solito sono quelle che usa mio fratello”.
Il pallore mortale che aveva scavato le guance di Theo sembrò peggiorare: “Ho già disturbato abbastanza…” mormorò, fissando la presa di Cat sulla maglia. “Sei sicura che non sia sconveniente per te? Insomma, se Will lo venisse a sapere, tutta la Shin-Ra lo saprebbe… e per te sarebbe
imbarazzante, non trovi?”
“Esistono cose molto più imbarazzanti che dormire con qualcuno” scosse il capo, cercando di rassicurarlo. “Inoltre Will non lo verrà mai a sapere e se anche dovesse succedere ho una lunga lista di
cose molto più imbarazzanti sul suo conto che lo farebbero restare zitto. Stai tranquillo, è un po’ come i vecchi tempi al villaggio, quando andavamo tutti a dormire nei garage durante l’estate”.
Theo arrossì, chinando la testa: “…Di solito non ero invitato, tutti credevano fossi radioattivo” mormorò mesto.
“Allora sarà la tua prima volta!” Cat cercò di stravolgere la situazione, sentendo nella sua mente il poco rassicurante suono prodotto da una palese arrampicata sugli specchi. “Puoi anche farti una doccia, se ti va. Non fare complimenti.”
Senza aspettare la sua replica, si precipitò nella stanzetta da bagno, facendo sparire tutto quello che gli avrebbe potuto causare qualche reale imbarazzo, ficcando la biancheria stesa ad asciugare nella lavatrice e chiudendola con un tonfo sonoro. Recuperò un paio di asciugamani puliti e una vecchia tuta di suo fratello e li tese a Theo, costringendolo a lasciare finalmente la presa dal berretto.
Lasciò che scomparisse oltre la porta scorrevole e solo quando sentì lo sciacquio dell’acqua si rilassò, aprendo il frigorifero alla ricerca di una lattina di birra. Si sedette alla finestra, osservando la gigantesca costruzione degli HQ in lontananza e cercò di mettersi nei panni del suo ospite, che aveva avuto il coraggio di pensare come quella vista potesse addirittura essere considerata
bella.
“Ti ringrazio”. La voce di Theo le giunse alle orecchie, mentre si accoccolava accanto a lei, infilato alla meno peggio nella tuta. “Era da qualche tempo che non stavo così bene” sospirò, chiudendo gli occhi.
Cat rimase in silenzio, fissando la sua figura, improvvisamente diversa da quella del solito schiavo del Dipartimento di Scienza e Ricerca, perennemente ingobbito e nascosto tra il berretto e il camice sporco di sostanze raccapriccianti. Il calore dell’acqua sembrava avergli ridato un po’ di colore alle guance, mentre i capelli umidi erano raccolti ordinatamente dietro alla nuca.
“Non sei radioattivo” commentò, sfiorandolo per scherzo sullo zigomo ossuto. “Non emetti luce verde, quindi sei sano”.
Una risata timida gli uscì dalle labbra: “Questo mi piacerebbe che venisse detto a tutta la Shin-Ra”.
“Mi dispiace per quello che è successo al villaggio… Non lo sapevo. Credevo non venissi perché i tuoi genitori ti rinchiudevano con loro alla centrale di energia”.
“Non vedevo l’ora di poter scappare a Midgar” sospirò, guardando oltre la finestra. “Non mi piace stare qui, ma almeno ci sono altre persone come me”.
“…
Radioattive?” lo prese in giro, giocherellando con la lattina.
“E tu appartieni alla categoria delle persone
alcolizzate, Cat” scosse la testa, prendendole dalle mani la birra e fissandola serio. “Tutti quelli dei piani sotto il 67 sono drogati di qualcosa: Mako, birra, farmaci, fumo…”
“Dimentichi il lavoro. Il lavoro e il sesso”, aggiunse contando le ultime due opzioni sulle dita. “Ne so per esperienza”.
Theo annusò la lattina e le rivolse un’occhiata: “Posso provare? Non ho mai bevuto alcolici e mi sono sempre chiesto che sapore possano avere. Il Dottor Hojo ce lo vieta da contratto, dice che sono roba da Turk e dato il nostro lavoro non possiamo girovagare nei laboratori attaccati alla bottiglia”.
Cat spalancò gli occhi per la sorpresa: “Prego. È la birra della peggior specie, ma è meglio che tu ci faccia l’abitudine trattandosi dell’unica marca che puoi si comprare con questo stipendio. Inoltre è pure tiepida, avrai una delle esperienze peggiori sotto tutti i punti di vista”.
Lo guardò ingollare un sorso poco convinto, per poi deglutire a fatica. Rimase immobile per qualche secondo, strizzando gli occhi, poi le passò la lattina con un filo di voce: “L’acqua è buonissima. Dovresti provarla, ogni tanto”.
Ridacchiò, prendendo un sorso a sua volta.
“Cat, vorrei chiederti una cosa”. Theo si era voltato verso di lei, stringendo i bordi delle maniche della tuta. “Io… speravo di avere una buona scusa, ma non ho bevuto abbastanza per giustificarmi…”
“È la tua prima volta, no?” lo interruppe, avvicinandosi a lui. Non le serviva sapere altro, poteva ben immaginarsi cosa volesse dire. Certo, non si era aspettata che quella serata avrebbe preso quel genere di risvolto, ma non c’era nulla di male. Poteva addirittura rivelarsi divertente, indipendentemente da quanto sarebbe potuto succedere.
Theo rimase in silenzio, senza smettere di tormentare la felpa: “Alla Shin-Ra, non lo verranno a sapere?” mormorò con un filo di voce.
Gli scompigliò i capelli, sciogliendo il nodo con cui erano legati alla nuca: “Solitamente siete vuoi uomini ad avere la bocca larga a questo riguardo”. Lo vide scuotere la testa, facendosi serio.
Erano di fronte l’uno all’altra, immersi in un improvviso silenzio nella notte di Midgar.
Cat allungò una mano verso di lui, accarezzandogli il viso affilato, mentre chiudeva gli occhi al suo tocco. Lasciò che si rilassasse, imitandola a sua volta, facendo scorrere un dito magro lungo la sua guancia, giocando con i suoi capelli.
La distanza tra loro iniziò a diminuire con lentezza, mentre Theo sembrava voler memorizzare ogni tratto del suo viso con le sue dita. Finalmente, sentì il suo respiro caldo vicino alle labbra, insieme a un leggero sentore di malto di pessima qualità.
“…Posso baciarti?” sussurrò, mentre le sue braccia magre la stringevano appena a sé. Cat sorrise, spingendo il capo verso di lui, incontrando la sua bocca schiusa. Lo sentì irrigidirsi, per poi rispondere timidamente al suo bacio e lasciarsi guidare da lei in quei lunghi istanti prima di separarsi di nuovo.
Theo appoggiò la fronte alla sua, lasciandosi andare in un lungo sospiro: “…Grazie”. La sciolse dall’abbraccio e prese un altro sorso di birra. Cat lo vide fare una smorfia di disgusto, asciugandosi dagli occhi quelle che sembravano lacrime.
“Stai bene?” si avvicinò, sfiorandogli preoccupata il viso. Aveva dato numerosi baci nella sua vita, ma quella era la prima volta che assisteva a una reazione del genere.
La stretta inaspettata di Theo la lasciò senza fiato, immobilizzandola contro il suo petto, mentre scoppiava in un pianto soffocato. Sentiva il suo cuore battere all’impazzata, mentre la schiena era sconquassata dai singhiozzi. Rimase aggrappata a lui, lasciando che si sfogasse, buttasse fuori in quella forma tutto quello che aveva visto in quegli anni nei laboratori del Piano 67.
Pian piano il suo respiro iniziò a tornare regolare, annaspando per trovare aria, la voce rotta e arrochita dalle lacrime.
“E-ero venuto qui solo per… per parlare con qualcuno…” balbettò, affondando la testa contro la spalla di Cat, accarezzandole il collo con i capelli umidi. Le labbra bollenti si appoggiarono all’angolo della sua bocca, tremando: “Ho paura di impazzire, di non farcela più, come tutti gli altri. È stato orribile, ogni giorno entravo al laboratorio e ce n’era uno…” le sue mani si aggrapparono convulsamente alla sua schiena, senza riuscire ad afferrarla. “Credevo di aver visto il peggio la notte di quel mostro, tutto quel sangue sparso nei corridoi… O quando uno dei test SOLDIER annega nella Mako, quando inizia a battere sul vetro e lo lasciamo morire lì dentro perché tanto non serve più…” continuò, il respiro affannoso contro la sua pelle.
Cat allungò una mano sulla sua nuca, muovendo lentamente le dita lungo le vertebre sporgenti. Theo sembrò improvvisamente perdere ogni forza, lasciandosi andare contro di lei a peso morto, le braccia abbandonate lungo il corpo.
“Sono stanco” sospirò, restando in quella posizione, il capo nascosto contro la sua spalla. Cat annuì in silenzio, prendendo delicatamente le sue spalle e incontrando i suoi occhi: “Hai bisogno di riposare.
Qui. Non tornerai agli Slums stanotte”.
Si alzò ondeggiando e iniziò a chiudere il tavolino basso, riponendolo in un angolo con i suoi cuscini quadrati. Aprì l’armadio a parete, tirò fuori i due bassi materassi e le coperte che conservava al suo interno. Li appoggiò sul pavimento e invitò Theo ad avvicinarsi. Lasciò che ci si infilasse silenzioso, accoccolandosi come un bambino.
“Dove vai…?” mormorò ansioso girandosi su un fianco, vedendola uscire dalla piccola stanza.
“Non posso dormire in divisa” rise, indicando lo stropicciato completo blu scuro con la spilla quadrata della Shin-Ra bene in vista. Theo abbozzò un sorriso, tornando ad avvolgersi nelle coperte: “Ti aspetto”.
Cat entrò nel piccolo bagno ancora caldo e umido. Notò come gli asciugamani e i vestiti fossero stati ripiegati con cura, appoggiati sopra alla lavatrice e al cesto dei panni sporchi: anche questo per lei era una novità, abituata com’era a lasciar cadere e sparpagliare le cose in giro, per poi lamentarsi di non trovare mai un completo abbinato.
L’acqua calda l’aiutò a sciogliere un po’ il macigno di pensieri che Theo aveva condiviso con lei. Sentiva nella testa la sua voce spezzata, mentre quello strano odore di bagnoschiuma e sangue le restava ancora alle narici: forse nemmeno mille bagni bollenti avrebbero potuto lavare via tutta la sporcizia che si era accumulata dentro di lui in quegli anni.
Si asciugò i capelli, lasciandoli cadere oltre la schiena, e indossò una delle tante tute da ginnastica della Compagnia che aveva trafugato dalla Palestra. Pensò a come, nella sua sfortunata esperienza con gli appartenenti al genere maschile, avesse travisato le parole di Theo, dimostrando quanto la sua capacità di preveggenza fosse davvero inutile: in fondo, non era venuto da lei per andare oltre a una cena e magari una chiacchierata che non includesse esperimenti mal riusciti e morti da Mako. Tuttavia non rimpiangeva di averlo baciato; in fondo era giusto poter dispensare ogni tanto un po’ di quel genere di umanità, che al Piano 67 sembravano aver strappato a forza a ciascuno di loro.
Chiuse le tende alla finestra, facendo cadere la stanzetta nella penombra. Theo si girò verso di lei, gli occhi socchiusi che brillavano sul viso ancora tirato: “Era tanto tempo che non ti vedevo con i capelli sciolti. Dal viaggio in treno, se non ricordo male”.
“Regolamento aziendale” si mise sul fianco incontrando il suo sguardo, per poi allungare le dita e giocare con le ciocche che gli cadevano sul cuscino. “Come stai?” mormorò, sfiorandogli le guance scavate.
Theo sospirò, appoggiando la guancia al palmo della sua mano: “…Meglio. Ti ringrazio”. Le si avvicinò, prendendole a sua volta i capelli e portandoseli alle labbra: “Posso abbracciarti? Ancora un po’?”
Cat sentì il calore tiepido del suo corpo, mentre intrecciava le dite alle sue. In quel momento pensò stupidamente come fosse raro trovare una persona con una temperatura corporea così bassa, addirittura minore di quella di una qualsiasi segretaria perennemente a dieta e broccoli.
Forse fu per curiosità che la sua mano si mosse su di lui, tracciando una linea incerta lungo le clavicole sporgenti, lo sterno e i pettorali appena percettibili, per poi scendere silenziosa verso il suo stomaco teso e appiattito dal poco cibo.
Stava trattenendo il respiro.
Se ne rese conto all’improvviso, allontanando la mano di scatto: “S-scusami” mormorò, fissandolo negli occhi spalancati. Theo deglutì a fatica, allargando le labbra in un sorriso imbarazzato: “Non sono esattamente il tipo di persona da toccare” commentò con un risolino sommesso. “I SOLDIER forse sono più interessanti. Muscoli e cicatrici da battaglia, quelli fanno impazzire le ragazze”.
Si alzò lentamente a sedere, stiracchiandosi e appoggiando il mento sulle ginocchia: “Anche io ho delle cicatrici, sai?”
Lo vide sfilarsi lentamente la parte superiore della tuta, il busto pallido, magro e ossuto infilato in una t-shirt scolorita, che riluceva come una lampadina scarica nella penombra della stanza.
In quel momento le vide: cicatrici sottili e lunghissime che attraversavano la carne delle braccia magre, di quel bianco malato che accomunava gli abitanti degli Slums.
“Si aggrappano a te, ti minacciano e cercano anche ti ammazzarti con loro” sospirò, facendo passare un dito lungo una di quelle ferite scolorite. “Il Dottor Hojo si arrabbia se esageriamo, se sono ancora utili e li uccidiamo prima che uccidano noi…” nascose il capo tra le ginocchia, “…ma noi…
noi non vogliamo morire”.
Cat si chinò su di lui, abbracciandolo delicatamente, improvvisamente spaventata all’idea di poterlo ridurre in mille pezzi. Sentiva i suoi tremiti, i denti che avevano iniziato a battere con un rumore di grandine.
Theo si appoggiò a lei, di nuovo senza forze, come se ogni parola gli costasse un incredibile dispendio di energia. Lo sentì muoversi lentamente nel suo abbraccio, strofinando il capo contro il suo collo, il respiro tiepido che si condensava sulla pelle. Incontrò i suoi occhi scuri, privi di quella scintilla verde che aveva spesso popolato i suoi risvegli in passato: la fissavano lucidi, colpevoli di quello che aveva fatto tante volte nei laboratori del Piano 67.
Le labbra di Theo sfregarono contro le sue, gemendo debolmente, mentre lo baciava di nuovo, intrecciando le mani ai capelli. Lo immobilizzò in uno scomodo abbraccio, le coperte mescolate a loro, ignorando le dita che grattavano sulla stoffa della tuta.
“…Cat, basta così” si allontanò da lei improvvisamente, cercando di riprendere fiato. Le guance arrossate sul viso pallido parevano il sintomo di una febbre pericolosamente alta.
Restò ferma davanti a lui, cercando di leggere la sua prossima, strana mossa, ma senza successo.
“Grazie” ripeté nuovamente Theo, stringendosi nella coperta per poi abbracciarla a sua volta. “Grazie, ma basta così”.
Le prese la mano con cui aveva esplorato il suo corpo, portandosela alle labbra e baciandola con dolcezza, per poi appoggiarla al petto: “Voglio solo dormire accanto a te, stanotte…”. Lasciò la presa, infilandosi nuovamente la tuta e sistemando le coperte. Lo vide coricarsi sul fianco, un palmo teso verso di lei: “…Stringendoti la mano”.
Lo imitò, voltandosi poi verso di lui e intrecciando le dita alle sue: “Buonanotte, Theo” sorrise, incontrando il suo viso illuminato dal riverbero verde.
“Buonanotte, Cat” rispose di rimando, chiudendo gli occhi con un sospiro.
Cat e le sue storie d'amore complicate per vari e diversi motivi.
La prima di una (fortunatamente corta) serie di estratti pseudo-romantici dalla sua vita in quel di Midgar. Nel cervello di Cat, queste sono le 'store d'amore che le hanno rovinato l'esistenza e la sua fiducia nell'umanità', ma a lei basta poco per lamentarsi di tutto e farne una tragedia greca.
Livello di oggi: 'Cat e le relazioni interpersonali con il Dipartimento di Scienza e Ricerca, AKA Theo Hazard, AKA alla fine non se ne fa niente perché sono tutti un po' strambi e al Piano 67 degli Shin-Ra HQ la gente ha probabilmente firmato i contratti col sangue e i sacrifici umani'.